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La torre della solitudine
 
La torre della solitudine 2014-10-28 17:09:15 Chiara Lilith
Voto medio 
 
2.0
Stile 
 
2.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
2.0
Chiara Lilith Opinione inserita da Chiara Lilith    28 Ottobre, 2014
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PROMETTE BENE, MA NON MANTIENE

La recensione contiene spoiler.
Avevo letto altri libri di Valerio Massimo Manfredi e mi erano piaciuti molto, così mi sono lanciata nella lettura di quello che prometteva essere un libro avvincente.
Purtroppo è stato invece una delusione, su quasi tutti i fronti. Il libro inizia con un incipit più che interessante, che faceva sperare in un’avventura incredibile. Vediamo questa legione romana sterminata da mostri misteriosi e subito dopo c’è un salto nel tempo che avvia l’indagine. Ci sono diversi personaggi che per motivi diversi (e con diversi esiti) inseguono un messaggio misterioso, che verrebbe da Dio. Tutto è molto interessante. Si sente che si riuniranno tutti alla Torre della Solitudine e non si vede l’ora di quel momento.
I percorsi che però ogni personaggio affronta scorrono troppo velocemente, la trama viaggia veloce, i protagonisti si spostano rapidi e gli eventi si complicano e risolvono senza che il lettore se ne renda conto, Desmond e Philip rischiano innumerevoli volte di morire nelle maniere più strane e un secondo dopo la faccenda è sempre brillantemente risolta.. Troppo veloce, sembra un canovaccio per un film americano qualsiasi, più che un’opera del livello di Manfredi. Tutto ricorda un incrocio tra un romanzo di Dan Brown, un film con Indiana Jones e la Mummia (chi non ha immaginato Desmond Garrett come Sean Connery in “Indiana Jones e l’ultima crociata?” Ed El Kassem non ricorda forse quel guerriero Medjai di nome Ardeth Bay che aiuta il protagonista?). Come storia aveva tante potenzialità, ma nessuna di queste è stata sfruttata. Inoltre, si può capire la necessità di inserire un personaggio femminile, ma sarebbe bastato un flirt. Invece è diventato l’amore di una vita, l’unica spiegazione è il colpo di fulmine, ma la cosa resta comunque poco realistica. Un po’ troppo scontato, un po’ troppo banale, promette bene ma non mantiene. L’unico elemento valido l’ho trovato nei personaggi legati al clero. In particolare sono molto profonde le conversazioni tra padre Hogan e padre Boni, soprattutto è toccante lo struggimento di quest’ultimo, che mette a dura prova la sua fede.
Il linguaggio, lo stile, sono quelli tipici di Manfredi, quindi volti all’epico; questa volta però una preparazione classica molto approfondita si è rivelata una lama a doppio taglio: infatti nelle le descrizioni dei paesaggi ci si trova in momenti di pura poesia, mentre per quelle dei luoghi antichi o degli arredi tutto diventa complicato, perché l’autore utilizza termini molto specifici dell’architettura antica, che un lettore comune non comprende o comunque lo fa con difficoltà (cito “c’era un sarcofago nabateo in stile egittizzante”).
Il finale è la parte peggiore, i personaggi tornano ognuno alla loro vita, tranne Philip, che resta con la bella principessa, il cui grande amore (reciproco) è nato al primo sguardo, in modo irrealistico e banale. Ma soprattutto il grande messaggio non viene rivelato. Tutta la trama è incentrata su un mistero che non viene risolto. L’unica consolazione è la frase sul sarcofago “Nessuno uccida Caino”, col significato di “non uccidete l’assassino o diventerete come lui”. Anche questo abbastanza banale. Lascia l’amaro in bocca.
In sintesi, Valerio Massimo Manfredi è un grande autore, ma questa volta è stato scarso.

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