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Marco e Mattio
Come già ne ‘La chimera’, Vassalli utilizza la vicenda di una persona (molto) a margine della storia per raccontare un’epoca. Questa volta tocca a Mattio Lovat, ciabattino della valle di Zoldo destinato a concludere la sua breve e sofferta vita sull’isola di San Servolo a Venezia non perché fosse matto, ma, con ogni probabilità, perché afflitto da una demenza causata dalla pellagra. Suo contraltare è Marco che oppone una sorta di personificazione del male eterno al desiderio di redimere l’umanità di Mattio: peccato che, nel complesso, il suo personaggio risulti sottoutilizzato dato che, dopo un esordio da protagonista che culmina in un momento di inattesa violenza, scompare rapidamente dai radar per riapparire in modo sporadico e, in fondo, poco significativo. Il vero protagonista del libro sembra essere, al tirar delle somme, l’ultimo quarto del Settecento che, con le sue profonde trasformazioni, segna una sorta di cesura fra una società e un’altra: dall’immobilismo dell’età moderna sotto al dominio patrizio della Repubblica Veneta e a quello forse ancor più assoluto del potere religioso alle novità portate dall’arrivo dell’età contemporanea all’inizio dell’Ottocento. In tutto questo, alla povera gente toccano soprattutto tanta miseria e tanta fame per colpa degli sconquassi meteorologici che si sommano al crollo della vecchia economia e al passare degli eserciti stranieri che finiscono per reprimere nel sangue qualsiasi sussulto di ribellione: tanti momenti narrati con attenzione al dettaglio e sentita partecipazione, come pure curata è la ricostruzione delle strutture sociali e dei rapporti interpersonali. Nell’immaginazione di chi legge prendono vita non solo la piccola e arretrata comunità rurale della valle di Zoldo, ma anche la provinciale Belluno con i suoi nobili altezzosi e la più lontana Venezia descritta in un mirabile capitolo quando è ancora una ricca capitale prima di decadere in modo irreparabile. Sono aspetti che a volte si prendono del tutto la scena, aprendo lunghe parentesi nella vicenda umana di Mattio che, fatta di inciampi com’è, riscuote la piena simpatia dell’autore tanto da fargli abbandonare spesso il tono lievemente sorridente utilizzato di solito sostituendolo con uno più partecipato. La scrittura di Vassalli scorre come al solito con grande piacere proprio per la capacità di alleggerire le situazioni, utilizzando scene da commedia all’italiana (si vedano la ‘santa’ del villaggio che fa a pugni col diavolo o il secondo viaggio di Mattio versola laguna con le esibizioni erotiche di un’aspirante suora) e spargendo qua e là dei riferimenti all’attualità, ma, allo stesso tempo, richiede una lettura attenta a causa della predilezione per i periodi complessi e ben formati (ed è un pregio, sia chiaro, non un difetto): un modo di raccontare che pare senza sforzo e riesce a non far sentire il lavoro di documentazione che ci deve inevitabilmente essere alle spalle di un libro come questo. Qualche problema di amalgama fra le sue varie componenti e un canovaccio nel complesso più debole, fanno sì che ‘Marco e Mattio’ non sia al livello del racconto del martirio della ‘strega di Zardino’, ma è comunque un bell’omaggio ai dimenticati della storia che conferma la bravura del suo autore.
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