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Gli occhi di un bambino del medioevo
In “Tutta la luce del mondo” Aldo Nove interpreta la figura di San Francesco attraverso gli occhi del nipote Piccardo. Con sensibilità e fantasia fanciullesche, che si traducono in uno stile naïf ora divertente, ora commovente, Piccardo racconta i fatti del tredicesimo secolo (“Nel Medioevo tutto era stupendo”) e propone una lettura originale della società (“Tra i mostri, i poveri erano i più frequenti”), del millenarismo (“All’avvicinarsi dell’anno Mille il tempo della luce flebile, il tempo della storia, stava per esaurirsi… L’anno Mille così arrivò ma al suo principio d’ora il sole sorse come tutti i giorni…”), di alcuni elementari concetti filosofici (“Lo scandalo è qualcosa del mondo che va fuori posto”) e dei luoghi (“Assisi, vuol dire ascesi”). Descriverò due passaggi che mi hanno particolarmente colpito.
GLI ANIMALI
L’immaginazione puerile trova libero sfogo in quest’opera. Come quando Piccardo parla di animali (“Il mondo degli animali irrompeva spesso nel quotidiano squadernandone i confini, nei mercati i girovaghi ne portavano d’insoliti…”) e sceglie di descrivere la fenice (“La fenice è un animale di bellezza insostenibile, e brucia gli occhi a chi l’ammira troppo”), l’ostrica (“L’ostrica… ha un disperato bisogno della luce del sole”), l’unicorno (“L’unicorno… adora l’odore della verginità e per questo i cacciatori usano come esca una fanciulla…”) e il drago (“Il drago è una lucertola immensa”).
PAUPERISMO E MISTICISMO
Molto realistico è lo stupore del bambino che, in una famiglia di ricchi mercanti, respira l’imbarazzo dei parenti per la scelta di rottura (“…zio Francesco assomigliava davvero a Gesù. Gesù doveva fare il falegname, invece ha tradito suo padre e si è messo ad andare in giro a fare il Gesù”) di Francesco (“Lo zio Francesco che prima si chiamava Giovanni”) e nutre la curiosità di verificare se lo zio sia santo (“Piccardo pensò che non gli piacevano i santi che baciavano i lebbrosi. Gli piacevano i santi che volavano. Un santo furbo, se avesse incontrato un lebbroso, sarebbe volato via…”) o pazzo: così Piccardo affronta un viaggio all’insaputa dei genitori per incontrare il poverello d’Assisi, sfidando l’ira del padre.
Da brividi – anche per il contenuto che riproducono - le pagine nelle quali con toni ingenui sono affrescate ascesi, misticismo religioso (“Fuoco che aveva le ali”) ed esperienza fisica delle stimmate.
Come in “Mi chiamo…” e nella raccolta “A schemi di costellazioni”, anche con questo romanzo Aldo Nove conferma di aver virato verso la poesia, dopo un esordio “da cannibale” e romanzi “forti” come “La vita oscena”.
Bruno Elpis
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