Dettagli Recensione
A.Camilleri, La Creatura del desiderio, Skira 2014
Chi sa che Oskar Kokoschka fece costruire una ‘bambola’ con le fattezze di Alma Mahler?
Lo sa Andrea Camilleri che sulla faccenda ha scritto un bel racconto dal titolo La creatura del desiderio, edito da Skira. Il titolo è accattivante, ma lo scrittore siciliano la dice ancora più lunga. Parte dal 412 a.c, citando Euripide che in una sua commedia dal titolo Elena, ispirata alla Palinodia del poeta Stesicoro, tratta della figura di Elena, universalmente ritenuta responsabile della guerra di Troia e definita da Eschilo “donna di facili costumi e rovina di uomini”. Giudizio contraddetto da Stesicoro che sostiene la moralità e fedeltà di Elena, aggiungendo che gli dei, commossi dalla preghiera della donna, a Troia mandarono una sua copia conforme, “così ben riuscita che nessuno poté accorgersi dell’avvenuta sostituzione”.
Non si creda che Camilleri irrigidisca il racconto con elucubrazioni intellettuali (cita Gogol, Tommaso Landolfi, d’Annunzio, autori che in un modo o nell’altro trattano il manichino), la sua prosa e le sue intenzioni sono tra le più controllate ed essenziali; nessun barocchismo ed enfasi nel trattare il problema del doppio, concetto tanto classico quanto complesso. Camilleri approfitta del termine bambola, usato modernamente per definire certe copie in plastica a grandezza naturale del prototipo femminile, per chiarire che si tratta di una denominazione generica e passivamente feticistica, in confronto della quale quella di simulacro implica venerazione, determinazione e abnegazione. A quanto si può dedurre bambola comporta sottomissione, mentre il simulacro per quanto effetto di fede, nel caso tipico raccontato da Camilleri, comporta un tale dispendio di energie creative da fare del doppio un unico che solo un artista del calibro di Kokoschka poteva concepire e attuare.
La storia prende avvio dall’intensa esperienza d’amore tra il pittore e Alma Mahler. Le vicende amorose della donna sono note e non si fermerà alla storia con Kokoschka: a dicciot’anni fu amante di Gustav Klint, in seguito sposerà Malher di cui rimarrà presto vedova, dopo e contemporaneamente al pittore amerà e sarà amata da personaggi come Gropius, Franz Werfel, Loos … L’aura dell’Arte sovrintende le brame amorose e sessuali della donna. Questo è un punto assodato. Ciò che interessa Camilleri è la straordinaria sistematicità con cui un artista definito “selvaggio” dai contemporanei, tanto ribelle e provocatorio, si dedichi alla costruzione di un doppio a grandezza naturale della perduta Alma. E’ lui a istruire metodicamente una artigiana sulle parti del corpo di Alma da imitare con materiali di volta in volta ritenuti idonei a rappresentare l’epidermide femminile. Le sue lettere alla esecutrice materiale del doppio sono integrate da disegni anatomici. E’ un lavoro che prosegue per mesi, radicalizzato in seguito dalla lucida follia di considerare il simulacro entità viva e dialettica, tanto da presentarlo in società e accreditarlo del linguaggio umano, anche se solo il creatore-adoratore può interloquire coll’idolo. Si legge tra le righe dello straordinario racconto di Camilleri l’allusione a una utopia che faccia dell’uomo-ossesso il creatore e controllore della propria ossessione, non già il dipendente e la vittima. Semmai di stregato c’è l’Amore: la dipendenza dalla volontà e dal sogno di essere autori dell’Amore e poter forgiare al massimo delle capacità inventive e discrezionali l’oggetto amoroso. Il merito di Camilleri è quello di non aver reso estetizzante il contesto, quanto di averlo incentrato sulla laboriosità umana di voler risalire l’altalenante irrazionalità dell’amore. Kokoschka si applica e lavora umilmente al progetto amoroso, con costanza giornaliera, ciò che di grandioso c’è, è l’implicita e irreversibile appartenenza all’Arte. Se Alma ama l’Arte, Kokoschka ama la Donna che ama l’Arte e in mancanza di lei non potrà che amare il doppio dell’Arte (il busto di Mahler a cui Alma non vuole rinunciare è opera d Rodin). E’ una sorta di destino circolare che può suonare pure come condanna: ridurre l’umano a sola finzione.