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In meinem Herzen, die Heimat!
Non esiste al mondo luogo migliore della montagna a far nascere una leggenda. I suoi impervi sentieri, i suoi laghi cilestrini, i suoi cieli d'acciaio forieri di neve ne fanno fonte eterna d'ispirazione.
Come eterne sono le leggende, perché, parafrasando quel che Calvino disse a proposito dei classici, mai smettono di dire ciò che hanno da dire.
D'obbligo, quindi, iniziare proprio da una leggenda.
Un bel giorno un montanaro, senza tema di mostrare il proprio disappunto, interrogò Dio sul perché avesse dato al cittadino la città, al contadino la campagna, al marinaio il mare, e a lui una terra ostica, dura e difficile. Dio allora, cercando di persuadere il caparbio montanaro, "creò tramonti di perla e albe rosse come il fuoco, fece ghiribizzi di nuvole sulle montagne, gelò le nevi". Tanta bellezza si rivelò però insufficiente. Il montanaro difatti continuò a redarguire Dio, il quale, persa la pazienza e senza indugio, "prese un pezzettino di roccia, due frammenti di abete, un po' di prati verdi, due gocce di lago alpino e li ficcò nel cuore del montanaro – Tu senza queste cose non potrai vivere – disse – Andrai dove vuoi, ma per morire tornerai qui, perché solo qui è la tua casa, la tua Heimat."
Questa è la storia che la piccola Gertraud narra al suo maestro elementare Mario, uomo trentino incaricato di fare dei bambini di Cordés, piccolo paese a sud del Brennero, dei piccoli e fieri italiani.
Siamo intorno alla metà degli anni Trenta e il clangore della propaganda fascista è assordante.
In questo frangente storico, Mario, inizialmente vettore di precetti fascisti, da legnoso automa nelle mani di un pomposo burattinaio, scoprirà col tempo la calda gioia di avere braccia, cuore e cervello umani.
Nell'arco di nove mesi, la durata di un intero anno scolastico - corso paradigmatico di una gravidanza -, Mario vedrà nascere un nuovo se stesso, assumerà la consapevolezza della sua più vera identità.
Un po' come fu per il Tenente Dunbar in “Balla coi Lupi, scoprirà finalmente dov'è che sta la propria casa e quanto avvolgente possa essere la consonanza sentimentale con quei montanari dalla tempra appuntita come le cime dei monti.
La casa, la tua Heimat, infatti, non è sempre e soltanto quella in cui nasci e la tua gente - se hai la fortuna di incontrarla - non è sempre, necessariamente e soltanto quella che ti ritrovi intorno, perché spesso sei tu che sei chiamato a sceglierla o è lei che è chiamata a scegliere te.
“Diario del maestro di Cordés” è un bel racconto, scritto con garbo e competenza. L'autore non appare mai in difetto delle parole adatte, dedica alla storia e al lessico una grande cura fatta di rigida ricerca, attenta riflessione e un pizzico di cuore. Mai il lettore dubiterà di avere davanti agli occhi le parole vere di un maestro elementare, che, nel periodo di piena vanità fascista, si ritroverà a dover scegliere tra assecondare i piani distopici di Mussolini e della sua compagine, volti a dissolvere l'identità di un popolo intero, o ascoltare e comprendere la voce di quei montanari, divenuti terra di conquista, che il fato ha voluto nascessero in una terra di confine, che parlano con il vento e con le montagne.
“ - Il papà dice: ti insegnano l'italiano e poi dovrai andar via. -
- Perché andarsene? -
Il piccolo è ora serissimo.
- Le nostre mucche non sanno l'italiano. Il papà dice che i nanetti del bosco parlano il tedesco e basta. Il vento, i monti capiscono solo il tedesco quassù. Mein Vater... il papà, lui parla sempre col vento e con le montagne. -”
Sono nata ascoltando un mare ieratico che riesce a parlare con parole fatte di acqua, oggi mi sento a casa sotto il cielo di grafite costellato di stelle che solo la montagna sa regalare. Credo che ognuno di noi abbia il dovere di trovare la propria Cordés, raccogliere le forze e la lucidità per “superare il confine”. Ché il confine altro non è se non una barriera, fatta delle nostre paure, dei nostri pregiudizi, delle nostre più egoistiche superficialità. Se non si vuol rimanere sempre e soltanto neofiti della vita, se si vuol essere artigiani della propria libertà, questa barriera va superata con ampio passo e a testa alta.
Questo è il messaggio sussurratomi dal "Diario del maestro di Cordés". Molti libri, infatti, oltre le pagine e le parole, tra gli spazi, hanno l'attitudine a sussurrare qualcosa di speciale al lettore, e questo libricino lo ha fatto con la dolcezza e l'energia dell'aria notturna di montagna.
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Complimenti!
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