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Il sangue dei fratelli
 
Il sangue dei fratelli 2014-02-21 09:04:51 Valeria Bellobono
Voto medio 
 
5.0
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
5.0
Opinione inserita da Valeria Bellobono    21 Febbraio, 2014

IMPERDIBILE!

Il sangue dei fratelli

Le pagine dei libri non hanno tutte lo stesso colore. Il bianco abbraccia tonalità chiare che vanno dall’avorio al beige, passando per le sfumature del panna e del gesso. È comunque un elemento secondario. In fondo, il bianco viene sporcato dalle lettere scure, che danzano per comporre i contenuti in cui ci si tuffa.
Ma la cosa più importante di un libro non è la vista, non è quello che ci butta davanti agli occhi, trasformandolo in frasi che vorticano davanti a noi. Ciò che veramente conta è il suo odore. Non il profumo della carta, intendiamoci. Parlo delle note olfattive che trasudano dalle pagine, che emergono lievi dalla storia che leggiamo. Sono odori più o meno piacevoli, più o meno pungenti, a volte acri, altre dolci, altre ancora insopportabili, ma pur sempre odori. Ed è grazie ad essi che la storia prende corpo, trasformandosi unicamente tra le mani e negli occhi di chi la sta interpretando. E vivendo.

Mi immergo nel passato,
natante senza acqua,
legionario senza gladio.
Aspiro l’aria di un giorno che fu
accarezzando pelle senza carne,
forma priva di memoria.
Torno in me
sguainando il sogno,
torcendo un giorno che non c’è.
- Libertà per lo schiavo!-
grido senza voce!
Piango senza dolore.

Il sangue dei fratelli ha un odore tutto suo, che miscela il bianco con il rosso, attraversando il cobalto per poi tuffarsi in un giallo acceso che si muta in porpora, quindi in indaco, per poi virare e diventare verde, rosa, viola, poi ancora rosso. Sono colori che vengono respirati, che entrano nei pensieri ancor prima che nei polmoni, per essere metabolizzati piano e restituire immagini scomposte, che si ricompongono immediatamente fino a formare un’emozione. Questa emozione profuma di arpa pizzicata da dita sottili, di zucchero e di acqua di mare. Ma anche di casa, di una grande casa costruita in pietra, abbracciata da un maestoso arco che ne disegna l’ingresso. E poi sa di lievito, di storia e di passione. Odora di canti, di schiamazzi e di gioielli. Sa di legno, di drammi e di parole. Non riesco a individuare altre fragranze, ulteriori aromi, perché quando si solleva il capo dalle pagine si rientra nella propria dimensione di umanità composta, laddove ogni nota riprende, seria e compita, il proprio posto, nascondendosi in un cassetto o inseguendo un uccello fuori dalla finestra. So solo che finisce il gioco, anche se i ricordi, blandi e confusi, riescono a restituire un’immagine, seppur parziale, del viaggio che abbiamo fatto.
Ecco, io mi sono persa.
Mi sono persa tra i vicoli di una Roma che sono riuscita a vivere in prima persona, spiando una storia che non avevo mai letto sui libri di scuola. Una storia vera, fatta di persone vere. Eroi e antieroi che rendono la lettura un viaggio reale all’interno di un percorso in cui si rincorrono vicende di cui non si parla mai.
Io c’ero, ho indossato di nascosto gli abiti di Porcia e i gioielli di Frine. Ho spiato Licinio, accarezzato Lelia quando era già addormentata. Ho sporcato con il fango i calzari di Vinicio e osservato di nascosto Tito Livio. Confesso di avere avuto un ruolo, seppur marginale, nella morte di Marco e di avere portato del cibo a Fausto quando era affamato. Ho pianto e gioito per lui, fatto mie le lotte degli schiavi, armandomi come potevo e mischiandomi alla folla inferocita. Ho guardato tutto, respirato il sudore dei guerrieri senza avere paura di essere scoperta, ho assaggiato il garum, fatto il bagno nel Tevere, scritto in latino, senza neanche ricordarlo.
La cosa stupefacente è stato il riuscire a immergermi nella narrazione anche dopo aver alzato il capo dal libro. Mi bastava chiudere gli occhi per un istante per sentirmi di nuovo parte di un tutto che mi aveva rapita, succhiata come un mulinello all’interno di un vortice di vite, trapuntate in uno dei romanzi più avvincenti che abbia mai letto.
Cara Emma, superba narratrice di vicende di pancia e di cuore, di buio e di luce, di pugni e di carezze, voglio svelarti un segreto. Vedi, il sangue dei fratelli, il sangue dei tuoi fratelli, ora è un po’ anche il mio. Quando mi soffermo a pensare a loro, inevitabilmente mi immergo ancora una volta nelle loro vicende, nelle nostre storie. Acconcio i miei capelli in maniera sobria ed impeccabile, pur concedendomi la frivolezza di un fermaglio di osso là dove la nuca si congiunge con la testa e osservo la mia veste liscia e la cintura d’oro che mi cinge i fianchi. Qua e là scorgo piccole macchie, quasi invisibili ad un occhio poco allenato. Sono rosse come il sangue versato da loro, da noi, figli di un popolo, di un destino e di una storia che fluttua nell’aria e nella gola, alla ricerca di un epilogo da scrivere. Forse ancora da vivere. Allora chiudo gli occhi ancora una volta e torno me stessa, oggi, circa duemila anni dopo.
Se mi chiamo Valeria, ci sarà un motivo. Ma la mia è ancora un’altra storia.

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Consigliato a chiunque ami i libri. Quelli veri.
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