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Eroi nel vento
Otranto, 28 luglio 1840. La tramontana soffia impetuosa contorcendo i cespugli di finocchio selvatico e confondendo le cime delle querce. Il mare ha perso la pace, lo spruzzo d'acqua delle onde si spinge fino al basamento della torre del Serpe che domina dall’alto tutto il canale e dove di notte i morti tornano dal mare alla riva. Di pesca in queste condizioni è inutile anche parlarne. Costretti a restare sulla terraferma, i pescatori otrantini hanno gli occhi rivolti alla burrasca e il pensiero al pesce che non pescheranno quando all’improvviso, a largo, qualcosa si issa in vetta ai cavalloni. Piano piano, avvicinandosi, la visione si fa sempre più chiara, la forma delle vele e la mezzaluna sugli scafi sono inequivocabili: nel bel mezzo del Canale d’Otranto galee turche avanzano in direzione del porto salentino. Sarà l'inizio di giorni di paura e violenza in cui si verseranno fiumi di sangue e durante i quali gli abitanti di questa meravigliosa perla dell’Adriatico verranno abbandonati a se stessi. Infatti i soldati spagnoli di stanza in città fuggiranno con la coda tra le gambe subito dopo l’arrivo dei turchi mentre dei rinforzi che dovrebbero giungere da Napoli sotto la guida di don Alfonso d’Aragona non si vede nemmeno l'ombra. Così toccherà a pescatori e contadini difendere le mura natie con falci, fiocine, forconi e un coraggio e una forza insospettabili che nascono nel cuore di chi, pur vivendo di stenti, ama la vita, la terra, le radici e difende a spada tratta la propria cultura e le proprie tradizioni. I pescatori Colangelo e Nachira, la bellissima popolana Idrusa, gli ufficiali borbonici Zurlo e De Marco sono le cinque voci narranti del libro. Attraverso i loro racconti fatti in prima persona ripercorriamo le varie tappe dell’invasione ottomana dallo sbarco fino alla liberazione passando per l'assedio, la breccia, l'occupazione e le decapitazioni. Cinque punti di vista differenti per una visione completa di un tragico evento storico che la pregevole penna di Maria Corti riesce a raccontare con poesia e passione creando un ottimo mix tra il lato drammatico e un’atmosfera fatata, quasi da sogno. L’autrice ci fa combattere sui bastioni al fianco degli otrantini sotto l’infuocato sole d’agosto tra urla, spari, scimitarre e pesanti palle di pietra che piovono dall’alto, ci fa provare la paura della morte e l’audacia che nasce dallo spirito di conservazione, ma ci porta anche nelle loro vite di tutti i giorni, tra gli stenti della fatica e della fame e le gioie per le pur piccole soddisfazioni, in un mondo fatto di rispetto e tradizione, di riti e superstizioni, in cui uomini del popolo semplici e saggi come mastro Natale o padre Epifani sono più importanti di qualsiasi regnante forestiero, sia esso napoletano, spagnolo o turco. Meraviglioso anche il quadro che Maria Corti disegna della penisola salentina, una terra e un mare più unici che rari per bellezza e fascino, da sempre e tuttora crocevia di genti di ogni razza e provenienza. Prodi per la storia, martiri per la religione, gli uomini morti in questa battaglia sono semplici pedine in giochi di potere più grandi di loro, vittime nelle mani di autorità che prima ne osservano indifferenti lo sterminio per poi venerarli e innalzarli al ruolo di eroi, cavalcandone l’immagine mentre continuano ad opprimere i sopravvissuti. Un atteggiamento che, a secoli di distanza, i governi dimostrano di non aver perso, come l’autrice sottolinea attraverso le parole di Aloise De Marco: “Gian Francesco mi batté sulla spalla:…… Ma, secondo te, a quella fanfaluca della fine del fazzoletto e della servitù ci crederanno? Alzai le spalle. Il colle della Minerva in quel momento era per metà nell’ombra: il sole stava calando e il mondo sembrava molto grande. Quanti anni sono passati da allora? Solo i vivi contano gli anni. Ed è mutato qualcosa?”
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non conoscevo Maria Corti!