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Sanguepazzo
A me piace molto Marco Tullio Giordana, ho visto tutti i suoi film e letto i suoi libri. “Sanguepazzo” è il romanzo tratto dalla sceneggiatura del film che porta lo stesso nome. Il regista-scrittore ha portato avanti questa sua idea, questo suo progetto di raccontare la fine dei due attori “maledetti” Osvaldo Valenti e Luisa Ferida per molti anni (addirittura aveva distrutto tutte le copie della sceneggiatura) ma per fortuna l’ha realizzato.
Il libro ha come introduzione una lunga intervista all’autore che sicuramente ci aiuta ad inquadrare bene sia i personaggi sia il periodo storico che è quello tristissimo dell’Italia del 25 aprile con i suoi processi sommari e la guerra civile incombente.
Il libro è suddiviso in capitoli, in realtà sono flashback temporali, che recano le date per un periodo che va dalla primavera del 1936 al 30 aprile 1945 giorno dell’esecuzione per mano dei partigiani. L’autore mette molto di suo nel rendere letterariamente la vita di questi due famosi attori di Cinecittà che personificavano la grandezza fascista del cinema italiano; Osvaldo Valenti e Luisa Ferida erano i divi, erano belli, erano Dei.
Quella narrata è una disperata storia d’amore fra due persone che si sono trovate essendo simili (“Luisa, sarebbe stato mille volte meglio che assomigliasse a voi, amico Cardi….invece, purtroppo, assomiglia a me”); il loro in realtà fu un rapporto sbilanciato perché è Osvaldo che ha più bisogno di Luisa, della sua presenza, che ama di più e però lei ci fu sempre fino alla fine.
E’ una storia d’amore cupa, tragica, sulla quale aleggia lo spettro di un bambino perso e di un grande dolore (“Il loro è un dolore assoluto. Li allaga senza concedere né parole né lacrime”) che li lega ancora di più.
Tutti i personaggi sono tratteggiati magistralmente, soprattutto in evidenza vengono messi i loro stati d’animo a volte la loro pochezza altre la loro grandezza; ma su tutti giganteggia Osvaldo Valenti, cocainomane, grand viveur, imprevedibile, dotato di ironia, sfacciataggine e di un coraggio che userà per cercare di salvare Luisa, ma anche possessore di un sogno: un film girato da lui le cui pizze porterà con sé fino alla fine ma che non gli sopravvive. E’ proprio Sandokan (così lo chiama il factotum Sturla) che ci tiene inchiodati al libro, a quel suo amore totale per la donna che lo ha scelto (bella anche la figura di Golfiero-Taylor innamorato di Luisa).
Non è facile rendere in scrittura quello che hai pensato e realizzato in pellicola ma Marco Tullio Giordana ci riesce benissimo: sembra davvero di camminare per la Milano distrutta dai bombardamenti così come sembra davvero di salire le scale del Grand Hotel Rezzonico a Venezia, di vedere tutto il milieu che circondava il mondo del cinema di allora. Anche Villa Triste dove venivano praticate torture e uccisioni viene descritta in modo molto realistico (le pareti piastrellate di bianco come una macelleria).
Sono stati uccisi per rapina (lei aveva con sé tutti i suoi gioielli)? Perché si riteneva che fossero fascisti (lui era della X Mas e amico del torturatore Koch ma per procurarsi la droga)? A me piace pensare che siano morti, come in una nemesi, per il loro amore anomalo, perché nell’immaginario popolare e perbenista rappresentavano come sullo schermo il cattivo e la donna perduta, i maledetti, gli Dei caduti.