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VITA, MORTE E MIRACOLI DI NESSUNO
A scuola tutti almeno una volta hanno sentito parlare della guerra di Troia e delle sue conseguenze: Ulisse, grazie al cui ingegno gli Achei riuscirono a penetrare le mura della città, era presentato come colui che inizialmente non volle partecipare al conflitto e dopo esser stato in un certo senso “costretto” a prendervi parte riuscì a portare i suoi compagni alla vittoria. Nel farlo scatenò le ire di alcune divinità che resero il suo viaggio di ritorno ad Itaca un vero e proprio inferno.
Ma com’era Ulisse negli anni della sua formazione? Quali sono stati i suoi pensieri e le motivazioni alla base delle proprie scelte?
Ci ha pensato Valerio Massimo Manfredi a parlarcene nel suo ultimo romanzo, primo di una raccolta dedicata al famoso re di Itaca. Per Manfredi si tratta di un esperimento già svolto con la trilogia dedicata ad Alessandro Magno, in cui ha raccontato la sua storia dalla nascita alla morte, ma la componente innovativa di “Il mio nome è nessuno. Il giuramento” è che finalmente è stato scritto un romanzo che possa avvicinare in qualche modo il popolo dei giovani ai miti e alle leggende dell’antica Grecia.
Ma andiamo per ordine. “Il mio nome è nessuno” racconta in prima persona la vita di Ulisse dai sei anni fino allo scoppio della guerra di Troia: la sua formazione, i suoi viaggi col Padre, l’incontro con la quattordicenne Elena e la storia d’amore con sua moglie Penelope presentandoci un personaggio considerato prima un uomo, poi un eroe: Ulisse è da sempre stato un ragazzino sveglio, scaltro e di una spiccata intelligenza che ha reso orgogliosi il padre Laerte e il nonno, il temuto re Lupo che si è preso l’onore di dare al proprio nipote un nome.
Al di là dello stile molto ricercato (spesso sono riportati termini greci del linguaggio colloquiale), la trama inizialmente molto semplice e che man mano si interseca fino a raggiungere il suo climax (momento di massima tensione), c’è da dire che l’unica pecca di Manfredi è questa sua volontà di presentarci i suoi personaggi come degli eroi positivi; prendiamo ad esempio un personaggio come Achille, di cui Manfredi racconta l’amore passionale che lo legava a Briseide o le sue buone azioni dettate solo ed esclusivamente da un animo nobile: nell’Iliade Omero descrive Achille come un eroe strafottente, presuntuoso, forte della sua apparente invincibilità e capace di provare sentimenti d’affetto esclusivamente verso il suo migliore amico Patroclo (la sua ira, scatenata alla scomparsa di Briseide, è dettata esclusivamente dalla perdita di una proprietà, non dalla perdita della donna amata).
Ovviamente Manfredi non regge il confronto con Omero, ma un po’ di sacrosanta verità intellettuale non guasta mai: i libri di storia hanno parlato diffusamente delle tremende razzie o della crudeltà degli eserciti greci, che Manfredi si limita solo ad accennare.
Questa piccola critica non esclude il fatto che l’ultimo romanzo di Valerio Massimo Manfredi non sia un testo in cui i particolari storici sono resi maliziosamente, a testimonianza del fatto che l’autore non abbia effettuato delle ricerche esclusivamente sulla vita del protagonista ma si è documentato anche su tutti i personaggi che hanno fatto parte della vita dell’eroe o sui personaggi di cui Ulisse ascolta le storie da terzi (sono raccontate ad esempio le fatiche di Heracles, la pazzia di Medea e le avventure di Giasone e degli Argonauti, di cui il padre di Ulisse ha fatto parte) ed è questo che a mio avviso distingue un romanzo di qualità da uno qualsiasi; se poi la sua lettura riesce a dar vita ad un dibattito, tanto di guadagnato.