Dettagli Recensione
Che fatica!
Questo libro è stato una grossa fatica. Intendiamoci, non è male e ho trovato l'idea di partenza estremamente originale, cosi come quella degli altri suoi romanzi.
Il problema qui non è tanto nella storia, che trova una buona risoluzione (mi è piaciuto molto anche il finale, che pure lascia un po' l'amaro in bocca) e viene svolta senza problemi particolari. Ottimo anche il fatto di aver scritto la storia dal punto di vista di Abira, che da un'idea diversa dell'anabasi raccontata da Senofonte: lascia intravvedere una guerra diversa, in cui sono coinvolti persone che con la guerra hanno ben poco a che fare (le donne, le prostitute, i servi...) e a cui non interessa altro che tornare a casa.
Tuttavia, c'è un problema: Manfredi stesso. Lui è uno storico, ha uno stile che è quello proprio dello storico. Non è uno stile sbagliato, ovviamente, è solo diverso. Di certo non è adatto a un romanzo. Le descrizioni sono il problema principale: sono precise, puntuali, come quelle di uno scrittore, ma sono fredde. Non traspare nulla da quelle descrizioni: cosa provano i protagonisti nel vedere un certo paesaggio? O il villaggio? Inoltre, hanno un altro brutto difetto, ovvero che queste descrizioni cosi fredde mi impediscono di immaginare, che è quello che voglio fare quando leggo un libro: voglio immergermi in un mondo diverso, che mi permetta di vivere un'altra vita insieme ad altre persone, che mi trasmetta sentimenti e che mi faccia vivere di quelli. Qui, purtroppo, non succede e questo mi ha rovinato gran parte del libro.
Lo consiglio solo se si è molto sicuri di volerlo leggere: se già avete dubbi, lasciate perdere, o al limite prendetelo in biblioteca.
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