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Il valore della coerenza
Quando ho terminato la lettura di Aycelin Il Templare mi è venuto istintivo un accostamento con il celebre Il nome della Rosa di Umberto Eco, perché in entrambi i romanzi è possibile rilevare un'accurata ricostruzione delle epoche a cui si riferiscono, con la creazione mirabile delle atmosfere, quasi palpabili.
Querzola ha svolto un accurato lavoro di ricerca, con attenzione e senza lasciarsi sfuggire nulla, tanto che la fine dell'Ordine dei Templari, pur nella fantasia della trama narrata, è descritta esattamente nei modi e nei motivi con i quali è avvenuta. Se fosse stato un semplice saggio storico non è per niente improbabile che ne sarebbe scaturita un'opera puramente didattica; l'avere invece inserito in un filo rigorosamente di realtà una trama avvincente come non poche presenta il duplice pregio di intrattenere in modo coinvolgente il lettore e di renderlo anche edotto su un avvenimento cardine della storia (le lotte per la supremazia fra la Francia di Filippo il Bello e la Chiesa Cattolica di Clemente V).
Il romanzo parla della vita di un nobile francese, appunto Aycelin, dagli entusiasmi giovanili alla maturità della vecchiaia, conclusa tragicamente a Parigi fra le fiamme del rogo a cui era stato condannato per il solo fatto di essere un templare fedele ai propri ideali, vittima di un gioco di potere tragicamente ricorrente nella storia e riscontrabile anche ai giorni nostri.
Ecco, quindi, che, al di là della vicenda in questione, Querzola riesce, per il tramite della sua creatura Aycelin, a lanciare un messaggio universale: contro la corruzione dei poteri non ci si deve snaturare, perché l'unica possibilità che ha un essere umano per poter sperare in una società più giusta è la coerenza, intesa come lealtà, disponibilità perfino al sacrificio personale e con la consapevolezza e la dignità di vivere il proprio destino.
Non intendo anticipare la trama, peraltro assai attraente, per non togliere al lettore il piacere di viverla con il personaggio, pagina dopo pagina, e preferisco soffermarmi sullo stile espositivo.
A tal proposito, la scrittura di Querzola , pur nella necessità di essere talora assai descrittiva per ricreare l'ambientazione, è tuttavia snella e quasi si direbbe che il narratore, pur immedesimandosi in Aycelin, non si sia fatto prendere la mano, lasciando al suo personaggio un'autonomia propria che può essere solo radicata in un uomo che crede con fermezza nei suoi ideali. Non ci sono quindi eccessi, o cadute di tono, anzi il tutto procede spedito sullo stesso ritmo scandito dal passare del tempo, senza la benché minima forzatura.
Sotto questo aspetto mi permetto di evidenziare il notevole equilibrio delle ultime pagine, laddove si narra della morte sul rogo di Aycelin: una fine orribile, atroce, ma che l'autore ha saputo descrivere con un tocco di grazia poetica che porta il lettore a una commozione liberatoria.
In conclusione mi sento di raccomandare caldamente la lettura di questo bellissimo romanzo che, mio avviso, meriterebbe anche una trasposizione cinematografica.