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Roma non val bene una messa
La conoscenza approfondita della storia e dei costumi di un'epoca, non sono sufficienti per ottenere un buon romanzo, e questo è chiaro.
In “Il tiranno di roma” Andrea Frediani vuole a tutti i costi dimostrare di aver studiato: lo ha fatto, sicuramente. Ma non basta!
Lo spunto non è male, la trama poteva essere interessante, peccato che Frediani si perda nei milioni di dettagli su strategie militari e politiche che affondano i personaggi e non sono uitili all’intreccio. Se poi consideriamo che i POV sono quelli di due schiavi la struttura rivela tutta la sua debolezza. Protagonisti (ma il termine protagonista è esagerato) sono una schiava domestica il cui scopo nella vita è sempre stato quello di servire la sua domina e uno schiavo abituato a stare nei campi: entrambi devono aver avuto poco tempo, realisticamente, per informarsi su cosa accadeva nel Senato di Roma ai tempi di Mario e Silla. Eppure comprendono perfettamente le strategie politiche dietro ogni azione militare.
Alla storia d’amore fra i due personaggi principali (che dovrebbe costituire l’asse portante della trama, lo spunto per l'incontro di due mondi, quello della guerra e quello della pace, quello dei poveracci e quello dei ricchi... tutti elementi che in embrione ci sono, ma che non sono stati sviluppati) sono dedicate una decina di righe. I due si avvicinano, si guardano, è amore, diventano amanti. Il tutto senza un minimo di enfasi e il rapporto tra lo schiavo e Mario è affrontato con la stessa mancanza di passione: cioè stiamo parlando di un vecchio comandante in declino (Mario) ma ancora carismatico, che "salva" uno schiavo al quale ha precedentemente ucciso la famiglia, promettendogli di dargli la libertà. Lo schiavo si dimentica del particolare del massacro familiare, di fronte al grande carisma di Mario e alla prospettiva della libertà, il che può anche succedere, ma dopo un po' di tempo, umanamente. O almeno se l'autore avesse tentato di farci capire di più che tipo è questo schiavo. Questa è soltanto una delle grandi (a mio avviso) debolezze del romanzo.
Una storia asettica, senza passione per i suoi personaggi, con uno stile senza infamia e senza lode, una trama semplice e senza picchi d'interesse, che si risolleva per un brevissimo momento solo alla fine, con una chiusura a sorpresa.
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'Lo schiavo si dimentica del particolare del massacro familiare, di fronte al grande carisma di Mario e alla prospettiva della libertà, il che può anche succedere, ma dopo un po' di tempo, umanamente'
questo, nell'antica Roma, è molto più probabile di quel che si pensa.
Tanto di cappello!