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Fedele nei secoli
“…Forse le non più floride condizioni di salute di vostra Eccellenza possono essere la causa non ultima di un simile stato di cose, nonostante lo zelo ed il vivo interessamento di Vostra Eccellenza. Ed è per questo che questa S. Congregazione è pronta a venirLe incontro qualora Vostra Eccellenza ritenesse di dover prendere una qualche decisione per il maggior bene delle anime. Voglia pertanto l’Eccellenza Vostra aprirmi confidenzialmente il Suo animo e farmi conoscere quelle decisioni che il Signore non mancherà di ispirarLe.”
Quando ho aperto questo librettino, già dalle prime pagine mi era sorto il sospetto di uno Sciascia che, a dispetto nel suo noto anticlericalismo, giunto a una certa età, per quelle straordinarie metamorfosi che colpiscono gli uomini quando il pensiero per la dipartita riprende a balenare nella mente, avesse avuto un generale ripensamento e, in uno con il riaccostamento alla fede, si fosse instaurata una devozione anche verso coloro che la professano e la predicano. Ma mi sono sovvenuto del fatto che al testo si accompagna una nota dell’autore che, anziché agli inizi, è stata posta in fondo, a soluzione quasi di un giallo, o meglio di un dilemma, e che fuga del tutto questo sia pur legittimo sospetto. Ciò non toglie che, per amore della verità e con essa del trionfo della giustizia, Sciascia abbia scritto un’opera che rivaluta pienamente monsignor Angelo Ficarra, vescovo di Patti, uomo senz’altro di fede e in essa realizzato, ma ahimè distante da quei giochi politici e da quegli affari terreni a cui la Chiesa, come istituzione, ci ha da sempre abituato.
Dalle pagine emerge limpida la figura di questo sacerdote che, per non essersi piegato ai giochi politici che nell’immediato dopoguerra vedevano contrapposti in uno scenario spesso violento i democristiani e i comunisti, fu tormentato per un decennio affinché si dimettesse dall’incarico, con lettere subdole in cui il non detto è più lancinante di ciò che è invece è scritto. Sciascia, in possesso del carteggio fra il prelato e la Congregazione Concistoriale, rivela al mondo la crudele ingiustizia patita da un uomo che altri non voleva essere che un semplice uomo di fede.
È un continuo stillicidio di velate minacce a cui il vescovo viene sottoposto, con lusinghe che nascondono il veleno di una serpe, ma che non intaccano la ferma volontà dell’uomo di non dimettersi, in quanto consapevole di essere vittima di un grave torto.
E’ bellissimo leggere queste missive, soprattutto quelle che vengono dal Vaticano, in cui tanti florilegi mascherano una volontà ferrea di stroncare, di indurre monsignor Ficarra ad ammettere delle colpe o ad accettare un giudizio sulle sue condizioni di salute che non rispondono al vero. Si tratta di una tecnica sopraffina che già veniva usata nell’epoca del terrore staliniano, cioè reiterare le pressioni affinché l’indagato non si ritenesse vittima, ma diventasse reo confesso. Vengono alla mente certi interrogatori dell’Inquisizione, con l’unica differenza che nel caso del vescovo di Patti non c’è una tortura fisica, ma condizionamento psichico.
Eppure Monsignor Ficarra resiste come certi martiri del primo cristianesimo e a suo modo vincerà, perché verrà sollevato dall’incarico con una promozione, che ha il sapore però del colpo di grazia. Sarà nominato, infatti, titolare arcivescovile di Leontopoli di Angustamnica. Viene da chiedersi dove si trovi questo posto, ma a questo provvede l’autore nella citata nota, da leggere senza ombra di dubbio per comprendere la crudele beffa che colpì il povero vescovo, diventato responsabile in pratica del nulla.
Il libro è assai interessante, a tratti addirittura divertente, grazie alle puntualizzazioni e alle riflessioni di Sciascia e la figura di Monsignor Ficarra, pagina dopo pagina, emerge luminosa, in contrasto con l’istituzione religiosa, fedele nei secoli ai suoi machiavellismi.
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