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Buon romanzo storico con qualche cliché di troppo
Il romanzo si basa sulla nota disfatta, nella selva di Teutoburgo nel Settembre del 9 d.C., delle legioni al comando di Publio Quintilio Varo. (Mentre lo leggevo, ricordavo gli storici contemporanei raccontare che per quella sconfitta Augusto fu talmente inconsolabile che, sbattendo la testa al muro, gridava a Varo di restituirgli le "sue" legioni).
Stile 3: Lo stile mi è sembrato abbastanza coeso ma tuttavia privo di originalità. Essendo poi nel genere storico necessario rendere con qualche parola in latino o greco l'atmosfera del tempo, ed essendo questo aspetto poco curato da Cervo, lo stile è così consuetudinario e d'abitué che non aggiunge e non toglie nulla rispetto ad altri romanzi del genere e resta piuttosto piatto.
Contenuto 3: Grave pecca. Il titolo "Il centurione di Augusto", se non vorrebbe che Augusto fosse proprio lì in mezzo alla battaglia o nella selva germanica, almeno almeno ci si attenderebbe che figurasse. C'è un riferimento velato all'imperatore di Roma nei primi capitoli e si esplicita di Augusto solo per ricordare la sua morte nella lontana Roma. Dunque, il racconto non corrisponde al titolo, che giudico inadeguato. A titolo diverso avrebbe guadagnato un punto in più. Ma così è stato come domandare "Quanti anni hai?" "Sono le undici!".
Piacevolezza 5: L'autore è buon narratore. Intesse la trama in modo da renderla coinvolgente. Le situazioni e i personaggi sono credibili. Narrativamente c'è solo un intoppo quando, a un certo punto, si trovano a parlare più personaggi e non si capisce bene chi parla, chi risponde e perché. I grandi narratori, a queste prove, rispondono alla grande: il Nostro ha da migliorare qualcosa in questa difficile "coro a più voci".
La cartina, a inizio libro, è poco efficace. Prende anche l'Italia settentrionale , la Britannia e la Spagna (di cui non si parla minimamente, nella storia - l'Italia è solo un nome accennato), quindi sarebbe stato meglio un ingrandimento sui luoghi del conflitto per fare capire meglio dove si svolge l'azione).
La storia: L'intrepido Decio Murrio Calidio è un centuriore al seguito del legato Varo. (Varo, come spiega l'autore alla fine del libro, è un amministratore e non un generale). Questi viene convinto da un capo barbaro che ha combattuto per Roma ed è cittadino romano, Arminio, ad attraversa la selva di Teutoburgo per accorciare strada in vista di un trasferimento delle sue legioni. Questo consiglio è un inganno. Gli uomini che Arminio ha promesso come scorta ai Romani (che non conoscono la zona a loro ignota) saranno i loro assalitori. Tra temporali e assalti ad una parte e all'altra della colonna, in uno spazio stretto in cui i Romani sono intrappolati, la strage inevitabile si consuma amaramente. Come molti suoi amici, tra i quali Aufidio, Calidio si promette di morire per Roma. Il suo sogno è quello di rivedere sua figlia, in Italia, ma pensa che non vi riuscirà più. Intanto si era anche interessato ad una delle donne-commercianti che seguivano la spedizione, Flamilla. Il giorno della battaglia, vista la rotta dell'esercito e la fine di Varo, Calidio scorge Flamilla inseguita e cerca di aiutarla. Risultato. Flamilla e Calidio si nascondo al massacro in un boschetto. Da lì incontreranno amici e nemici, Catvaldo, Damazio, Demetrio, Fadia e altri e insieme faranno una lunga marcia per oltrepassare il confine del Reno, oltre il quale ci sono i Romani.
L'avventura rocambolesca, in pochi giorni, si conclude, in qualche modo, ma il vero epilogo è sei anni dopo. Un epilogo, a mio giudizio, frettoloso e forse troppo zuccherato, ciò che rende poco gustosa la rievocazione di una delle pagine più drammatiche della storia militare romana.