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“La signorina Tecla Manzi” di A. Vitali – Commento
La mano di Andrea Vitali pennella il ritratto de “la signorina Tecla Manzi” con sfumature gialle. La nubil-donna è un’icona tipica della poetica umoristica e umana dell’autore bellanese. Perché Tecla non è una velina (figura peraltro tipica della nostra sciagurata epoca, mentre il romanzo di Vitali è situato negli anni trenta, con retrospettive sino agli inizi del secolo), bensì “una donnetta secca secca come un missoltino”. Per i non comaschi, preciso che il ‘missoltino’ è l’agone essiccato, da mangiare con la polenta secondo la tradizione culinaria lariana. La signorina ha inoltre un passato di follia strisciante (è stata una pittrice di dubbio talento e una mistica visionaria), che getta molti dubbi sulla credibilità delle sue affermazioni.
La storia muove da alcuni eventi, che si intrecciano nella caserma dei carabinieri di Bellano. Questi i fatti:
1) “la Tecla” denuncia il furto di un oggetto kitch, apparentemente di nessun valore: un quadretto raffigurante il “Sacro Cuore di Gesù”;
2) il becchino del paese, tal Sabino Frascati, scopre con orrore che è stata violata la tomba di uno spregevole strozzino, in vita macchiatosi di molti peccati. I carabinieri, tuttavia, accertano che la salma non può appartenere all’usuraio, perché nella tomba profanata giace … il cadavere di una donna;
3) nella vicina Vendrogno un sedicente guaritore, specializzato in esorcismi vermifughi, richiede la recita di una formula anti-regime. Occorre pertanto indagare per accertare uno degli illeciti più frequenti in epoca fascista: il reato d’opinione.
Il drappello dei carabinieri è composto dal comandante pro tempore, il sardo brigadiere Mannu, dal siciliano appuntato Misfatti e dall’intellettualmente modesto Locatelli, giovane bergamasco con un passato di bracconiere.
Dunque: tre filoni di indagine, tre inquirenti e … tre fratelli Manzi. Oltre alla zitella Tecla, dominano la scena il fratello muto “dal viso grossolano e rincagnato”, collaboratore dell’usuraio, e il redivivo Nello che, fuggito dalla sua strana famiglia, ha simulato di essere rimasto vittima di un crollo al traforo del Sempione.
Sullo sfondo, l’atmosfera lacustre di Bellano e delle Prealpi.
Il finale è “alla Vitali”: con sorpresa e riflessione etica.
Il romanzo è divertente, forse un po’ troppo fitto di personaggi e situazioni. Lo stile è quello al quale l’autore ci ha abituati: rapido, accattivante, faceto e condito di umorismo.
Bruno Elpis