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L'avventura di un povero cristiano
 
L'avventura di un povero cristiano 2012-04-03 18:42:44 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    03 Aprile, 2012
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La coscienza contro il potere

Scritto nel biennio 1966-1967 e pubblicato per la prima volta nel 1968 dalla Mondadori, L’avventura di un povero cristiano è d’incerta e non facile collocazione come genere letterario, in quanto risulta composto da due parti ben distinte: la prima è un’introduzione alla vicenda di Papa Celestino V, ma è anche una specie di analisi interiore con la quale l’autore evidenzia ancora una volta la sua natura di “cristiano post-risorgimentale e post-marxista”, non inquadrabile in un’istituzione religiosa ben definita e in ogni caso non in quella cattolica; la seconda parte è il testo vero e proprio del dramma, inteso come rappresentazione teatrale, contraddistinto da dialoghi e, solo come incisi, da periodi narrativi veri e propri, tesi però a inquadrare la scena, come capita appunto nel caso di una commedia o di una sceneggiatura. Non solo due parti, tuttavia, perché vi è anche un’appendice di Note sui personaggi del dramma, redatte in base a studi ed alla documentazione reperita.
La vicenda di Celestino V, al secolo Pietro Angelerio, l’eremita di Morrone, nominato Pontefice per necessità (il trono di Pietro risultava vacante da lungo tempo a seguito di insanabili contrasti fra due fazioni di elettori), è il dramma di un uomo autenticamente cristiano, che abbandona la semplicità delle montagne abruzzesi, dove il silenzio è raccoglimento e misticismo, per approdare alla curia di Roma, luogo di ben altri silenzi, di intrighi, di lotte intestine, di ricerca continua del potere in quanto tale.
E’ inevitabile il contrasto fra la semplicità del fraticello, ispirato solo ai principi cristiani, e quello che sarà il suo successore, Bonifazio VIII, un tipico despota, che impersona pienamente la teocrazia medievale.
Da un lato c’è l’uomo che agisce secondo coscienza, una coscienza che si è formata, si è abbellita con il pensiero di Cristo, con una fede a cui mai verrà meno, e dall’altro più che un essere votato a ingrandire il proprio potere, un’istituzione, la Chiesa cattolica, così lontana dai suoi principi ispiratori, quanto mai tesa a ribadire la sua presenza terrena, dimentica del regno celeste.
In questa battaglia, in cui Celestino V uscirà sconfitto, c’è anche la sconfitta di uomini come Ignazio Silone e di altri che credono che non abbia senso la ragion di stato, che il mondo è costituito da tanti esseri divisi e organizzati in nazioni solo per perseguire scopi privati di pochi. Si tratta, quindi, della lotta della coscienza contro il potere, tema che ha sempre interessato Silone e che è dominante nelle sue opere: una volta poteva essere l’assolutismo fascista, un’altra il totalitarismo comunista; ora, invece, sono la grande finanza, nata e cresciuta sulle miserie altrui, che perpetua per la sua stessa sopravvivenza.
La coscienza è anche libertà, la più ampia, perché non viene imposta; il potere è la prevaricazione, la negazione di ogni libertà.
Silone ha sperimentato sulla sua pelle il fascismo e il comunismo, denunciandone i pericoli ed è ben strano che in un’Italia all’epoca rientrata nella democrazia si sia sognato di scrivere questo dramma. Forse aveva capito che le ideologie politiche poco hanno a che fare con la natura umana, o comunque con quella di nostri certi simili, che vivono e prosperano solo in funzione del potere, un Moloch mostruoso che impera dall’alba dell’uomo, senza nessun cedimento.
E allora il racconto del dramma di Celestino V, così indietro nel tempo, assume le tinte di una strenua difesa della luce contro il buio, della coscienza contro il dispotismo, ieri come oggi. Il monaco abruzzese risalta in tutto il suo coraggio, ben diverso quindi dalla descrizione che ne fa Dante nella Divina Commedia.
E’ una battaglia persa in partenza, ma lo strapotere nulla può contro chi è libero dentro, e, come dice Silone in Uscita di sicurezza :“ Agli spiriti vivi le forme più accessibili di ribellione al destino sono sempre state, nella nostra terra, il francescanesimo e l’anarchia. Presso i più sofferenti, sotto la cenere dello scetticismo, non si è mai spenta l’antica speranza del Regno, l’antica attesa della carità che sostituisce la legge, l’antico sogno di Gioacchino da Fiore, degli Spirituali, dei Celestini. E questo è un fatto di importanza enorme, fondamentalmente, sul quale nessuno ancora ha riflettuto abbastanza. In un paese deluso, stanco come il nostro, questa mi è sempre apparsa una ricchezza autentica, una miracolosa riserva. I politici l’ignorano, i chierici la temono, e forse solo i santi potranno mettervi mano.”.
Il messaggio del Cristo è stato, è e continuerà ad essere la salvezza delle libere coscienze.
L’avventura di un povero cristiano chiude il percorso letterario di Silone con un’opera straordinaria, che ha segnato anche la riconciliazione della critica con l’autore abruzzese, ed é un libro assolutamente imperdibile.

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