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Alla ricerca del senso della vita
"Era un bambino. Sedeva sull’orlo di un dirupo, proteso a valle, ad osservare la luna nelle notti di sereno e, molte volte, durante il giorno, da lì spiava ciò che accadeva in basso, attorno al suo paese maledetto."
Inizia così l’ultimo romanzo di Valentino Rocchi, compianto autore di quell’autentico capolavoro che è 1504 – Notte all’Hostaria La Guercia; quel paese maledetto è un agglomerato di casupole in cui non vivono, ma vegetano donne, abbandonate dai loro uomini o semplicemente diventate vecchie anzitempo, compagne di soldati di ventura, mercenari come loro, un reclusorio in cui attendere la fine dei propri giorni. Quasi assenti i maschi, al più qualche marmocchio, frutto di amori fugaci o di una notte di meretricio, questa è una favela dell’umanità in un’epoca di predatori voraci e di prede rassegnate.
Da qui parte quel bambino, risultato di un rapporto forse con un nobile dei dintorni, che la madre in un certo qual senso ricatta, al punto da ottenere che il figlio lasci quel luogo senza speranza perché possa finalmente vivere. Affidato all’istruzione di un ex capitano di ventura, diventato abile di spada, ma anche ingordo di letture, Antonio, questo il suo nome, a cui assocerà il cognome Bagno del padre putativo, si fionderà nel mondo di lotte cruente, di sangue grondante, di tradimenti e di viltà, di passione per il bello, per le arti, di superstizioni dirompenti, di orgiastici intrallazzi che è proprio del Rinascimento.
Lui si pone ai servizi del miglior offerente ed esegue il suo lavoro con grande competenza e meticolosità, sia che si tratti di consegnare il riscatto per la liberazione di un nobile, sia che debba indagare su misteriori tentativi di omicidio; la certezza del risultato lo contraddistingue, al pari della riservatezza, della capacità di arrivare allo scopo nel modo migliore, anche uccidendo, se necessario.
Il suo primo e principale committente è il cardinale Ascanio Maria Sforza Visconti, famoso per aver fallito nel tentativo di ottenere l’investitura di pontefice, che invece andò, grazie anche ai suoi buoni uffici, a Rodrigo Borgia, salito al trono di San Pietro con il nome di Papa Alessandro VI; in cambio dei favori prestati, il cardinale ottenne la nomina a Vice-Cancelliere, in pratica il primo ministro dello Stato della Chiesa, un incarico di grandissima importanza che assolse soprattutto con un occhio di favore per la famiglia d’origine (era fratello minore di Galeazzo Maria Sforza e di Ludovico il Moro).
Per assolvere agli incarichi di volta in volta assunti, Antonio Bagno è sempre in movimento, in un lungo viaggio che lo porta dalle Marche al Regno di Napoli, dalla città di Roma, corrotta, fonte di ogni peccato, alla Firenze bacchettona del Savonarola, dall’allegra corte estense alla pacifica signoria di Urbino.
E ogni volta sono nuovi successi, ricompense cospicue che entrano nella scarsella, insomma quel bambino cencioso, ormai diventato uomo, si può considerare “arrivato”, ma non è contento, perché avverte la solitudine di quel peregrinare che scandisce impietoso i tempi della vita. Gli anni passano e in Antonio c’è l’insoddisfazione, perché si accorge, giorno dopo giorno, che la sua non è vita, che lui è sempre di più meno padrone di se stesso; alla fine riuscirà a imprimere una svolta decisiva, terminando il viaggio in un paese quieto, lontano dai clamori dei signori e delle battaglie, fra le braccia di una donna, a cui si è avvicinato non per consumare un rapporto, ma per amore.
Ed è questo il grande messaggio del romanzo: tutto ciò che si fa, tutto quanto si mette in atto per emergere è la gioia di un momento, è nello stringere fra le mani un sogno impalpabile. La vita non ha senso se non nell’amore, in quel reciproco affetto che permette di proseguire con serenità quel cammino che è di tutti, dall’alba al tramonto.
Se tanti personaggi che compaiono sono realmente esistiti, quello di Antonio Bagno è esclusivamente frutto di fantasia, ma è anche un emblema, quello di un uomo che vuole essere artefice della propria vita e che comprende strada facendo che nessuno è veramente libero, che la sorte toccata agli uomini, ai potenti e ai derelitti, è di essere schiavi del proprio ruolo; l’unico rimedio è allora di non darsi come sudditi, ma di donarsi per amore.
L’uomo del Cardinale è sì un libro d’avventure, ma queste non sono la sua finalità, bensì l’esclusivo mezzo per portare avanti quel discorso sul senso della vita di cui ho detto poco fa.
L’epoca, l’ambientazione, i personaggi veri e inventati sono descritti in modo ammirevole e considerato che ci sono notizie perfino sul modo di vestire o di spostarsi, sulle principali strade da percorrere, il libro è una fonte quasi inesauribile di conoscenza, ma ciò che balza subito evidente è l’effetto immediato che hanno le parole sul lettore; sia che si parli dei locali di una taverna, sia che si tratti delle mura possenti di un castello, in un attimo si ha la visione di ciò che è descritto, al punto di vedere noi stessi fra gli ospiti seduti a un tavolo, oppure fra le guardie che procedono lungo il cammino di ronda.
In fondo, se anche fa piacere che Antonio alla fine trovi la sua giusta strada, rimane una sensazione di mancanza, come di qualche cosa di cui si è sempre fruito e ora si è perso; ma se non ci saranno altre avventure, a cui così bene ci eravamo abituati, di una cosa saremo certi e orgogliosi: l’aver letto un libro di grande bellezza.