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Non solo per ricordare
La tragedia dell’eccidio della Divisione Acqui avvenuto a Cefalonia nel settembre del 1943 è una vicenda tristemente nota, oggetto di diversi studi storici che, pur nella loro completezza, non sono riusciti forse a cogliere l’autentico dramma di chi, considerato dai tedeschi traditore, fu lui stesso tradito dagli artefici di quell’armistizio che rappresenta una delle pagine più vergognose nella storia del nostro paese.
Si può parlare in tanti modi di un evento, anche attraverso un romanzo, ed è quello che ha fatto Emiliano D’Alessandro con quest’opera necessaria non solo per ricordare, ma anche per riconfermare quali sono gli autentici valori della vita.
Forse il paragone con le grandi opere di narrativa aventi come tema la guerra può apparire un po’ azzardato, ma sta di fatto che dopo la lettura di queste pagine si ha una visione, emotivamente coinvolgente, degli orrori presenti in ogni conflitto, resa tanto più pregnante dal sentimento di pietà del protagonista nei confronti dei nemici. Infatti in lui non c’è odio, ma solo indignazione per l’istinto bestiale degli uomini.
Fra l’altro, il personaggio principale, Salvatore Di Rado, è stato veramente coinvolto nella strage di Cefalonia e nell’occasione riuscì a sopravvivere alla fucilazione, che occupa le prime pagine del libro, un’esperienza agghiacciante raccontata con grande abilità e che riesce a renderci presenti di fronte al plotone di esecuzione.
Il romanzo, poi, si evolve in una lunga intervista di un giornalista (Emiliano D’Alessandro) appunto al superstite, una continua serie di passaggi fra quel lontano passato mai dimenticato e il presente, il tutto in una notte.
Ciò che stupisce maggiormente però in questa narrazione sobria, asciutta, mai incline alla retorica, sono le osservazioni, le riflessioni del protagonista sulla vita che condusse, fino alla liberazione, con gli abitanti di uno sperduto paese di Cefalonia, ex nemici che non esitano ad aiutarlo, con quella semplicità e con quel senso della carità che sono proprie di comunità immuni dalla civiltà occidentale votata al denaro.
Troviamo così uno spaccato di esistenza dove l’uomo è parte paritaria con la natura e dove i valori fondamentali di ogni società non hanno avuto modifiche, proprio perché lì il progresso del XX secolo non è arrivato.
Si può dire che questo contatto con una realtà diversa, con una dimensione più umana, fa rinascere un’altra volta Salvatore Di Rado. Stupito da una vita in cui i rapporti con i propri simili sono prioritari e improntati a uno spirito di mutuo soccorso, il protagonista si integra con entusiasmo nella comunità e a malincuore la lascia quando finisce la guerra. Porterà, però, sempre con sé il ricordo di un’isola che se ha visto la barbarie, gli ha però anche consentito di ritrovare la fiducia nel genere umano. Quella piccola comunità è diventata ormai un suo patrimonio e ciò che ha appreso si è radicato talmente in lui dall’aver sempre condotto successivamente l’esistenza con lo stesso spirito.
La collina dei fuochi fatui è un romanzo di eccellente livello, piacevolissimo da leggere, tanto che ne raccomando vivamente la lettura.
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