Dettagli Recensione
Il sangue dei fratelli, di Emma Pomilio
Emma Pomilio
IL SANGUE DEI FRATELLI
Questo nuovo romanzo di Emma Pomilio, ambientato nel periodo della guerra sociale, combattuta dai Soci Italici contro Roma, e della guerra civile tra Mario e Silla, torna a proporci la vicenda esistenziale di due fratelli. Entrambi sono stati generati da Tito Druso, ma l’uno, Marco, con la moglie legittima, l’altro, Fausto, con una schiava. Marco, quindi, è un uomo libero, il futuro Dominus della famiglia dei Livi Drusi, mentre Fausto è solo lo schiavo personale di Marco, semplice strumento nelle mani del suo padrone.
Situazione, questa, che a qualche lettore può riecheggiare quella di Dominus. Ed è proprio su ciò che la scrittrice fa leva per mostrarci quanto fosse articolato il rapporto tra padroni e schiavi, in apparenza divisi in due caste separate, ma nella realtà costantemente interagenti tra loro. In Dominus, Marco, personificazione della romanità, si diversifica sotto ogni punto di vista dal fratellastro Ardach, prototipo dell’invincibile guerriero gallico, alto biondo affascinante, suggerendo la tradizionale contrapposizione tra romani e barbari.
Marco e Fausto, invece, molto simili tra loro, entrambi romani dalla tipica bellezza mediterranea, sono espressione dello stesso ambiente e della stessa cultura. Anche la madre di Fausto, infatti, vive da sempre nella casa dei Livi Drusi, dove è nata, essendo figlia del fratello della nonna di Marco e di una schiava.
È questa promiscuità, questo complesso intreccio di attrazione e seduzione, prevaricazione e opportunismo, la realtà celata dietro la decantata rispettabilità della domus e della famiglia romana. E quando, come spesso accade, il risentimento dello schiavo verso il padrone si trasforma in odio e desiderio di vendetta, può diventare focolaio di aggregazione e di ribellione a livello pubblico e non più privato.
Ma, al di là dell’aspetto fisico, profonde sono le differenze intellettuali e psicologiche tra Marco e Fausto. Marco è il tipico rampollo di una famiglia nobile romana, abituato ad aver tutto per diritto senza impegnarsi in nulla, e quindi presuntuoso e arrogante, ma in realtà debole e vigliacco. Pur essendo intelligente, non ama impegnarsi fino in fondo nello studio, tanto da far svolgere parte dei suoi compiti allo schiavo. Fausto, invece, intelligente coraggioso e volitivo, sotto la parvenza del cieco rispetto tipico dello schiavo nasconde non solo grande spirito critico e capacità di osservazione, ma anche costante attenzione alle caratteristiche e alle debolezze del padrone, non solo per potersi comportare nel modo a lui più gradito, ma anche per ottenere, un giorno, la libertà. Egli, fin da bambino, senza farsi notare, impara a leggere e a scrivere seguendo di nascosto le lezioni dei padroni e conquistandosi, così, la benevolenza della matrona Porcia, che lo ammette a seguire, almeno in parte, le sue lezioni. Quando lo schiavo fuggitivo Sesto torna nella casa dei Drusi per vendicarsi, Fausto ancora bambino ha il coraggio di mettergli un pugnale alla gola. Il ragazzo, crescendo, impara anche il greco e la retorica, tanto da poter aiutare il padrone nelle sue orazioni. Nei momenti liberi, durante il soggiorno a Rodi, egli arriva addirittura a frequentare le lezioni di un filosofo, cosa assolutamente inusuale e sconsigliata per uno schiavo che, secondo i Romani, non deve pensare. Ma è proprio questo ciò che Fausto comincia a fare fin dalla morte di Marco Livio Druso, circostanza drammatica in cui il padre, per salvare dalla plebe infuriata il legittimo erede, prende per mano il piccolo schiavo di Marco, spacciandolo per tale. È da questo momento che il bambino si fa sempre più consapevole delle proprie potenzialità e dell’utilità che gli potrà derivare non solo dall’aver salvato la vita al suo padrone in situazioni di estremo pericolo, ma anche dall’impressionante somiglianza con lui.
Significativa, in tale occasione, è l’entrata in scena di Lelio che, armando un gruppo di schiavi e conoscenti fidati, allontana dalla casa dei Drusi i facinorosi.
Si tratta di un ricchissimo “homo novus”, vicino di casa di Tito Druso, aspirante ad imparentarsi con lui tramite il matrimonio tra Marco e Lelia Prima. Le sue cospicue sostanze, infatti, danno a Lelio la certezza di realizzare il proprio sogno, visto che il matrimonio a Roma non è considerato il frutto dell’amore, ma un semplice contratto tra due famiglie, stipulabile fin dalla minore età degli interessati. Lelio e la sua classe sociale sono il simbolo delle grandi trasformazioni avvenute nella società romana, in cui i grandi patrimoni non sono più prerogativa esclusiva della nobiltà.
Gli Equites, gli uomini arricchitisi col commercio, possono accumulare, proprio come il vicino di casa dei Drusi, ricchezze sempre crescenti grazie ai loro traffici e possono salvaguardarle dai mutamenti politici, trasformandole facilmente in oro e preziosi. Ma anche per loro imparentarsi con la nobiltà è un irrinunciabile traguardo, visto che proprio nelle mani dei nobili sono le leve del potere. E son proprio i detentori del potere coloro che aizzano la folla contro Tito Druso, coloro che impediscono l’individuazione dell’assassino di Marco Livio Druso e trasformano costui, morto per evitare la guerra tra Roma e i socii italici, in fomentatore della guerra stessa. Il fatto che poi Tito Druso venga accusato degli stessi reati del tribuno di cui intende proseguire l’opera, indica chiaramente la subdola trama di chi, nascondendosi dietro l’ipocrita facciata di un’incorruttibile giustizia, intende appropriarsi del cospicuo patrimonio dei Drusi. Se poi Tito viene assolto, non è certo perché è innocente, ma perché i giurati vengono comprati e perché l’abilità dell’avvocato Ortensio, il più celebre a Roma prima dell’affermazione di Cicerone, ricorda a tutti che Porcia, madre di Tito, appartiene all’antica nobiltà di Roma, nientemeno che a quella di Catone il Censore. Tale è la squallida, corrotta e realistica amministrazione della giustizia a Roma, sebbene la città si ammanti del prestigioso titolo di maestra del diritto.
È in questo clima già arroventato dagli odi politici che comincia la guerra sociale (90 a.C.), nel corso della quale Roma subisce molte perdite. Estremamente pericoloso in questo momento è circolare nella città semideserta e in balia dei molti malintenzionati. Lo dimostra l’aggressione subita da Fausto quando, capitato casualmente nel degrado maleodorante della suburra, dopo aver fatto fuggire il padrone, viene picchiato e violentato da schiavi in fuga. A salvarlo è l’aiuto di Frine, una prostituta bambina, come molte allevata da mercanti senza scrupoli per farne un’attrice ed etera di alto bordo. Soffermandosi spesso sulla frequentazione delle prostitute considerata normale da ogni romano, al pari della pedofilia altrettanto diffusa, l’autrice vuol sottolineare il degrado morale della società romana ben lontana dall’austero mos maiorum .
Con l’apparente vittoria di Roma, ma con l’effettiva estensione della cittadinanza romana agli italici, comincia un breve periodo di pace.
Tornato Tito Druso, anche nella sua domus ricomincia la routine della vita quotidiana, in cui Marco mostra sempre più l’indolenza che lo induce a non impegnarsi nello studio e a far svolgere i propri compiti da Fausto, e la propensione ai piaceri, che lo spinge a fare del suo giovane schiavo il proprio amante, cosa considerata a Roma del tutto normale.
Ma con la ribellione della Grecia e delle province dell’Oriente sotto la guida di Mitridate, si crea ben presto la necessità di scatenare una nuova guerra, il cui imperium è conteso da Mario, paladino dei popolari, e da Silla sostenitore degli ottimati. È chiaro, però, che l’interesse di Mario per il popolo è solo strumentale, in quanto, incitando gli schiavi ad entrare nell’esercito da uomini liberi, egli è solo interessato ad aumentare il numero dei suoi uomini e a diminuire la potenza delle famiglie più importanti. È un momento veramente drammatico, in cui anche Tito Druso, contrario ai popolari, perde la vita, senza neanche ottenere una dignitosa sepoltura. Le bande armate che si scontrano nella città, la rendono più pericolosa che mai, lontana anni luce dalla prestigiosa dominatrice del mondo da sempre mitizzata.
Sangue, cadaveri abbandonati, scontri armati, teste di nemici sconfitti infisse nelle lance ed esposte nel foro, costituendo ormai uno spettacolo consueto, non possono che indurre a mettere in dubbio la decantata superiorità dei romani rispetto ai barbari. Lelio, sostenitore di Mario, tra mille precauzioni per salvaguardarsi dalle spie presenti ovunque, riesce a far fuggire Marco e Fausto a Rodi, dove devono frequentare la scuola di Molone. Ma Marco anche qui mostra la sua debolezza, dandosi al gioco, al vizio, all’alcool, fino a dilapidare il suo patrimonio. Quando ormai è insolvente, manda come pegno ai suoi creditori lo schiavo, da maltrattare a volontà.
Ma Fausto, dopo l’infamia e l’umiliazione a cui è stato sottoposto con cinica indifferenza, capisce che il rapporto di fiducia che si è illuso di aver costruito col suo padrone è infranto per sempre e comincia a guardarlo con diffidenza e disprezzo. Disprezzo che si rivela più che mai motivato quando Marco, violentata una donna da lui erroneamente ritenuta schiava, si prepara a fuggire nel più assoluto segreto e, forse senza volerlo, in preda all’alcool, rivela il tutto proprio a Vinicio che lo sta spiando per conto di Silla. E Fausto, comprendendo l’accaduto da quanto Marco involontariamente dice terrorizzato nel sonno, constata ancora una volta l’assoluto disprezzo di Marco per la vita di tutti gli altri e, in preda all’indignazione, lo strangola. Fa appena in tempo a togliere al morto l’anello col sigillo dei Drusi, che i pirati appiccano il fuoco alla nave.
Da questo momento, per Fausto costretto a fingersi Marco, lo stress più grande, a volte insopportabile, è dato dalla continua finzione, dalla necessità di rinunziare alla propria identità, dal bisogno di confessare tutto, continuamente represso per non danneggiare altri. Durante la prigionia presso i pirati nella imprendibile fortezza di Coracesium, “Marco Druso” è colpito dal lusso di cui i pirati amano circondarsi, dalla crudeltà delle pene che infliggono, dall’ingente numero di donne che rapiscono per venderle come schiave. E, sulla scia delle considerazioni di Polifemo capo dei pirati, non possiamo far altro che constatare la mancanza di qualunque differenza tra questi feroci assassini e i romani, che comprano le persone da loro rapite, per poi ridurle in schiavitù a livello di animali.
D’altronde, anche quando i romani giungono, come accade a Lelio catturato dai Sillani, a denudare in pubblico uno sconfitto, per poi frustarlo davanti a tutti e infilzare la sua testa in una lancia, non si mostrano per nulla diversi dai pirati.
Ma le prove per Marco Druso non finiscono col pagamento del riscatto e la liberazione dai pirati. Arrivato a Roma, infatti, egli si trova costretto a combattere con i sillani e contemporaneamente a proteggere la famiglia propria e quella di Lelio. E, cosa ancor più importante, il falso Marco deve sposare Lelia Prima, spacciandosi per il suo padrone. Paradossalmente, è proprio questo il ruolo che Fausto svolge meglio, perché la moglie nota in lui una tenerezza e una determinazione mai prima riscontrati.
Ma lo smodato amore per il potere che induce l’individuo a qualunque nefandezza, in Silla non è certo inferiore a quello di Mario.Il grande generale finge di agevolare Marco Druso che gli ha procurato più di 500 soldati ed ha più volte messo in pericolo la propria vita, salvaguardando le proprietà di sua moglie figlia di Lelio. Ma, nel frattempo, dopo aver fatto uccidere lo stesso Lelio, fa spiare Fausto da Vinicio, che conosce benissimo la vera identità del falso Marco.
L’intento è quello di accusare Marco di un reato realmente commesso, come lo stupro ai danni di una donna libera, e poi svelare la sua falsa identità.
È il modo per impossessarsi delle cospicue proprietà di Marco con un sistema apparentemente legale. Del resto, il grande Silla che si presenta come “Ultor” di Roma e come grande riformatore, è soprattutto un crudele generale assetato di bottino, seminatore di crudeltà e morte.
Ma quando i subdoli raggiri di Silla riescono a portar il falso Marco in tribunale, egli viene assolto sia dal reato di stupro, negato dalla vittima che non riconoscendo in lui l’aggressore fa sorgere il dubbio che il reo sia il defunto Fausto; sia dall’accusa di essersi sostituito al vero Marco Druso, grazie alla testimonianza della matrona Porcia e di tutti i familiari.
Molti sono coloro che aiutano il falso Marco nella sua ardua impresa. Ma lo fanno solo nell’assoluta certezza che si tratta di Fausto, persona di cui apprezzano sincerità, sensibilità e valore. Il primo fra questi è Lusio, lo schiavo di fiducia di Porcia, da sempre pieno di premure paterne e di saggi consigli per Fausto. È proprio lui, in costante contatto con Porcia e con Sabina sua futura moglie e madre di Fausto, che segue e soccorre il ragazzo ogni volta che è in pericolo o in preda allo scoraggiamento. È dalla sua figura solida, familiare e austera che Fausto trae speranza e sicurezza. Ed è proprio lui, infatti, a portare il riscatto ai pirati e a dissuadere il ragazzo ogni volta che è sul punto di rivelare la sua vera identità. Ciò, infatti, metterebbe a rischio la sorte di molti, compreso l’affrancamento dello stesso Lusio e di Sabina dalla schiavitù.
Determinante, poi, è Frine, la prostituta che, ancora bambina, aiuta Fausto nella suburra. Diventata una bellissima attrice di successo, ricercata per la sua ars amatoria, è disposta a rischiare la propria vita per preparare con Fausto un agguato, in cui Vinicio trova la morte.
Di grande rilievo è anche il contributo della moglie Lelia Prima che, apprezzando le doti e l’affetto del marito, consapevole dei pericoli a cui egli continuamente si espone, con intelligenza e senza rivelargli nulla, cerca di proteggerlo, facendolo seguire da uomini armati, che lo salvano da agguati mortali. Ma solo all’indomani del processo, quando Fausto pensa di potersi finalmente riprendere la propria identità, attraverso le parole di Porcia a cui è particolarmente affezionato, egli scopre che i Drusi, e tutte le persone che lo apprezzano da sempre, sono al corrente di tutto fin dal primo momento. Ciò che gli dà il coraggio di andare avanti per questa strada è l’incondizionata approvazione di Porcia che, consapevole di tutte le malefatte di Marco, non lo riteneva adatto a svolgere le complesse mansioni del Dominus. Porcia, la personificazione dell’intelligenza, della forza e della determinazione, virtù fondamentali del popolo romano, è colei che, pur appartenendo al sesso femminile considerato dai romani incapace di prendere grandi decisioni, sancisce la superiorità e la vittoria di tali doti presenti in Fausto.
È lo stesso Fausto, arrivato ormai a tarda età dopo aver visto morire tutte le persone a lui care, a ricordare, nelle sue memorie, gli eventi drammatici della sua tumultuosa vita.
Anche questo, come i precedenti romanzi, conferma la grande capacità della Pomilio di descrivere fasti e nefasti di Roma, svelandone gli aspetti crudi e violenti, ben radicati dietro la facciata di universalismo e grandiosità. È solo sforzandosi di valutare le cose da ogni punto di vista che si può dire di conoscerle e questo principio è ancor più valido per la complessa e articolata realtà dell’antica Roma. Il sangue dei fratelli, quindi, grazie al titolo accattivante, alla complessità delle vicende narrate nel pieno rispetto degli eventi storici documentati, all’alternarsi di luoghi diversi e di personaggi ben delineati, riesce a catturare sempre più l’interesse del lettore. Inoltre, dal momento in cui Fausto si sostituisce a Marco, l’animo lacerato dell’ex schiavo, i frequenti e drammatici colpi di scena, come ad esempio l’ambigua presenza di Vinicio con i suoi ricatti, tengono il lettore in un’ansiosa sospensione che ne potenzia l’interesse fino alla fine.
Francesca Romana Melchiorre
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