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Le parole sono pietre
 
Le parole sono pietre 2011-05-02 14:58:53 Renzo Montagnoli
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    02 Mag, 2011
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Un grande, immenso amore

“Così questa donna si è fatta, in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre.”


Così Carlo Levi parla di Francesca Serio, madre di Salvatore Carnevale, sindacalista ucciso dalla mafia, in una delle più belle pagine di questo libro, frutto di tre viaggi in Sicilia avvenuti nei primi anni cinquanta.
Se in Cristo si è fermato a Eboli l’autore ha descritto in modo mirabile la dolorosa condizione dei contadini lucani, qui valica lo stretto e riesce a darci un quadro di grande forza e bellezza dei problemi siciliani, solo in parte diversi da quelli dell’altro sud, e in ogni caso inseriti in quella questione meridionale che ancor oggi appare insoluta.
La grande capacità di questo autore è di appassionarsi ai problemi della gente debole, se non inerme, con la forza che gli nasce dall’amore, un sentimento viscerale che lo porta naturalmente a prendere le difese di chi, complice l’inerzia, quando non addirittura la partecipazione attiva dello Stato, è vittima di secolari ingiustizie, è ridotto alla condizione di sottouomo, vero e proprio servo della gleba in una società feudale in piena epoca moderna.
In libro in pratica è il diario di un viaggiatore attento, capace di descrivere in modo artistico, poetico e pittorico panorami mozzafiato, ma anche di saper cogliere gli aspetti stridenti, le atmosfere che da gioiose diventano tristi, fatte di una malinconia propria di chi è senza speranza, in una sola parola l’anima di una regione.
L’arrivo in visita a Isnello, suo paese d’origine, del signor Impillitteri, sindaco di New York, rappresenta a prima a vista un capitolo a sé, ma, con lo scorrere delle pagine, si comprende come anche il successo di uno non riesca a costituire la speranza di un riscatto per gli altri, non invidiosi, ma partecipi di una festa che offre in tutta la sua crudezza la realtà della loro condizione, e se anche nasce un entusiasmo è poca cosa che rapidamente svanisce.
Levi ha viaggiato in lungo e in largo per l’isola, ha toccato mete ridenti e città dall’apparenza moderna, ma che nascondono nelle periferie o al loro interno la vergogna di un mondo arretrato, misero, della miseria più nera, di gente affamata, di bimbi scheletriti e in preda alla malaria, contrasti che sono tipici di quest’isola in cui si può passare da ville patrizie, con giardini paradisiaci, a casupole di paglia, senza l’ombra di un albero, ingrigite dalla polvere che, quasi pietosa, pare tentare di celare
una situazione di degrado che invece dovrebbe essere urlata, affinchè qualcuno, quello Stato così lontano, inerte, vi ponga finalmente rimedio.
Non c’è nessuna retorica nelle parole di Levi, c’è soltanto un cuore sdegnato che vibra d’amore; è questa la grandezza di questo autore, capace di vedere con gli occhi e con il cuore, così che lui, che meridionale non è, non si presta alle facili accuse, alle tante volgarizzazioni del problema, ma cerca, trova, incide, apre allo sguardo del lettore una realtà che può anche riuscirgli insopportabile fino a giungere al sorgere di un sentimento di autentica pietà non fine a se stesso, ma congiunto alla rabbia per come tanti esseri umani sono trattati.
In questo libro c’è tanto del pensiero di Gesù Cristo, c’è quel desiderio di liberare gli oppressi dal loro giogo per costruire un mondo migliore, e questo con l’unica forza che è anche la chiave di ogni autentico rapporto umano: l’amore.
Nell’alternarsi di splendori e miserie l’autore dipinge quadri di stupefacente bellezza (Dietro di noi, i neri scogli dei Ciclopi, e il mare che si faceva liscio e grigio e pareva appiattirsi all’approssimarsi dello scroscio, come un gatto che aspetti la carezza.) ( La luna, piena e rotonda, si era ormai levata in cielo, illuminando di fredda luce le colate di lava e i boschi. Già il mare brillava lontano di là da Fiumefreddo, e appariva meravigliosa nella distanza, sul mare lucente, la montagna di Taormina. Le barche dipinte partivano per la pesca, i lumi delle lampare splendevano nell’acqua verde come scintillanti costellazioni.), una mano di straordinaria abilità che sa tuttavia anche affondare il bisturi nelle numerose e incancrenite piaghe di questa terra, dove tutto sembra possibile, tranne un radicale cambiamento.
Questo è un libro da leggere e rileggere, le sue pagine sono da centellinare, un invito continuo alla riflessione, una sconvolgente realtà su cui è d’obbligo interrogarsi. Ritornano di continuo immagini, situazioni, perché queste parole sono pietre, che non rotolano via, ma scavano e restano nel profondo di noi.

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Cristo si è fermato a Eboli, di Carlo Levi
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