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La storia di un cavaliere
“Il sole non si vedeva da giorni. Da una tenebra all’altra era un ininterrotto crepuscolo, più o meno cupo a seconda del gravare delle nubi. Poi il vento del nord era sceso dai monti. Sibilando appena, al principio aveva filato con le sue gelide dita il fumo dei focolari avvoltolandolo ai rami nudi degli alberi.”
L’Erede degli Dei è la genesi di un cavaliere, Corrado da Romano, pronipote di Ezzelino, dagli inizi ancora fanciullo alla sua investitura, alle battaglie, alle sue disgrazie, fino al raggiungimento, dopo tante tribolazioni, di una vera pace interiore.
Premetto subito che è un romanzo bellissimo, scritto in modo magistrale, in quel modo che solo lui sa, da Marco Salvador che non ho esitato a definire il Walter Scott italiano.
Ricerca minuziosa delle fonti, capacità di scegliere, fra tante notizie, quella più attendibile, elaborazione di questi elementi fino a sviluppare una trama, capacità di affondare la lama quando serve e di addolcire ove è necessario, personaggi caratterizzati nella loro essenza, senza inutili appesantimenti, descrizione di battaglie talmente viva che sembra di prendervi parte, una nota malinconica di fondo sul destino degli uomini, sempre presente, anche se non esplicita, tutte caratteristiche queste ben radicate nel narratore di San Lorenzo di Pordenone e che connotano infatti tutti i suoi romanzi, dal ciclo longobardo a quello dei Da Romano, di cui il primo, immediatamente antecedente a questo, vale a dire La palude degli eroi, è di una tale bellezza e perfezione da poterlo definire, senza timore, un autentico capolavoro.
E L’Erede degli Dei non gli è da meno, una serie di quadri ininterrotti, di luce soffusa, ma vivi e che colpiscono il lettore per i toni, per gli equilibri, per un alternarsi di pochi adagi e di molti andanti, una sinfonia della vita in cui si disegnano figure memorabili, dipinte con la stessa cura, dagli umili ai potenti, dai pavidi agli audaci, una moltitudine di esseri umani, con i loro pregi e i loro difetti, tesi a sopravvivere o a vivere nella gloria.
Comunque bisogna leggere questo romanzo e i precedenti per capire cosa voglia dire saper scrivere bene, in un italiano corretto e con un ricorso puntuale a un’analisi logica ferrea, in un fiume di parole che sanno essere tumultuose, oppure quiete, tanti piccoli ceselli a formare un mosaico che stupisce e affascina.
Il tutto in un tessuto di originalità, certamente non frequente, e che fa rivivere un’epoca passata come in una pellicola cinematografica, un succedersi di vicende interpretate da uomini e donne, di varia umanità, che sembrano muoversi autonomamente, non guidate dal regista. Eppure non c’è una nota storta, non c’è un attacco o uno stacco al di fuori del tempo giusto, in un equilibrio armonico che regge, stabile, perfetto, senza la minima sbavatura, dall’inizio alla fine.
E non è solo la trama ad avvincere, ma anche le riflessioni dell’autore poste in bocca a questo o a quel personaggio, perché in fondo gli uomini, chi più chi meno, è giusto che debbano farsi un’idea sui perché della loro esistenza.
Le pagine scorrono veloci, la mente di chi legge s’invola, si sarebbe tentati di proseguire a oltranza, fino all’ultima pagina, ma non è giusto, occorre procedere adagio, per non lasciarsi sfuggire nulla, per il timore di non poter godere di ogni parola di questo splendido romanzo, un altro capolavoro di Marco Salvador.