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Bedwyn - Libro sesto
Ed eccoci, finalmente, al famigerato Duca di Bewcastle “aristocratico dalla punta dei capelli a quella dei piedi”, il maggiore dei sei fratelli Bedwyn e anche il più schivo, enigmatico e – indubbiamente - il più solo.
Avevo molte aspettative sulla conclusione di questa serie, e in effetti questo si è rivelato un romance praticamente perfetto.
Tralascio le similitudini con il più classico modello austeniano, perché mi pare che Wulfric abbia un carisma tutto suo, con decine di sfaccettature diverse, e sarebbe ingiusto sottoporlo a ingombranti paragoni: il duca che è stato costretto a divenire tale a 17 anni e che ha perso buona parte della sua infanzia e della sua giovinezza per calarsi nel ruolo del capofamiglia, dedito a salvaguardare eredità, onore e salvaguardia del casato; il duca e il suo inseparabile monocolo; il duca che passa la vita a corrugare le sopracciglia in un’espressione così altera che “avrebbe potuto congelare l’uva sui rami, rovinando il raccolto di un anno intero”; il duca che rifiuta l’amore e vuole solo un’amante, perché ha passato così tanto tempo a nascondersi dietro il suo ruolo da non essere più in grado di mostrare agli altri l’uomo che è realmente.
E poi c’è lei, Christine, una vedova ormai trentenne (che per gli standard dell’epoca voleva dire praticamente con un piede nella mezza età), “una creatura circondata di luce, nonostante l’oscurità che aveva intravisto in lei”, capace di affascinare il duca e sciogliere inesorabilmente tutto il ghiaccio intorno.
Questo romanzo, alla fine, è una sfida, una grandiosa sfida tra due persone che hanno già vissuto e sperimentato, che hanno già commesso parecchi sbagli ma possono ancora dare molto e, soprattutto, hanno un’ultima possibilità di cambiare e si meritano di averla. Perché “è raro come una rosa d’inverno veder sorridere il Duca di Bewcastle”.