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Laura e compagnia bella
Laura è una quarantenne affascinante e in gamba, ammirata dagli uomini e odiata dalle donne. Giunta ad un momento cruciale della propria vita, tronca nettamente i rapporti fasulli, cestina l’inutile e si butta a capofitto in avventure difficili ma gratificanti. Nella sua privata cernita impietosa si salva il giusto. Alle vicende di Laura si intrecciano altre storie, altri drammi. I protagonisti, passando dalla tappa obbligatoria del sacrificio e del dolore, giungeranno a piccole vittorie o a realizzazioni personali?
A far da sfondo a questa storia di cadute e rialzi c’è una Milano meschina. Il prossimo è colui da fregare, l’amico è tale se il tornaconto è buono, l’amante è piacevole finché non pretende. Servono coraggio, determinazione, onestà, umiltà per ottenere buoni risultati, per essere un’ancora di salvezza per gli altri.
Il materiale utilizzato è popolare, storie di ordinari fallimenti coniugali. Ma proprio per questo è un buon romanzo, la realtà lavorata e trasformata in gradevoli episodi. Una penna arguta che si esprime con franchezza. Il tono è leggero e scanzonato non privo di effetto. La presenza costante di dialoghi rende tutto familiare e scorrevole.
I capitoli sono brevi ed ognuno corrisponde ad un personaggio; ci sono, quindi, vari punti di vista e diverse opinioni. Lo sconforto iniziale dovuto alla copertina e al titolo viene superato fin dalle prime pagine. L’aspetto esteriore promette banalità ma il contenuto, invece, merita l’attenzione di un lettore modesto senza grandi pretese.
Concludendo, una lettura piacevole, semplice, adatta all’evasione sensata.
“Non si può stare nel buio dell’infelicità troppo a lungo: qui siamo in prestito, procrastinare il dolore è una bizza da immortali, tra poco ci scade il contratto e bisogna darsi una mossa. Meglio la forza di un ottimismo prudente, l’anticonformismo della generosità e il lusso della solidarietà. L’amore è una coperta calda, mentre il cinismo lascia nudi di fronte al dolore. Il cinismo paga solo quando tutto va bene: ma quando si è fortunati che bisogno c’è di essere cinici? Non è meglio essere magnanimi?”
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