Uomini e topi
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C'è davvero posto per tutti?
«Alla fine Carlson disse: “Se vuoi sbarazzo subito ‘sto rottame dalla sua pena e la facciamo finita. Non gli è rimasto niente: non riesce a mangiare, non riesce a vedere, non riesce nemmeno a camminare senza soffrire.”
“Non ce l’hai la pistola,” disse Candy speranzoso.
“Accidenti se ce l’ho. Ho una Luger. Non lo farà soffrire per niente.”
“Magari domani,” disse Candy. “Aspettiamo domani.”
“Non ne vedo la ragione,” disse Carlson. Andò alla sua cuccetta, tirò fuori da sotto una sacca e prese una Luger. “Facciamola finita,” disse. Non si può dormire con la sua puzza dappertutto.” »
Due uomini camminano, uno davanti all’altro, sulle rive del fiume Salinas, in California. Siamo negli anni Venti del Novecento. Il primo è piccolo e svelto, scuro e dai lineamenti affilati e marcati. Il secondo è invece un uomo enorme, dalle forme poco definite, gli occhi chiari e grandi; cammina strascicando i piedi e anziché dondolare le braccia per assecondare il movimento, le tiene penzoloni e flosce lungo il corpo. I due viaggiano insieme, cercando di racimolare un po’ di soldi lavorando come braccianti nei ranch della zona. Hanno un sogno da realizzare insieme: comprare un piccolo appezzamento di terra da cui ricavare il necessario per vivere sereni. Potranno avere un piccolo orto dove coltivare verdure, allevare dei polli e dei conigli. Potranno finalmente avere un luogo sicuro dove poter stare in pace e in compagnia l’uno dell’altro, un luogo da poter chiamare casa.
Molti altri braccianti offrono il loro lavoro in cambio di qualche soldo: sono persone sole che si aggirano per la campagna cercando un po’ di conforto nei bar o nei bordelli. Ma Lennie e George viaggiano insieme e hanno un sogno da realizzare, l’obiettivo sembra a portata di mano, sembra che il sogno finalmente si realizzi… ma veramente basterà volerlo? Veramente nella società c’è posto per tutti? Perché Lennie è diverso. Lennie è buono ma ha una forza enorme che non sa dosare, perché non è intelligente. Questo lo rende estremamente pericoloso.
Romanzo breve o racconto lungo di John Steinbeck pubblicato negli Stati Uniti nel 1937 “Uomini e topi” arriva potentemente dritto al cuore del lettore, passando attraverso la ragione. E’ lo stesso effetto che provoca anche la lettura di “Furore”, altro celeberrimo romanzo dello stesso autore, nonostante la differenza nel numero di pagine. Un piccolo gioiello della Letteratura in grado di commuovere e far riflettere.
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REQUIEM PER IL SOGNO AMERICANO
“- Gente come noi, che lavora nei ranches. è la gente più abbandonata del mondo. Non hanno famiglia. Non sono di nessun paese. Arrivano nel ranch, raccolgono una paga, poi vanno in città e gettano via la paga, e l'indomani sono già in cammino alla ricerca di lavoro e d'un altro ranch. Non hanno niente da pensare per l’indomani […]
Lennie interruppe, - Noi invece è diverso! E perché? Perché... perché ci sei tu che pensi a me e ci sono io che penso a te, ecco perché.”
George e Lennie sono due braccianti che girano in cerca di lavoro nella California degli anni ’30, disposti a trasportare sacchi d’orzo per undici ore al giorno in cambio di una paga da fame e di un alloggio di fortuna. I due formano una coppia davvero strana, perché Lennie è un gigante dalla forza erculea, ma con l’animo e la testa di un bambino. In un mondo individualista, cinico e spietato, George e Lennie stanno insieme come un’entità anomala e bizzarra ma indissolubile, che il tempo ha cementato come un’inveterata abitudine. George si prende cura di Lennie in quanto questi non è in grado di badare a se stesso, ma nel contempo Lennie, con il suo contagioso e infantile entusiasmo, attizza nel compagno la flebile ma inestinguibile fiammella del sogno di un pezzo di terra tutto per loro, un posto da poter chiamare casa e senza più padroni da cui dipendere. Anche se Lennie ha il brutto vizio, nonostante il suo candore di fondo, di cacciarsi nei guai, a causa della sua incapacità di controllare le proprie emozioni (a me ha ricordato vagamente la creatura del “Frankenstein” di James Whale, nella scena in cui uccide senza volerlo la bambina con cui sta innocentemente giocando in riva al fiume), egli è tuttavia l’unico antidoto contro quella solitudine e quell’isolamento che rappresentano il vero male di vivere nell’universo steinbeckiano. Che sia un vecchio cane quasi cieco o un povero mentecatto, tutto serve per non affrontare da soli il desolato cammino della vita negli anni della Grande Depressione. Ma, come ben sa chi conosce un poco Steinbeck, il destino è costantemente in agguato per cercare di spezzare i legami di fraternità e di amicizia ed affossare ogni velleitaria utopia.
“Uomini e topi” è, più che un romanzo, una sorta di racconto lungo, genere a cui peraltro Steinbeck è ricorso più volte nel corso della sua carriera (si pensi al celebre “La perla”). Lo spirito e l’ambientazione sono gli stessi di “Furore”, il capolavoro che lo scrittore americano pubblicherà solamente due anni più tardi, ma qui l’umanesimo steinbeckiano è viziato, a dire il vero, da un didascalismo troppo programmatico e da una sorta di fastidiosa prevedibilità, che l’esiguo numero di pagine non aiuta certo a dissipare. L’invito di George a Lennie a venire a nascondersi presso la solitaria pozza d’acqua in caso di guai, la presenza di una “femme fatale” e di un marito collerico e prepotente, e persino l’esistenza di una pistola che un ranchero tiene nascosta sotto la branda (ricordate che Cechov aveva scritto che “se in un racconto compare una pistola, bisogna che prima o poi spari”?), sono tutti segnali indicatori di una tragedia in divenire, ipostasi di un ineluttabile precipitare degli eventi verso un finale troppo facilmente intuibile. Fatta la tara di questi difetti, e detto che la traduzione alquanto invecchiata di Cesare Pavese dell’edizione da me letta non è stata certo d’aiuto, non va comunque sottaciuto il fascino arcano di due personaggi originali e difficilmente dimenticabili, oltre che il profondo realismo nella descrizione di una realtà sociale di ingiustizia e di sofferenza, che fa di Steinbeck uno dei più autentici e sinceri cantori di un’umanità reietta e perseguitata da un fato avverso, e della inesorabile falsità dell’”american dream”.
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Soli e prigionieri dei propri sogni
Romanzo breve ma intenso. Siamo nella California del primo dopoguerra , George e Lennie sono due braccianti stagionali nei ranch. Come molti di loro girano il paese in cerca di un lavoro, George è piccolo e astuto, sa trattare con le persone, Lennie è un gigante con la testa di un bambino piccolo, con la stessa meraviglia e ingenuita ma purtroppo senza la capacità di apprendere "... ti dico questa cosa e domani te la sarai già dimenticata, ripetila Lennie così non te la dimentichi..." , ma ha una forza incredibile che lo rende apprezzatissimo nel lavoro , purtroppo la sua mente debole non è in grado di controllarla e questo gli ha già creato dei guai.
I braccianti stagionali sono per lo più uomini rozzi e solitari che pensano a se stessi, a racimolare qualche soldo per campare e magari un giorno avere un pezzetto di terra proprio. E' il sogno che condividono George e Lennie, un appezzamento di terra da coltivare e una casetta propria , ma il loro è un sogno condiviso in tutto non solo nelle aspirazioni ma anche nella realizzazione "noi ci abbiamo l'un l'altro". Il loro è un rapporto di amicizia che a volte sembra quello tra fratello maggiore e minore , George si prende cura dei limiti di Lennie proteggendolo dalle insidie di un mondo quasi primitivo a livello di rapporti umani, in cui una mente fragile come Lennie potrebbe finire facilmente nei guai. Tutti i personaggi sono descritti con grande abilità, bastano poche righe, pochi gesti perchè il lettore abbia perfettamente chiaro il loro ruolo nel contesto e la loro "anima", tra questi c'è il rissoso figlio del padrone Curley, che cerca ogni pretesto per attaccar briga e la moglie , una giovane donna molto carina e appariscente , insoddisfatta della vita del ranch , dove la polvere ha soffocato le sue aspirazioni cinematografiche. Lei con la sua insoddisfazione, la sua continua pedante ricerca di attenzioni e gratificazioni da chiunque porta guai soprattutto in considerazione dell'indole del marito. Tutti i braccianti vivono nel sogno di potersi un giorno affrancare dal duro lavoro del ranch, qualcuno ha già smesso di illudersi ma c'è chi nonostante tutto ancora ci crede soprattutto quando vede l'affiatamento tra George e Lennie, qualcosa di raro in un mondo dove si è soli con i propri problemi e le proprie speranze disattese, i due braccianti sono l'esempio di come l'unione renda possibile o comunque più probabile ciò che il fare da soli nega. Bellissimo libro sull'amicizia ma non solo, c'è tutto il dramma della dura vita in un mondo dove ad essere ostile è la miseria dell'uomo oltre alla natura. Ad ogni pagina percepisci la povertà di fondo di persone che aspirano a poco perchè non hanno niente, neanche un amico. Finale drammatico e struggente.
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Uomini e conigli
Il talento, la bravura di uno scrittore la si può rilevare anche in un romanzo corto, di poco più di cento pagine. Perché a Steinbeck bastano queste per partorire un piccolo gioiellino, scrivendo un libro (destinato a diventare anche opera teatrale e cinematografica) fitto di dialoghi serrati ed essenziali ma in cui è ben evidente la mano dell'autore Premio Nobel per la Letteratura. Esattamente come avviene in "Furore" l'ambientazione è quella di un paese che non lascia spazio all'illusione del Sogno americano ma solamente alla dura realtà quotidiana. Steinbeck ci porta in California, nella valle di Salinas, dove il fiume "arriva a lambire i fianchi delle colline e scorre verde e profondo", dove proliferano i ranch e gli uomini sono costretti a lavorare duramente sotto padrone per racimolare pochi soldi trastullandosi nella speranza di un futuro migliore. Qui arrivano centinaia di uomini che se ne vanno per strada, "di ranch in ranch, con i loro fagotti sulle spalle e la stessa dannata idea in testa......E ognuno di loro ha in quella dannata zucca un pezzettino di terra. E mai che uno di quei fessi ci mette sopra le mani".
Sullo sfondo di questa realtà si collocano George e Lennie: viaggiano sempre in coppia, l'uno ha in qualche modo bisogno dell'altro perché se George è la mente che si è preso a cuore il destino dell'amico, affetto da disagio mentale ed impossibilitato a vivere autonomamente, Lennie è comunque dotato di una forza prodigiosa, un ottimo biglietto da visita che dischiude così tante opportunità di lavoro. Entrambi come tutti gli altri condividono il sogno di mettere da parte quel gruzzoletto che permetterebbe loro di conquistare quell'agognata terra, di mettersi in proprio coltivando ed allevando conigli, quei conigli che Lennie vorrebbe accarezzare e coccolare crogiolandosi in questo sogno nei momenti di difficoltà ("Avremo conigli di tanti colori vero George?).
Uomini e topi è una storia di amicizia prima di tutto ("Noi ci abbiamo l'un l'altro") ma è anche una storia di miserie umane, di grandi solitudini e di disillusioni. Merito indiscusso dell'autore è quello di mettere a fuoco, anche spietatamente a tratti, la realtà umana della provincia americana lontana dai riflettori delle metropoli e dalle opportunità da queste offerte.
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Esistenzialismo Yankee, ma non ci siamo
Mi aspettavo di meglio da questo autore, avendone sentito parlare da un diversa gente e vedendo nelle librerie i suoi testi sempre in bella vista, con queste nuove edizioni scintillanti e accattivanti.
Purtroppo il testo si è rivelato una mezza delusione per il sottoscritto.
Già dalle prime pagine si comprende come questa storia, di due emarginati sia un racconto che possa durare da 20 pagine a 2000. Non accade nulla e accade di tutto, in poche righe e pochi giorni si compie il destino di questi sconfitti e si chiude il racconto.
Gli americani, hanno sempre cercato di pulire la loro coscienza attraverso l'arte. Dipinti, scrittura, celluloide.
Hanno una capacità innata di rappresentare tutte le miserie umane di un popolo nomade, geniale, spietato e visionario.
Nelle grandi metropoli, come nelle pianure sconfinate e nei deserti vivono orde di banditi e fuorilegge, di senza fissa dimora e di prostitute. Malati di mente lasciati a marcire dentro qualche granaio o contadini che arano terreni senza fine sotto un sole implacabile.
Provano gusto a descrivere le loro miserie e le profonde ingiustizie e iniquità che serpeggiano per questa società dove si passa dalla scintillio della Down Town neworkese dove gli appartamenti costano decine di milioni di dollari alle catapecchie infestate da topi e parassiti delle realtà suburbane e dei ghetti ai margini delle metropoli.
In questo lavoro di Steinbeck l'attenzione si concentra su un lampo di vita, deprimente e misera di una fattoria ai margini del mondo, dove il tempo trascorre fra violenza, privazioni e desideri sopiti.
Il sottile equilibrio che lega questi braccianti abbandonati a un ingrato destino, non è messo in pericolo dall'arrivo dei due protagonisti del romanzo, che in realtà non sono amici, ma stanno insieme solo per non compiere il loro tragico cammino in solitaria. La vera protagonista del romanzo è invece una creatura femminile che con la sua bellezza e la sua falsa innocenza avvampa le anime di questi uomini-topi, li porta al delirio sessuale e fa riaccendere in loro la fiamma del desiderio che sarebbe stato meglio fosse rimasta sopita nei loro cuori affranti dalla fatica e dalla privazione.
La miccia è accesa, pronta ad esplodere. La donna ne è consapevole, ma la sua piatta e monotona esistenza la spinge a provocare una serie di eventi che segneranno ineluttabilmente il suo destino e quello di tutti coloro che ne vengono fatalmente in contatto.
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DOVE RISIEDE LA NEVE
Non metto trama e non scendo molto nei dettagli per non rovinare la lettura del libro. Questo romanzo nella sua brevità racchiude emozioni e personaggi che nella loro semplicità e schiettezza mettono il lettore di fronte a verità profonde. In questo romanzo tutto è melma e anche chi sta sopra è rinchiuso in questo suo torpore senza fine, ti sembra tutto un mondo immobile e senza speranza: nulla cambia, la scintilla della speranza è una cosa lontana e immaginaria. Questa sensazione la sia avverte ovunque e appesantisce l’animo, ti fa provare con immediate e (apparentemente) semplici immagini la durezza della vita. Ci sono personaggi ciclici che nei loro attimi di lucidità che ci narrano i loro sentimenti, la loro vita e le verità apprese dalla loro esistenza; ci dicono qualcosa. Se delicatamente e umilmente porgiamo le orecchie riusciamo a sentire tutte quelle voci che dal passato ci parlano, ci narrano e ci fanno rivivere quel periodo, con le sue illusioni e con le sue crudeltà di stasi. I romanzi pieni di qualcosa, pieni di un po’ di anima dell’autore rimangono per l’eternità, le dà un significato e una valenza eterna ed è per questo che è attuale. Consiglio questo romanzo a tutti e soprattutto darei una chance a prescindere vista la sua brevità. Sento la polvere dei campi racchiusa in queste parole, sento la polvere arida che entra nei polmoni, sento la polvere dell’aridità umana nelle mie ossa, ma alla fine non si può non sentire la polvere bianca della speranza che aleggia in ogni lettera e in ogni pensiero perché alla fine fine l’illusione è l’unica cosa che ci salva e che brilla in cielo anche se talvolta offuscata dalla nebbia nera -pece- della realtà; dalla nebbia incandescente che prende fuoco e che diradandosi lascia intravedere quella anima coperta di polvere, quella anima coperta di candida neve inquinata da nulla.
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Poche miglia a sud di Soledad
Il contrasto tra la semplicità della trama, per molti versi prevedibile, e il modo in cui i fatti vengono raccontati, con una prosa asciutta e a tratti poetica (la traduzione di Cesare Pavese avrà forse dato il suo contributo) rende questo breve romanzo degno di essere letto.
E' l'unione di due solitudini, agli antipodi per temperamento e apparenza fisica ma legati da un affetto fraterno.
L'istinto di protezione di George nei confronti di Lennie, grande e grosso, con un ritardo mentale, finisce per apparire insensato di fronte a una società inaridita da una crisi economica che ha infranto i sogni di tutti.
Non quelli di George e Lennie però, emarginati sì, ma fieri di esserlo, mentre si tengono strette le loro ingenue ambizioni:
“Per noi è diverso. Noi abbiamo un avvenire. Noi abbiamo qualcuno a cui parlare, a cui importa qualcosa di noi”.
Un refrain pittoresco, il racconto delle loro fantasticherie, il miraggio di un posto in cui poter finalmente porre fine al vagabondaggio per vivere del “grasso della terra”.
Ma per gente come loro la terra è arida in California, poche miglia a sud di Soledad, almeno quanto il cuore degli uomini. Quanto vale una vita laggiù? Più o meno quanto quella di un topo, se non si riesce a cavarne qualcosa.
Il romanzo parla di amicizia e tradimento, di sentimenti puri calpestati, della necessità di dimostrarsi uomini, forse, ma non più esseri umani.
Struggente, il finale, con rapide successioni di immagini e parole degne della migliore arte cinematografica:
“Dimmi come sarà un giorno”.
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C'era una volta l'America
E’ proprio il mio respiro che tace, mentre tutto il resto continua a vivere avvolto da questo cielo blu.
Non che ci sia alcun ostacolo alla normale ventilazione, solo sono così, mezza strada tra Inspiro o non Inspiro? Incapace di decidere non faccio alcunché, come se il tempo si fosse bloccato.
Come se l’oscillazione della margherita in altalena col vento si fermasse innaturalmente a quarantacinque gradi, come se quel giovane merlo stazionasse immobile a due metri da terra col ricco bottino nel becco giallo.
Ho appena letto l’ultima riga di Uomini e topi e forse è meglio che mi riscuota da questo strano torpore, che torni a respirare e che tutto ricominci a fluire.
Breve ed intenso romanzo di penna scorrevole, la scrittura semplice non e’ formalmente elaborata, eppure che potenza e che empatia e che realismo Steinbeck in questo splendido affresco americano in cui l’amicizia diviene fratellanza e la fratellanza sprofonda tra le sabbie mobili, tragedia dell’ultimo gesto di un amore delicato e viscerale.
Sono due braccianti stagionali George e Lennie, il loro sogno è lì, a portata di ognuno di loro.
Io pure riesco a sfiorarlo questo desiderio che si sta avverando, come gli altri disperati che chiedono un angolo e si aggrappano alla scia di una cometa che scivola lentamente a sfiorargli le dita.
Basterebbe stringere la mano e spedire una lettera, aggrapparsi a lei con quel sorriso ebete, con quel moncherino al polso, con quella vecchia schiena curva dalla pelle nera, con quei quattrocento dollari sudati per una vita intera.
Basterebbe, ma forse sarà l’eclissi, stanotte.
Bellissimo, mi ha ridotta a una felice creatura triste e afona, a lungo.
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Perchè io ho te e tu hai me
Pubblicato nel 1937 e tradotto da Cesare Pavese l’anno seguente, “Uomini e topi” è il libro più venduto, insieme a “Furore”, dello scrittore statunitense John Steinbeck. Nativo di Salinas, celebre centro agricolo della California.
Un testo divenuto in breve tempo leggendario, senza età.
In America, perché con questa opera di denuncia l’autore mostrò un lato del paese che gran parte del pubblico non conosceva ancora.
In Italia, perché queste furono alcune delle pagine che consentirono a molti scrittori di alienarsi e sognare un continente giovane e vergine ma già epico e ruspante, lontano dalla visione chiusa e rigida fornita dalla cultura fascista che considerava la letteratura americana sovversiva e pericolosa per la propaganda e la creazione del consenso popolare cui mirava il regime.
I protagonisti sono due lavoratori stagionali nella California del primo dopoguerra. Una terra arida, sommersa dalla galoppante crisi economica e descritta con poche ed efficaci pennellate.
Lennie Small, che a dispetto del nome è un gigante e ha la forza di un toro, ma la mente di un bambino. E George Milton, che oltre a pensare a se stesso deve preoccuparsi costantemente di Lennie, e che mostra la tipica risolutezza di chi già conosce l’amara lezione della vita.
Sono personaggi veri, umili. Abituati alla fatica, allo sfruttamento, alle ingiustizie sociali, alle discriminazioni razziali.
Ma che nonostante tutto, conservano un profondo senso della dignità. E un sogno. Quello di mettere da parte dei soldi per potersi comprare un pezzo di terra e non dover più lavorare per nessuno.
George, Lennie, gli altri lavoratori, sono perdenti. Ma desiderosi di riscatto.
Sono figure dotate di un fascino eroico, assimilabile al mito. I perdenti che soccombono di fronte ad imprese al di fuori della loro portata, gli uomini onesti sconfitti dal destino ineluttabile della loro esistenza, ma che acquisiscono un’aura immortale e inscalfibile grazie al coraggio e alla dignità dimostrati.
Lo stile di Steinbeck è misurato, affilato, ricco di dialoghi. Si attiene semplicemente ai fatti riportati senza ridondanti commenti personali, come in un articolo di giornale. Tanto è che il titolo in origine doveva essere semplicemente “Something that happened”. Qualcosa che è successo.
Le pagine finali, nella loro semplicità e brevità, sono perfette. Amare e dolorose, ma stupende e commoventi. Indimenticabili.
Come stupenda è la storia di amicizia narrata in questo breve romanzo, un rapporto vero ed autentico tra due persone che fino alla fine non hanno niente e nessuno e possono contare soltanto su se stessi e sull’altro.
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L'INCOMUNICABILITÀ DEGLI UOMINI
Avevo una paura matta di cominciare la mia esperienza con John Steinbeck da “Furore”. “E se non mi piace?” dicevo a me stesso, pensando che poi mi sarei dovuto sciroppare un bel mattoncino che avrei fatto fatica a finire (ma che avrei certamente finito, se ho finito Anna Karenina, posso finire tutto). Non mi linciate per questa ultima parentesi, sono gusti.
Tornando a Steinbeck, mi sono detto che avrei dovuto cominciare con qualcosa dalla mole un po’ più ridotta, come faccio un po’ con tutti gli autori; dunque ho deciso di acquistare “Uomini e topi” e cominciare da questo. Conclusione? Non vedo l’ora di leggere Furore, ragazzi, e credo che non vedrò l’ora di leggere tutto quello che questo autore ha scritto. Non so se questo libro sia perfetto come asserisce Nick Hornby, ma posso tranquillamente dire che sia un gioiello di rara bellezza. I motivi? Bene, vi farò un elenco: personaggi caratterizzati alla perfezione, ambienti che nella mente del lettore prendono praticamente vita con descrizioni che non risultano ostiche né inutilmente lunghe, dialoghi assolutamente efficaci. Ma andiamo oltre. Steinbeck riesce a regalarci uno spaccato d’umanità che secondo me altri autori non sarebbero in grado di mettere insieme nemmeno con un libro di mille pagine: il messaggio passa forte e chiaro, il pensiero dell’autore ci arriva forte tramite analogie che lui non spiega esplicitamente ma che sono più che chiare.
Devo dire che alcuni tratti mi sono sembrati un po’ crudi, ma è dovuto alla mia sensibilità soprattutto quando ci sono di mezzo cani e cagnolini. Non ci sono torture, state tranquilli, né violenza gratuita. Ogni cosa in questo libro ha il suo perché, la sua spiegazione, e ci rendiamo conto che per quanto triste da leggere era comunque necessario scriverla.
Il messaggio che mi è arrivato più forte è l’incomunicabilità fra esseri umani. Per quanto possiamo conoscerci a fondo spesso non riusciamo a capirci; spesso veniamo fraintesi; spesso veniamo accusati di fare cose che non sono neanche lontanamente nei nostri pensieri ma che il pensiero comune ha contribuito a far diventare verità incontrastabili. Sono tanti i personaggi che, a un occhio superficiale, possono apparire in un modo; ma basta essere disposti ad ascoltare per capire che oltre la facciata può esserci molto di più. Emblema di questo aspetto sono i personaggi dello stalliere di colore e della signora Curley, senza dimenticare uno dei due protagonisti: Lennie. Non posso essere certo che questo aspetto volesse essere messo in risalto intenzionalmente da Steinbeck, ma a me questo messaggio è arrivato in maniera prepotente insieme a quello più esplicito dell’incapacità di stare al mondo; dell’impossibilità di vivere insieme ad altri, per alcuni uomini particolari. È un argomento controverso, che Steinbeck porta alla nostra attenzione.
Ci sono cose che un uomo deve fare. Probabilmente.
I protagonisti di questa storia sono George e Lennie, due braccianti che lavorano stagionalmente nei ranch. Il primo è un uomo sveglio, intelligente e gran lavoratore; il secondo è un uomo grande e grosso, scemo ma innocente e semplice come un bambino, che nelle sue intenzioni non vorrebbe far mai male a una mosca ma che a causa della sua mole si ritrova anche a uccidere topi che tiene nel palmo della mano, per accarezzarli. All’inizio di questa storia sono in fuga dall’ultimo ranch in cui hanno lavorato, a Weed, proprio perché Lennie voleva accarezzare il soffice vestito di una ragazza che viveva lì. Non aveva altre intenzioni, solo accarezzare la morbidezza di quel vestito. Ma, come dicevamo, l’incomunicabilità è una piaga e quello che appare viene quasi sempre considerata verità. Dunque George e Lennie scappano e cominciano a lavorare in un altro ranch, dove fanno amicizia con gli altri lavoratori e si scontrano con Curley, manesco figlio del loro datore di lavoro e marito di una donna piuttosto controversa, che sembra essere lì appositamente per portare guai. Ma George e Lennie non contano di stare lì per molto; hanno un sogno che perseguono con tutte le proprie forze: avere un posto tutto loro in cui vivere una vita tranquilla, coi frutti della propria terra; vogliono solo essere liberi e non doversi spaccare la schiena per qualcun altro. Una vita semplice: stare di fronte a una grande stufa e ascoltare il ticchettio della pioggia. Badare ai conigli, come direbbe Lennie.
Il tempo che trascorreranno in questo ranch porterà alla luce tante di quelle cose, che davvero non so dire come l’autore ne sia stato capace in così poche pagine.
Davvero un capolavoro, probabilmente.
“«Beh, Curley è abbastanza manesco,» disse lo scopino con aria scettica. «Non mi è mai sembrato giusto. Poniamo che Curley salta addosso a uno grosso e gliele suona: tutti a dire quant’è in gamba Curley. Ma poniamo che fa la stessa cosa e viene suonato: allora tutti a dire che quello grosso doveva menare uno della sua stazza, e magari lo aggrediscono tutti insieme. Non mi è mai sembrato giusto. È come se Curley non desse scampo a nessuno.»”
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Il rapporto umano, l’ultimo bene
“Quelli come noi non hanno una famiglia. Mettono insieme un gruzzoletto e poi lo sperperano. Non hanno nessuno al mondo a cui importi un fico secco di loro...”
Questo è il dialogo (drammatico, da un certo punto di vista) che si ripete più di una volta durante il racconto di “Uomini e Topi” tra i due protagonisti: l’ingenuo, goffo e maldestro Lennie e, dall’altra parte, il fedele, saggio e responsabile George.
Mi sono approcciato a questo libro subito dopo aver ultimato “Furore”, grandissimo romanzo. Entrambi li trovo molto diversi, ma anche molto uguali. Uno relativamente breve e l’altro relativamente lungo, uno così enigmatico e sedentario (il luogo rimane sempre quello del ranch), l’altro così lineare e dinamico. Ma entrambi mettono in evidenza la grande crisi sociale che attanaglia da sempre il ceto più povero degli Stati Uniti d’America. Una conseguenza di una crisi economica durissima.
Prima ho usato un aggettivo un po’ inusuale per chi conosce Steinbeck, la cui penna si aggiudicò il premio Nobel del ‘62, ossia “enigmatico”. E lo ripeto con forza. È un libro enigmatico, misterioso, capace di suscitare continue domande, continui dubbi e collegamenti inusuali.
Il primo dialogo tra i due, prima che approdassero al ranch -vero teatro dell’intero racconto-, mi ha fatto ricordare “Aspettando Godot” (!!), opera teatrale di Beckett. Con il primo personaggio che non si ricorda nulla di ciò che si è detto, fatto e vissuto insieme al secondo che, tra l’infastidito e il divertito, continua a dare le stesse risposte alle stesse domande che tanto angosciano il suo amico.
Poi mano mano che il racconto procedeva l’ombra di Beckett si diradava sempre più fino a scomparire, fino a lasciare la mia ragione, stavolta, al buio. Buio completo. Non riuscivo ad afferrare il senso di tutto questo: perché George continua a rimanere fedele a Lennie, a dargli corda? Perché non lo lascia alla sua vita con beneficio per entrambi? Cos’ha di tanto speciale quell’omone così tenero quanto sciocco per il piccolo ma sveglio George? Domande su domande. La mia testa era nel caos: interrogativi pesanti senza nessuno spiraglio di risposta.
Mistero.
Enigma.
È un rapporto quello tra George e Lennie, su cui si basa l’intera vicenda, che inizialmente sfuggiva dalle mie capacità di comprensione. Ci sarà un motivo se il vecchio John, dopo una storia così ben lineare come quella di “Furore”, propone una storia apparentemente sconclusionata per rimarcare lo stesso j’accuse, mi sono chiesto.
Ed ecco che alla fine mi sono dato una risposta, piuttosto inusuale direi. C’è la volontà di far vedere come, nelle grandi crisi economiche che devastano e hanno devastato milioni di famiglie costrette ad emigrare nel loro stesso paese e ad errare per cercare una speranza di futuro, il rapporto umano sia l’ultimo bene, non commerciabile, a lasciare l’uomo. Il rapporto umano è necessario per la sua sopravvivenza. Anche se può apparire strumentale. Le continue illusioni sul futuro che Lennie e George amano ripetersi (a cui si aggiungerà anche Candy) permette loro di andare avanti, di vivere con speranza e impegno il presente.
E, infatti, quando anche questo castello di carte abilmente costruito con parole e autosuggestioni si rivelerà per quello che davvero è, ovvero utopia -perché nella società americana non c’è nessun appiglio né aiuto in tal senso, e neanche un senso civico motivato e forte (“io li conosco quelli come voi... tutto quello che intascate finisce in bordelli al sabato sera”), è l’accusa (e la verità) drammatica di Steinbeck-, ecco che l’amicizia di Lennie non ha più ragione d’essere. Se prima, pur con i suoi paradossi e le sue illogicità aveva ancora un senso, che era vitale, per George, ora è il contrario.
Ma sono gli Stati Uniti a perdere, non George, perché incapaci di alimentare quella volontà di riscatto e di speranze che i due vecchi amici stavano faticosamente tentando di costruire.
Questo è “uomini e topi”. Tutti sono uomini fino a quando si rendono conto di non essere in grado di raggiungere ciò che si erano prefissati e finiscono per rintanarsi e mettere le radici nell’unico posto che riescono a trovare, non importa quale esso sia.
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“[…] I migliori piani dei topi e degli uomini"...
“[…] I migliori piani dei topi e degli uomini, / Van spesso di traverso, / E non ci lascian che dolore e pena, / Invece della gioia promessa!” (Robert Burns)
Dopo l’appassionante lettura di “Furore” di qualche tempo fa, torno a Steinbeck con questo romanzo breve che affronta i temi sociali tanto cari all’autore: la crisi economica, l’emigrazione verso Ovest, lo sfruttamento, le ingiustizie e le sofferenze che ne derivano.
Sullo sfondo di tutto ciò si muovono i due protagonisti, George e Lennie, in rappresentanza di un’umanità derelitta perennemente in cammino e in cerca, dinnanzi alle asperità della vita, soltanto di una casa e un pezzetto di terra dove mettere finalmente radici e assaporare, se non proprio la felicità, almeno la sua illusione. Intorno a loro tanti altri personaggi molto ben delineati, dal garzone Crooks, vittima del pregiudizio razziale in quanto nero, alla giovane moglie di Curley, tutti sprofondati nell’immobilità di una solitudine da cui appare vano ogni tentativo di fuga.
Un dramma intenso e commovente, dove i sogni, le speranze, le illusioni di ognuno s’infrangono miseramente contro l’imperscrutabilità di un destino purtroppo già scritto. Un piccolo capolavoro del quale consiglio la lettura!
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Lennie e George
Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1937 e tradotto da Cesare Pavese per Bompiani nel 1938, “Uomini e topi” è insieme a “Furore” una delle opere più note di John Steinbeck. Liberamente ispirato alla vita di un paio di personaggi e ad un episodio vero accaduto nel 1920, l'elaborato narra le vicende di due uomini, George Milton, e, Lennie Small, accomunati da un sogno; quello di acquistare un podere.
Originariamente il testo fu pensato quale un dramma ( da qui una prima ipotesi di titolo in “Something that Happened”) perché nella sua concezione questo avrebbe dovuto riportare la vita di tutti i giorni, una realtà incastonata nella California del Primo Dopoguerra che si sarebbe semplicemente incentrata sui fatti e non sulle valutazioni relative al “come” una determinata circostanza “avrebbe potuto essere”.
Lennie, gigantesco e forte uomo dall'animo tenero, gentile e la mente di un bambino, e George, lavoratore stagionale, vigile, svelto e che in tutti i modi cerca di evitare che il primo finisca nei guai, sono idealmente “un tutt'uno” e il tragico finale rappresenta la conclusione del sogno di acquistare il terreno in cui vivere in pace, riproduce ancora la volontà di risparmiare una sorte ignominiosa all'altro ed ulteriormente segna l'accettazione della cruda realtà, la sconfitta.
Altro personaggio chiaramente esplicativo di quella che è la verità americana del periodo storico è senza dubbio Crooks, il garzone di stalla di colore con la schiena spaccata (da qui il nome) e che vive in nel ripostiglio dei finimenti perché i lavoranti non lo vogliono nella loro baracca. E' un uomo altero, riservato, dedito alla lettura, è colui che rappresenta la componente intellettuale della narrazione. Significative le sue parole:
«“Io non sono un negro del sud” disse. “Sono nato qui in California. Mio padre aveva un allevamento di polli, circa dieci acri di terra. I ragazzi bianchi venivano a giocare da noi, e qualche volta andavo io con loro, e ce n'erano di simpatici. A mio padre ciò non piaceva. Non capii mai, se non molto più tardi, perché non gli piacesse. Ma ora ho capito”. Esitò e, quando riprese a parlare, la sua voce si era addolcita. “Non c'era un'altra famiglia di colore nei dintorni, per miglia e miglia. E anche ora non c'è nessun uomo di colore in questo ranch, e una sola famiglia in tutta Soledad. Si mise a ridere. “Quando dico qualcosa, è solamente un negro che parla”. [..] “E' solamente un negro che parla, un negro storpio. Non significa proprio niente, capite? Ma tanto non vi ricordereste. Quante volte ho visto succedere che uno parla con un altro e non importa proprio niente che quello senta o capisca. Il fatto è che parlano, oppure stanno seduti e non parlano. Non importa niente, proprio niente. »
“Uomini e topi” è una novella breve che si propone di essere un'allegoria di quella che la condizione umana e del destino inevitabile di taluni individui che, seppur di buona volontà, finiscono con l'essere travolti dagli eventi senza che di fatto ci sia un perché. L'autore parte dal presupposto che il mondo va avanti e che in esso esistono delle costanti e delle varianti nel comportamento di ciascun suo abitante. Il componimento è dunque espressione di un gesto di ribellione contro la sorte di tanti disgraziati, vittime dei pregiudizi e dell'ingiustizia.
Steinbeck adotta uno stile colloquiale, diretto, realistico. Oltre che alla cronaca degli eventi egli descrive in modo inoppugnabile quella che è la condotta di ciascun uomo. Dà rilievo a tutte le circostanze, a tutti gli avvenimenti poiché questi, anche se apparentemente casuali, sono in realtà parte di un disegno più grande.
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Lennie amico mio
Una scrittura semplice con un linguaggio inusuale, una lettura eccezionale e piacevolissima. Una storia di altri tempi che mi ha toccato e impressionato per la sua estrema concretezza, la storia di due braccianti, amici da sempre, un legame forte e indissolubile. La narrazione è sublime, i personaggi sono tridimensionali nell'aspetto e soprattutto nella psiche, sappiamo cosa fanno, come agiscono e come pensano. Steinbeck ha l’enorme capacità di farci “innamorare” di Lennie, con le sue parole riesce a farci entrare nel suo cuore, le sue “malefatte” risultano quasi perdonabili. Utilizza George quasi come suo alter ego di narratore, lo “istruisce” affinché il lettore entri profondamente nelle vicende raccontate, entriamo nelle loro vite, nei loro sogni.
Un romanzo bellissimo, intenso, profondo scritto da un grande scrittore. Leggendo romanzi di tale spessore e di tanta bellezza si capisce a pieno la differenza tra la Letteratura e il resto.
La difficoltà di una vita fatta di pochi progetti, la continua emigrazione alla ricerca di una paga, con il sogno di stabilirsi, di avere un posto e una terra propria, una realtà che Steinbeck conosce bene e sa dipingere per noi alla perfezione.
Il finale è eccezionale, indimenticabile, l’apice di tutto il racconto.
In una parola: IMPERDIBILE.
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AMAREZZA UMANA
Stati Uniti, California, periodo della Grande Depressione: è lo scenario dove si dà grande rilievo all'intrinseca bellezza ed al fascino di due braccianti stagionali, George e Lennie. Collocati in una azienda agricola dove proprietari e coloni rimangono indistinti, dove pervade un senso di solitudine, il lavoro procede con tenacia e fatica da questi manovali terrieri che a stento dominano le loro forze. E' il caso di Lennie, un grosso omone ritardato mentalmente che non sa contenere le proprie capacità: a fatica il suo amico cerca di controllarlo nei suoi scatti inavvertiti di furia omicida, anche se di piccoli animaletti. I due hanno un sogno - ma chi non li possiede - quello di racimolare un po' di denaro per acquistare una porzione di terreno e costruire una casa tutta per loro. Si vive con patimento e piccoli atti banali si trasformano in dolore e sofferenza: Lennie, ancora una volta, non contolla la sua forza e spezza il collo alla moglie del proprietario del ranch; da questo episodio scaturisce una caccia all'uomo con la prevedibile tragedia. A questo punto George è incapace di proteggere l'amico ed una profonda solitudine incombe in tutti i personaggi: cadono tabù e incertezze in un finale, molto bello e riuscito, dove amore, libertà e semplicità s'intrecciano in un'unione che solo Steinbeck sa fondere in un avvolgente e dissacrante drammatico finale.
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Something that happened
“Something that happened” (Qualcosa che è accaduto) era il primo titolo pensato da Steinbeck per questo suo romanzo, scritto nel 1937 e tradotto in italiano da Cesare Pavese l’anno successivo.
Niente di più e niente di meno di quello che accade nella realtà, lo scatto di una fotografia della vita degli anni ’30 in America, che racconta semplicemente quel che avviene, senza giudizi, senza inutili buonismi o esagerate umiliazioni. George e Lennie, i protagonisti, sono due tra i milioni di lavoranti che vivono la difficile situazione della “Grande depressione”, il lavoro precario, l’indigenza in cui sono costretti a vivere, lo sfruttamento e la vita, che alla fine decide per conto proprio chi premiare e chi punire al di là dei meriti.
Niente di più e niente di meno di un romanzo breve che in un centinaio di pagine crea un pathos tra il lettore e i personaggi, così veri con le loro sofferenze, i loro sogni, la loro ingenuità.
Niente di più e niente di meno del valore di una indissolubile amicizia che legherà i due protagonisti a doppio filo fino alla fine. George lo scaltro, l’amico-tutore, il pensatore e Lennie, la bontà e la leggerezza d’animo di un bambino intrappolate nel corpo di un gigante dalla forza smisurata che egli stesso non sa dosare.
Niente di più e niente di meno della storia di un sogno da raggiungere, come in molti ne hanno, che sembra quasi materializzarsi ma che la vita beffarda decide di dissolvere nella nuvola aspra di un destino ineluttabile.
Niente di più e niente di meno di una scrittura semplice e diretta, nessun virtuosismo, Steinbeck non parla del popolo, parla al popolo. I dialoghi, crudi e taglienti, a volte ripetitivi, ma altrimenti non potrebbe essere, diventano un mantra tenero ed amaro e si stagliano sulle descrizioni placide e poetiche della natura.
Niente di più e niente di meno di una metafora sulla vita, sul suo paradosso, commovente e tragica allo stesso modo.
Niente di più e niente di meno di un libro che va letto come tutti i libri senza età. Cambiano i tempi, i modi, i personaggi, la società, ma alcune realtà non vengono scalfite col passare degli anni, sopravvivono al tempo e rimangono sempre attuali.
Niente di più e niente di meno, 1937-2014, ora come allora.
Buona lettura
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La vita attraverso gli occhi di chi soffre
"Gente come noi, che lavora nei ranches, è la gente più abbandonata del mondo. Non hanno famiglia. Non sono di nessun paese. Arrivano nel ranch e raccolgono una paga, poi vanno in città e gettano via la paga, e l'indomani sono già in cammino alla ricerca di lavoro e d'un altro ranch. Non hanno niente da pensare per l'indomani." Siamo nella California degli anni '30 oppressa dalla grande depressione: il lavoro scarseggia, quel poco che c'è è massacrante, sottopagato e poco duraturo, i braccianti sono costretti ad una vita nomade, cambiano continuamente posto secondo la stagione e le offerte lavorative, non hanno certezze né prospettive, non hanno un progetto, un futuro. Nella stessa condizione si trovano i due protagonisti del libro, George e Lennie, due amici inseparabili che passano di ranch in ranch, di lavoro in lavoro per guadagnare spezzandosi la schiena quel poco di cui hanno bisogno per campare. George è un ometto piccolo ma molto scaltro, Lennie un gigante con la forza di un toro ma con il cervello di un bambino e una naturale propensione a cacciarsi suo malgrado nei guai trascinandoci anche l'inseparabile amico e tutore. Non hanno niente e nessuno, tranne il bene preziosissimo della loro inossidabile amicizia e un sogno: mettere da parte un po' di soldi per avere una casetta tutta loro, un pezzo di terra da coltivare, maiali, galline, persino una mucca. Vivere "del grasso della terra". E poi avranno i conigli, e sarà Lennie ad accudirli, andrà al campo a riempire un sacco di erba medica e lo vuoterà nelle loro gabbie. Un sogno quasi impossibile che proprio quando sembra vicino alla realizzazione si scontra con un amaro e inesorabile destino: allora per George e Lennie ci sarà un'ultima, difficile e struggente prova d'amicizia e d'amore fraterno. Spietata metafora della condizione umana quest'opera di Steinbeck racchiude in poche pagine una forte dose di emozioni grazie al fascino dei personaggi e ad una trama semplice ma molto coinvolgente che tocca tematiche importanti molto care all'autore come la precarietà dell'uomo, la povertà e le ingiustizie sociali. Un libro intriso di realismo, con una prosa semplice che nei frequenti dialoghi rispecchia lo slang povero e sgrammaticato dei contadini dell'epoca per poi salire a livelli più alti nelle bellissime parti descrittive. Ma la vera grandezza di Steinbeck è come sempre la capacità guardare e raccontare la vita attraverso gli occhi di chi soffre, e questo rimane il punto di vista migliore per cercare di capire il mondo e l'unico che possa veramente permetterci di cambiarlo in meglio.
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Dimmi.Cosa?Come sono gli altri e come siamo noi.
Una storia fatta di lavoro e di amicizia, sofferenza e sfruttamento, ingiustizia ed emarginazione sociale, ma anche di controllo e sorveglianza da parte di George, buono e intelligente, su Lennie, fisicamente forte e gigante, ma con mente e cervello piccoli, incapace di misurare e capire le potenzialità della sua forza fisica, capace di trasformare le sue carezze in carezze di morte. Lavoratori inseparabili anche per obbligo e convenienza quindi, sognano un giorno di poter avere una propria fattoria e allevare animali, soprattutto conigli, la passione di Lennie, che lui ama tanto carezzare.
Ma la realtà è diversa e i sogni difficili da realizzare.
Nonostante le raccomandazioni di George siano continue, il povero Lennie continua a sbagliare.
E' molto triste il dialogo che Lennie ha con "la propria testa", sotto forma di signora zia Carla, che gli parla con la sua voce, con la voce di Lennie, e che lui vede davanti a sè come una vecchietta piccola e grassa; questa sorta di coscienza lo rimprovera duramente, e con grande disappunto e disapprovazione gli rammenta che combina solo guai e che non stà mai a sentire nessuno. Che non pensa a George che sacrifica la sua vita per lui, gli fa continuamente piaceri e si priva di qualunque cosa pur di donargliela. George, che invece avrebbe potuto godersi la vita in una casa oppure all'osteria a giocare a biliardo, se solo non avesse dovuto badare a lui.
Solo alla fine ho capito che l'autore voleva trasmettere un messaggio. Che l' amicizia può manifestarsi sotto varie forme.
Nel romanzo ne viene mostrata una, a mio parere la più completa e la più difficile da manifestare, la più disinteressata, la più altruistica, la più pura . Certo non il modo “classico”. Ma ne esiste forse uno?
Il romanzo l'ho trovato un po' lento, nei dialoghi e nello stile, mostra l'età che ha; inizialmente non ho capito dove l'autore volesse portarmi e quindi sono rimasta davvero di stucco. Premetto che non conoscevo affatto la storia.
Questo gesto di così grande umanità mi ha davvero commossa. Ho condiviso pienamente la scelta dell'autore, cioè lo scegliere volontariamente George per compiere l'azione lo trovo la manifestazione più alta a cui l'amicizia possa arrivare. Perchè lui vuole veramente bene a Lennie e quindi vuole che sia lui, che sia ben fatto, subito, in un istante , mentre il vento passa e Lennie lo stà ascoltando.
"Dì ancora, George. Non vai più in bestia?
No, disse George.
Allora posso andarmene, disse Lennie. Andrò sulla collina e troverò una grotta, se non mi vuoi più.
George si riscosse un'altra volta. No, disse. Voglio che tu stia qui con me.
Lennie disse con scaltrezza: Allora dimmi come dicevi prima.
Dimmi cosa?
Come sono gli altri e come siamo noi.
George disse: Gente come noi non ha famiglia.
Raccolgono una paga e poi la sprecano. Non hanno nessuno al mondo che gli importi di loro...
Ma noi no, gridò Lennie felice. Dì come siamo noi, ora.
George tacque un istante. Ma noi no, disse; Perchè...
Perchè io ho te e ...
E io ho te. Ci siamo tutti e due, e c'importa qualcosa di noi, ecco perché, gridò Lennie trionfalmente.
“Lennie gongolò dalla felicità.
Lennie volse il capo.
Tutti ti tratteranno bene.
Non ce l'ho con te. Non ce l'ho mai avuta. Voglio che tu lo sappia Lennie.
Io e te“
"Disse Slim: Dovevate, George. Vi giuro che dovevate. Venite con me.
Curley e Carlson li guardarono andarsene. E Carlson disse:
Che cribbio hanno secondo voi quei due?"
Fine
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Amaro in bocca
Iniziato a leggere perche prima o poi, avrei dovuto leggerlo e così ho cominciato.
Devo dire che la storia si è srotolata così all’improvviso, forse troppo velocemente, che neanche il tempo di capire e metabolizzare che tutto era già finito.
Dovrebbe essere buon segno, significa che la scrittura è scorrevole, certo, in questo caso lo è molto scorrevole, ma qui forse è esagerato, oltre a darmi l’impressione di un libro del battello a vapore è stato come se l’autore avesse avuto fretta di terminare la storia, lasciando a mio parere qualcosa d’incompleto.
Forse saranno state le troppe aspettative che mi ero fatto o forse sarò stato io a non essere stato in grado di entrare in empatia con la storia ma comunque il risultato è scadente, un libro banale, prevedibile e l’unica cosa che non ho previsto è stato il finale, avevo riversato le mie ultime speranze nell’atto conclusivo ad effetto e invece anche questo, vana illusione.
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Esemplare
Uomini e topi, Of Mice and Men, è universalmente riconosciuto come uno dei più grandi racconti della letteratura d’oltre oceano, come l’emblema di un’epoca e di un filone letterario, al pari solo di alcuni grandi capolavori quali per esempio, Furore (sempre dello stesso Steinbeck), Il Vecchio e il Mare o (seppur diametralmente opposto) Il Grande Gatsby, ed è facile capire il perché: con i suoi temi, gli aspri paesaggi rurali, i sanguigni protagonisti dai sentimenti forti e puri, i risvolti psicologici profondi ma immediati, il romanzo di Steinbeck racconta di un’epoca, quella della Grande Crisi e della Depressione, in cui l’America ha vissuto alcuni dei suoi più grandi stravolgimenti sociali e civili, ma racconta anche di uomini, rudi e coriacei, la cui unica colpa pare quella di essere vittime del Sistema, la cui unica virtù è la forza delle loro ambizioni, ovvie quanto può essere il desiderio di sopravvivere eppure così difficilmente raggiungibili in un mondo tanto crudele e violento, come era quello segnato dalla povertà delle campagne americane tra le due Guerre.
Il simbolo di un epoca dunque, e di un filone letterario, ma Of Mice and Men è ancora di più, scritto da Steinbeck col suo stile impareggiabile, che con una parola riesce a raccontare una generazione, con una frase a disegnare un paese, con un dialogo a caratterizzare una società, Uomini e Topi è l’emblema anche dello spirito dell’uomo, della sua fibra coriacea che ogni giorno gli permette di sudare per ore nei campi a rincorrere il sogno di quando potrà finalmente ritirarsi a vita agiata, e della sua umanità, del suo spirito di fratellanza che gli consente di chiamare “amico” proprio colui senza il quale magari riuscirebbe a perseguire il suo agognato obbiettivo, proprio quell’ostacolo insormontabile che si frappone costantemente al raggiungimento del suo sogno: Lennie, il gigante stupido, la creatura perfetta, grande, forte, infaticabile eppure, come per uno scherzo della provvidenza, privo di intelligenza e di coscienza. Ed è proprio in lui che Steinbeck, sempre con un occhio alle interazioni umane, alle dinamiche sociali, crea la figura più bella e più drammatica: Lennie, il condannato alla nascita, l’eterno sciagurato; poiché un uomo simile nel mondo crudele della Depressione sarà sempre fuoriposto, sarà sempre disgraziato, come coloro che mossi dalla sua innocenza o da uno spiccato senso del dovere si legheranno a lui pur sapendo che forse, oggi, forse domani, forse il giorno dopo ancora, dovranno patire la sofferenza del suo abbandono, il dolore della sua dipartita. E tra questi più di tutti ovviamente George, ovvero il suo illegale tutore, colui che proprio per via della sua grande lealtà è costretto ad accudirlo malgrado gli sia costantemente d’intralcio, malgrado rappresenti l’unico ostacolo ai suoi sogni di ricchezza.
Lennie e George, i fratelli non fratelli uno legato all’altro dalla sventura eppure anche da sentimenti puri e introvabili in un mondo privo di valori se non quello del denaro, se non quello del colore della pelle e dell’estrazione sociale. E alla dipartita di uno dei due la trasformazione: la depressione economica che diventa anche depressione psicologica, e l’evoluzione finale del simbolismo del racconto che, in una sorta di gioco di scatole cinesi al contrario, sfrutta la tragedia del singolo per diventare tragedia universale e, agli occhi dell’osservatore neutrale, mero spettatore della vicenda, tragedia dell’incomprensione. “Ma cosa hanno da dirsi quei due uomini, ora?” “Cosa li lega ora?” Si chiede Steinbeck per bocca dello spettatore, quasi terzo incomodo, mentre osserva gli attori del dramma andarsene assieme facendosi forza l’un l’altro. “Cosa li lega ora?”
“Qualcosa che è accaduto” è la naturale risposta, nonché il titolo originario dell’opera, qualcosa che è accaduto in un mondo troppo crudele per concedere degli errori, per concedere ai deboli una pur minima possibilità, qualcosa che è accaduto e che nonostante tutto bisogna superare per poter continuare ad andare avanti, per poter illudersi di realizzare un giorno il sogno, qualcosa che è accaduto, infine, a cui ci si può ribellare soltanto facendo affidamento nuovamente a quella cosa che proprio sembrava venuta meno per colpa della Crisi: la fratellanza umana e l’amicizia.
Tutto questo e Uomini e Topi di Steinbeck un libro, profondo e drammatico, ma anche semplice e sincero, un libro che, narrando di una vicenda comune eppure singolare, specifica eppure universale, con la sua cruda autenticità getta in faccia al lettore le linee guida di tutto un filone letterario, il filone del neo-realismo americano. Questo è, un libro oggi come all’ora di grande attualità, un libro imprescindibile per chiunque voglia definirsi amante della letteratura, un libro che più di ogni altro andrebbe letto in lingua originale per meglio apprezzarne i dialoghi, e gli uomini che si fanno attori di quei dialoghi, per meglio apprezzare quel mondo e lo stile con cui viene rappresentato da uno scrittore dotato della stessa cultura dei più grandi, ma a differenza di molti di loro anche dell’umiltà necessaria per camuffare la sua accurata penna con i panni grezzi e logori del bracciante.
Tutto questo è uomini è topi, un romanzo che in meno di cento pagine rappresenta l’uomo e la sua storia, un racconto che potrebbe essere descritto con innumerevoli superlativi assoluti ma che anche nella più arzigogolata associazione linguistica rimarrebbe pur sempre un grande esempio d’onestà intellettuale e di eleganza.
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Il senso della vita
Un libro che mi è piaciuto tantissimo, uno di quei gioielli che ti rimangono nel cuore e che ti emozionano sempre.
Questo almeno è l'effetto che fa a me questo libro.
Ho anche visto il film con Gary Sinise e John Malkovich, molto bello, lo consiglio per completare una specie di percorso.
Due persone che cercano un riscatto dalla vita che non ha mai offerto loro nulla di buono, cercando,sperando di poter finalmente mettere su una fattoria, con dei conigli bianchi, che per loro non rappresenta una scelta tra diverse soluzioni ma la vita, il poter andare avanti.
Andare avanti in un mondo che non ha pietà dei più umili e deboli, che ti schiaccia ogni giorno, soprattutto a quei tempi.
Allora qual'è la soluzione?
La soluzione è diventare più crudi e brutali della vita stessa, degli altri uomini..........fino a capire di ammazzare il tuo miglior amico per non farlo uccidere in modo più sofferente e crudele dagli altri.
Si, perchè anche questo è Bene.
Questo è uno di quei romanzi che consiglio veramente a tutti.
Soprattutto agli ipocriti, la peggiore razza del mondo, che fanno del perbenismo un vanto e non capiscono la necessità, a volte, della crudeltà della vita.
Ciao a tutti.
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Breve ed essenziale
Un breve e crudo romanzo, con dei bei dialoghi (forse un po' ripetitivi) che entrano nel cuore. Le descrizioni ambientali sono semplici ma evocative, la vita dei lavoratori del Ranch solo abbozzata e di sfondo alla storia che vuole raccontare ben altro. Di certo, il punto di forza del romanzo non è provocare sorpresa nel lettore, dato che il triste epilogo appare evidente fin da subito e pende sulla testa dei protagonisti come una spada di Damocle. Sarà che a me le tragedie annunciate mi lasciano piuttosto indifferente, quindi da questa prospettiva il romanzo non mi ha entusiasmata. Sono coscente del fatto però che il punto di forza sta invece nella scrittura: Steinbeck ha uno stile (se pur molto essenziale) che incanta e ne sono rimasta sopresa. Non avevo mai letto niente di questo autore, ma probabilmente leggerò anche dell'altro appena ne avrò l'occasione.
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Il senso dell'amicizia...
Con una storia toccante e commovente Steinbeck ci trasporta in un’ America tormentata e in crisi. Questa è una storia di amicizia e di umanità, la storia di Lennie e George. Una storia meravigliosa che fa riflettere a fondo sul senso della vita. L’autore ci accompagna dalla prima all’ultima pagina con il suo solito stile semplice e mirato, dipingendo il paesaggio con un tocco di magia. Consiglio a tutti questa commovente storia, che con la bellissima traduzione di Pavese ci porta in anni lontani e ci fa capire come l’umanità fatichi a cambiare e a crescere.
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L’amicizia nel suo significato più profondo
La mania di voler toccare le cose, una forza straordinaria e una mente ritardata sono queste le caratteristiche che mettono spesso in difficoltà Lennie. Ed è a causa di questo che ha perso il lavoro, e con lui George, il suo unico punto di riferimento. L’amico che conoscendo i suoi limiti cerca di dargli buoni consigli e tenerlo fuori dai guai alimentando il sogno di poter un giorno comprare una fattoria e allevare conigli. Ma fino a che punto Lennie saprà tenersi fuori dai guai? E fino a che punto George gli sarà amico?
In questo breve romanzo, da leggere tutto d’un fiato, scopriremo l’America della grande depressione, dei problemi razziali, dei sacrifici lontano da casa inseguendo un sogno difficile da raggiungere. Conosceremo l’amicizia nel suo significato più profondo.
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John Steinbech e Cesare Pavese, due voci in coro
Mi piacerebbe spendere due parole su un collegamento piacevolissimo tra il nostro Cesare Pavese e il grande John Steinbech. Nel 1941, pochi anni dopo la pubblicazione di "Uomini e Topi", Pavese dà alla luce un'opera controversa che per molti aspetti richiama alcuni temi trattati negli scritti del collega americano. La natura, la brutalità dei sentimenti, l'ignoranza, il ritmo frenetico e impietoso del lavoro contadino e la speranza, che in entrambi gli autori si rivela un'illusione finale. Non c'è via di scampo per nessuno, nè per Berto e Talino che vivono il dramma della morte sotto l'urgenza del desiderio, dell'incesto e dell'inanità, nè per George e Lennie che si trovano costretti a rinunciare al grande sogno americano, la terra. Due mondi certamente diversi, due contesti distanti, eppure così vicini.
Ecco, mi piaceva dare un affresco limitato di un accostamento vivissimo tra due realtà così diverse, eppure vicine nella drammaticità di alcune tematiche, una per tutte la solitudine incolmabile dell'uomo.
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Live Together, Die Alone
Solo sei capitoli, brevi, secchi, come degli schizzi su tela, per rappresentare il dramma di George e Lennie, che introducono la storia percorrendo a piedi una strada, che sembra non avere inizio, e forse neanche fine, ma che li sta portando verso la fattoria, dove sono attesi come braccianti occasionali.
George è quello basso di statura, Lennie, invece è quello grande e grosso, ha mani enormi come pale e una forza smisurata, ma ha l’intelligenza di un bambino e non può aprire bocca senza il consenso di George, ha combinato diversi guai in passato perché ha un’insana passione per gli animali pelosi.
Dopo qualche pagina, nel microcosmo di Lennie e Georgie si aggiungono il vecchio Candy, oramai addetto alle pulizie delle camerate, a seguito di un grave incidente ad una mano, Slim il cowboy triste, Crooks, lo stalliere di colore, cinico e arrabbiato perché sente ancora bruciare sulla pelle la segregazione razziale e Candy, la moglie di Curley, il figlio del padrone, che con la sua bellezza assurda e fuori posto si muove liberamente all’interno della fattoria, e per questo risulta tremendamente e volutamente provocante.
La tensione è nell'aria perchè siamo nel duro ovest poco prima della seconda guerra mondiale, dove si respira il lavoro faticoso dei campi, l’emarginazione dei neri, la solitudine, i sogni e le speranze, la disperata ricerca della felicità, così vicina eppure irraggiungibile.
“Ho veduto centinaia di tipi arrivare per la strada e per i ranches, coi fardelli sulla schiena e la stessa idea piantata sulla testa. Centinaia. Arrivano, si licenziano e se ne vanno, e tutti fino all’ultimo hanno il pezzetto di terra nella testaccia”
Quante pagine fanno un grande libro? A John Steinbeck ne bastano poco più di un centinaio per fare un capolavoro.
"A guy goes nuts if he ain't got nobody. It don't make any difference who the guy is, so long as he's with you. I tell ya, I tell ya, a guy gets too lonely, and he gets sick."
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Una dura amicizia
Non ho ancora letto Furore (cosa che farò molto presto, appena smaltisco qualche libro che ho gia in "lista", anche se lo so, avrei dovuto leggerlo già molto tempo fa) che, a quanto tutti mi hanno detto, è il migliore di Steinback. Per quanto mi riguarda, Uomini e topi è sicuramente il più bel libro che abbia mai letto. Una storia di uomini comuni, nullità per quel tempo e quella società, il lettore viene trascinato al loro fianco, segue l'evolversi degli eventi, si affeziona al povero Lennie fino al tragico epilogo. Assieme alla storia e ai personaggi di rara profondità, si apprendono anche le condizioni di vita dei braccianti dei ranch americani dei primi del '900. Ma, in fondo, è la storia di un'amicizia e Steinback ci fa vedere un lato dell'amicizia che forse ancora non conoscevamo.
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Nullità e anime
Il mio primo grande amore è stato Steinbeck.
Dopo "La Valle dell'Eden" (il film mitico riporta solo le ultime 100 pagine di questo immenso racconto), ho iniziato a divorare tutto ciò che trovavo in biblioteca di questo autore che canta le storie aride e desolanti della grande recessione, il famoso '29 americano che scombussolò tutto il mondo e portò ripercussioni incredibili anche in Europa (ultima, ma non ultima, la seconda guerra mondiale). Canta di storie di gente umile, che ha perso tutto e con ostinazione, coraggio, rabbia, follia, disperazione, si sposta in vista di un futuro migliore.
Epico, per me, "Furore", di una struggente bellezza e con un finale meraviglioso in cui la speranza ha una descrizione che cava il cuore dal petto.
Ma parliamo di "Uomini e Topi".
Anche questa storia di ultimi, di nullità che per un caso si incontrano e fanno un'unione imbarazzante, scomoda, ma dolcissima.
Una storia di emarginati, sudore e soprusi. Una storia ai margini dove si scopre che lo sporco e il folle non sono reietti, ma parti di esseri umani che vivono con noi. E fanno parte di noi.
La protezione che entrambi prendono e danno è totale. Da una parte ingenua, ma istintiva. Dall'altra ragionata, ma unita da una responsabilità che sconfina con l'amore.
Non amo mai parlare della storia, nelle recensioni. Lascio solo uscire quello che secondo me è il messaggio che ho ricevuto.
E con Steinbeck trovi sempre il diamante dell'essere umano anche sotto quintali di rifiuti.
E'un libriccino, scorrevole e si legge in fretta. Poi deciderete se mangiare anche gli altri acini di questo grappolo.
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Uomini e topi
Ho deciso di approcciare Steinbeck iniziando dalla lettura di questo romanzo breve ed è stata una scoperta piacevole e interessante.
Ricordiamo che la data di pubblicazione del libro risale al 1937 e fotografa la situazione economica e sociale americana degli anni successivi alla Depressione, anni caratterizzati da un enorme flusso migratorio verso le terre dell'Ovest, in cerca di lavoro e sostentamento.
I protagonisti, Lennie e George, fanno parte di questa folta schiera di disperati in cerca di un lavoro che gli permetta di sopravvivere e appartare il denaro necessario per poter realizzare il loro sogno, ossia acquistare una fattoria, per poter vivere liberi e indipendenti dal giogo di un padrone.
Il romanzo vuole essere realistico e crudo, dando voce alla più profonda sofferenza umana, allo sfruttamento e alle ingiustizie perpetrate ai danni di uomini piegati dall'indigenza e costretti ad una vita da schiavi alle dipendenze di proprietari terrieri feroci e disumani.
Il racconto, pur nella sua brevità, è agghiacciante, per la nitidezza delle immagini offerte al lettore e il pathos sprigionato dalle vicende che coinvolgono i protagonisti. Impossibile non commuoversi durante la lettura di queste pagine che sono tragiche e dure, ma a tratti temperate da immagini di estrema dolcezza e sensibilità, come le descrizioni poetiche di una natura serena e incontaminata dalle brutture umane oppure come la rappresentazione di sentimenti profondi di amicizia e solidarietà che legano uomini segnati da un comune destino.
La trovo una lettura preziosa, altamente coinvolgente, intensa ed ancora attuale, visto che il problema dell'emigrazione, della fuga da contesti di povertà, del rischio di cadere in nuove forme di schiavitù, si ripetono ciclicamente nella storia, seppur sotto forme diverse.
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