Sulla strada Sulla strada

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    15 Mag, 2020
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Strade

«Ma allora danzavano lungo le strade leggeri come piume, e io arrancavo loro appresso come ho fatto tutta la mia vita con la gente che m’interessa, perché per me l’unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi artificiali colo giallo che esplodono come ragni traverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno “Ooohhh!”»

Oggetto centrale dell’opera di Kerouac è il viaggio come fuga dalla quotidianità e da quella freneticità febbrile che caratterizza sempre più le nostre esistenze. Protagonista dell’opera, nonché portavoce della cd. “Beat generation” in perfetta contrapposizione con la cd. “Lost generation” propria di Hemingway e Fitzgerard, non è altro che Dean Moriarty, giovane dissoluto che attraversa da una costa all’altra l’America con una vasta molteplicità di coprotagonisti che si intervallano nell’arco della narrazione. Elemento costante in questa è dato da questa volontà di dissoluzione che si manifesta in una voglia continua di dimenticare la realtà per mezzo di serate e nottate in libertà da pensieri e responsabilità e in compagnia di avvenenti donne, sogni, illusioni, whisky, sigarette e marijuana per poi risvegliarsi al mattino con un incessante senso di inutilità. In questa ottica il viaggio da modalità di fuga dal lavoro e dall’esistenza vissuta, diventa la vita vera e finisce con l’assumere i connotati della non omologazione a quella società americana da cui gli eroi delineati rifuggono.
Tuttavia, per quanti meriti contenutivi possano essere riconosciuti all’opera, devo riconoscere di non esserne rimasta particolarmente colpita e di non essere riuscita a farmi travolgere da questa generazione che ho vissuto come molto lontana dalla mia prospettiva e dagli insegnamenti ricevuti. Ho trovato i protagonisti grotteschi, alla ricerca della “strada più facile” per la risoluzione dei problemi, alla ricerca di un qualcosa di spasmodico ma ignoto perfino a loro stessi e ho trovato forzata questa voglia di evasione basata sul trinomio alcol, sesso e sostanze stupefacenti. Ciò perché le voci presentate sono emblema di una generazione di uomini e donne eterni bambini e per questo totalmente refrattari all’assumersi qualsivoglia responsabilità. Una beat-itudine che lascia qualche perplessità.
Al tutto si somma uno stile narrativo caotico, poco evocativo, ridondante, scarno e caratterizzato da un alternarsi di periodo brevi ad altrettanti avvalorati da espressioni comuni del parlato che finiscono con il rendere disomogenea la narrazione e farraginosa la lettura.
Un elaborato che divide e che riesce a convincere soltanto in parte.

«Qual è la tua strada amico?... la strada del santo, la strada del pazzo, la strada dell'arcobaleno, la strada dell'imbecille, qualsiasi strada. È una strada in tutte le direzioni per tutti gli uomini in tutti i modi.»

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cristiano75 Opinione inserita da cristiano75    01 Novembre, 2019
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Come ti creo il mito americano

Gli americani sono geniali nel creare il proprio mito, nell'esportarlo al mondo e porre le basi del loro impero.
Hanno usato nei decenni, libri, film, attori, attrici, cantanti, musiche, tirato su città scintillanti, autostrade infinite, paesaggi da sogno.
Questo romanzo di Kerouac rientra a pieno titolo tra le pietre miliari che hanno fatto degli Stati Uniti la nazione di riferimento nelle mode e nei costumi del mondo occidentale.
Un libro che ha un fascino senza fine, sin dalla leggenda che narra, che l'autore usasse anche la carta igenica delle stazioni di servizio che incontrava lungo il suo pellegrinare tra uno stato e un altro, per tirare giù le proprie riflessioni.
E un America, sporca, malfamata, popolata da straccioni, rifiuti umani, battone, drogate, perdigiorno.
Autostrade a 12 corsie. Tir. Stazioni di servizio messe nel nulla.
Si incontrano questi due ragazzi, poi si uniscono anche le femmine e vanno da una parte all'altra del paese senza un apparente meta.
Leggendo le pagine, come si fa a non sognare questa libertà, questo gusto dell'ignoto, il fascino di rimediare un dollaro per prendersi un panino.
Fare all'amore sotto una volta stellata.
Il destino di questi ragazzi è anche il destino di un popolo intero, che è sempre stato un popolo nomade, senza un identità precisa, pieno di contraddizioni e contrasti.
Spietato e dissoluto, marchiato a fuoco dal Dio del dollaro.
Praterie sconfinate, sogni senza fine.
Dopo tanti anni i due amici si ritroveranno, saranno quasi estranei, la vita li ha segnati e devastati, ma avranno con loro i ricordo di un periodo della propria esistenza in cui contava solo l'amicizia, l'amore e la libertà. Vi sembra poco?

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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    19 Febbraio, 2019
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Asylum Generation

Ho comprato questo romanzo diviso tra curiosità e timore. La curiosità era dovuta alla massiccia ristampa delle opere di Jack Kerouac, soprattutto da parte di Oscar Moderni Mondadori, che possiede tra le sue file tantissimi autori che amo; il timore era una sensazione non meglio definita, ma che comunque ha determinato il passaggio di un buon periodo di tempo dall’acquisto del libro alla sua effettiva lettura.
Il mio timore ha trovato un nome solo una volta cominciato a leggere.
Non sono mai stato un lettore che si delizia con le storie di puro e semplice viaggio; sarà che sono un tipo a cui i viaggi piace farli in prima persona, ma non sono un estimatore di questo tipo di “storie”. Poi, riflettendo, mi sono reso conto che tra i miei libri preferiti ci sono anche lunghi tratti in cui i protagonisti sono impegnati in viaggi del genere. Allora, qual è stato il mio problema con “Sulla strada” di Jack Kerouac?
Che è solo viaggio e non molto di più.
Certo, in molti lo prendono a manifesto della famigerata “Beat generation”, la gioventù bruciata di cui Kerouac ha fatto parte e si è reso portavoce, ma devo dire che questa generazione mi è risultata insensata, folle e per niente intrigante; sicuramente priva del fascino della “Lost generation” di Hemingway e Fitzgerald. Dunque quasi quattrocento pagine di viaggio da una costa all’altra dell’America (per ben tre volte), accompagnate da intermezzi in cui i protagonisti si danno a un’insensata pazza gioia in cui mettono tutto a ferro e fuoco (compresi sé stessi) mi sono risultate piuttosto ostiche. Non ho provato empatia per i personaggi, se non per brevi tratti. È chiaro che sia una generazione anch’essa perduta, che cerca incessantemente il suo posto nel mondo senza mai trovarlo, ma detto in tutta sincerità mi è parsa una generazione di bambinoni incapaci di crescere, che fuggono incessantemente dalle proprie responsabilità.
Oltretutto c’è una cosa che mi sono chiesto: il personaggio di Dean Moriarty è quello che, a quanto mi è parso di capire, meglio incarna la “Beat generation”. Com’è possibile che un personaggio che viene preso a simbolo di una lunga schiera di persone risulti inverosimile? È forse volutamente esagerato e portato al limite? È sempre super accelerato, sembra che vada al triplo della velocità rispetto agli altri; grida all’improvviso senza motivo; te lo ritrovi nei locali a sbavare dietro ai musicisti, incitandoli a suonare come un pazzo scatenato. Cambia moglie come cambia i pantaloni, sembra amare una più di tutte, un minuto dopo cambia idea, quello dopo torna indietro, poi cambia ancora. Altro che “Beat generation”, questa è roba da manicomio.
Mettendo da parte l’incapacità di trovare una connessione coi personaggi, devo dire che è tutto davvero troppo lungo e ripetitivo. Questa “storia”, forse, avrebbe potuto essere raccontata con meno della metà delle pagine e sarebbe stata apprezzata di più, almeno per quanto mi riguarda. Non vi nascondo che ogni volta che il protagonista, Sal Paradise (che non è altro che l’alter ego di Kerouac), decideva di partire di nuovo verso la costa opposta dell’America, sentivo un colpo al cuore. “Ancora? Oh no”, pensavo, perché sapevo che mi apprestavo a leggere qualcosa di molto simile a quello che avevo appena finito di leggere. Paesaggi (ben descritti, per carità, ma una volta mi basta), sbronze allucinanti nei locali di varie città, follie inspiegabili.
Come dicevo prima, la mia opinione è sicuramente influenzata dai miei gusti di lettore: posso leggere anche pagine e pagine di caratterizzazione psicologica, ma non riesco a immedesimarmi in pagine e pagine di descrizione dell’ambiente. C’è sicuramente un tipo di lettore che è tutto l’opposto, ed è forse a questo tipo di lettore che è più consigliabile la lettura di questo romanzo.
Dimenticavo; la mia curiosità era dovuta anche al fatto che io amo letteralmente gli autori, i paesaggi e le storie americane. Ma un grande autore, per me, è anche chi riesce a dare un equilibrio, a non eccedere in un aspetto a dispetto di un altro; che riesce a calibrare bene tutto: descrizioni dell’ambiente, caratterizzazione dei personaggi, tessitura di una buona trama (anche se questo non è un aspetto fondamentale). Vedevo in Kerouac un autore che potenzialmente avrei potuto aggiungere ai miei preferiti. Purtroppo, il primo approccio è stato traumatico e non so se leggendo altro io possa cambiare idea. Considerato che “Sulla strada” è considerato il suo capolavoro, la vedo dura.

“A quel tempo danzavano per le strade come pazzi, e io li seguivo a fatica come ho fatto tutta la vita con le persone che mi interessano, perché le uniche persone che esistono per me sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle e nel mezzo si vede scoppiare la luce azzurra e tutti fanno «Oooooh!»”

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LIsaRay Opinione inserita da LIsaRay    29 Luglio, 2017
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SOLO PER I VERI AMANTI DEL GENERE

Molti mi avevano consigliato questo libro e, da amante della letteratura americana, mi ci sono cimentata.
Devo ammettere che è stata una lettura a tratti un po' faticosa, soprattutto dalla metà in poi, quando le storie non facevano altro che ripetersi.
E' consigliato leggere questo libro soprattutto per l'importanza storica, ovvero poiché viene considerato il manifesto della beat generation. Infatti questa gioventù bruciata viene descritta a 360° in maniera molto dettagliata e assillante. Dopo un po' il succedersi di queste stravaganze diviene quasi noioso e probabilmente, l'idea dell'ansia di vivere pienamente, viene tramandata perfettamente.
Ma è una pienezza distaccata, ridondante, ripetitiva. Il narratore si focalizza sui nomi delle strade, delle città, delle donne che incontra... ma raramente emergono i sentimenti interiori e le descrizioni che mi aspettavo di leggere sulla selvaggia e grandiosa America, sono praticamente assenti.
Avrei preferito leggere un'opinione più personale dell'esperienza, che risulta invece distante, quasi come se fosse avvenuta molto tempo prima per il narratore.

Se nella prima parte lo stile risultava quasi piacevole, che con poche parole riusciva ad evocare (ma mai descrivere) una città americana, con l'andare del libro e il ripetersi delle situazioni, la lettura si fa faticosa.
Non solo per questo ho dato una bassa valutazione allo stile, ma anche perché il suo modo di scrivere lo trovo molto scarno: pieno di punti, periodi brevissimi e molti frasi del parlato inserite un po' ovunque che a tratti i hanno ricordato lo stile de Il giovane Holden.

In un certo senso questo libero è un'opportunità sprecata, visto che la storia è davvero ricca (fin troppo) di eventi che potevano essere più coinvolgenti.
Serve un altissimo spirito americano per poterlo apprezzare appieno, anche se è molto lontano dai capolavori della letteratura di questo Paese.

Piacevole per certi aspetti, scorrevole e incantatorio, ma decisamente troppo lungo e ripetitivo.

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Solo per chi è davvero appassionato della Beat Generation
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Bipian Opinione inserita da Bipian    29 Aprile, 2017
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Sulla maledetta strada

Prima di aggiungere il mio contributo a quanto già ampiamente scritto su questo celebre libro precursore della beat generation, mi sono soffermato sulle numerose recensioni precedenti (cosa pericolosissima perché sembra sempre che sia già stato detto tutto). La considerazione che ne consegue: è un libro che ha diviso i lettori. Molti l’hanno detestato, altri ne hanno riconosciuto i meriti e l’importanza. Io mi schiero subito dicendo che appartengo ai secondi, anche se è indubbio che il contenuto e soprattutto il modo di scrivere di Kerouac possano spiazzare e talvolta irritare.

Il tema del viaggio come fuga dalla quotidianità e dall’ingranaggio in cui ci costringe la società è trattato in maniera febbrile, frenetica, a tratti minuziosa e con dei particolari di per sè irrilevanti che il narratore sceglie di includere. Per comprendere questa scelta credo occorra essere stati almeno qualche volta sotto l’effetto di alcool e marijuana, assieme a degli amici. La percezione si amplia e si distorce a dismisura, certi dettagli (un paesaggio, un’ombra, un sorriso, un tono di voce, un colore, perfino un oggetto artificiale) vengono associati a degli stati d’animo, escono dal loro normale e spesso anonimo contesto in cui la nostra coscienza li categorizza ed assumono un significato nuovo, esaltante o deprimente a seconda dell’umore. Ci si stupisce di questo cambiamento rivoluzionario di prospettiva e si è sopraffatti dall’urgenza di cogliere l’attimo fuggente e di comunicarlo il più fedelmente possibile agli amici.

Ed ecco che il vero protagonista del libro Dean Moriarty, amico del narratore Sal Paradiso, che lo segue durante una serie di quattro viaggi attraverso gli Stati Uniti ed il Messico, è un vulcano di sensazioni e aneddoti da esprimere, sviscerare, interpretare, in maniera compulsiva e continuativa, con l’ingenuità e lo stupore di un bambino. Le parti in cui i due inseparabili amici - che sono la trasposizione di Jack Kerouac (Sal) e Neal Cassady (Dean) - si sbronzano o assumono qualche sostanza si dilatano, le pagine si infittiscono e si moltiplicano di dettagli e il lettore è catapultato nelle loro interminabili baldorie nei bar di Denver o nei bordelli messicani.

Concordo con molti recensori che le descrizioni delle pazze notti americane di due ubriaconi possano non suscitare molto interesse, ma trovo che questo stile narrativo, comunque originale e innovativo, metta a nudo in maniera autentica anche l’autore e le sue esperienze.

Ne esce un uomo diviso, solo, alle prese con un passato che non riesce a risolvere. Inizialmente, nel primo viaggio da New York a San Francisco, Sal appare più spensierato ed euforico, incontra e lascia un sacco di amici, con la leggerezza di chi è sicuro di ritrovarli. Ma gradualmente e specialmente nei viaggi successivi, la percezione di se stesso, delle persone che lo circondano e delle loro vite si offusca. La precarietà di un viaggio che assume spesso i connotati di un vagabondaggio, punteggiato da grosse sbornie, che il giorno dopo lasciano soltanto l’amaro in bocca e un senso di inutilità, simboleggia e infine diventa la precarietà della vita stessa. Il viaggio, che doveva essere un modo per evadere dalle miserie della vita lavorativa, diventa la vita autentica dell’uomo, ma l’uomo per mancanza di forza e per la volontà di non omologarsi al sogno americano diventa vagabondo, schiavo della strada ed escluso dalla deprecata società.

E pensare che Kerouac è considerato il padre della beat generation perché ricercava la beat-itudine nell’evasione, nell’alcol e nelle droghe. Invece è morto alcolizzato e a nulla sono valsi i ripetuti tentativi dei suoi compagni di viaggio di salvarlo. Il colpo di grazia probabilmente è stata la morte dell’inseparabile Neal Cassady, morto assiderato sui binari di un treno, quel Dean Moriarty, farabutto e folle, pirata ed asso della strada, papà di molti figli disseminati coast to coast, eterno bambino e sognatore, instancabile parlatore, vagabondo e formidabile bevitore che assieme al più riflessivo e malinconico Sal, ci stanno a testimoniare a quali rischi si va incontro quando ci si incammina su quella maledetta strada.

“Sulla strada” è un’opera estremamente simbolica: è considerata da molti l’inizio di un’epoca, la beat generation, con tutti i movimenti che ne sono derivati, gli hippy, il pacifismo, il ’68, ma vi si può leggere col senno di poi anche il presagio della fine e dell’autodistruzione. Cosa rimane oggi dei Kerouac e dei poeti maledetti? Dove sono i figli dei fiori e quelli che credevano in un mondo migliore? Dove gli studenti filosofi e un pò intellettuali? Dove il popolo di Seattle e i no global? Si sono o li hanno suicidati. Alcuni sono morti di cirrosi o di overdose. Alcuni hanno indossato abiti più eleganti, altri sono entrati in banca, ripudiando l’inutile filosofia. Quasi tutti hanno comprato casa. Molti si sono rincitrulliti con le miniserie e la Playstation, viaggiando non più sulla strada ma comodamente sdraiati sul divano. Alcuni da Seattle sono arrivati a Genova ed hanno visto i black-block e poi non si è visto mai più nessuno. Alcuni sono usciti dal gruppo, ed ancora sperano e pensano, ma da soli, e da soli non contiamo nulla. Forse è il tempo di tornare sulla strada...

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fede.book21 Opinione inserita da fede.book21    23 Marzo, 2016
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fiumi di parole

Devo essere sincera, ho fatto un po' di fatica a leggere questo libro.
Ne avevo sentito tanto parlare, ne hanno fatto il film e poi l'ho spesso trovato nelle liste di libri da leggere almeno una volta nella vita quindi ero davvero curiosa e interessata.
Mi ha completamente sorpreso e destabilizzata. Da un lato mi aspettavo qualcosa di diverso e più impostato, non fiumi di parole, molto spesso incasinate e senza logica; ma dall'altro lato è comunque un testo che ti culla e ti trascina nel suo scorrere e neanche te ne accorgi.
A me ha lasciato molta confusione in testa e molto spesso mentre lo leggevo mi veniva da chiedermi ''e quindi?'' ma non è un libro con la presunzione di insegnare o di dare un senso alla vita. Semplicemente è una storia che rispecchia in pieno i suoi personaggi: senza trama, folli , innamorati della vita e della strada, qualunque essa sia e ovunque li porti, l'importante è che non si farmi mai.
Quindi tra eccessi, discorsi confusi e lunghi viaggi non lo si può definire un libro per tutti, si può leggere un capitolo ogni tanto o tutto d'un fiato. Dategli una chance, leggete qualche pagina e se proseguite bene altrimenti non c'è problema non vi perdete nessuna trama, semplicemente avrete percorso qualche folle chilometro con Dean, Sal e tanti altri, su lunghe bellissime strade americane e messicane.

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Rebel Luck Opinione inserita da Rebel Luck    06 Marzo, 2015
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L'ansia di dover vivere.

Chi non ha mai sognato di mettersi uno zaino in spalla, mandare tutti e tutto affankulo e partire in autostop...
Io l'ho desiderato troppe volte, ma sempre i miei viaggi cominciavano alla sera e finivano alla mattina, devastato da alcolici ed altro, alla ricerca di qualcosa che non c'era.
Sal Paradise e Dean Moriarty nella mia vita sono esistiti davvero, avevano altre facce ed altri nomi, noi alla mattina però dovevamo alzarci dopo poco più di un ora di sonno, e con le nostre numerose scimmie sulle spalle dovevamo tornare a fare gli schiavi della società, gli schiavi di quel "dovere" che la famiglia e la società ci ha impresso indelebilmente e di cui possiamo solo sognare di liberarci.
Jack Kerouac, scrive questo viaggio autobiografico nel nulla e nel tutto, ma sopra ogni cosa "nell'ansia di vivere" sotto lo pseudonimo di Sal Paradise, mentre cerca di inseguire questa angosciosa ricerca dell'essere vivo e di vivere davvero, uscendo da una malattia bastarda che è la depressione, insegue Dean Moriarty.
Dean è la vita, la vita quando hai vent'anni quando sei tutto frenesia ed energia, quando tutto è possibile e niente è indispensabile, Dean è l'amico tosto quello giusto che tutti inseguono ed imitano, quello che non riesce mai a stare fermo, Dean Moriarty siamo noi quando riusciamo ad essere quello che vorremmo essere, quando per brevissimi attimi di vissuto vero riusciamo a liberarci delle catene e dei dogmi che ci hanno messo.

Simbolo stesso della Beat generation, la maggior parte del significato di questo libro non è nelle parole scritte, non è nei periodi o nelle pagine, il novanta per cento del significato di questo libro lo si scova non scritto ma tra una riga e l'altra.
Quello che ci si trova dipende da se stessi dal proprio animo e dal proprio umore. Io ho letto questo libro tre volte, in diverse fasi della mia vita ed ogni volta l'ho trovato diverso, ogni volta ho avuto l'ardire di giudicarlo ed ogni volta il mio giudizio ha ribaltato il precedente.
La prima a 19 anni e l'ho trovato irritante, la seconda a 26 anni e l'ho trovato illuminante, la terza a 34 anni e l'ho finalmente capito nel suo significato e nella sua interezza.

Penso che la recensione unica, vera e possibile per questo libro sia: VIVETELO non leggetelo ma vivetelo.

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Rob89 Opinione inserita da Rob89    29 Novembre, 2014
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Far parte di una pazza combriccola di viaggiatori

Ho appena finito di leggere questo libro. Mi mancano già i personaggi.
E' una di quelle storie che ti fanno entrare in contatto con i protagonisti. Li chiami per nome e spesso ti ritrovi a dar loro pure consigli su cosa fare dinnanzi a certe difficoltà. Strana ma bella sensazione questa, I personaggi sono vivi ed escono fuori dal libro. Mi mancano già, come se per il loro lungo viaggio lungo l'America fossero passati qui da casa mia, fossero entrati stravolto la mia vita e fossero ripartiti, come in fondo fanno in queste pagine. Partono, arrivano e ripartono, mai fermi per un lungo periodo nello stesso posto.
Riporto una citazione che mi ha spinto a leggere Kerouac:
"Tu e io, Sal, esploreremo il mondo intero con un'automobile così perché, amico, in fondo la strada è fatta apposta per farci girare il mondo" .

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consigliato a chi vuole leggere un racconto su un viaggio. A chi sente il bisogno di evadere dalla realtà.
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ChiaraNirta Opinione inserita da ChiaraNirta    03 Ottobre, 2014
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Un viaggio lungo l'infinito

"A me piacciono troppe cose e io mi ritrovo sempre confuso e impegolato a correre da una stella cadente all'altra finché non precipito. Questa è la notte e quel che ti combina. Non avevo niente da offrire a nessuno eccetto la mia stessa confusione."
La perfetta equazione sovrastante è tratta dall'eminente libro "On the Road", concepito con lacrime di sangue e confusione (una brina di senzazioni comune a tutti i veri scrittori), che Jack Kerouac conosce bene. On the road, come spiega il titolo è un un viaggio (infinito) che ci porta sulla strada. Il protagonista Sal Paradise, nonché alterego dello stesso autore decide di intraprendere un viaggio a rotta di collo con una combicola di amici, tra cui spicca la personalità smaniosa, interrotta e folle di Dean Moriarty. Questo cammino si sciorina gradatamente tra picchi di perversione, fughe alluginogene e mete che non si capisce mai quali siano se non prima dello stesso arrivo, arrivo a cui si accavalla già la prossima partenza, come un'impossibilità a stare fermi, come una necessità a protendersi sempre verso l'infinito. Sal, avrà presto modo di capire che il suo amico Dean è totalmente inaffidabile. Inaffidabile perché non può sfuggire a un destino superiore, quello del disperso... è costretto a seguirsi e mai a seguire. Dean, che vive ogni passo bruciando e corrodendosi, Dean che vive appieno ogni sensazione fino a sentir male alle ossa, a sentirsi raschiare la gola e allora suda, gronda il solo peso d'esistere che gli svapora addosso: un fiume in piena sotto le ascelle, tra le gambe e le mani, tra i capelli zuppi. Gli occhi sempre sgranati e spiritati come per accogliere tutti i fermo immagine del mondo. Dean che ha due donne, ma che all'occorrenza quando il viaggio canta il suo richiamo di dispersione non perde occasione per lasciarle e seguire il suo stesso disadattamento, la sua condanna, un viaggio eterno verso il nulla e verso il tutto. Dean trascina. Lo stesso Dean che ritorna dalle sue dame e giura amore e castelli in aria, e le ama davvero, si prostra per implorare il loro perdono ogni volta che s'illude di potersi fermare, di potersi borghesizzare, come un romantico invasato ottocentesco che venera la donna illibata, l'angelo del focolare e della purezza, emblema come il nespolo dei Malavoglia verghiani della famiglia per antonomasia. Ma non si può ricostruire perfattamente un vaso già crepato in più punti. E' infatti lo stesso uomo licenzioso che affoga nella libidine, nelle droghe, nel rumore assordante della città, è lo stesso che danza come un baccante a ritmo Jazz, nei negri vicoli malfamati dell' Ohio, a San Francisco, a Danver, come se ogni centimetro di terra fosse stato contaminato e benedetto dalle impronte delle sue scarpe, ovunque Dean ha firmato il suo arrivo e la sua partenza poco dopo, assieme a Sal che lo segue. Sal Paradise, apparente protagonista che quasi assorbe il trascinante ritmo di Dean, ma che è solo la sua spalla destra e forse neppure, dell'eroe di questo libro. L'eroe malfamato e sottovalutato Dean, Eroe dei perdenti. Ogni viaggio e ogni tappa che consegue sembra abbacinata da ombre di lussuria, di alcol, di sregolatezza, di personaggi sciancati e coi denti rotti, poveri diavoli ai margini della società avrebbe detto di loro Giovenale, sordidi e viziosi, avrebbe aggiunto e concluso. Ernesto de Martino e Capossela forse sarebbero stati più magnanimi, definendoli semplicemente tarantati, ammalati e adepti del Ballo di San Vito, senza redenzione dall'Apostolo delle genti, come Pantalea di Giuggianello e i tanti che speravano in Galatina, la chiesa madre della redenzione al movimento. Ma sembra che per Sal e Dean non ci sia mai stata una cura, se non scrivere e raccontare quell'ammasso di macerie che era la loro vita e che si è andato accumulando durante viaggi pazzeschi fatti di corse sotto le stelle, finché sognare, per dirlo alla De Andrè sarebbe loro costato uno spruzzo di sangue dal naso, per lo sforzo. Per quanto mi riguarda, questo libro, assemblato su orme e impronte lasciate a germogliare a ridosso dei selciati di tutto il mondo, e non solo sotto cieli americani, ma fra tutte le nebulose della Via Lattea, talmente è infinito e ininterrotto non si porta appresso né un inizio e men che meno una fine. E' un perenne protendersi verso un altrove, un altrove che è qui e poco dopo non c'è più. Quel Non Luogo indefinito che ci manca nostalgicamente speziato d'oriente quando siamo partiti, che abbiamo bisogno di ritrovare solamente ritornandoci. Il bisogno di ritornare, quello che anche il Langarolo Pavese ha tanto decantato nel suo capolavoro "La Luna e i falò". Il ritorno è un tema caro un po' a tutti gli scrittori, almeno tanto quanto è caro l'andare, la fuga, gli scrittori io amo definirli degli "Scappati". Sono scintille vacue: come luci in lontananza appaiono e scompaiono lasciando a bocca aperta chi li osserva, facendo percepire un senso di lontananza e un sapore di promontori inarrivabili, come se si aprissero alla vista soltanto per dissolversi l'istante dopo. Jack Kerouac ha dato vita a un grande capolavoro, i temi principali non solo il viaggio e il disadattamento, ma il ritorno, l'oscurità della comunicazione che sventa se stessa mentre avviene, perché la soggettività si pone prima delle parole deviandone il senso (quasi per un omaggio a Luigi Pirandello, quello che ci aveva avvertiti tutti). A galleggiare in questo minestrone di vitemmorte al confine, tra queste pagine imbevute del sudore di Dean, c'è l'impossibilità del pago. Si capisce scavando che l'essere umano è nato con accanto il cordone ombelicale e l'insoddisfazione, si capisce che ogni posto stanca, e che un divano tappezzato di seta può non essere comodo come una panchina logorata sulla quale stratracannano birra giovani amici in compagnia di vecchi ricordi. Si capisce come le cose cambino se solo ci si sposta di un centimetro per osservarle diversamente. Si capisce quanto la falsa sicurezza della borghesia abbia fallito innanzi alla precarietà della vita, quanto' il benpensante economicamente ostentato possa essere ipocrita rispetto all'immagine denigrata del barbone che canta nenie in compagnia di fuoco e cassonetti putrescenti, quanto la carezza di una prostituta la carezza di una prostituta possa essere più sincera dello sguardo languido-costruito di una verginella dabbene, certe volte, forse. Si capisce quanto le personalità troppo accese e maledetta sopravvivano a loro agio di notte come cani bastardi e randagi digrignando i denti per scippare un tozzo di pane o la libertà. Ci sono molte gradazioni in On The Road, chi vuol salire a bordo di quella macchina di pazzi, si convinca di non far più ritorno realtà, non come prima almeno, rimanendo sempre disperso nel caos confusionale esplicito dall'inchiostro, fra arabeschi di parole e labirintiche che Kerouac ha assegnato eminentemente ispirandosi a Neal Cassady. Il cui pseudonimo è Dean, Dean Moriarty.

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ml11 Opinione inserita da ml11    26 Mag, 2014
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La strada degli eccessi

"On the road" è considerato uno dei più grandi romanzi americani di tutti i tempi, un romanzo che ha segnato una generazione: la 'beat generation', quel gruppo di poeti, artisti, scrittori che ha solcato le strade degli Stati Uniti negli anni '40 e '50, contribuendo in un certo senso a cambiare la mentalità di un'intera nazione. E "On the road" ne è il manifesto. La follia, la sregolatezza, il gusto nella ricerca dell'eccesso tramite viaggi infiniti, l'abuso di alcol e droghe, il piacere del sesso. Con il proprio capolavoro Kerouac dipinge un vero e proprio affresco che rappresenta il cuore pulsante dell'America 'beat, underground' degli anni '50. E lo stesso Kerouac ne è un personaggio. Tutte le avventure narrate sono state infatti vissute sulla pelle dall'autore del libro, che dei 'beatniks' è stato uno dei fondatori. Il suo alter-ego nel romanzo si chiama Sal Paradise, un giovane Newyorkese che accompagna l'amico Dean Moriarty in una serie di folli avventure che hanno un denominatore in comune: la strada.
I due infatti attraversano più volte il suolo americano, da est a ovest e viceversa. Le mete sono sempre le stesse, ovvero quelle città che sono famose per la vita notturna e per la possibilità di dar libero sfogo alla sregolatezza. New York, Denver, San Francisco: tra i vicoli di queste città Sal e Dean danno vita a feste infinite insieme ad alcuni amici, cullati da un senso di benessere indotto dall'alcol, dalle donne e dal jazz, la musica che batte all'unisono con la loro anima.
Più volte nel corso del romanzo Sal cerca di distaccarsi da Dean, ben consapevole che quando si trova in compagnia dell'amico si trasforma in un'altra persona, inaffidabile, folle e senza freni. Eppure non riesce mai a perdere l'ammirazione che nutre nei suoi confronti, perchè Dean non si stanca mai della vita, della ricerca dell'istante di pura estasi ed emozione, quando la beatificazione dell'anima si realizza.
Questo senso innato di speranza e fiducia nei propri mezzi lega la figura di Dean a quella del Grande Gatsby di Fitzgerald, anche se nel suo caso la luce verde, l'oggetto dei desideri non è traducibile in qualcosa di concreto, come l'amore di Gatsby per Daisy. Il 'sogno americano' vissuto da Dean e da tutti i beatniks coincide con l'amore per la vita stessa, con la voglia indomabile di scoprire e sperimentare emozioni sempre nuove. Proprio per questo motivo Sal e Dean, alla fine del romanzo, decidono di varcare i confini del Messico e spostare l'asse del loro percorso da ovest-est verso sud, perchè la Route 66 non è più sufficiente, servono nuovi stimoli e sensazioni.
I loro viaggi non hanno mai una meta precisa e reale; ciò che conta è la strada, il viaggio stesso, la conoscenza di un mondo che è sempre troppo piccolo per due uomini come loro.
E anche quando alla fine Sal trova la donna della sua vita e decide di prendersi una pausa dall'esistenza sregolata che aveva fino ad allora condotto, non riesce mai a togliersi dalla testa il pensiero di Dean e delle loro folli avventure. Perchè per lui la vita, quella vera, è sulla strada al fianco di Dean.

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Ainulindale Opinione inserita da Ainulindale    28 Febbraio, 2014
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Andiamo..

la sacra strada, il desiderio di perdersi, di provare nuove sensazioni, il desiderio di spremere la vita fino all'ultima goccia e in particolare il desiderio di andare.
Sal Paradise, un giovane newyorkese , incontra Dean Moriarty, un ragazzo dell'Ovest. Uscito dal riformatorio, Dean comincia a girovagare, sempre alla ricerca di esperienze intense. Dean decide di ripartire per l'Ovest e Sal lo raggiunge; è il primo di una serie di viaggi che imprimono una dimensione nuova alla vita di Sal.
Romanzo non dichiaratamente, la considero come una Bibbia, una Bibbia postmoderna per la gioventù beat.
nonostante le premesse, non troppo entusiasmanti, andando avanti nella lettura, conoscendo il carattere dei personaggi, il loro continuo andare, perdersi, hanno fatto si che anche io mi perdessi nelle strade asfaltate dalle parole di Kerouac.
Sal e Dean i protagonisti, vanno e vanno, senza mai fermarsi, alla ricerca di qualcosa che probabilmente non riescono nemmeno loro a capire, ma nonostante questo sentono che quel qualcosa, non è nel luogo in cui si trovano, la strada quindi diventa uno stimolo, una fame, un viscerale bisogno di percorrerla e vedere tutto quello che ha da offrire, questo desiderio è uguale sia per Sal che per Dean, anche se il primo lo capisce dopo, probabilmente non sarebbe mai partito senza la forza di Dean, quest'ultimo di fatto è il motore del libro, la sua energia, la sua capacità di persuasione, la sua aura da mistico.
Dean è capace di farsi amare e odiare nello spazio di una pagina.
Un'altra cosa che colpirà sicuramente il lettore, sono i grandi spazi della vecchia America, dai grandi deserti e i canyon alle montagne innevate e alle sconfinate praterie, praticamente ogni stato americano viene inserito ognuno con le sue bellezze, i suoi difetti, la moltitudine di umanità che Sal e Dean incontrano, soli e tristi suonatori di jazz e ragazze tantissime ragazze.
Si può "semplificare" il tutto dicendo che i personaggi di On the road, non solo sono affamati di vita ma bruciano come magma fuso di vita, cercano di fondersi col mondo, bruciando e beandosi del loro rogo, come scrive Kerouac "il fondamento della beatitudine".
Per concludere, questo non è sicuramente un romanzo, i cui ideali sono ristretti solo agli artisti beat, sono ideali in cui tutte le persone possono immedesimarsi, prendere e lasciare tutto e andare, non fermarsi fino a quando non si arriva, per andare dove non si sa ma bisogna andare .

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Nemesi1874 Opinione inserita da Nemesi1874    23 Febbraio, 2014
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Ripetitivo e monotono

Narrazione poco piacevole, libro e trama contorti nel complesso e, sinceramente non lo consiglio assolutamente.
Ritengo che i personaggi siano sempre gli stessi (privi di spessore e di carattere), ciò che cambia è la scena... la città.
E' davvero poco chiaro perché lo scrittore debba (quasi) idolatrare il personaggio che è dedito ad una vita sgretolata.
Come è poco chiara la trama ed il vero scopo di tutti i personaggi...
Cosa fanno? Dove vanno? A cosa aspirano?

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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    03 Febbraio, 2014
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Sulla strada di Jack Kerouac

“Sulla strada” di Jack Kerouac , come “Il giovane Holden” di Salinger, sono due classici della letteratura americana ormai considerati due romanzi “cult” dalla cui lettura non si può prescindere se si vuole approfondire la conoscenza della cultura e della storia degli Stati Uniti. In realtà i personaggi non rappresentano strettamente e unicamente la condizione giovanile di un continente, un luogo, un’epoca: essi sono piuttosto l’espressione di quel disagio adolescenziale che si protrae fino alle soglie dell’età adulta, quel disagio che investe trasversalmente tutte le generazioni di quella fascia d’età d’ogni parte del mondo e pertanto diviene universale.
Dean Moriarty, il personaggio centrale del romanzo di Kerouac, descritto dall’io narrante Sal, è un giovane ribelle che trascorre gran parte degli anni della sua giovinezza sulla strada, in viaggi improvvisati in autostop o in macchine rubate, sfogando la propria esuberanza in incontri casuali dove ogni rapporto è rapido e passeggero e praticando spesso un sesso “mordi e fuggi” allo stesso modo in cui consuma pasti di infima qualità e scola bottiglie di alcol con l’ intento di attenuare la paura che fondamentalmente lo attanaglia. Sì perché la sua sfrenata corsa dall’ovest all’est e poi di nuovo dall’est all’ovest degli Stati Uniti, fino a raggiungere persino il Messico, non è altro che una fuga da se stesso e alla ricerca di se stesso. E’ la stessa fuga del giovane Holden: è il rigetto delle convenzioni e degli schemi del mondo perbenista che lega e annienta lo spirito avventuriero e ribelle. Dean Moriarty e Holden sono tuttavia simili e diversi : simili per la loro ribellione ma diversi per il mondo a cui appartengono, o quanto meno, da cui provengono. Holden è espressione della media borghesia degli anni cinquanta, Moriarty della piccola borghesia della stessa epoca più vicina alle classi dei diseredati e degli afroamericani. Salinger, d’altronde è il portavoce di un ambiente colto, intellettualmente raffinato e si distingue da Kerouac anche per l’uso più ricercato del linguaggio.
Entrambi i personaggi di questi due grandi romanzi tentano una disperata fuga dalla futilità e dalla falsità del perbenismo del mondo di cui pure fanno parte. Moriarty sembra a tratti consapevole di poter trovare pace solo in un legame stabile e duraturo e arriva addirittura a contrarre tre matrimoni: ogni volta però riemerge la sua ansia , la sua insoddisfazione e la sua intemperanza.
Non a caso Kerouac fu l’iniziatore di quella che egli stesso chiamò la beat generation, quella che sfoga la sua ribellione al ritmo del be bop, che affoga nell’alcol e si stordisce con la droga, quella che si oppone all’ideale dell’ “Uomo dal vestito grigio” di Sloan Wilson, l’uomo che si accontenta della routine quotidiana e rifiuta una posizione di maggior prestigio, per non alterare quel ritmo sereno e tranquillizzante della sua vita.
Non si può fare a meno di dare a Dean Moriarty il volto di James Dean di “Gioventù Bruciata” o quello di Marlon Brando de “Il sevaggio”, due miti legati a quella definita una generazione perduta.
Se, in ultima analisi, il disagio giovanile è da porre strettamente in relazione ai fatti storici, politici e sociali dell’epoca in cui esso si manifesta, non si può ignorare, tuttavia, che è la crescita stessa traumatica e dolorosa poiché spesso essa comporta la rinuncia ai propri ideali e ai propri sogni.

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Il giovane Holden di Salinger
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mia77 Opinione inserita da mia77    17 Dicembre, 2013
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Il manifesto della Beat Generation

Non mi piacciono le recensioni prolisse, ma questa non può che esserlo. Ho passato lo scorso fine settimana a leggere il manifesto della Beat Generation e voglio dire la mia a riguardo.
Il romanzo descrive i giovani del movimento culturale della Beat Generation, in viaggio su tutto il vasto territorio americano. E’ un libro autobiografico, che parla di svariati viaggi che l’autore ha fatto realmente tra il 1947 ed il 1950. Nel racconto Kerouac è Sal Paradise e il suo coprotagonista Dean Moriarty raffigura l'amico Neal Cassady. Sal e Dean incrociano nel loro vagare molti altri personaggi reali, da Carlo Marx ( in realtà Allen Ginsberg) a Old Bull Le ( William S.Borroughs). Quello di Kerouac è un viaggio alla ricerca di un’identità più umana, di quella proposta da un fasullo modello dell’America consumistica del dopoguerra. E’ la voglia di liberarsi dalle convenzioni sociali di quegli anni e di sgretolare il puritanesimo della società del primo dopoguerra. Sal si rende conto che l'inquietudine dell'amico Dean, che lo porta a sperimentare tutto ciò che può esserci di nuovo e proibito, è dovuta alla sua incapacità ad adattarsi alla società. Il protagonista, come i suoi compagni, ha interesse per una vita intensa, fatta di innumerevoli esperienze e desidera conoscere l'immensità del suo continente, il brivido del sesso, della musica jazz, delle accese discussioni con gli amici, sotto l'effetto dell'alcool e della benzedrina. Kerouac registra quel che sente e le proprie emozioni: tanto esaltante è la partenza verso qualche luogo, tanto vuota e deludente è la permanenza nel luogo di arrivo. Quindi programma un nuovo viaggio pieno di promesse, che vengono disilluse dalla sensazione di vuoto che va a sperimentare al suo arrivo a destinazione. Sal, dopo ogni viaggio, si sente sempre peggio e desidera ricominciare da capo, avere un luogo fisso e un lavoro che abbia senso. All'eccitazione all’inizio del progetto, corrisponde la prostrazione della sua realizzazione. Questo è un punto centrale del romanzo ed è importante quando questo ciclo diventa metafora, passando da un piano personale ad un piano universale: è l'angoscia del vuoto esistenziale. Fu Kerouac a creare il concetto di “beat generation” dove beat sta per ribellione, battito, ritmo, beatitudine, magari raggiunta attraverso l’uso di droghe ed alcool o tramite l’unione carnale passionale. Ma anche battuto, sconfitto dalla società. Beat è la scoperta di sé stessi, della vita sulla strada, del sesso liberato dai pregiudizi, della droga, dei valori umani, della coscienza collettiva, del rifiuto di norme imposte e dei conformismi della borghesia, di interesse per la religione orientale, del rifiuto del materialismo. Kerouac e i suoi scritti sono i precursori della way of life della gioventù degli anni sessanta ( hippies e movimenti pacifisti). La Beat Generation viene anche chiamata «gioventù bruciata», perché questo stile di vita, ha portato molti dei suoi sostenitori ( fra cui Kerouac) a morire giovani.
Il linguaggio del romanzo è semplice e la scrittura è libera e ritmata ( è scritto al tempo del be-bop). Non bisogna affrontarne la lettura con pregiudizio, ma immergersi nel periodo storico in cui è stato scritto, assaporare la loro voglia di libertà, di ribellione, il loro tentativo di afferrare un pezzo di eternità e forse anche di essere “ purificati” dalla strada. Il senso della vita per loro è andare. Non è dato sapere dove, l’importante è essere “sulla strada” ( come accade realmente nella nostra vita). In questo romanzo c’è il seme di tutto quello che è venuto dopo.
Alcune frasi topiche del romanzo, che ci fanno capire la loro filosofia:
“ Quei tipi falsi e sofisticati erano dappertutto in America, e succhiavano il sangue del paese”;
“ …quello che volevo fare era scappar via nella notte e sparire, andarmene da qualche parte e scoprire cosa faceva la gente nel resto del paese”;
“ Con gli ultimi due dollari che avevamo messo da parte per mangiare scommise su un altro cavallo e perse. Fummo costretti a tornare a San Francisco in autostop. Ero di nuovo sulla strada”;
“ In ogni angolo d’America ho bevuto nei locali a un crocevia con intere famiglie”;
“Voglio sposarmi, voglio sposare una ragazza con cui riposare l’anima e invecchiare dolcemente. Non si può andare avanti sempre così…con questa frenesia, con questo correre avanti e indietro. Dobbiamo andare da qualche parte, trovare qualcosa”;
“ Io vivo alla giornata, mi piace la vita”;
“…ci sono troppe cose che mi piacciono e mi confondo e mi perdo a correre da una stella cadente all’altra, fino allo sfinimento”;
“eravamo tutti felici, ci rendevamo conto che ci stavamo lasciando alle spalle confusione e assurdità per compiere l’unica e nobile funzione che avevamo a qual tempo, andare”;
“…non importa dove sono, dove vivo, il mio baule spunta sempre da sotto il letto e io sono pronto a partire o a farmi buttar fuori. Ho deciso di lavarmi le mani di tutto”;
“Dietro di noi si stendeva tutta l’America e tutto quello che io e Dean sapevamo della vita, e della vita sulla strada. Avevamo finalmente trovato la terra magica in fondo alla strada…”;
“ …le uniche persone che esistono per me sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano…”;
“ La beat Generation è un gruppo di bambini all’angolo della strada che parlano della fine del mondo” ( Jack Keroauc)

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T.D. Lemon Opinione inserita da T.D. Lemon    18 Ottobre, 2013
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Allora penso a Dean Moriarty...

Difficile commentare un libro che ti ha affiancato per un tratto della tua vita, ma io ci sto provando, fregandomene del risultato.
Come premesso “on the road” è un classico che amo,un’intoccabile della mia lista,
oltre per il suo contenuto proprio perché mi ricorda quei percorsi: in treno, sull’aereo, in metro, vagabondavo nel mio piccolo in cerca di qualcosa proprio come Dean e Sal.
Questo libro è una storia autentica un viaggio tra realtà e l’allucinazione,
il tutto vero come i km di cemento che i nostri protagonisti hanno e ci hanno fatto percorrere.
Del resto cosa ci si può aspettare da Kerouac uno dei più grandi della beat generation, un visionario,
lui era per il: “vero come la finzione”.
La lettura scorre liscia non come l’olio perché ogni tanto Kerouac mette nel romanzo dei sassi proprio per fermarci, a riflettere su quello che sta succedendo, è un trucco dello scrittore, ma cavolo che mano che ha nel mettere quei massi, sempre nel posto giusto al momento giusto.
un’opera che fa del “cercare” andando la sua ragione d’esistere … per poi terminare con la vecchiaia,
pensando ai fantasmi del passato.
Può essere una scelta condivisibile o meno ma in fondo che importa, a noi questo servono, storie da capire e di cui parlare: “dopotutto domani è un altro giorno” direbbe Rossella O’hara oppure:
“ ma perché pensare a questo con tutta la terra dorata davanti a me ed eventi imprevedibili di ogni tipo in attesa di sorprendermi e farmi sentire contento di essere vivi?” direbbe Sal Paradise ed : “evviva adesso si mangia” dico io.

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Mariiik Opinione inserita da Mariiik    11 Ottobre, 2013
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La Beat Generation non è per tutti

Ho acquistato questo romanzo in libreria poco prima di partire in vacanza per New York; leggendo la recensione sul retro della copertina e sapendo cosa mi aspettava ho creduto fosse un libro adatto.
La storia viene narrata in prima persona da Sal (pseudonimo di Jack Kerouac, infatti il libro è autobiografico), un giovane ragazzo, in cerca di avventura, che vive, per l'appunto, a New York. Incontra presto Dean Moriarty (Neal Cassidy), un ragazzo poco più giovane di lui, "trasudante" di vita (come lo descrive l'autore), con un passato complicato alle spalle ed un unico obbiettivo: sentire la realtà che lo circonda.
Sal incomincerà il suo viaggio verso est, San Francisco in particolare, nel viaggio incontrerà nuovamente Dean, i due insieme torneranno a New York, per poi intraprendere altri due viaggi nel cuore dell'America ed uno, l'ultimo, in direzione del Messico.
Interessante in questo libro è il rapporto fra i due protagonisti: Dean è un personaggio alquanto singolare, ha varie vicissitudini amorose e legali, ma ciò che di più colpisce è come non si possa fare a meno di essere coinvolti da lui; tutti i personaggi secondari che incontrano sulla strada, nelle città o che comunque fanno parte della loro nota cerchia di amici, non possono fare a meno di relazionarsi in maniera "estremista" con Dean. E', per essere semplicisti, una di quelle persone che o si ama o si odia. E Sal, sebbene sia il protagonista, passa quasi in secondo piano in confronto a ciò che è il suo amico, alla sua vitalità, al modo di vivere che ha. E' un rapporto destinato a non finire, e che in varie parti sembrava stesse per consumarsi per quanto fosse vivo e sentito.
Un altro elemento che mi ha molto colpito è stata la descrizione dell'America: meriterebbe di essere letto solo per questo, a prescindere dalla storia che dopo più della metà risulta lenta e ripetitiva. Le descrizioni di Kerouac sono emozionanti e perfette: complice il fatto che ho visitato, seppure solo una piccola porzione, l'America; sono azzeccate e sembra quasi che il tempo non sia passato dal 1951 ad oggi.
Ho impiegato più tempo del dovuto per leggerlo e in alcune parti non mi è piaciuto però, sarà la mia filosofia del "tutti i libri hanno qualcosa da insegnare", non mi è dispiaciuto leggerlo, ho apprezzato i suoi lati positivi e riconosciuto quelli negativi.
Non saprei esattamente se consigliarlo: se amate i paesaggi dell'America, la vita pazza e la Beat Generation si. Di certo non aspettatevi (cosa che avevo fatto io) di trovare una trama come quella di "Into the wild - nelle terre selvagge", film di Sean Penn.

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Dilo Opinione inserita da Dilo    02 Settembre, 2013
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Buona (?) la quarta

Questo libro mi perseguita da quando per gli esami di maturità decisi di portare "il viaggio" come filo conduttore del mio percorso interdisciplinare, mi hanno consigliato di leggerlo in molti, tre me lo hanno prestato e un quarto qualche mese fa ha deciso di regalarmelo a quel punto ho deciso che era il momento di ricominciare a leggerlo e chissà, magari anche di finirlo. Questa volta il libro l'ho finito ma è stata una faticaccia! E' il romanzo simbolo della beat generation, il racconto di Sal, giovane ragazzo di new york che vive ancora con la zia e gira il mondo, inizialmente è impaurito dall'idea di girare l'america da solo e con pochi soldi in tasca ma successivamente diventa un vero e proprio stile di vita e da qui che si snoda tutto il movimento beat e il successivo movimento hippie.Durante i suoi viaggi, succede di tutto, dagli amori ai problemi con la giustizia, vari lavoretti saltuari, alcool e divertimento, ma soprattutto l'amicizia. Diviso in cinque parti che corrispondono più o meno ai viaggi di Sal e Dean, inizialmente è un bel libro, scorrevole, interessante, nuovo pieno di quelle frasi che i ragazzini scrivono nei diari di scuola o ancora meglio come "stato" su facebook, ma via via che si prosegue nella lettura ci si chiede: "e quindi? ma dove vuole arrivare", arrivati a metà libro il romanzo diventa monotono e lungo, incredibilmente lungo e noioso, ogni parte diversa segue sempre lo stesso schema. Il narratore è in prima persona, è lui che racconta tutta la storia e a volte sembra che lo scrittore sia quel vostro carissimo amico che ha deciso di farvi vedere TUTTE le foto del viaggio di nozze e ad ogni foto corrisponde un aneddoto di dieci minuti, all'inizio è piacevole e seguite interessati, divertiti e un po' stupiti, dopo due ore di racconti cominciate a chiedere pietà e volete solo che finisca. Meglio un narratore in terza persona che sappia fare un riassunto e raccontare solo le cose più importanti.

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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    11 Luglio, 2013
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L'importante è andare

Libro simbolo dello spirito libero, autobiografico e quindi molto vero. Molto amato dai giovani. Per apprezzarlo pienamente bisogna conoscere il mondo della beat generation, lasciando cadere i propri schemi mentali e le proprie convinzioni. E’ un libro di pazzi, amanti della vita, che amano bruciarne ogni istante, viverla sul filo del rasoio, senza limiti ed anche senza scrupoli. Per loro l’importante è andare. Sono pagine che esaltano la vita “on the road”, la vita intensamente vissuta ed il libro travolge. Ho apprezzato più la prima parte che non poi il seguito, perché vi ho trovato di più quella ricerca dell’autenticità che secondo me è il messaggio di fondo di queste pagine. Oltre al fatto che in un viaggio, è più importante e ricco di emozioni il viaggio stesso che non la meta.

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SPACK Opinione inserita da SPACK    11 Giugno, 2013
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Rallenta nel finale

Le parole cessano d’essere fini a loro stesse, ripetizioni, errori apparenti e monosillabi diventano gesti e stati d’animo, così facendo l’autore riserva al proprio pubblico libera interpretazione. Il linguaggio informale ci accompagna all’interno del romanzo che si preannuncia poco inibito e che si srotola da un capo all’altro degli Stati Uniti.

Kerouac esprime con naturalezza disarmante le proprie impressioni, la scrittura disimpegnata a tratti fumettistica rende la lettura di una leggerezza sconcertante. L’evolversi del racconto descrive la storia del giovane Sal, –verosimilmente l’autore stesso- squattrinato newyorkese dalle origini italiane che negli anni cinquanta decide di percorre su e giù gli States in un viaggio che si conclude nella stessa stanza da dove ha avuto inizio. Oltre trentamila chilometri senza la men che minima sicurezza economica, particolarità che farebbe desistere il più accanito viaggiatore d’oggi. In un susseguirsi di passaggi su mezzi più o meno di fortuna, quasi sempre accompagnato o in direzione dei suoi amici, Sal avido d’esperienza percorrerà orizzontalmente e ripetutamente la sua terrà natia e una sola volta in linea verticale, direzione Messico.
Degna di nota la storia d‘amore vissuta tra i campi di cotone, inebriante ed unica condizione che piegherà il suo spirito itinerante e spezza, per così dire, la monotonia del viaggio. Profondo amatore della vita, l’autore ed il suo protagonista si circondano di persone carismatiche e mai banali. Consumando insieme a loro non sempre splendide giornate che vivremo attraverso le pagine del libro.

Più coinvolgente e veloce nelle prime due parti, il capitolo è reo di rallentare il passo con l’avvicinarsi dell’epilogo. In un profondersi di parole onomatopeiche non sempre sapientemente traslate, veniamo catapultati ben lontano dalla caotica vita borghese nella quale siamo costretti ed ormai abituati. Una biografia da vivere con coraggio lontano dalle ricchezze materiali, abbracciata fin da subito all’uscita del libro da tutta la -beat generation-.

Recensione di R.C. aka Spack Lele

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Libri di viaggi in genere.
Beat generation fans.
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mikyfalco Opinione inserita da mikyfalco    26 Agosto, 2012
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Sulla cattiva strada

“Qual è la tua strada,amico?La strada del santo,la strada del pazzo,la strada dell’arcobaleno,la strada del pesce piccolo,una strada qualunque.E’ una strada che porta chiunque dovunque comunque.Chi dove come?”

Chi si imbatte in questo libro,di solito,è perché ne ha sentito tanto parlare,soprattutto negli ultimi anni,dove è tornato alla ribalta il mito degli hobo:una vita di sregolatezze,senza mete precise.
Kerouac è stato il simbolo della beat generetion.Beat vuol dire ritmo,ma Kerouac lo intende come radice della parola “beatific”,la condizione umana che si cerca per tutta la vita,ma che lui stesso,pur provandoci,non ha mai trovato.
E’ questo che porta Sal,pseudonimo utilizzato dall’autore per identificarsi nel testo, e Dean Moriarty,suo grande amico di avventure,a viaggiare lungo tutta l’America:cercano “quella cosa”.
Il libro in sé,a tratti lascia un senso di noia,come sempre quando si ha a che fare con elenchi di nomi di città e di persone, o descrizioni dettagliate di serate che sembrano un diario segreto di un quindicenne appena tornato a casa.
Ma,ci sono anche stralci di testo che ti lasciano dentro il sapore della strada,il sapore di notti insonni su e giù,il sapore delle albe e dei tramonti che ti passano accanto,dell’America,di donne amate e poi lasciate,di chi vuole sfuggire dall’imbuto di un’etichetta sociale e rompere gli schemi e divertirsi.
Certe cose a rileggerle oggi,a più di cinquant’anni di distanza,possono sembrare assurde o comunque banali,ma a quell’epoca,anche solo pensare certe cose,era follia.
E se oggi,ho sentito molti giovani parlare di questo libro come di una “cavolata”,è solo perché forse non l’hanno mai letto,o forse non l’hanno letto con il cuore,che poi è la stessa cosa.
Certo,non pretendo che l’opinione sia unanime,in fondo per piacerti un libro del genere,devi essere un po’ pazzo e avere dentro di te lo spirito d’avventura variegato al senso di incompiutezza più totale.La voglia di cercare qualcosa,di volere qualcosa che tu stesso non sai cosa sia.Allora mollare tutto,la tua vita,lasciarla lì in stand by,e partire. Montaigne diceva: “Chi parte sa da cosa fugge,ma non sa quello che cerca”.
Detto questo,per tutti i “pazzi”,auguro una buona lettura, “perché le uniche persone che esistono per me sono i pazzi,i pazzi di voglia di vivere,di parole,di salvezza,i pazzi del tutto e subito,quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità,ma bruciano,bruciano,bruciano come favolosi fuochi d’artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle e nel mezzo si vede scoppiare la luce azzurra e tutti fanno Ooooh!"

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Grava Opinione inserita da Grava    25 Luglio, 2012
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Oltre la strada

Semplicemente un libro di passione, dove per passione si intende quel sentimento di violenza ed intensità, quell'interesse acceso per qualcosa che in questo caso è la vita. La strada e la musica sono la chiave di volta di un libro che a molti può risultare banale e ridondante. La strada infinita rappresenta quelli che sono i mille percorsi della nostra vita, che Sal e Dean non vogliono smettere di percorrere. Non basta la "piccola" america per soddisfare la smania di conoscenza, la passione per la vita,i due giovani vanno oltre, arrivano in Messico, sognano l'Italia. Il tutto coronato da una colonna sonora di jazz che ti porta in quegli angusti locali, dove ti sembra di rivivere tu stesso quelle notti passate ascoltando "un pazzo che canta e butta in aria le braccia e finisce schizzando sudore su tutti prendendo a calci il microfono e strillando come una donna"

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    26 Marzo, 2012
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Simbolo di una generazione ribelle

“Avevamo altro e più lungo cammino da percorrere. Ma non importava, la strada è vita.” In queste poche parole è racchiuso il senso di questo bel libro di Jack Kerouac: un continuo viaggio senza una meta o un obbiettivo precisi, senza mezzi né risorse, in cui ciò che conta è solo andare. Un viaggio reale attraverso l’ America, da est a ovest e viceversa, nonché verso sud oltre il confine messicano. Ma un viaggio anche simbolico, attraverso se stessi e la gente che ci circonda, nel tentativo di trovare un senso alla propria esistenza e alla vita in genere. Sal Paradiso, giovane studente con ambizioni da scrittore ci porta in giro per l’ America del dopoguerra tra fiumi, laghi, deserti, montagne rocciose e immense praterie, romantici vigneti e sconfinate piantagioni di cotone, riuscendo attraverso le pagine di un libro a farci innamorare di questa terra. Tra un passaggio e l’ altro, tra un pullman e una stazione, il protagonista racconta la sua esperienza tra bar, case d’ appuntamenti, locali jazz, ostelli e camere d’ albergo in un turbine di alcool, droga, sesso, scazzottate, amicizia, amore e follia. Sul suo cammino incontra le più svariate tipologie di persone, di ogni razza e di ogni ceto, ognuno dei quali vive la vita e vede il mondo a modo suo. Ma sono i suoi amici i soggetti più singolari e interessanti. Tra tutti spicca Dean Moriarty, forse il vero protagonista del racconto, un ragazzo dal passato difficile e dallo stile di vita in netto contrasto con le abitudini borghesi dell’ epoca, sempre su di giri, costantemente eccitato da un’ incontrollabile voglia di vivere, incapace di programmare la propria vita e di mantenere stabili rapporti con le persone che ama. Tutto ciò fa di questo romanzo un libro cult, simbolo di un movimento letterario, la beat generation, ma anche di un’ intera generazione che si ribellò al perbenismo e alle convenzioni sociali, accattivante sia per la trama che per i personaggi, raccontato con ritmo brioso e una prosa semplice ma bella.

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macchiolina Opinione inserita da macchiolina    01 Febbraio, 2012
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Pazzesco

Ho letto questo libro la prima volta a 16 anni e non mi ha fatto una grande impressione.L'ho riletto ora a 44 anni e,ragazzi,che bello!! Bellissimi i personaggi,tutti pazzi,pazzi da legare!E stiamo parlando di un libro scritto nel 1957...quando per me erano tutti bacchettoni e lavoratori e la droga e l'alcool non li usava nessuno!Bel libro, bel viaggio,bei personaggi,belle storie..peccato non averlo letto in lingua originale...La prima parte forse è un pò lenta ma quel viaggio indimenticabile verso il Messico ,beh...uno spettacolo!
Questo è un libro inserito in un ben determinato contesto temporale e va giustamente letto in tal senso..eppure non vi sembra straordinariamente moderno? Credete davvero che questa pazza sete di esplosione e fusione nel e col mondo non sia comune a tutte le generazioni?Certo dopo la beat generation la gioventù ha avuto una possibilità diversa di esprimere i propri disagi e le proprie aspirazioni e ovviamente l'uso delle droghe ha reso diverse le dinamiche di interazione col mondo..però i giovani son giovani e, tutti, e sempre, vedono il mondo con occhi nuovi e lo scoprono ogni volta per la prima volta. Al di là di ciò mi ha colpito molto una frase che nel libro si rivolge agli indios messicani delle montagne e che mi è sembrata di un'attualità pazzesca: "Tutti tendevano la mano.Erano scesi giù dalle montagne dell'interno e dalle grandi altezze per tendere la mano a chiedere le cose che credevano offrisse la civiltà,e non si sognavano nemmeno la tristezza e le povere illusioni spezzate della realtà.Non sapevano che[...]un giorno saremmo diventati tutti poveri e avremmo teso a nostra volta la mano,come loro,proprio come loro." Mi vedo davanti agli occhi gli sbarchi a Lampedusa e la recessione economica che abbiamo alle porte.

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John Fante e Bukowski
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Giovannino Opinione inserita da Giovannino    05 Gennaio, 2012
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In viaggio verso se stesso.

Prima di leggere questo libro avevo letto diverse recensioni e opinioni, più che altro incuriosito non tanto dal libro in sé, quanto dello scrittore Kerouac, padre della Beat Generation. Personaggio enigmatico e controverso, un po’ come tutti gli altri scrittori appartenenti alla Beat. Per quello che riguarda il libro in sé, anche qui i commenti erano contrastanti, tra chi lo definiva un capolavoro da leggere in una notte (…una notte insonne…) e chi lo definiva un libro molto molto sopravvalutato. Diciamo che dopo averlo letto, in una settimana, mi piazzo nel mezzo. Credo onestamente che il libro sia un bel libro, ma che in alcuni casi si faccia fatica ad andare avanti. Il libro, come molti sapranno già, parla della storia del protagonista Sal (Kerouac) e del suo amico Dean (Neal Cassidy) che in periodi differenti per ben 4 volte attraversano l’America con mezzi di fortuna, incontrando le persone più strane e visitando i luoghi più disparati dell’ America del 1950. Lo stile, al contrario di quello che pensavo, è molto “pulito”. Poche sono le parolacce o i termini scurrili e anche le scene di sesso ( che mi aspettavo più intense e più dettagliate, stile Bukowski) in realtà sono toccate solo superficialmente. Sembra quasi una storia raccontata da un ragazzo per bene che improvvisamente perde la testa e decide di fare questi viaggi… In risposta a chi dice che il libro in fin dei conti non parla di nulla dico che è pur vero che letta oggi nel 2012 questa storia può sembrare vuota di contenuti ed a tratti monotona, ma credo che il segreto di questo libro stia proprio nel riuscire (più di molti altri) ad immedesimarsi nel protagonista e quindi cercare di fare questi viaggi nel 1950. Ecco così che il libro guadagna molti punti e diventa interessante sia per capire l’ambiente americano nel 1950, sia per capire le idee ed i pensieri del “giovane ribelle” Kerouac, che perdendosi per l’America cerca di trovare innanzitutto se stesso. Invece, una delle grosse pecche di questo libro sta nel soffermarsi, da parte dell’autore, eccessivamente su scene o situazioni poco rilevanti o di nessuna importanza per lungo lungo tempo. Il libro diventa così lento e pesante in alcuni passaggi. In conclusione un libro che si legge, ma certo, onestamente, dal “manifesto della Beat” mi aspettavo qualcosa di più…

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laura-77 Opinione inserita da laura-77    24 Novembre, 2011
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on the road

Premesso che so benissimo che questo è un libro che ha segnato la storia di una generazione e che è considerato un cult, ma se devo dire la verità io mi sono annoiata terribilmente a leggerlo, tanto che ci ho messo più di un mese a finirlo (per farvi capire: la trilogia di "Millennium", circa 2100 pagine, l'ho letta in una settimana). Mi rendo conto che negli anni 50, quando è stato pubblicato, un libro del genere che parlava del sogno di libertà, di droga e di sesso libero, ha creato scandalo, ma per noi lettori di oggi che abbiamo letto Bukowski e Irvine Welsh, certe pagine possono sembrare ingenue. Sinceramente mi aspettavo più avventura, più sesso esplicito, invece ho letto alcune pagine che sembravano solo una lunga elencazione di luoghi geografici.

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R๏гy.o° Opinione inserita da R๏гy.o°    17 Luglio, 2011
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On the road

Sulla strada che porta o che ti allontana da casa si può incappare in mille imprevisti e in mille persone completamente differenti. E quando arrivi a destinazione dopo mille peripezie puoi star sicuro che quello che resterà per sempre dentro di te è il sapore della libertà.
Proprio come quando completi il libro: ti senti pieno del tuo essere e non c'è cosa migliore. Questa è la "Beat Generation" di Kerouac: portato in posti sperduti e, diciamolo pure, dimenticato dal resto del mondo per ritrovare te stesso.
Un applauso a questo libro da divorare in una notte.

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Sara S. Opinione inserita da Sara S.    07 Luglio, 2011
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la beat generation

Appena ho iniziato a leggere questo libro non mi ha trasmesso niente. Gli avvenimenti all'interno della storia si accavallavano gli uni sugli altri in maniera confusa e caotica, la narrazione scorreva velocissima, non riuscivo ad entrare in sintonia con i personaggi, non riuscivo a trovare un senso alle loro vicende, il loro continuo spostarsi da un luogo all'altro invece di appassionarmi mi annoiava. Ho dovuto leggere faticosamente 200 pagine prima di abituarmi al ritmo narrativo e iniziare davvero a comprendere la storia. Ho capito che nonostante sia difficile approvare lo stile di vita sconclusionato, infantile e autodistruttivo dei protagonisti, questo libro rispecchia fedelmente il credo dell'autore, perché lui c'era dentro fino in fondo a quello stile di vita. Non bisogna immaginare che lo scrittore raccontava di una vita sbandata e degradata stando seduto a bordo di una piscina con idromassaggio sorseggiando champagne. No, Keruoac ha vissuto ciò che ha scritto e la sua vita è stata quella fino alla fine dei suoi giorni, quando lo trovarono morto in una stanza fatiscente contornato da bottiglie di whisky, più vuote che piene. Si può certamente trovare disgustosa e senza senso una vita condotta così. Io dopo aver finito di leggere il libro penso solo che sia tutto molto triste. Penso che la ricerca della felicità all'infuori dei soliti cliché dettati dalla società sia una ricerca ardua ed effimera, nonché inutile. Penso che la libertà sia un concetto utopistico e che scappando da una gabbia si finisce solo per finire in un'altra. Ci si può ingabbiare in una vita di lavoro noioso, con una casetta deliziosa, maxischermo tv e vacanze dilazionate in piccole rate annuali. Oppure si può decidere di mandare al diavolo tutto e di ingabbiarsi in una vita di scomodità, stenti e privazioni. Cambia il tipo di gabbia, ma non la sostanza. Ecco, come già accennato in precedenza, questo libro, seppur scritto in maniera opinabile, è riuscito a trasmettermi qualcosa, qualcosa di infinitamente triste. Ma perlomeno c'è riuscito.

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SoulMover Opinione inserita da SoulMover    07 Aprile, 2011
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Sulla strada, senza meta

Libro letto in qualche ora. Storia di qualche amico mosso da una passione vaga per la vita, destrutturata da qualunque ordine precostituito o sistema di valori perbene.

Non è importante dove si va, ma il viaggio in sè, da affrontare con un entusiasmo non meglio definito, divorando a testa bassa i piaceri più effimeri, godendo di amicizia, donne passeggere e buon vino.

Un manifesto del genere, che non mi pento di aver letto, anche se forse in un contesto interiore non dei più adatti. Insomma, leggerlo a 18 anni, senza disillusione e consapevolezza del reale ben presenti, avrebbe forse avuto un altro effetto.

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Consigliota a tutti gli amanti della beat generation, dello stile "rock" e del nichilismo decadente ma non oscuro.
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dcql84 Opinione inserita da dcql84    18 Gennaio, 2011
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Annoiato a morte

"Ma come ha fatto a non piacerti Sulla strada di Kerouac? Non capisci niente, è un cult!"
Oh ragazzi sarà pure un cult, un libro generazionale, ma a me ha annoiato a morte, eppure amo molto i racconti di viaggio. Sono arrivato alla fine veramente stremato, stravolto, ebbro di alcool, lavori nei campi, sesso e vagabondaggio.

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E' un si, ma è più un ni
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The hooded man Opinione inserita da The hooded man    03 Ottobre, 2010
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Un libro che cambia la vita

In una parola, illuminante.
Questo libro è senz'altro una di quelle opere che vanno lette con attenzione per quanto potrebbe essere pericoloso il farlo.
La storia di Dean e Sal, due grandi amici che vogliono vivere la vita ogni giorno.
Viaggi incredibili attraverso tutto il continente americano e con pochi soldi in tasca.
Questo libro altro non è che un continuo viaggio, ricco di avventure ed avvenimenti che fanno venir voglia al lettore di mangiarsi le mani.
Leggendo questo libro sicuramente vi domanderete cose come: "Che ci faccio quì?", "Cosa sto facendo?" o ancora "Cosa mi trattiene?".
Ripeto, libro da leggere con cautela.
Qualsiasi tipo di esperienza all'interno di esso viene valorizzata e reputata importante, persino la più brutta.
Ebbene, lo stesso finirete col pensarlo voi.
Cambierà il vostro modo di pensare.
Cambieranno gli occhi con cui guardate il mondo.
Sperate solo di non avere un amico che a sua volta abbia letto questo libro (o forse dovreste sperare di averlo, dipende dai punti di vista), perchè se così non fosse tutto quello che avevate prima per voi non conterà più nulla, ed insieme ad esso non potrete che mettervi sulla strada appunto.
Cinque stelle ed amore ad uno scrittore che davvero ha meritato la fama che ha.

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libri della beat generation
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paolodal Opinione inserita da paolodal    15 Settembre, 2010
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il mito inventato

Mitico pallosissimo libro. Mi spiego meglio: mitico, perche’ il titolo fu azzeccatissimo, e con quell’aria alcoolica e ribelle, ottima per i tempi (anni 50), Kerouac si presentava da solo. La tematica fu quanto mai azzeccata, ed affascino’ una generazione di persone che del libro conoscevano solo il titolo. Fernanda Pivano, della Einaudi, con la ben pagata missione di evidenziare le contraddizioni della societa’ capitalista, girava gli Stati Uniti in lungo e in largo, da una marcia per la pace all’altra, alla ricerca degli autori beat, against, e fuck the system. Trovo’ Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti, ma anche Hemingway ed altri notevoli scrittori, e delle ottime traduzioni la ringraziamo. Peccato che molti grandi autori americani, che di sinistra non sono, siano stati ignorati dal Minculpop di casa nostra. Cosi’, da noi, la letteratura americana e’ di sinistra non perche’ quegli autori fossero di sinistra, ma perche’ fatti propri e addomesticati per l’imminente rivoluzione nostrana. Fu cosi’ che On the Road strego’ una generazione in America (cosi’ dicono... ma sara’ vero?), e ne strego’ quattro dalle nostre parti. Tanto che tutt’oggi il buon intellettuale schierato e’ obbligato a girare con la copia del libro sotto il braccio, impregnandolo di sudore, per una lettura in odorama. Come se il tema della ribellione condita da droghe sia ancora attraente. Come se l’amicizia sia solo complicita’ nello sputare in faccia a tutti e tutto.

E veniamo al pallosissimo: e’ di una noia mortale. Lasciate stare che fa figo, ma siamo sinceri con noi stessi, si puo’ leggere una roba del genere? non sono il solo a dirlo, ma ho faticato veramente a leggerlo. Sfilze di nomi di cittadine, di strade sempre uguali, di noia e solitudine, di nulla che succede. Mah. Se si faceva la Romea forse ne usciva un libro piu’ divertente.

Libro da leggere al Mac Donald’s, con davanti hamburgher e patate fritte. Consiglio anche un bel caffe’ doppio, c’e’ il rischio di addormentarsi alla guida....

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Consigliato a chi legge quello che fa figo e non quello che piace...
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NomeUtente Opinione inserita da NomeUtente    12 Luglio, 2010
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Delusione

Dopo averne tanto sentito parlare ho letto "Sulla strada", libro cult della Beat Generation.
E' la storia di due amici che passano una vita "On the road", il grande mito di una esistenza libera, sulla strada appunto, fregandosene di tutto e di tutti.
Beh, la verità è che è un libro decisamente deludente.
Un libro che parla di viaggi, scritto in modo frenetico, convulso, alterato, ma che in realtà risulta noioso. Il racconto è un continuo elencare città, nomi di persone che incontrano sulla via, serate che in fondo sono tutte uguali, il tutto come fosse un diario di bordo.
Tutto ciò che viene descritto è sempre "il più incredibile", "il più bello" e "il più fantastico": va bene l'entusiasmo che si ha a 16 anni, ma dopo 400 pagine così non se ne può più!
Anche perchè non succede mai niente, mai un dialogo che si riordi, mai una analisi un po più approfondita di qualche personaggio.
Davvero poco rispetto alla sua fama ho pensato ... o forse era proprio questo il senso del libro: trasmettere il vuoto esistenziale, l'assenza di valori, di prospettive, di progetti, di sentimenti.

A parziale attenuante posso dire di aver letto il libro "fuori età", nel senso che il tema e il modo di scrivere si adattano di più agli anni della addolescenza.

Insomma una delusione, anche se una cosa la devo dire: a qualche giono dalla fine della lettura, per dirla alla Kerouac, devo ammettere che quel vecchio figlio di puttana di Dean Moriartry, un po ti rimane nel cuore.

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