Suite francese Suite francese

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graphite Opinione inserita da graphite    05 Settembre, 2022
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Un ritratto della dignità

Suite francese non è un libro ma un viaggio nel tempo e nello spazio. Uno di quei viaggi che solo i grandi libri ci permettono di fare. Un percorso mentale, ancora prima che letterario, che appassiona chi lo attraversa e che segna l’anima. Colpisce prima di tutto lo stile neutro, intendendo con questo termine una scrittura dallo stile assoluto, asciutto e non riconducibile, nell’analisi, ad un uomo o ad una donna (ammesso e non concesso che una scrittura di genere possa esistere).

Il luogo comune vuole che un libro debba il dovere di catturare il lettore già dalle prime battute ma personalmente ritengo questa regola una sorta di esigenza del marketing moderno. Il lettore dei nostri giorni è abituato, nel migliore dei casi, a calarsi immediatamente, o quasi, nella situazione. Si tratta, come è facile capire, di un’esigenza dalla quale il passato, privo di televisione, internet e caratterizzato da ben altri ritmi, era esente. Ma Suite francese, pur non essendo un testo nato per la moderna industria letteraria (è stato scoperto e rivalutato solo recentemente come tutta la produzione della Nemirovsky) permette già dalle prime battute di disegnare con tagliente precisione già un primo profilo del tono e delle situazioni, personaggi compresi. Anzi, nel loro caso la citata “tagliente precisione” si trasforma spesso in una particolare ferocia priva di rabbia. L’esempio arriva nel momento in cui, nella seconda parte, l’autrice mette in risalto l’umanità dei tedeschi.

Un particolare non da poco soprattutto se si considera che la Nemirovsky, ebrea, doveva, proprio in quel periodo, sfuggire alle persecuzioni naziste, come confermato anche da alcuni suoi appunti ritrovati successivamente alla sua morte, avvenuta in un campo di concentramento nel 1942. In quelle pagine si legge infatti “Giuro qui di non riversare mai più il mio rancore, per quanto giustificato, su una collettività di uomini”. Lo stesso equilibrio richiama alla mente i suggerimenti di Virginia Woolf a proposito del romanzo. La scrittrice inglese, in particolare, lodava Jane Austen proprio per l’assenza pressoché totale, di livore verso quella società patriarcale e maschilista che, in quanto donna, l’aveva costretta alla povertà e all’ignoranza. Oltre che ad una perenne dipendenza economica dai suoi fratelli.

La delicatezza che traspare dalla scrittura della'autrice di Suite francese si avverte anche in altre opere, racconti come La sinfonia di Parigi o Giorno d’estate.

Continuando nell’analisi prettamente stilistica del testo, risalta anche un’altra particolarità: il meraviglioso contrasto tra un paesaggio che, sebbene caratterizzato da una serenità quasi mistica durante l’estate e da una rabbia violenta d’inverno, trasmette comunque la rasserenante certezza di essere “nella sua Natura”. Infatti, agli angosciosi spostamenti di massa, ai bombardamenti, alle scene strazianti che si creano durante l’esodo e in cui l’essere umano si trova costretto, per sopravvivere, a dover tornare allo stato ferino, fa da contraltare una Natura che continua, nel suo svolgersi immutabile. Serafica, placida e incurante degli orrori creati dall’essere umano, appare quasi conscia della sua superiorità. Il Tempo, infatti, procederà implacabile come ha sempre fatto nella Storia e la grande tragedia di una guerra mondiale, che proprio nel flusso dell’eternità e dell’evoluzione rappresenta un batter di ciglia, riguarderà solo il genere umano.

Volendo, invece, soffermare l’attenzione sulle sensazioni dei vari protagonisti non può essere ignorato un altro elemento: il cibo. O per meglio dire l’ossessione e la descrizione minuziosa e ripetuta che viene fatta del cibo negato, immaginato e di quelle provviste spesso nascoste. Tutto questo non deve stupire. Come detto, il quadro che l’autrice ci offre è quello di una popolazione disperata e in fuga, una popolazione variegata che si trova a dover lottare per la sopravvivenza. E che, ora, si trova anche a dover affrontare la fame, quella vera; una sensazione che molti di loro, esponenti dell’alta società, non aveva mai avvertito.

Una fame che, patita nello stesso periodo e per lo stesso motivo (la guerra) pativa anche un’altra donna, anche lei scrittrice: Dacia Maraini. Anch’essa chiusa, da bambina, in un campo di concentramento, anche se in Giappone, ricorda con parole ugualmente angosciate la fame patita e soprattutto la perdita e l’annientamento della dimensione umana e della dignità, visti durante la prigionia. E della fame ne parla la Nemirovsky, questa volta, però, in alcune sue lettere (in alcune edizioni presenti in appendice) nelle quali chiede agli amici di procurale del cibo per lei e per le sue due figlie.

Grande merito della Nemirovsky, infine, quello di aver reso l’orrore della guerra senza cadere nella facile tentazione della scena truce ma riuscendo a svelare la meschinità degli esseri umani, soprattutto quelli che nella “società civile” risultano essere, spesso, i più rispettati. Solo pochi, in questo caso i coniugi Michaud, modesti impiegati di banca, riescono a preservare il meraviglioso, sublime e spesso dimenticato dono della Dignità.

Un dono che l’autrice, donna di grande cultura, conserva anche nella vita reale. Lei stessa, infatti, scriverà al direttore letterario della sua casa editrice, Albin Michel “Caro amico… non mi dimentichi. Ho scritto molto. Saranno opere postume, temo, ma scrivere fa passare il tempo”. E da donna di grande cultura, appunto, non chiederà agli amici solo cibo e soldi, ma anche libri. Quelli che, una volta finiti, fanno sentire il lettore come se avesse detto addio ad un amico.

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Martina248 Opinione inserita da Martina248    21 Aprile, 2020
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Chi si nasconde dietro la storia

Ricordo quando, circa un anno fa, studiai la seconda guerra mondiale e l’invasione tedesca in Francia tra i banchi di scuola e, solo ora, leggendo questo libro, mi rendo conto di come mi limitai a memorizzare date e eventi di quel periodo, cercando di collegare fatti ed individuandone le cause e dimenticandomi, in ogni mio ragionamento, del fatto che dietro a quegli eventi vi erano delle persone, delle persone che soffrivano, che erano ignare del futuro e non bastava loro girare qualche pagina come noi, per sapere quando e se quella terribile guerra sarebbe finita.
Invece, la lettura di Suite francese, ha saputo farmi sentire ciò da cui il nostro studio della storia spesso prescinde: le paure, i tremori, le ansie e le speranza di quegli uomini così lontani e così simili a noi, travolte dal turbine inarrestabile della Storia.
Irène aveva in mente un grande progetto, cinque libri per un totale di mille pagine, di cui solo due ebbero il tempo di fiorire dal suo animo che presagiva la fine, ma non poteva smettere di raccontare, unico diletto in una vita di ansie.
Così, il primo libro ci porta nelle case di tre famiglie francesi e ci accompagna nel loro disperato viaggio alla ricerca di un rifugio, lontano dai bombardamenti tedeschi: i Péricant, i Michaud e i Corte. Saltando da una storia all’altra, Irène analizza ogni reazione alla catastrofe: dal tenero egoismo di una madre che vorrebbe soltanto salvare la sua famiglia, all’eroismo di un ragazzo che riscopre la guerra da dimostrazione di coraggio a spettacolo di miseria e desolazione, al cinismo di un anziano signore che vorrebbe soltanto trascorrere i suoi ultimi anni in pace.
Nel secondo libro, invece, ci ritroviamo in una piccola cittadina fuori Parigi, dove i tedeschi irrompono stabilendosi nelle case dei francesi e invadendo piccoli nidi di dispute e tenerezze familiari. E da questo incontro, c’è chi non può che odiare con tutte le sue forze quei nemici per rispetto dei propri cari combattenti e chi invece, incredulo, ritrova la sua medesima umanità negli occhi di quello che dovrebbe essere il nemico e che, invece, non è che un sofferente a sua volta poiché come dice Brecht in una sua poesia “Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente” perché nella guerra, aggiungo io, non ci sono vincitori o vinti, solo sofferenti.

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kafka62 Opinione inserita da kafka62    03 Agosto, 2019
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LA GUERRA DELLA GENTE COMUNE

“E’ risaputo che l’essere umano è complesso, molteplice, diviso, misterioso, ma ci vogliono le guerre o i grandi rivolgimenti per constatarlo. E’ lo spettacolo più appassionante e terribile […]; il più terribile perché è il più vero: non ci si può illudere di conoscere il mare senza averlo visto nella tempesta come nella bonaccia. Solo chi ha osservato gli uomini e le donne in un periodo come questo può dire di conoscerli – e di conoscere se stesso.”

Irene Nemirowsky è morta – come è risaputo – nel campo di sterminio di Auschwitz nel 1942, e leggendo “Suite francese” quello che più meraviglia il lettore è una sorta di paradosso temporale, il fatto cioè che la guerra mondiale sia stata da lei raccontata praticamente in presa diretta, proprio mentre gli eventi bellici si stavano svolgendo sotto i suoi occhi, eppure il romanzo sembra essere stato scritto, per l’olimpico distacco critico ed emotivo che esibisce, molti anni dopo la fine del conflitto. La Nemirowsky è riuscita a cogliere appieno il significato e il senso storico di avvenimenti che il caos, la complessità e la frammentarietà di un conflitto bellico di solito non consentono. La visione da lei privilegiata è quella della gente comune: quindi nelle pagine di “Suite francese” non assistiamo a battaglie, incursioni aeree o rappresaglie partigiane, bensì al vivere quotidiano di aristocratici, borghesi e contadini, alle prese con la fuga in massa da Parigi alla vigilia dell’invasione nazista (la prima parte, “Temporale di giugno”) e con l’occupazione dell’esercito tedesco (la seconda parte, “Dolce”). Peccato che “Suite francese” sia rimasto fermo ai suoi primi due capitoli, perché l’intero progetto prevedeva ben cinque racconti, tra loro intimamente collegati, i quali, se portati a termine, avrebbero probabilmente costituito la migliore rappresentazione in forma letteraria dell’intero secondo conflitto mondiale. Ma anche così com’è, “Suite francese” è pur sempre un’opera notevole, perché mette in scena una umanità quanto mai variopinta mediante l’utilizzo di un registro emotivo e linguistico estremamente differenziato, che va dalla compassione e dalla pietas verso i personaggi più provati dal destino (ad esempio, i coniugi Michod, la “sposa di guerra” Lucile e la contadina Madeleine) fino all’irrisione beffarda e grottesca nei confronti delle figure più abiette e meschine (la viscontessa di Montmort, la facoltosa signora Pericand, lo scrittore Gabriel Corte, il collezionista Charles Langelet). Il cuore della Nemirowsky batte evidentemente per le persone semplici e umili, ma il tono dei suoi racconti non scade mai, neppure negli episodi di peggior egoismo, opportunismo o vigliaccheria, nell’invettiva o nel disprezzo. Anzi, nel ritrarre i vezzi, i tic, le manie, i formalismi e le manifestazioni (di arroganza, di superbia, di viltà o di paternalismo) tipiche delle classi sociali più elevate, la Nemirowsky rivela un acume e un’ironia addirittura proustiani (la viscontessa di Montmort, ad esempio, ben potrebbe figurare in qualche pagina della “Recherche”). La prosa della Nemirowsky, in ogni caso, rientra nel genere del “feuilleton” e del romanzo “popolare” (nel senso di letteratura che sa parlare alla gente con immediatezza e semplicità, quella semplicità che non è semplicismo ma capacità di nascondere ogni sofisticatezza ed ogni artificio), genere che la giovane scrittrice francese ha saputo portare ad esiti ragguardevoli e al quale ha aggiunto una personale vena lirica e una predilezione per i toni sfumati e malinconici, oltre che un inedito rispetto per coloro che nella maggior parte dei romanzi di guerra sono trattati in maniera alquanto manichea, ossia i nemici, i tedeschi, i quali vengono descritti in “Dolce” con la stessa sensibilità e la stessa equanimità dei personaggi francesi.

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Niki Opinione inserita da Niki    29 Agosto, 2018
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la verità storica senza giudizio

Concepito come un'opera in cinque volumi, Suite francese è purtroppo restato incompleto a causa dell'internamento ad Auschwitz di Irène Némirovsky e della sua morte nell'agosto del '42.
Si tratta di un meraviglioso romanzo in cui ci si ritrova immersi nella storia, vissuta come testimonianza diretta dell'autrice, ma senza quasi il suo intervento critico: ella registra gli avvenimenti dell'esodo da Parigi del giugno 1940 con occhio attento ai particolari, alla personalità dei personaggi, alla realtà dei fatti senza drammatizzazioni eclatanti, rendendoci il senso d'incredulità che animava la gente.
La seconda parte, invece, narra dell'occupazione tedesca di un paese di campagna, sempre con una accuratezza di ambientazione frutto di attente ricerche.
Suite francese è un romanzo corale, fatto di persone e delle loro reazioni alle avversità, di sentimenti, impulsi, passioni, dolori e tentativi di felicità nonostante tutto.
Scritto con uno stile fluido seppur denso di tanti piccoli particolari, lo consiglio a chi ama i romanzi impegnativi che analizzano la vita nella sua veridicità senza spettacolarizzazioni.

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Erich28592 Opinione inserita da Erich28592    08 Mag, 2018
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Una sinfonia interrotta per sempre

“Le vie erano deserte. I negozianti abbassavano le saracinesche. Nel silenzio si udiva soltanto il loro rumore metallico, quel suono che nelle città minacciate, all’alba di una sommossa o di una guerra, colpisce con violenza l’orecchio.”
Le strade di Parigi si svuotano, intere famiglie fuggono in cerca di salvezza: l’esercito del Reich è alle porte.
“Temporale di giugno”, il primo dei due componimenti che danno vita a “Suite francese”, è uno scorcio sull’esodo di alcune famiglie parigine, che dall’oggi al domani si trovano costrette a sciamare verso le campagne, assicurando vite intere ai bagagliai delle loro automobili: “Era quasi notte, ma la macchina dei Péricand era ancora ferma davanti alla porta: sul tetto era stato sistemato il morbido e alto materasso che da ventotto anni guarniva il letto coniugale”.
“Dolce”, il secondo componimento della ‘Suite’ (la Némirovski ne aveva previsti cinque, ma la cieca furia nazista pose prematura fine alla sua esistenza), offre invece uno sguardo sorprendentemente delicato sull’occupazione tedesca di un villaggio della campagna francese nell’estate del 1941.

Sfogliando le pagine dei quaderni su cui la Némirovski era solita annotare idee e spunti per la stesura delle sue opere, un appunto in particolare ha catturato la mia attenzione: “Non dimenticare mai che la guerra finirà e che tutta la parte storica sbiadirà. Cercare di mettere insieme il maggior numero di cose, di argomenti... che possano interessare la gente nel 1952 o nel 2052”.
Tanto in “Temporale di giugno” quanto in “Dolce”, in effetti, la guerra altro non è che un’eco lontana, affievolita da emozioni e sensazioni quasi palpabili, e da una natura commovente, raccontata con un lirismo garbato e melodioso.

“Suite francese” è una raffinata sinfonia, di cui, purtroppo, non conosceremo mai il finale.

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    08 Novembre, 2017
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La causticità dell'atto interrotto.

Sin dalle prime battute, “Suite francese” suscita nel lettore una profonda sensazione di rievocazione: le parole trasmutano nella fase storica narrata facendola rivivere sulla pelle, riassaporandola nell’anima, riassaporando con essa il peso della tragedia, delle ingiustizie, della persecuzione, del terrore, della paura. E’ un elaborato che già per questo assunto sa mettere in difficoltà chi vi si avvicina. Perché il conoscitore ne viene pervaso, affascinato ma al contempo si trova innanzi ad altri due elementi non di poco conto che influiscono sull’esito e sull’evoluzione dello scorrimento del volume; il fatto che l’opera sia vergata a mano ed abbia le caratteristiche di una bozza non revisionata, da un lato, e l’incompiutezza del finale dall’altro. Queste tre circostanze fanno si che il giudizio in termini di stile, contenuto e piacevolezza sia sfarzato. Da ciò, o si ama, o si odia. Se infatti si apprezza la reminescenza, la memoria ma non si condivide l’incompiutezza dell’epilogo, difficile sarà riuscire a godere pienamente del componimento. Quell’interruzione, quel doversi obbligatoriamente fermare, è un fattore ostico che fa soffrire, che lascia con il boccone amaro in bocca. E’ l’esempio classico di uno spettatore che è costretto ad interrompere la visione di una messa in scena prima della sua conclusione per cause di forza maggiore a lui non imputabili. Il tutto accade in modo caustico, caotico, lento e veloce insieme. La rappresentazione dell’ebreo si alterna con quella del francese invaso dal nemico ed è avvalorata da un linguaggio limpido, crudo che nulla risparmia. Il francese perde la sua identità, la sua unità, ritrovandosi allo sbando, l’ebreo è abbandonato a sé stesso, alcuno ha possibilità di salvezza.
E’ in questo connotato che traspare maggiormente la forza dell’autrice. Ella riesce a descrivere l’animo umano, a rappresentarlo così com’è senza filtrare alcunché. Bene e male, bellezza e bruttezza del medesimo sono magistralmente calibrati in un connubio in cui la realtà vince sulla finzione

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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    13 Ottobre, 2016
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Il super capolavoro

Suite francese é un progetto letterario ambizioso con cui Irene Nemirovsky voleva parlare della seconda guerra mondiale, vivendola giorno per giorno, strutturato in cinque parti (Tempesta in giugno, Dolce, Prigionia, Battaglie, La pace), di cui solo le prime due completate, poichè nel luglio del 1942 fu arresta, in quanto ebrea, e deportata ad Auschwitz, dove morì di febbre tifoide il 17 agosto dello stesso anno. Restano quindi solo di questo poema sinfonico Tempesta in giugno e Dolce, pubblicati postumi in Francia nel 1954, sufficienti però per dare un’idea di ciò che l’autrice voleva rappresentare. Sono entrambi riportati in questa edizione di Adelphi, in cui è possibile cogliere quella continuità che è propria appunto di una Suite. Tempesta in giugno è una serie di quadri con cui si rappresenta il caos magmatico che segue all’invasione della Francia da parte dei tedeschi, mentre Dolce ha più la struttura di un romanzo, con una delicata storia d’amore fra un ufficiale germanico e una signora francese, il cui marito è stato fatto prigioniero. In entrambi i casi, sia pur con motivazioni diverse, ci troviamo di fronte a qualche cosa che trascende il cosiddetto capolavoro, tanto che non riesco a trovarne una definizione, se non quella di super capolavoro. In particola in Tempesta in giugno i vari quadri sono raccordati con una puntualità e una perfezione che oserei definire incredibile; se ci sono dei personaggi emblematici che danno corpo alla narrazione e sullo sfondo troviamo un’umanità impazzita nella fuga, la cura del dettaglio è impressionante, senza che tuttavia venga a costituire un appesantimento che possa nuocere alla lettura. Tutto scorre veloce o lento, a seconda delle circostanze, con descrizioni mirate, con una capacità di ricreare l’atmosfera del momento che consentono a chi legge di vedere le scene, come in un film. A ciò giova indubbiamente uno stile snello e fresco, una frequente nota poetica che smussa, attenua la tensione quel tanto che basta per scorgere gli eventi come una sequenza di fotogrammi. Raramente mi é accaduto di imbattermi in una scrittura così inappuntabile, così concisa e al tempo stesso completa, in una sapiente concatenazione di ritmi senza che vi sia una nota stonata; la sua non è una scrittura, ma La Scrittura, cioè il massimo che ci si possa attendere da un’opera letteraria e se stupiscono e avvincono le trame dei singoli quadri, non si può non porre in rilievo appunto la bellezza di questo stile che da solo attira l’attenzione. Sono non pochi i personaggi principali, la cui psicologia é analizzata approfonditamente e sono, per certi versi, simboli di classi sociali, verso le quali la narratrice dimostra ben poca simpatia, fatta eccezione per il grado più basso della borghesia. Non è infatti un caso se rilucono i coniugi Michaud, modesti impiegati di banca, legati da un tenero e incrollabile amore che li porta a essere totalmente solidali nei momenti dolorosi e nelle piccole e non frequenti gioie della vita; sono minuscole realtà che, tuttavia, nel reggere se stessi finiscono con il reggere l’intera umanità. É quindi solo l’amore - quell’amore che si traduce in un sentimento di totale affetto e condivisione, che è superiore a ogni ricchezza e bramosia di potere - a salvare il mondo, concetto che è sorprendente ove si consideri che Irene Nemirovsky era figlia di uno dei più grandi banchieri dell’epoca, un uomo dalla ricchezza smisurata.
La seconda parte, Dolce, è in un certo senso più convenzionale, con questo lento innamoramento che mai arriverà a un amore reciproco palesemente manifestato, perché troppo grandi sono certe differenze, fra il vincitore e la sconfitta, fra chi, prima di essere uomo, è soldato e colei che, insoddisfatta del marito che si trova in prigionia, non può tradire il suo paese e desidera avere un uomo vero. L’autrice cesella le parole, riesce a rendere perfettamente questi insanabili contrasti che in altre penne sortirebbero ridondanti di retorica, ma che qui invece sono di grande semplicità e naturalezza in quanto propri dell’esistenza.
A qualcuno, come per esempio al sottoscritto, potrà risultare più gradito Tempesta in giugno, ma comunque pure Dolce è un romanzo di assoluto rilievo, una di quelle storie d’amore così realistiche da non sembrare assolutamente frutto di creatività.
Resta da chiedersi come averebbero potuto essere le altre tre parti, ma qui entriamo nel campo delle congetture. Pertanto, l’analisi e il giudizio è forzatamente limitato a queste due prime e mi pare di aver evidenziato abbastanza compiutamente la loro importanza, derivante da valori che non sono solo letterari, ma che si espandono alla storia, alla filosofia e perfino alla sociologia; di ciò che non non ha potuto scrivere, si può dire solo che di sicuro sarebbe stato di estremo interesse.
Dire che il libro sia meritevole di lettura finisce con l’essere un po’ riduttivo; più che consigliarla, credo invece sia mia dovere raccomandarla, lasciandosi trasportare dal ritmo adottato dalla narratrice; per le riflessioni c’è tempo, lasciatele a una indispensabile e ancor più gratificante rilettura.


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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    14 Giugno, 2016
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Sinfonia incompiuta



Gran bel libro, scritto molto molto bene, lucido, scorrevole, descrittivo, sentimentale, ma allo stesso tempo arguto e accusatorio delle debolezze umane e dei mali del mondo.
La prima considerazione che mi viene da fare è che siamo stati privati troppo presto di una penna e di una storia che aveva ancora tanto da raccontarci.
Non sapremo mai l'epilogo delle storie presenti in questo romanzo...ed io ne sento terribilmente la mancanza!(pur chiudendosi in maniera non traumatica per il lettore!)
Devo confessare che ho trovato la seconda parte molto più coinvolgente della prima. (Dovevano essere 5 parti).
Sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale...tante storie, tanti personaggi che si intrecciano e si accordano alla perfezione, proprio come in una sinfonia.
La prima parte racconta della fuga di massa dei parigini alla vigilia dell'invasione tedesca, la seconda parte racconta della bruciante quanto sofferta passione tra una parigina (sposata ad un prigioniero di guerra) e un ufficiale tedesco.
Condivido il messaggio che in fondo, in guerra, non c'è molta differenza tra vincitori e vinti, siamo tutti uomini con una storia alle spalle, con dolori e sofferenze personali, con famiglie più o meno amorevoli, con amori infelici o felici...quello che mi ha colpito di più però è stato vedere come la scrittrice abbia dipinto i militari tedeschi (tutti) come persone educate, cortesi, persino buone e sensibili...proprio quei tedeschi che poi la deporteranno ad Auschwitz in quanto ebrea.
Di contro dà un'immagine dei francesi non proprio idilliaca...
È un grande affresco storico che mette a nudo pregi e difetti dell'umanità...la meschinità, la vigliaccheria, la paura, la solidarietà, l'eroismo, l'amore...non manca davvero nulla.
O forse sì...un pizzico di pathos!

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siti Opinione inserita da siti    26 Settembre, 2015
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Sospensione di giudizio

Data alle stampe nel 2004, l’opera ha contribuito notevolmente a far conoscere un’autrice che era stata già toccata dal successo dovuto alla pubblicazione delle sue opere, ma che per contingenze strettamente legate alla sua identità, all’orribile periodo storico che le fu concesso vivere, al suo essere donna e di talento, conobbe- ancora in vita- l’oblio, la dimenticanza e l’indifferenza. Ciò che ha creato prima di morire, vittima anch’essa della persecuzione nazista, con l’anima straziata dal timore per il destino delle proprie figlie, le ha restituito la dovuta visibilità ai giorni nostri.
Leggere le sue opere può far correre il rischio di sopravvalutarne l’esito quando ci si fa impressionare dalla vicenda biografica e questo, a maggior ragione quando si legge questo romanzo incompiuto e sospeso dal rapimento e dall’omicidio della sua autrice. Questo è il triste destino di uno scritto che ci viene consegnato per volere delle sue figlie le quali, contemporaneamente, rendono pubblici anche corrispondenza privata e appunti legati al disegno dell’opera e alla sua stesura. Il manoscritto vergato a mano oltre che incompiuto presenta le caratteristiche di una bozza non revisionata, risulta quindi molto difficile darne un giudizio in termini di stile, contenuto e anche di piacevolezza. Se non si ama il finale aperto, se non si accetta l’incompiutezza, può risultare molto ostico goderne. Se si è spinti dal desiderio di conoscerne il contenuto per i motivi più vari, consapevoli di questo limite, si può invece gustare l’opera traendone comunque un arricchimento in termini culturali.

Premesso questo, personalmente mi sono accostata all’opera dopo aver letto altri romanzi dell’autrice, non tutte apprezzati in egual modo; ciò che amo e ricerco in questa autrice è la limpidezza dello stile, la sua crudità e l’assenza totale di ipocrisia nella rappresentazione dell’animo umano. Alcune sue pagine sono talmente pungenti da risultare respingenti, caustiche, cattive oserei dire, eppure mi ritrovo sempre a riconoscerle una grande abilità nell’investigazione dell’animo umano e nella sua rappresentazione così come mi cattura quando coglie quella sfumatura che sta in bilico tra un sentimento negativo e uno positivo e permette di redimere ognuno di noi nella vasta gamma di emozioni che sorprendono, lacerano, arricchiscono il nostro animo facendolo maturare giorno per giorno. Amo inoltre le sue descrizioni, l’intercalare nelle pagine della bellezza del creato, la capacità di restituirci con storie più o meno gradevoli la sua storia, la sua identità.

Venendo a “Suite francese”, posso affermare di aver assistito ad una rappresentazione teatrale interrotta al secondo atto, il sipario è calato per cause di forza maggiore e di quella rappresentazione non potrò goderne mai più se non, di nuovo, per i primi due atti. Seguendo il suggerimento offerto dal titolo potrei allo stesso modo asserire che la sinfonia si è interrotta e che la musica d’insieme mi ha lasciato il canto del popolo francese. Quanto fu caustica la rappresentazione dell’ebreo, tanto è equilibrata quella del francese, un popolo che subisce un ‘invasione dal nemico storico a cui non ha ancora perdonato Sedan, un popolo che è rimasto schiacciato dalla sua stessa storia, monarchica, rivoluzionaria e anelante alla democrazia, passando anche per la Comune, tentando la repubblica e intervallandola con l'impero. Il punto di vista è quello di un popolo, che al di là della sua identità e nella limitatezza della sua dimensione umana, subisce un’invasione e va allo sbando, perdendo la sua umanità, ritrovandola, ricercandola nel popolo invasore.
Ho apprezzato molto il movimento veloce, caotico, dispersivo di “Tempesta di giugno”, ho risentito della lentezza di “Dolce”, ho assaporato i primi ricongiungimenti degli elementi isolati di quello che è stato pensato come un movimento di più ampio respiro, ho avvertito il dolore di una scrittrice che in presa diretta salvava il salvabile in un tempo e in un luogo che non erano più i suoi. Ho respirato la forza catartica della scrittura e non sono riuscita a leggere la realtà nuda e cruda dell’appendice offerta dall’edizione Adelphi. Sommariamente so che cosa c’è scritto in quelle corrispondenze private, nello strazio del marito, nella secchezza delle risposte, ma mi sono fermata. Penso che se il suo destino fosse stato un altro, l’opera avrebbe risentito, rispetto al disegno iniziale,dello sviluppo di quegli eventi che la sua autrice non ha saputo o voluto presagire perché la cattiveria umana è andata ben oltre ogni possibile immaginazione.
Immagino, nonostante tutto un’opera corposa, gradevole ma stavolta a lieto fine.
Ha vinto invece, la realtà.

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manuelaagosto Opinione inserita da manuelaagosto    06 Mag, 2015
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Amore e guerra

Fra il 1941 e il 1942 Irene Nemirovsky pone mano a un’opera ambiziosa che non riuscirà a portare a termine : Suite Francese. L’opera comprende due volumi, il primo “Temporale di giugno” e il secondo “Dolce”.
“Temporale di giugno” è un insieme di quadri che ritraggono la fuga dei parigini al momento dell’occupazione nazista della Francia ed è un affresco sulla variegata umanità del popolo che crede, lasciando Parigi, di scampare alla guerra, alle bombe, alla morte certa. L’autrice illumina certe parti dell’affresco soffermandosi su alcune figure, coppie e singoli, diverse tra loro per estrazione sociale, culturale, economica, ma accomunate dalla stessa sorte di fuggitivi in balia della sorte, della fame, della mancanza di un letto su cui dormire. Eppure ognuna di queste figure alla fine risolve la situazione in modo diverso ma, ancora una volta, anche in una situazione di emergenza come questa, chi ha denaro se la cava mentre chi vive del proprio lavoro, come i signori Michaud, si trova a ritornarsene a Parigi perdendo pure il posto di lavoro. La Nemirovsky non giudica, si limita a dipingere quello che vede : sembra quasi una pittrice cronista.
Anche in “Dolce” l’autrice è un’accorata affabulatrice ma la matassa dei sentimenti in gioco che anima i protagonisti, la coinvolge fino a farsi interprete delle loro emozioni.
Un piccolo borgo della provincia parigina viene occupato dai tedeschi che diventano ospiti imposti presso le famiglie del paese. Un ufficiale prende dimora presso le signore Angellier, rispettivamente madre e moglie, Lucile, del figlio/marito prigioniero dei tedeschi.
E’ strana la guerra e ancora più ambigua l’occupazione di un paese: sentimenti contrastanti si impadroniscono della gente del posto. Per alcuni, ad esempio la signora Angellier madre, i tedeschi sono il nemico tout-court, e quindi da odiare, da respingere fino ad evitare ogni contatto, anche verbale. Per la maggior parte del paese la forzata convivenza, sotto lo stesso tetto, alla stessa tavola da pranzo, scatena rancori giustificati e allo stesso tempo una sorta di familiarità che spesso ha il sopravvento sull’odio per l’occupante.
In Lucile, sposa di guerra, sposa mai amata, sposa tradita, e che mai ha amato, l’incontro con l’ufficiale Bruno von Falck, dai modi gentili, educati, persona colta e amante del bello, così diverso dal rozzo marito, imperversano sentimenti così opposti che la rendono continuamente dubbiosa sul come comportarsi, su cosa è lecito provare, su che tipo di relazione, sempre che sia possibile, instaurare. E’ vero : è il nemico, colui che ha ucciso chissà quanti francesi, ma nessuno ha avuto per lei delle attenzioni come quelle che Bruno sa dedicarle. Nella terra bruciata dei sentimenti del suo cuore, Lucile pensa che forse lo ama e ne è riamata: è un male? Ma oltre che soldati questi tedeschi sono anche uomini, con una vita interrotta dalla guerra, con mogli, fidanzate, magari figli! Lucile tenta di giustificare la marea di emozioni che la sconvolgono: è possibile amare il nemico, esserne attratta, condividere momenti di felicità?
Però a una evidente avance di Bruno, Lucile si ritira sconvolta. Improvvisamente tutto si confonde in lei e il rifiuto dello straniero la compenetra. Ma è convinta fino in fondo?
A risolvere i drammi interiori viene improvvisamente l’ordine di partire. Una nuova guerra attende l’esercito tedesco. La guerra con la Russia.
Amore e guerra: una evidente contraddizione. Ma, forse, anche nel nemico si può vedere l’uomo.

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GPC36 Opinione inserita da GPC36    28 Febbraio, 2015
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Una Francia sconfitta e senza eroi

Non ricordo libri nei quali le emozioni della lettura sono state così forti e così strettamente connesse con la vita di chi li ha scritti, come mi è successo leggendo Irene Nemirowsky. Considerazione che vale per l’infelice rapporto con la madre che si riversa in “Il ballo”, ma che vale soprattutto per “Suite francese”. Il libro doveva essere costituito da cinque parti, ma è rimasto, purtroppo, incompleto per la tragica fine della scrittrice ebrea, imprigionata ad Auschwitz e morta nei lager. I quaderni, dove sino al 1942 aveva scritto il testo, sono statti salvati dalle figlie e sono arrivati alle stampe solo nel 2004.
La prima parte “Temporale di giugno” descrive lo sbandamento dei parigini dopo il crollo del fronte antitedesco. Nell'esodo sembrano cadere le barriere tra i personaggi dell’alta borghesia, gli snob e la massa popolare, ma subito dopo l’armistizio lo spirito di solidarietà di fronte alla tragedia si allenta, e gradualmente si cerca di ricostituire le situazioni di privilegio, disposti ad accettare le squallide condizioni del collaborazionismo della repubblica di Vichy.
La seconda parte “Dolce” descrive il rapporto tra i residenti in un paese occupato e gli invasori, con le contrapposizioni che tendono ad allentarsi sino a sfiorare una storia d’amore tra la moglie di un militare francese prigioniero ed un ufficiale tedesco, alloggiato nella sua abitazione
Colpisce drammaticamente il rispetto della Nemirowsky per coloro di cui sarà vittima, quando riconosce tratti di umanità nell'ufficiale tedesco, annullati comunque dal rigore della disciplina militare, mentre, particolarmente nella prima parte, la rappresentazione della viltà e della pochezza dei singoli personaggi ritrae un campionario della società francese sconfitta, che esce a mal partito dalla penna dura ed impietosa della scrittrice.
Il libro è notevole per lo stile scorrevole, la penetrante descrizione delle persone e dell’ambiente. L’ironia alleggerisce solo a tratti la superficie dei ritratti.
Nel testo incompleto e non revisionato dalla scrittrice vi sono le premesse per un grande romanzo nella tradizione dei maggiori romanzieri autori dell’ottocento, in particolare di Balzac; comunque, pur nei limiti di questa stesura, il libro è da classificare tra le opere da leggere e da ricordare.
Resto in attesa della versione cinematografica, di prossima uscita, con il fondato timore che la vicenda sentimentale prevalga, soffocando la denuncia sociale e il dramma personale. Pronto, ovviamente, a ricredermi se necessario.

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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    02 Febbraio, 2015
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"Un bel popolo siamo!”

Romanzo incompiuto - doveva essere in cinque atti come una sinfonia, ma la scrittrice, deportata ad Auschwitz, non ebbe il tempo di finirlo – consta di due sole parti: la prima è quasi una cronaca in presa diretta dell'entrata dei nazisti a Parigi e il conseguente, disperato esodo dei parigini di ogni estrazione sociale, la seconda ha invece come sfondo un villaggio francese occupato dai tedeschi, ospiti non invitati nelle case degli abitanti, e l'idillio amoroso tra un ufficiale tedesco ed una donna francese.
La prosa è fluida, arguta, elegante (si avverte chiaro l'influsso di Proust), e c'è l'urgenza di raccontare persone e cose mettendo nero su bianco idee e sensazioni proprie ed altrui, con un'analisi psicologica degna di nota.
Non ci sono eroi, ma solo gente più o meno nobile, più o meno meschina, che si arrangia di fronte ad una guerra che mette a dura prova la forza e la dignità di tutti.
Il lettore osserva i fatti attraverso continui cambi di prospettiva che movimentano la narrazione, anche se la mancanza di riferimenti ai crimini di guerra dei soldati della Werhmacht e i pochissimi accenni alla persecuzione degli ebrei non danno una visione del tutto esaustiva del periodo storico.
Sembra una guerra dove i tedeschi, vincitori, prendono possesso del paese vinto senza troppo infierire:
“I tedeschi... branco di carogne... Però, dobbiamo anche essere giusti... E' la guerra...”.
La Francia sottomessa al nemico è fiera solo in apparenza: la sensazione generale e inconfessata della maggior parte è che in pugno alla Germania si sta al sicuro da pericoli forse maggiori.
Del resto, la vita fa il suo corso nonostante tutto: lo si vede dal risveglio della natura a primavera e da quello dei sensi: “Nemici? Certo... Ma uomini, e giovani...”.
La storia d'amore, anche se tutto sommato splendidamente delineata, assume a volte contorni da romanzo rosa, ma gli appunti della stessa autrice riportati alla fine del libro rendono abbastanza l'idea dei suoi piani e di un lavoro ben lontano dall'essere terminato.
Nei capitoli che ci sono pervenuti pochi personaggi saranno capaci di conservare la propria libertà interiore, e le pagine più forti sono quelle che descrivono una quotidianità sconvolta da fatti drammatici e straordinari dove uomini e donne lottano solo per la sopravvivenza, estranei ad atti di eroismo e solidarietà:
“...in tutti, ricchi o poveri che fossero, confusione, viltà, vanità, ignoranza! Un bel popolo siamo!”.

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Lea Opinione inserita da Lea    18 Ottobre, 2014
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Le Fin?

Irene Nemirovsky non è vissuta per assistere al successo delle proprie opere: deportata ad Auschwitz, vi morì nel 1942.
Una vita incompiuta, così come il romanzo Suite francese, titolo postumo dato alle uniche due parti completate di quello che doveva essere un “Poema sinfonico” sulle tragiche vicende del secondo conflitto mondiale.
In “Tempesta di giugno” l’autrice dispiega un ventaglio delle esistenze più disparate, quelle dei Pericand, famiglia dell’alta borghesia con tutti i crismi e sofismi, del detestabile scrittore Gabriel Corte, degli spauriti coniugi Michaud e di altre migliaia di comparse i cui destini sono uniti dalla comune fuga dai propri territori conquistati dalle rapide armate tedesche.
Non c’è battaglia se non quella della vita quotidiana, degli estenuanti viaggi in auto per i più abbienti e per l’immensa fiumana dei francesi a piedi, che assistono stralunati ai giganteschi ingorghi di mezzi, in un tumulto di bagagli e notizie contrastanti.
La Nemirovsky inquadra le vite di sconosciuti, mostrando un volto meno evidente della guerra, una lotta serrata fatta d’implorazioni e furti, di fame e sbigottimento di fronte ad un fatto così dirompente come un’invasione.
Invece che saltare di vita in vita, in “Dolce” (seconda parte) si scivola in un tranquillo paese della campagna francese, inviolato prima dell’occupazione di soldati tedeschi: il rapporto con gli invasori è complesso, se ci sono persone come la vedova Angellier e la famiglie altolocate che si limitano a scostarsi sdegnati e disgustati dai tentativi di contatto imbastiti dagli invasori, ce ne sono altrettanti come le donne del paese e la giovane Lucile, nuora della Angellier, che guardano alla gioventù e virilità dei tedeschi come a un fiore inaspettato germogliato dalla terra gelida.
Proprio Lucile vedrà nel tenente Bruno von Falk qualcosa che va oltre l’essere nemico, una porta spalancata verso un ignoto luminoso, lontano dalle costrizioni di un matrimonio male assortito, ma una possibilità dolorosa perché avvertita come tradimento alla nazione: l’autrice non vi si addentra, ma mostra un’immagine del popolo francese che lentamente, diffidente, si accorge che il nemico ha le sembianze di un uomo come loro e si lascia quasi intenerire, si abitua allo scalpiccio dei pesanti stivali e delle voci dure e teutoniche.
Ragazzi, uomini come i figli e i mariti in guerra: se nella prima parte, l’umanità in fuga appare gretta e poco solidale con i francesi meno fortunati, questa è un’umanità raccolta e dalla corazza dura, che si piega flessibile alle avversità della vita senza spezzarsi.
La Nemirovsky affronta ogni cosa con la sua scrittura armoniosa: i dolori, l’amore tormentato di Lucile e Bruno, le città distrutte dai bombardamenti, descrive quello che le accade attorno, che la vede purtroppo coinvolta come francese e come ebrea senza indugiare nel patetismo, senza commuovere a tutti i costi.
Del grande “Poema sinfonico” non rimangono che due parti e nel capitolo finale un augurio, una premonizione o anche solo una speranza: “Se ne vanno!”.

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Pia Sgarbossa Opinione inserita da Pia Sgarbossa    08 Febbraio, 2014
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NEL DOLORE CI METTIAMO A NUDO.

COME POTREI IO NON AMARTI E STIMARTI ?
Questo il mio pensiero rivolto all'autrice ebrea Irene Nemirovsky, a lettura ultimata del suo romanzo non portato a termine, perchè arrestata , deportata e internata in un campo di concentramento.
Doveva essere un libro di mille pagine, scritto prendendo a modello la quinta sinfonia di Beethoven. Dei cinque capitoli previsti ne ha portati a termine solo due, mentre per la parte rimanente si possono intuire i prosegui previsti , solo grazie alla lettura dei suoi accurati appunti, scritti prevedendo la fine ormai imminente.
Lei che condannava la paura e qualsiasi forma di umiliazione, ha sfidato tutto e tutti , decidendo con lungimiranza di lasciarci in eredità questo splendore di romanzo.
Si tratta di un affresco lucido di una Francia abulica, vinta e occupata dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale.
E nelle strade dell'esodo dei francesi in una psicosi di guerra sotto i bombardamenti, incrociamo realtà personali variegate tra le diverse classi sociali.
I francesi che avevano avuto il tempo di filtrare e ripulire il passato dalla sua feccia , dal veleno lasciato dalla prima guerra mondiale e reso in qualche modo assimilabile dall'animo, si ritrovano a vivere nuovamente quello stesso veleno.
Nella prima parte si parla di una famiglia dell'alta borghesia di cui spiccano la figura della madre e di un figlio prete e alcuni borghesi che si pongono in atteggiamento di disgusto nei confronti dei più umili e una coppia di impiegati che tra tutti si evidenziano perchè saranno gli unici che riusciranno a mantenere integra la propria dignità.
Nella seconda parte che io ho particolamente amato si parla di soldati tedeschi che vengono accolti in casa dei francesi; in particolare la storia di Lucile , una donna francese il cui marito è in guerra prigioniero e di un soldato tedesco che alberga da lei, sotto gli occhi vigili e scrutatori della suocera.
In tutto il racconto emerge la lotta del destino dell'individuo e della collettività, il tentativo di uscire dallo "spirito dell'alveare",la consapevolezza di un rancore non rivolto ad una comunità, bensì nei confronti dell'individuo che sa far male e che difficilmente si riesce a perdonare.
Irene Nemirovsky è un'autrice molto provata dalla vita. Sa avere una rara capacità: porre la giusta attenzione ai sentimenti, in modo dettagliato e schietto, anche nei confronti del nemico, secondo la "morale del soldato". Lei sa indagare l'animo umano come pochi scrittori sanno fare: sa cogliere le alleanze tra le classi : i poveri che si cercano nel bisogno e si aiutano vicendevolmente; i ricchi che sodalizzano in vincoli e che , avari, si difendono sempre nella società.
Da questo racconto scaturiscono una serie di riflessioni che dimostrano in modo evidente maturità e capacità di giudizio nei confronti dell'uomo in generale.
E' nelle avversità che l'animo umano , complesso ,molteplice , diviso, misterioso, si rivela in modo definito, perchè non cambia, ma vengono alla luce gli aspetti che solitamente rimangono nell'ombra e chi come l'autrice sapeva con i battiti folli del cuore cosa significassero coraggio, paura, amore, ha saputo osservare gli uomini e le donne in tali situazioni, poteva dire di conoscerli e di conoscere se stessa.
Le persone si mettono a nudo e si trovano cambiate per affrontare le nuove avversità...per vivere o meglio sopravvivere.
E le catastrofi ovvero le scosse della vita passano; resistono coloro che non si sono lasciati sopraffare e hanno resistito, atteso, sperato...lottato.
E quanto mi è cara questa autice che ci parla del mondo, questo povero mondo così bello e così assurdo; un'autrice che ha avuto un animo cosmico nel quale trovavano eco i grandi problemi dell'umanità.
Con dolore ho terminato la lettura di questo sublime libro, pensando che lei, sempre rispettosa anche nei confronti del nemico e dello straniero, proprio ad opera di questi ha trovato la propria triste fine.
SIMPATICO ANEDDOTO: ho letto con tale partecipazione il libro che quando è successo che la signora Pericard, tutta presa tra i bombardamenti a salvare i suoi tre figli, quando dopo un urlo di dolore si è accorta di essersi dimenticata del suocero...ebbene mi sono associata al suo urlo, perchè anche io come lei, me ne ero dimenticata...e sono rimasta da questa affinità.
Buona lettura,
Pia

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Consigliato a chi ha letto...
A chi ha la pazienza e la maturità di saper ascoltare gli altri con vivo interesse.
A chi è interessato ad approfondire la propria conoscenza dell'animo umano.
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Opinione inserita da elvi    14 Marzo, 2012

Suite Francese

...anch'io sono rimasta un pò delusa alla fine in quanto non c'è una vera conclusione della storia...ma penso anche che non fosse realmente necessaria perchè l'autrice in questo libro ci parla dell'uomo, di come reagisce agli eventi, alle tragedie, all'amore! I romanzi hanno una "fine", ma qui si parla della vita e la vita degli uomini non ha inizio, non ha fine ed è uno scorrere continuo! Io l'ho capito così e l'ho trovato molto attuale!

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macchiolina Opinione inserita da macchiolina    03 Febbraio, 2012
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Incompiuto

E' il primo libro che leggo di questa autrice.E forse ho iniziato dal libro sbagliato visto che è rimasto incompiuto a causa della deportazione e ,in seguito ,della morte dell'autrice nel lager di Auschwitz.Sono arrivata alla fine del libro e sono rimasta con la curiosità di sapere il destino di tutti i suoi protagonisti e con l'amarezza del sapere il motivo per cui il libro si è interrotto.Da quel che ho letto comunque il romanzo era ben strutturato,e mentre la prima parte (Tempesta in giugno) mi è sembrata un pò lenta e noiosa, la seconda (Dolce) mi ha veramente appassionato.Sicuramente leggerò altre opere della Nemirovsky.

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