Stoner Stoner

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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    01 Gennaio, 2022
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La storia straordinaria di una vita ordinaria

Un autore capace di fare di una vita ordinaria una storia straordinaria è un autore di rare capacità narrative. Il protagonista di questo romanzo, di umili origini, è una figura grigia, anonima, che può lasciare indifferenti i più. La sensazione che percepisci, soprattutto dalla prima parte in cui viene tratteggiato a grandi linee, è quella di una grande tristezza, quasi inutilità, pur rendendoti conto che sono parole molto forti, se si parla della vita di una persona. Poi però questo grigiore comincia a prendere colore, i personaggi secondari che contornano la sua esistenza ne fanno scoprire lati inaspettati, gli eventi storici, che restano nel sottofondo, comportano conseguenze che hanno un qualche impatto anche sulla sua vita e sulla vita della sua famiglia. Con una grande lentezza, che è soprattutto una forma di delicatezza e rispetto, cominci a vedere in questa anima molto di più di quello che inizialmente ti avevano presentato. Ti accorgi, lentamente, di quanto l’amore può scaldare l’anima e di quanto la mancanza di amore può raffreddarla. L’autore ha saputo, con amore, raccontarci l’anima di questo uomo, con tanti non detti che, in un romanzo, sono ciò che forse più ti rimane dentro.

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assuntabruno Opinione inserita da assuntabruno    18 Marzo, 2020
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La vita nel bene e nel male.

Sul letto di morte William Stoner ripensa ai punti cardine della sua esistenza e si domanda se abbia fatto abbastanza. Lo studio, il matrimonio, la paternità, un nuovo amore e la carriera accademica. Poi riprende in mano la sua prima pubbicazione, quella che gli ha aperto le porte dell’insegnamento, e, forse, capisce che tutto è partito da lì e tutto si conclude in quel libro, in cui, a sessant’anni suonati, si riconosce solo in parte.
Per quasi tutto il romanzo non viene mai chiamato con il suo nome di battesimo, ma solo con il cognome, quasi a voler sottolineare una sorta di distanza tra chi scrive ed il protagonista dell’opera. Ed il primo, l’autore, sembra porsi sempre come un osservatore di un caso umano che descrive con asettico distacco, ma con sapiente capacità descrittiva sia caratteriale che fisica. La progressiva chiusura verso il mondo esterno cosi come il raccoglimento sui testi da tradurre e sulle tesi di dottorato segnano il passaggio dalla giovane alla mezza età, esteriormente contaddistinta da una gobba sempre più preponderante e da una incipiente sordità.
Da più parti William viene descritto come un uomo che si è lasciato scivolare addosso la vita, nel bene e nel male, una sorta di inetto, che non eccelle nel lavoro, fallisce nella vita personale e non è in grado di ricoscere l’amore vero. E, si sa, ogni storia suscita nel lettore un’emozione diversa, soggettiva ed, in qualche modo, legata anche al vissuto personale ed alla propria capacità di imedesimazione nei panni altrui.
Per questa ragione, posso dire che mi sono legata tanto a questo professore impacciato nei modi, schivo e dagli occhi grigi e freddi, ma dal grande spessore intellettuale e morale. Egli è figlio della mentalità tipica della fine dell’Ottocento, quella per la quale se sei figlio di un contadino rimarrai contadino per tutta la vita ed avrai le stesse mani brunite e callose di tuo padre, eppure nel 1910, a diciannove anni, egli, figlio di umili lavoratori della terra, si iscrive alla Columbia University e conosce, quasi da autodidatta, la letteratura inglese, che rappresenterà la prima grande passione. Fa incontri importanti, di quelli che segneranno per sempre il modo di intendere la vita: l’amico Dave Masters, che gli parla dell’accademia come di una sorta di rifugio da mondo, la moglie Edith, che gli farà sperimentare un senso di solitudine, ma indirettamente gli darà la possibilità di nutrirsi di quell’amore puro che è la paternità fatta di biberon e studi serali vicino ad una piccola Grace che gattona.
L’incontro con Lomax, il suo collega antagonista, il capo di dipartimento implacabile, è l’esempio emblematico di quanto William non sia stato per niente quell’uomo debole che non ha saputo o voluto contrastare il destino. Mantenendo le sue posizioni, è andato incontro consapevolmente alle conseguenza della sua fermezza e non si è piegato ad un atteggiamento accondiscendente che gli avrebbe garantito una carriera diversa. E così, in poco più di trecento pagine, sono condensate le vicende umane di un essere vivente che si fa spettatore dei grandi cambiamenti del Novecento. Sullo sfondo compaiono le due guerre mondiali, alle quali egli non parteciperà da soldato, ma che forgeranno ancora di più la sua indole già avvezza al sacrificio ed all’abnegazione. Ho nutrito grande rispetto per il professor Stoner, ho costruito un’immagine mentale di lui come di un figli di una generazione diversa, uno di quei saggi dai quali avrei potuto imparare tanto, magari solo con uno sguardo o con qualche parola, vista la sua inclinazione alla laconicità.

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martaquick Opinione inserita da martaquick    17 Dicembre, 2019
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UNA VITA

Leggendo opinioni e recensioni varie avevo già intuito che Stoner è un romanzo di quelli che vanno letti, che ti lasciano qualcosa dentro. Non ho avuto delusioni.
Leggendo il romanzo ho capito cosa ci trovano i lettori in questa storia: Stoner è uno di noi. È un uomo qualunque che vive una vita normale, quasi banale e noiosa e ci si può rispecchiare benissimo nei fatti che accadono durante la sua vita.
Inizialmente si dedica agli studi e si allontana dai genitori per amore della letteratura ed é una fase che chiunque passa in età adulta, la ricerca del proprio percorso e il taglio del cordone ombelicale (non sempre così drastico) con la famiglia.
Poi la ricerca del proprio posto nel mondo e Stoner sceglierà di fare il professore proprio nell'università in cui ha studiato.
La scelta del matrimonio, per interrompere la solitudine e forse anche per una sorta di innamoramento porteranno il nostro protagonista alla vita comune coniugale in cui troverà solo tanta amarezza.
L'arrivo di una figlia, l'amore puro per Grace e il sentirsi genitore, altra tappa comune per quasi tutte le persone.
Tutto questo ci fa comprende Stoner come se fosse un nostro conoscente, ed è per questo che durante la lettura quasi vorresti dare una scrollata alle spalle di quest'uomo che vive la vita passivamente, a parte qualche piccola esplosione di personalità.
Cercando di fuggire dal suo disastroso matrimonio si rifuggerå tra le braccia di una sua allieva e professoressa, per poi venire ostacolato dal rettore universitario con cui aveva avuto anche un diverbio lavorativo e personale, e quindi anche questo piccolo periodo di felicità viene demolito.
Cosa rimane a Stoner? Una vita senza grandi stimoli, senza tanto amore o affetto, senza un apparente motivo di essere vissuta.
L'arrancare di un uomo che non ha saputo prendere in mano la sua vita e le persone che ne facevano parte ma a sua difesa si puo dire che non è nemmeno stato molto supportato dalla moglie e dal mondo in generale.
Cosa può offrire la vita ad una persona? Tanto e poco, dipende dai punti di vista.
La conclusione del romanzo, in cui mi aspettavo magari un piccolo riscatto per il protagonista, è molto delicata e bellissima da leggere.

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alexandrasc Opinione inserita da alexandrasc    21 Novembre, 2019
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Vivere per la Letteratura

Ho tenuto in attesa la lettura di questo libro per mesi perché dalle recensioni lo immaginavo noioso, senza alcun risvolto saliente. Non so se mi sono ricreduta ma sono contenta di averlo letto.
Tanti affermano che nella normalità della vita del protagonista è facile identificarcisi… spero non per tanti però!
Stoner, più volte chiamato dallo stesso autore solo per cognome come a rimarcare la veridicità tra il significato del termine inglese e la sua identificazione, è un personaggio descritto con un carattere debole e incapace di reagire a qualsiasi angheria della vita. Affronta con passività qualsiasi scelta gli sia stata imposta dal destino: il lavoro dei campi da giovane, l'università di Agraria, lo sfruttamento per il vitto e alloggio dei presunti parenti dei genitori, le cattiverie di una moglie insana di mente, l'allontanamento morale dalla sua diletta figlia, l'obbligo alla rinuncia del suo unico vero amore.
Unica cosa per cui lotta da giovane fin da vecchio è la Letteratura.
Riesce a ribellarsi alla vita scelta dai suoi genitori facendo il cambio dei corsi di studio e di professione.
L'edificio universitario e l'insegnamento sono il suo unico habitat a lui del tutto naturale. Riesce addirittura a tenere testa alle prepotenze di un collega.
Anche in fin di vita, la sua unica preoccupazione è quella di organizzare i corsi per quel tempo che gli resta, di non abbandonare i suoi alunni. Non avvisa la moglie, non avvisa la figlia, non avvisa gli amici ma informa il suo collega della scelta di lasciare l'insegnamento.
La vita di quest'uomo scorre lenta come trascinata da una forza a cui non può opporsi, come in balia di forti correnti di un fiume in piena.
La parte più bella e toccante, a mio avviso, è la descrizione della fine dei suoi giorni… tra coscienza e incoscienza, tra rimorsi e rimpianti di una vita non vissuta nella sua vera pienezza. Ottiene in fin di vita la consapevolezza che la sua unica passione è sempre stata la letteratura e grazie a questa vive gli ultimi istanti con serenità accarezzando ciò che di lui rimarrà in eterno: il suo libro.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    20 Novembre, 2019
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Straordinario nella sua ordinarietà

William Stoner è un uomo come tanti altri: senza particolari virtù né rimarchevoli difetti.
Alcuni potrebbero anche immedesimarsi in lui, altri, forse la maggioranza, potrebbero addirittura infastidirsi per la sua imperturbabilità dinanzi a qualsiasi evento avverso, un'imperturbabilità ai limiti dello stoicismo che rischia di essere confusa per debolezza o irresolutezza.
Indubbiamente però, quasi come trascinate da una forza d'inerzia misteriosa, le pagine di questo romanzo, pregne della vita di un uomo qualunque, ci scorrono dinanzi agli occhi come in un film destando un interesse quasi inspiegabile se rapportato all'ordinarietà di quella vita; eppure sono certo che pochi, una volta conosciuto William Stoner, decideranno di abbandonarlo al suo destino piuttosto che seguirne sino alla fine le sue vicissitudini, per quanto poco straordinarie esse siano.
Innegabile, quindi, il merito dell'autore John Wiliams che ha saputo costruire un romanzo intenso, emozionante e coinvolgente ispirandosi all'esistenza di un uomo qualunque: ciò perchè ogni episodio, ogni dialogo, ogni pensiero espresso o represso, persino le movenze e gli sguardi, sono descritti con tale dovizia di dettagli e con oculata scelta di termini da rendere vivida e limpida l'immagine di William Stoner nella mente di chi legge, quasi fosse reale, quasi fosse un amico di vecchia data.
Altrimenti non saprei come giustificare diversamente l'impeto di rabbia che più volte ho provato nei suoi confronti, il desiderio forte di entrare nel suo studio, sedermi al suo fianco e parlargli da buon confidente, cercando di scuoterlo, di rompere quella corazza di impassibilità dietro la quale si nasconde ogni qual volta il destino gli si abbatte contro.
Una corazza che gli è stata forgiata addosso praticamente dalla nascita, provenendo da un'umile famiglia di contadini residente a Booneville, un paesino nel Missouri a circa 40 miglia da Colombia.
I ricordi della sua infanzia ruotano tutti intorno all'immagine del padre con la schiena ricurva sui campi nel tentativo disperato di sottrarre alla scarsa generosità di quei terreni il minimo necessario per la sussistenza della sua famiglia; ed il ricordo della madre con il volto sempre ottenebrato dal timore di non farcela, di soccombere prima o poi sotto un cumulo di debiti da pagare.
"Benchè i suoi genitori, all'epoca, fossero ancora giovani - suo padre aveva 25 anni, sua madre neppure venti -, Stoner, fin da piccolo, aveva sempre pensato che fossero anziani. A trent'anni, suo padre ne dimostrava già cinquanta; piegato dalla fatica, fissava disperato l'arido pezzo di terra che di anno in anno dava da campare alla sua famiglia. Sua madre sopportava la vita con pazienza, come una lunga disgrazia destinata a finire."
E quando Stoner decide di abbandonare la fattoria dei genitori per studiare presso l'università di Colombia, nella valigia oltre a pochi abiti consunti ci saranno proprio quei ricordi e la speranza intravista negli occhi senza lacrime dei suoi genitori che egli possa continuare in modo proficuo gli studi di agraria all'università e magari, un giorno, con l'ausilio delle nuove tecnologie, rendere meno impervia la loro quotidiana lotta per la sopravvivenza.
Ed è con l'ingresso di Stoner all'università che prende corpo il racconto della sua vita: lo vedremo rassegnarsi dinanzi allo studio di materie tecniche che non stimolano il suo interesse e lo vedremo invece cedere alle lusinghe della letteratura che diventerà sin da subito la sua più grande passione.
"L'amore per la letteratura, per il linguaggio, per il mistero della mente e del cuore che si rivelano in quella minuta, strana ed imprevedibile combinazione di lettere e parole, di neri e gelidi caratteri stampati sulla carta, l'amore che aveva sempre nascosto come se fosse illecito e pericoloso, cominciò a esprimersi dapprima in modo incerto, poi con coraggio sempre maggiore. Infine con orgoglio."

Si innamorerà Stoner. O forse non era amore quello che provava per Edith, lo capirà meglio dopo; forse era solo il desiderio di uscire dalla sua sfera di solitudine, di sollevare lo sguardo dai libri ed iniziare a guardare anche il resto del mondo, una donna, degli amici.
Pochi momenti felici, l'emozione del contatto fisico con una donna, il piacere di una serata in compagnia dei due migliori amici e la possibilità di insegnare come docente di materie letterarie una volta completati i suoi studi. Ma il destino è sempre in agguato.
Ci sarà la prima guerra mondiale, che spazzerà via la vita di un suo amico e di tanti che come lui decisero di onorare la patria prestando servizio volontario in quell'assurdo conflitto. Si sposerà, avrà una nuova casa ed una bellissima figlia che diventerà ben presto l'unica benedizione di quel matrimonio trasformatosi sin da subito in una guerriglia subdola e logorante da cui troverà riparo solo nel suo studio, tra i suoi libri, le poesie e le lezioni per i suoi studenti.
E conoscerà anche l'amore, questa volta quello vero, quello che brucia dentro, che ti avvolge e dissolve il mondo intorno: solo lui e Katherine, il professore e la studentessa.
Troppo bello per essere vero, perchè possa durare sotto i colpi di mannaia del collega professor Lomax, deciso a vendicare un affronto subìto minando alle fondamenta quel rapporto già di per sè precario.
Giungerà poi la malattia e la morte, e sono queste forse le pagine più intense di tutto il romanzo: ci troveremo anche noi al capezzale di quest'uomo, stringendogli magari la mano, mossi da sentimenti contrastanti: compassione e rabbia.
Compassione verso un uomo che ha cercato e voluto una propria rivalsa personale, rabbia verso quello stesso uomo che incassa gli affondi del destino parando i colpi, piegandosi su se stesso ma senza mai reagire, con la stessa stoica resistenza dei suoi genitori che continuavano a piegare la schiena su quei campi che prima o poi li avrebbero inghiottito:
"Le loro vite erano state consumate da quel triste lavoro, le loro volontà spezzate, le loro intelligenze spente. Adesso erano lì, in quella terra a cui avevano donato la vita, e lentamente, anno dopo anno, la terra se li sarebbe presi. Lentamente l'umidità e la putrefazione avrebbero infestato le bare di pino che raccoglievano i loro corpi, e lentamente avrebbero lambito la loro carne, consumando le ultime vestigia della loro sostanza. In ultimo sarebbero diventati una parte insignificante di quella terra ingrata a cui si erano consegnati tanto tempo addietro."
Mi auguro di essere riuscito nel tentativo di farvi percepire la grandiosità di questo romanzo che vi permetterà di amare o odiare Stoner, ma certamente non vi lascerà indifferenti, sicuramente vi travolgerà l'onda emotiva che l'autore è in grado di suscitare descrivendo gli episodi della vita di Stoner inquadrandoli da vicino, presentandoci quei dettagli che in una visione più superficiale potrebbero sfuggire ma che, al contrario, diventano significativi nel momento in cui vengono focalizzati, consentendo al lettore un'immediata immedesimazione nel contesto.
Ecco così che, zoomando sulle espressioni del volto o su particolari movenze del corpo, accentuando determinate tonalità nella caratterizzazione dei dialoghi, prolungando una risata sino a renderla beffarda o un silenzio sino a renderlo testimone di una verità fin troppo taciuta, l'autore riesce ad elevare Stoner da 'uno qualunque' ad 'uno di noi', un nostro conoscente, la cui vita non ci sarà più estranea ma ci coinvolgerà a tal punto che ci sentiremo in diritto di giudicarla, nel bene o nel male, approvando o condannando le sue scelte ed i suoi comportamenti: tutti però alla fine potremo dire di aver conosciuto William Stoner.

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68 Opinione inserita da 68    02 Settembre, 2018
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Lungo viaggio includente

L’ incedere della vita di un uomo ( Stoner) nei propri tratti salienti, una descrizione fredda, semplice e lineare a svelare dinamiche e perigliosita’ della vita stessa.
Sembra che William Stoner attraversi silenziosamente e pacatamente il fluire degli anni, da estraneo, annettendosi allo scorrere del tempo, uniformando azioni e sentimenti, oggettivandone il trascorso.
L’ incipit del romanzo ne è l’ epilogo, rappreso in quella indifferenza e silenziosa presenza di un vago e stemperato ricordo.
Ma poi, nel fluire della storia e tra le righe, scopriamo quanto le stagioni della vita impongano riflessioni e tentennamenti, scelte obbligate, desideri celati, rinunce, amarezze, amore, solitudine e riflettiamo su quanto egli abbia vissuto pienamente.
Unico figlio di una famiglia solitaria tenuta insieme dalla fatica, presto riconosce la necessità di un cambiamento, di una svolta necessaria, l’ allontanarsi da quel mondo rurale in cui il passato sorge dalle tenebre ed i morti tornano in vita di fronte a lui.
L’ università, l’ amore improvviso e devastante per la letteratura dopo l’ ascolto di un sonetto di Shakespeare gli regalano un senso di estraneità, un misto di pietà ed amore distante nei confronti della propria famiglia.
Da quel momento solo presso l’ università della Columbia proverà una sicurezza ed un calore mancatigli sin da bambino, un rifugio per sempre. La ricerca di un senso nell’ insegnamento contrapposto ad un matrimonio da subito fallimentare riveleranno il bisogno di dare un ordine a se stesso, diventando un buon insegnante, un senso del tutto sconosciuto nella propria vita matrimoniale.
Ci sarà un momento in cui chiedersi se la propria vita sia degna di essere vissuta e se mai lo sia stata, guidato dalla consapevolezza che alla fine tutte le cose sono futili e vuote e svaniscono in un nulla inalterabile.
Ci sarà una stagione in cui Stoner pare rimuovere la coscienza dal corpo che la contiene ed osservarsi dall’ esterno come un estraneo che ripete i gesti di sempre in modo stranamente famigliare, ma a quarantadue anni non vedrà nulla di emozionante nel suo futuro.
Apprenderà che l’ amore non è un fine ma un semplice processo di conoscenza e che la figlia Grace è una creatura aliena al mondo, costretta a vivere dove non può sentirsi a casa, avida di tenerezza e quiete ma costretta a cibarsi d’ indifferenza, insensibilità e rumore.
Gli anni successivi alla seconda guerra mondiale saranno i migliori della sua carriera e della sua esistenza. Con la piena maturità una riflessione profonda, se stesso lontano da se’ e mai così addentro, lo studio come valore intrinseco e non un mezzo in vista di qualche fine specifico.
Il tempo scorre verso un pensionamento prossimo ed indesiderato, non riuscendo a pensarsi vecchio mentre una rinnovata intimità con la moglie Edith parrebbe l’ inizio di un nuovo amore, perdonandosi per il male che si sono fatti l’ un l’ altra.
Ma è in quel momento che vedrà la propria vita con gli occhi di un altro, un vero fallimento.
Ha voluto l’ amicizia, la sicurezza e quiete matrimoniale e non ha saputo cosa farsene, tanto che si è spenta. Ha voluto l’ amore e ci ha rinunciato, ha voluto essere un insegnante e lo è diventato, ma sa di essere stato un insegnante mediocre. Ha sognato l’ integrità ed ha trovato la superficialità, ha concepito la saggezza ed ha trovato l’ ignoranza.
Una piccola parte di sè tra le pagine di un libro incompiuto e che li’ rimarrà per sempre, nella solitudine di gesti ripetuti, in una malattia improvvisa e devastante, nella indifferenza di un vago ricordo, in dialoghi rari, nel suono mozzato di un nome qualunque, nella certezza di una fine imminente, in se stesso, semplicemente William Stoner….
Che cosa rende questo romanzo un piccolo gioiello? Una indubbia linearità stilistica, descrizioni accurate, personaggi controversi, il semplice incedere dei giorni, ripetuti, riflessioni di una vita e su una vita, un certo distacco includente, un antieroe intransigente e scrupoloso ( accademicamente ) quanto impacciato ed affettivamente controverso, un senso di straordinaria normalità e riflessione sul senso dell’ esistere, mai così superficialmente profondo.

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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    17 Giugno, 2018
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Guarda! Sono vivo!

Mi sono avvicinata alla lettura di “Stoner” di John Williams avendo delle aspettative altissime: ebbene, dopo aver ultimato il romanzo, posso dire che, per quanto riguarda la mia personale opinione, queste aspettative sono state rispettate in pieno, o anche di più.
In primo luogo vorrei sottolineare lo stile dell'autore: chiaro, essenziale, fluido e insieme poetico e struggente. Quante volte mi sono trovata di fronte opere contorte e complicate da un linguaggio assurdo e astruso, sperimentazioni linguistiche e stilistiche assurte a capolavori sulla sopportazione di noi poveri lettori. “Stoner” è il contrario di tutto questo. John Williams riesce a narrare la vita di un uomo nella quale non accade, apparentemente, niente di eccezionale ed a farne un capolavoro.
La grandezza di Williams sta proprio in questo: nel saper raccontare la vita di Stoner, nella quale non avvengono accadimenti strani e particolari, rendendola incredibilmente intensa e speciale. Nessuna avventura rocambolesca, azione o paura ci tengono incollati alla pagina. Ci innamoriamo di un protagonista che, forse spesso passivo e poco ambizioso, all'età di circa vent'anni subisce una specie di “conversione” verso la letteratura e decide di fare dello studio e dell'insegnamento la propria vita. Lo seguiamo nel percorso della sua esistenza, in cui incorrerà in scelte sfortunate ma anche nell'amore, fino alla fine.

“Oltre il torpore, l'indifferenza, la rimozione, quell'amore era ancora lì, solido e intenso. Non se n'era mai andato. […] Stranamente, l'aveva dato a ogni momento della sua vita, e forse l'aveva dato più pienamente proprio quando non si rendeva conto di farlo. Non era una passione della mente e nemmeno dello spirito: era piuttosto una forza che comprendeva entrambi, come se non fossero che la materia, la sostanza specifica dell'amore stesso. A una donna o a una poesia, il suo amore diceva semplicemente: Guarda! Sono vivo!”

Sarà difficile dimenticarsi di questo protagonista e di quest'opera scritta così bene.
Buona lettura.

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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    21 Ottobre, 2017
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Uno di noi

Di questo libro ne avevo sentito parlare da tanti e sempre con giudizi ampiamente positivi, anzi entusiastici, tanto da fa supporre che fosse nata una Stonermania. Eppure, quando il romanzo fu pubblicato nel 1965 non ottenne molto successo, anzi finì con il diventare una delle tante opere che ogni anno vengono date alle stampe e che è già molto se ha un volume di vendite discreto; infatti, il titolo ben presto finì fuori catalogo. Fu in occasione della sua ripubblicazione nel 2003 che incominciò a incontrare i favori di un numero sempre più ampio di lettori che parlandone sui social network contribuirono in modo determinante a una sua ampia diffusione. Cosa era cambiato per fare diventare best seller un libro che quasi quarant’anni prima aveva incontrato solo tiepidi favori e quale era il motivo del suo travolgente successo? Era subentrata una nuova generazione di lettori, di gente che nel soffocante neoliberismo aveva cominciato a chiedersi quale era il senso della vita, insoddisfatta dai proclami secondo i quali ogni uomo è artefice di se stesso, desiderosa di trovare una verità che, per quanto non auspicabile al massimo grado, era però la premessa indispensabile per porsi le domande che il materialismo aveva soffocato: chi sono, cosa faccio, dove vado, posso ribellarmi al destino? In questo senso la figura di William Stoner, questo figlio di agricoltori che hanno lottato sempre e solo per sopravvivere, portati ad accettare la loro condizione con rassegnazione, si identificava e si identifica con quella di un uomo qualunque, come la sua vita è una vita qualunque, senza gesta memorabili, senza eroismi, insomma una vita come quella che è propria di ognuno di noi.
Stoner riesce a lasciare la desolazione della campagna laureandosi e quasi per caso scopre la sua vera vocazione di insegnante, si sposa con la prima donna che ha occasione di conoscere e non sarà un bel menage coniugale, riesce perfino ad avere un’amante per un breve periodo, ha contrasti con un collega prevaricatore nell’università in cui entrambi insegnano, arriva alla vecchiaia e in prossimità di quella pensione che non potrà tuttavia godere. Come un giunco sotto la forza del vento, Stoner si piega, ma non si spezza, certo potrebbe anche opporsi al destino, almeno in alcuni casi, ma non lo farà, come non lo facciamo noi, poco propensi a rincorrere l’incerto restando adagiati in un certo che non ci soddisfa, ma con il timore che cambiare sia peggio. All’inizio della lettura Stoner sembra un personaggio del tutto anonimo, una comparsa quasi, ma, mentre si procede, ci accorgiamo della sua personalità, delle sue miserie e delle sue grandezze, diventa sempre più familiare, troviamo in lui caratteristiche che ci accomunano, Stoner è solo uno di noi. E come ciascuno ha una valvola di sfogo alle vicissitudini della vita, come per esempio chi trova nella religione la forza per vivere e superare le avversità, Stoner ha una sua religione, laica, la letteratura, un’arte in cui immergersi e costruire un proprio mondo, un’arte a cui ha contribuito con una pubblicazione ed è questa pubblicazione che prende con difficoltà in mano negli ultimi istanti della sua vita, ma che sfuggirà dalle sue dita con l’ultimo respiro. A proposito, le ultime pagine di questo romanzo sono dedicate alla morte del protagonista e sono un’esperienza indimenticabile, certamente struggenti, ma il crescendo di partecipazione emotiva con un uomo che ripercorre in pochi minuti la sua esistenza di cui forse ora è soddisfatto consente di arrivare a vette eccelse, permette di raggiungere il sublime.
Non aggiungo altro, e le mie parole sono superflue di fronte a un simile capolavoro che si giudica da sé.

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Augustus e Burcher's CVrossing, entrambi di John Williams.
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AsiaD Opinione inserita da AsiaD    28 Settembre, 2017
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FUORI FUOCO

Sarò una voce fuori dal coro, anzi senza dubbio, in quanto leggo solo recensioni di lettori sopresi e appassionati e innamorati di questo romanzo definito dai più un capolavoro.
Le mie aspettative erano altissime però purtroppo devo dire un po’ deluse; ho trovato un romanzo fuori fuoco, non centrato, una trama piuttosto piatta un po’ come la vita del nostro Stoner. Non posso dire che non mi sia piaciuto piuttosto che mi abbia lasciato un po’ indifferente.
Stile scorrevole sicuramente, senza guizzi però che rispecchia in questo perfettamente la vita di un professore in ombra, come se fosse l’unico in bianco e nero in un mondo pieno di colori. Capisco la voglia di raccontare la normalità e capisco chi dice che la normalità va apprezzata e santificata, ma credo che qui siamo di fronte ad una vita al di sotto della normalità. Per me la normalità è bella, è vita, è gioia, nella vita di Stoner non vedo niente di tutto ciò. Un uomo-vittima fondamentalmente, che si accontenta di un amore a metà, che forse è anche meno della metà, cercato e voluto senza una ragione di fondo perché mai ricambiato, di essere padre a metà subendo scelte della moglie, perdendo il diritto di ruolo di guida per la vita della figlia che chiaramente subisce tutte le conseguenze crescendo con una profonda ferita dentro che si riflette nelle scelte superficiali e subite che si trova a fare. E’ per questo che non sono entrata in empatia con questo personaggio perché nel suo non fare e non decidere è responsabile di tutti fallimenti suoi e delle persone che in teoria ama e lo amano. Per non parlare della povera Katherine che forse è l’unica che dà un pizzico di vitalità alla vita ordinaria del professore e che ne rimane comunque scottata.
In fondo anche il suo essere diventato un professore è capitato quasi per caso, l’ennesima scelta non fatta.
Forse l’unico aspetto di resistenza lo si ritrova nel suo annoso e faticoso braccio di ferro con Lomax e la difesa della purezza dell’indipendenza del giudizio di un professore verso un suo alunno senza piegarsi a direttive che provengono da ranghi accademici superiori. Ma quanto poi si possa parlare davvero di resistenza in difesa di un principio solido non riesco a dirlo con certezza, potrebbe essere più la volontà di non transigere ad una regola stabilita, muoversi nel solo terreno conosciuto; la stessa cosa vale per la decisione di non andare in guerra probabilmente non per un principio pacifista, che chiaramente sarebbe solo che da apprezzare, quindi in un senso di rivolta, ma per paura di lasciare la strada vecchia per la nuova.
Ecco sono questi in sintesi i motivi per cui non provo particolare simpatia per Stoner, non sono entrata in empatia, nonostante è chiaro che durante la lettura varie volte ho pensato “ma povero!”, però non ho sofferto per lui e con lui, ma anzi spesso mi sono ritrovata indispettita, volevo dirgli “ma forza dai, rispondile, fa qualcosa, non puoi permetterlo!”.
Detto ciò, è una lettura che comunque consiglio in quanto scorrevole e tutto sommato piacevole e poi un romanzo considerato da così tante persone un capolavoro va letto.

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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    03 Aprile, 2017
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Cronache di una vita ordinaria

Ero molto incuriosito da quest'opera, pubblicata nel 1965 ma riscoperta solo recentemente da critica e pubblico, tanto da farne un vero e proprio caso letterario. Peccato che il suo autore non abbia potuto goderne il successo, accostandosi nella sventura al personaggio da lui stesso creato.
"Stoner" è un libro particolare nella sua semplicità. Si legge la trama e viene da chiedersi: "come può un romanzo con queste premesse essere avvincente?". Sta in questo il maggior pregio dell'opera, saper rendere interessante e avvolgente la vita di un semplice uomo, mostrandolo vividamente al lettore, che in alcuni dei suoi tratti non potrà fare altro che rivedere sé stesso.

William Stoner è un semplice ragazzino di campagna che non conosce l'altro che i lavori della terra e i confini di quest'ultima. Quando i suoi genitori decidono di mandarlo a studiare agraria all'università, il giovane Stoner decide di partire con un'indifferenza per la propria sorte che lo accompagnerà per gran parte della sua vita.
All'università capirà di amare la letteratura piuttosto che l'agraria, e questo lo porterà a diventare un professore di quella materia nella stessa università in cui ha studiato. Farà questo per tutta la vita, e probabilmente è l'unico ambito in cui riuscirà a imporsi un po' in più, senza accettare gli eventi con passività come in tutti gli altri aspetti della sua vita. Sì, perché si innamorerà di colpo e sposerà una donna folle che lo renderà infelice, senza fare nulla per cambiare le cose; si vedrà privato dell'amore di sua figlia e rimarrà inerme anche quando quest'ultima si abbandonerà e manderà in malora la propria vita con la stessa indifferenza del padre, se non più acuta; lascerà che l'unica donna che ha amato davvero e che lo ha reso felice si allontani da lui, soltanto per i limiti impostigli dal giudizio altrui.
Stoner fa rabbia, delle volte, ma non si può fare a meno di provare empatia e tenerezza per lui, forse perché in alcuni dei suoi tratti ci si rivedono più o meno tutti. Questo è un libro che ci prende per mano, che ci sussurra e ci invita a conoscere la vera storia di un semplice uomo, illuminando gli antri segreti della sua vita, scrutandolo alla luce della sua stessa lampada, seduti su una sedia all'angolo della stanza. Ed è solo così che si può trovarne la profondità d'animo, quella che all'esterno non traspare quasi mai perchè si rende manifesta solo nell'intimità, quando si è soli con sé stessi.

"A quarantatré anni compiuti, William Stoner apprese ciò che altri, ben più giovani di lui, avevano imparato prima: che la persona che amiamo da subito non è quella che amiamo per davvero e che l'amore non è una fine ma un processo attraverso il quale una persona tenta di conoscerne un'altra."

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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    07 Marzo, 2017
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L’impresa eccezionale è essere normale

Ho deciso di leggere questo libro per curiosità, influenzato dalle innumerevoli recensioni positive trovate in rete, dal passaparola diffuso su social network e sui vari blog letterari. Conoscendo a grandi linee la vicenda narrata, ben sintetizzata dall’autore nell’incipit: “William Stoner si iscrisse all’Università del Missouri nel 1910………gli fu conferito il dottorato in Filosofia e ottenne un incarico presso la stessa università, dove restò a insegnare fino alla sua morte..” mi  solleticava il pensiero di comprendere le ragioni di tutto questo successo, trattandosi della narrazione di una vita tutto sommato piatta, routinaria, forse anche banale, di un uomo che nasce, vive e muore senza mai allontanarsi dai luoghi della propria infanzia. Poi ho capito, proprio come nei versi di una celebre canzone,  che “l’impresa eccezionale è essere normale”, e ciò che affascina è la facile similitudine e l’immedesimazione tra  la vita di Stoner e quella di molti di noi.
Pertanto merito indiscusso al suo autore John Williams, nell‘essere riuscito ad emozionare e creare empatia nei confronti di questo protagonista. Ho trovato molto interessanti le parti del libro, in cui viene descritta minuziosamente la carriera universitaria di Stoner (ben conosciuta dall'autore che nella vita era infatti docente universitario): le lezioni, i seminari di letteratura inglese tenuti all’Università di Columbia nel Missouri- in cui l’autore dà sfoggio della sua conoscenza in materia, in particolare il periodo del romanticismo inglese-, i momenti di tensione e scontro vissuti con un collega professore. Le ho trovate pagine molto realistiche in cui sembra veramente di assistere come spettatori allo svolgimento della vita accademica, entrando ad esempio in punta di piedi nella commissione di valutazione riunitasi per decidere sull’ammissione al dottorato di uno studente.

Non mancano poi riflessioni significative così plausibili e comuni a molti esseri umani, riflessioni che almeno una volta nella vita ognuno di noi è portato a fare: “…Era arrivato ad un’ età in cui…gli si presentava sempre la stessa domanda…Si ritrovava a chiedersi se la sua vita fosse degna di essere vissuta. Se mai lo fosse stata...”. La vita di Stoner alternerà infatti episodi piacevoli ed inaspettati, a situazioni conflittuali e dolorose tanto nella sfera del lavoro quanto in quella privata, personale, in cui si staglia inevitabilmente il difficile rapporto vissuto con moglie e figlia.
In ogni caso, a giochi ormai fatti, sul letto di morte, il "bilancio di vita" di Stoner non può che definirsi positivo, come ben sintetizzato dall'autore: egli infatti ha potuto ambire a tutto ciò che aveva desiderato. Ha avuto amici, amore, una carriera complessivamente soddisfacente; tutti aspetti che ci portano inevitabilmente a provare una forte simpatia nei confronti di questo personaggio, normale ma allo stesso tempo così speciale.

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Luca46034 Opinione inserita da Luca46034    25 Gennaio, 2017
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Forte e delicato

Un libro straordinario, riscoperto in questi anni grazie alla pubblicazione di Fazi. La trama è assai semplice perché racconta la vita di un professore, però lo stile dell'autore crea grande empatia col lettore e non si può non rimanere legati alle pagine di questo romanzo che indaga il senso della vita di un uomo all'apparenza semplice e dimesso come la stragrande maggioranza delle esistenze di ognuno di noi. Secondo me la forza di questo libro è la capacità di far capire quanto straordinaria può essere ogni vita se indagata fino in fondo, in ogni sfumatura, se cioè non ci si limita all'apparenza esteriore. Williams fa questo in maniera straordinaria.

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Mane Opinione inserita da Mane    24 Gennaio, 2017
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Feroce e delicato

“Conservava la coscienza del proprio sangue e dell’eredità lasciatagli dai suoi antenati, con le loro vite oscure, faticose, stoiche, e un’etica che gli imponeva di offrire al mondo tiranno visi sempre inespressivi, rigidi e spenti.”

Stoner è un bellissimo dramma psicologico, il cui protagonista è un uomo, armato, contro le asperità di una mesta esistenza, soltanto del suo mansueto stoicismo ostinato e di un fatalismo che lo rende quasi verghiano.

È una storia comune raccontata in modo straordinario, attraverso uno sguardo attento ai momenti apparentemente più marginali del mosaico eppure estremamente significativi.

L’incipit è piuttosto lento, e ci introduce allo stile di scrittura scelto da Williams: fatto di una grande meticolosità nelle descrizioni fisiche dei caratteri e una particolare inclinazione nello scandagliare l’animo di Stoner, dalle più fugaci percezioni subconsce fino ai pensieri più complessi ed elaborati.
Una volta acquisita una certa confidenza con il protagonista però, la lettura guadagna ritmo e si è trascinati direttamente dentro gli accadimenti con un grande senso di coinvolgimento che culmina sul finale, carico di un intimità cresciuta progressivamente attraverso le pagine.

Se desiderate una lettura che non vi turbi,
è meglio che questo romanzo non vi capiti tra le mani, perché la sua delicatezza e malinconia mordono con ferocia senza che ve ne possiate svincolare facilmente.

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siti Opinione inserita da siti    10 Dicembre, 2016
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Lascia correre

Romanzo dallo stile pulito, scorrevole, funzionale al contenuto e ad esso strettamente correlato. Si legge d’un fiato e non manca di restituire al lettore giusta ricompensa: una bella storia, tanti spunti di riflessione, un personaggio indimenticabile e soprattutto naturale empatia. Come non simpatizzare per un giovanotto che a dispetto della sua umile origine trova le risorse in se stesso per esplorare il suo percorso di vita, un ragazzotto che fa dell’amore per la letteratura la sua identità, che da adulto riesce a convivere con le storture della vita senza mai sgomitare, senza mai mancare di rispetto a nessuno, senza fondamentalmente tradirsi mai?

Apparentemente imperturbabile, possiede una grande capacità di amare che gli fa scivolare addosso le cattiverie della moglie, le gelosie di un ambiente lavorativo ostile, le mire vendicative di un collega, essendone comunque pienamente cosciente ma volutamente superiore. Mentre Stoner, tassello dopo tassello, costruisce la sua crescita personale in una parabola di vita, a mio avviso stupenda, tutto il contesto è altamente distruttivo. La sua vita coincide con il culmine dell’aberrazione umana, i due conflitti mondiali, a più riprese lo scritto evidenzia il pensiero pacifista dell’autore, e tra di essi il periodo nero della recessione economica seguita alla crisi del ’29. La stessa forza distruttiva è mirabilmente rappresentata dalla figura della moglie, dal loro matrimonio, dal destino della loro figlia; eppure Stoner resiste, il personaggio più resiliente che abbia mai conosciuto. Non sono affatto d’accordo con chi vede in lui un inetto, mai mi sono disperata per le avversità da lui patite, mai una volta, nel corso della lettura ho disapprovato le sue scelte, al contrario ho visto in lui un grande esempio di vita, una capacità, la sua, di scorgere l’essenziale e di non farsi toccare dalle miserie umane, adottando una strategia vincente, quella degli abitanti della sua terra educati all’imperturbabilità fin da bambini. Al momento delle scelte decisive, pragmatiche, fondamentali, pur soffrendo, non sbaglia un colpo. Posto di fronte alla malattia e alla morte, come tutti, sperimenta un’estrema disillusione rispetto alla sua esistenza, eppure è ancora capace di riconoscersi il giusto merito: non ci può essere fallimento laddove si ci si è profondamente rispettati e mai traditi.
“La coscienza della sua identità lo colse con una forza improvvisa, e ne avvertì la potenza. Era se stesso, e sapeva cosa era stato”.
Bellissimo, struggente, dentro il cuore.

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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    28 Giugno, 2016
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Il professore

Il campo prima di produrre frutti esige il sudore, la fatica, le dure ore di lavoro e le mani si ingrossano, si deformano, si scuriscono di quella stessa terra che pigmenta la pelle e segna le mani dell'agricoltore. Ma i tempi si evolvono e così anche le tecniche, i risparmi di una vita vengono destinati agli studi di William, l'unico figlio che frequentera' la facolta' di agraria all'Universita' del Missouri.
Un sonetto di Shakespeare puo' scuotere gli animi, blandire la mente, indicare il percorso.
Per William Stoner fu la svolta , fu binario verso la facolta' di letteratura inglese e filosofia in quello stesso ateneo in cui avrebbe trascorso il resto dei suoi anni.

John Williams ci regala uno splendido romanzo che si avvale di bella scrittura per condurci con accanimento di semplicita', trasparenza e realismo nella vicenda di un protagonista la cui vita farebbe pensare a tutt'altro che alla trama di un best seller. William Stoner non e' eroe ma nemmeno martire, e' un individuo cui l'abilita' letteraria del suo autore dona spessore, intensita', fidelizzazione alle righe di un lettore circondato dalle atmosfere dell'uomo comune.

Stoner non ha nulla da condividere con la banalita' del perdente. E' uomo onesto, sa accanirsi, sceglie l'amore anche quando gli costa sofferenza. Sfoggia l'abilita' di trovare quiete ed equilibrio anche in situazioni snervanti, circondato dai suoi studi e dai suoi libri. Ma non e' immune dall'errore, dalla mancanza di reattivita' in tante, troppe occasioni .
William e'  il trasporto e la dedizione di un uomo solo rifugiato tra gli scaffali di una grande biblioteca lontano dal mondo reale, e' l'anestetico oblio del  professore che nessuno ricordera', e' la mortificazione  di unmarito malvoluto dalla sua sposa, e' la tragedia del fallimento di un padre. E' il trionfo della scrittura, di quanto una buona penna e una mente sensibile possano rendere indimenticabile qualunque storia.

" Perche' ti aspetti sempre che il mondo sia qualcosa che non e', qualcosa che non vuole essere. Sei il maggiolino nel cotone, tu. Il verme nel gambo del fagiolo. La tignola nel grano. Non riusciresti ad affrontarli, a combatterli: perche' sei troppo debole, e troppo forte insieme. E non hai un posto al mondo dove andare. "

Tra i libri che una volta terminati si ripongono sullo scaffale delle potenziali riletture.

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manuelaagosto Opinione inserita da manuelaagosto    02 Giugno, 2016
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Una vita indifferente

ATTENZIONE : CONTIENE SPOILER

William Stoner, ma per tutti Stoner quasi che a chiamarlo per nome gli si desse troppa importanza, nasce figlio di contadini e conosce il duro lavoro dei campi da cui si affranca, non per sua scelta, iscrivendosi alla facoltà di Agraria dell’Università di Columbia. Nel secondo anno di corso ha come una folgorazione e lascia Agraria per Letteratura inglese. Si impegna, studia, riporta buoni voti, ma il tutto con distacco e indifferenza, senza metterci un po’ di entusiasmo. Questo è Stoner, un uomo indifferente alla vita, la cui lontananza dal fluire delle emozioni sarà, per quasi tutta la sua vita, il suo tratto caratteristico. Ha metodo nella sua mediocrità, è testardo senza quasi rendersene conto: arriverà al dottorato e all’insegnamento quasi suo malgrado. Nella sua goffaggine arriva a provare un sentimento simile all’innamoramento per Edith e a portarlo a compimento fino ad arrivare al matrimonio. Il racconto della luna di miele riempie di angoscia: la goffaggine di lui, guidato solo da un naturale desiderio, e la frigidità di lei, consapevole di dover adempiere al dovere coniugale. Al ritorno dalla luna di miele Stoner è già conscio che il suo matrimonio è un fallimento. Edith si comporta da perfetta estranea e, come se non bastasse, gli è ostile, lo tratta male, non gli consente di potersene stare in pace a casa sua. Ma Stoner non reagisce, subisce senza arrabbiarsi – sarebbe il segno di una reazione emotiva – si rifugia all’università. Finalmente un risveglio emotivo avviene con la nascita di Grace, di cui lui si occupa completamente perché a Edith la bambina la infastidisce. Per una parte dell’infanzia di Grace si stabilisce un tenero rapporto tra Stoner e sua figlia almeno fino quando la moglie prende in mano la situazione e forse per gelosia o semplicemente per la voglia di fargli del male, allontana sempre più la figlia dal padre e ne gestisce la vita.
A dispetto di ogni previsione la vita di Stoner subisce un contraccolpo emotivo quando conosce Katherine Driscoll, una sua allieva, e se ne innamora ad una età, quarantatrè anni, in cui non pensava più da tempo all’amore e al sesso. Nella sua vita piatta e prevedibile entra una passione finalmente, che vive con grande trasporto e impeto. E’ un risveglio alla gioia dei sensi e, non solo, alla scoperta di poter coniugare emozioni e mente, perché ha una forte intesa intellettuale con Katherine.
Ma questa parentesi felice è destinata a durare poco perché Lomax, il direttore del dipartimento, che ha una vecchia ruggine con Stoner per un caso di “maltrattamento”, a dire di Lomax, di un suo protetto, gli impone di interrompere la sua storia d’amore a pena di gravi ripercussioni sul suo lavoro.
Il povero Stoner è condannato a non aver pace, né in casa né sul lavoro. Interrompe la relazione con Katherine e ritorna al tran-tran quotidiano.
Ma il fallimento del matrimonio tra Edith e Stoner e l’aria pesante che si respira in casa miete una vittima: la giovane Grace, per sfuggire alle dinamiche familiari, si fa mettere incinta. Ne consegue un altro matrimonio fallito che metterà le premesse per l’inizio dell’autodistruzione di Grace, a cui Stoner non farà niente per aiutarla.
Sulla soglia della pensione Stoner scopre di avere un cancro. A nulla serve l’intervento, ormai il povero insegnante è condannato e, come ha accettato con indifferenza e distacco tutta la sua vita, è pronto ad accettare anche l’epilogo finale.
Il racconto degli ultimi giorni di vita di Stoner sono, a mio parere, la parte più bella del libro per la maestria con cui l’autore ne parla. Struggenti, teneri, poetici e insieme angosciosi momenti che sanno descrivere ciò che è inenarrabile: la morte. Stoner, nello stato attonito e confusionale creato dai farmaci per il dolore, rivive momenti della sua vita. Con le capacità critiche offuscate dai farmaci reputa in un primo momento che la sua vita sia stata un fallimento ma poi ci ripensa e prende distanza da qualsiasi giudizio, tutto preso a osservare il mutare delle luci del giorno che entrano dalle finestre della sua stanzetta e assistono al suo lento spegnersi.

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    12 Febbraio, 2016
#1 recensione  -   Guarda tutte le mie opinioni

1891-1956.

Wiliam Stoner, 1891-1956, si iscrisse all’Università del Missuri nel 1910, all’età di 19 anni. Sin dalle prime battute, la vita del protagonista appare chiaramente nella sua desolazione. Per tutta la sua esistenza Bill non si allontana mai per più di centocinquanta chilometri da Booneville, il paesino rurale dove è nato e dove i suoi genitori risiedono, mantiene testardamente lo stesso lavoro e per quasi quarant’anni è infelicemente sposato con Edith, una donna con la quale l’ascia di guerra viene seppellita (e la pace di quella che sarebbe potuta essere la loro relazione coniugale viene riscoperta) soltanto negli ultimi mesi di malattia dell’uomo. Grace, la figlia, rappresenta, al momento della nascita, quasi una sua rivincita all’amore, lui che tanto lo ha bramato e solo in tarda età veramente conosciuto. Di fatto, la coniuge riuscirà ad allontanare la piccola dal padre tentando di pianificarne le giornate, gli interessi, gli obiettivi e finendo con il rinchiuderla in una gabbia dalla quale essa riuscirà ad uscire soltanto restando incinta, assecondando nuovamente Edith con un matrimonio non desiderato e finendo altresì nella spirale dell’alcolismo. Con la bambina dagli occhi vispi e curiosi Stoner non avrà più nulla a che vedere, i contatti diventeranno sporadici, e quello sguardo intelligente verrà, anno dopo anno, sostituito da una patina di indifferenza e mera inevitabile accettazione.
Anche con i suoi genitori le cose non vanno meglio: William è un estraneo vincolato da rapporti troppo formali ed una conoscenza superficiale. Soltanto Gordon e Dave possono definirsi suoi amici. L’amore sarà dallo stesso conosciuto solo a 43 anni e sarà proprio in quel fugace periodo che si riscoprirà, ed inizierà a guardare alla sua realtà per quello che è.
A questo punto una domanda sorge spontanea: com’è riuscito John Edward Williams a scrivere di una esistenza così silenziosa con quella cura, delicatezza, forza, sentimento ed accettazione proprie di quei romanzi con protagonisti vitali ed energici, tanto da renderla un capolavoro in cui il lettore inevitabilmente si appassiona e si rispecchia?
Il primo elemento che sovviene è la qualità stilistica, la quale, accarezza il lettore trascinandolo pagina dopo pagina ed incidendo in chi legge attimi di quella condizione di durezza e introspezione che caratterizzano i giorni del protagonista. Non solo, predetta, trasmette a chi sfoglia il componimento una grande ed incommensurabile passione, quella per la Letteratura e l’insegnamento. Inevitabilmente costui si ritrova ad immaginarsi al posto di Willy, a vivere di quegli scritti che hanno scandito la sua vita, ad abbracciare il suo amore per i libri e farli propri a sua volta.
Altro carattere che rileva è l’impersonalità. Eccetto che nella parte iniziale del romanzo in cui viene utilizzato il nome William, per il resto dello scritto, e salvo la breve parentesi di Katerine, egli è semplicemente Stoner, come se si fosse disfatto di un tratto personale e fondamentale per assumere un’identità fredda, implacabile, una roccia, da qui stone (pietra). E come l’uomo si priva della personalità, il lettore si rispecchia nell’impersonalità, riscontrando negli atteggiamenti, ma anche negli accadimenti, della sua quotidianità, parte di quella che è la sua dimensione. Lo Stoner-Lettore si arrabbia con il protagonista, si lascia trasportare dagli avvenimenti, vorrebbe gridargli di opporsi per poi rendersi conto di quanto soventemente egli stesso sia il primo a lasciarsi sopraffare dagli eventi, taluni evitabili, altri inevitabili.
Da qui la nemesi dell’uomo suddivisa, idealmente, in tre passaggi fondamentali: prima il rovinoso fallimento del matrimonio, “un terribile errore”, come dallo stesso definito, in cui al professore non resta altro che accogliere le melodrammatiche scenate di quella moglie che tanto lo odia, poi Lomax, collega universitario che fa di tutto per rendergli la vita impossibile per il mero e semplice fatto che il nostro docente si era opposto alla decisione circa un dottorando, Charles Walker, forse brillante ma certamente incompetente e dunque, privilegiando quella che è la tanto ad oggi dimenticata meritocrazia, Stoner pone con le sue stesse mani fine a quella che si sarebbe dimostrata altresì essere una carriera brillante che lo avrebbe consacrato alla storia dell’Università e dei suoi amati corsisti, infine la distruzione del rapporto con Grace ed in questo senso significativo è il passaggio finale in cui egli non può che dirsi «lieto che la figlia avesse almeno quello, fu grato che potesse bere».
Pubblicato per la prima volta nel 1965 e divenuto un successo editoriale soltanto a partire dal 2003, Stoner è un libro che nella sua modestia affronta gli interrogativi più significativi della vita di ciascuno di noi, dal perché viviamo, al cosa attribuisce valore e significato all’esistenza, al cosa vuol dire amare, al perché tante volte accettiamo senza veramente opporci, al perché siamo imbrogliati a quelle catene dal quale crediamo di poterci liberare per riscoprirci ancora più schiavi. Questo e molto altro ancora è Stoner.

«A quarantatre anni compiuti, William Stoner apprese ciò che altri, ben più giovani di lui, avevano imparato prima: che la persona che amiamo da subito non è quella che amiamo per davvero e che l’amore non è una fine ma un processo attraverso il quale una persona tenta di conoscerne un’altra»

«Si rese conto che per molti anni, senza neanche accorgersene, come un segreto di cui vergognarsi, aveva nascosto un’immagine dentro di sé. Un’immagine che sembrava alludere a un luogo, ma che in realtà rappresentava lui. Era dunque se stesso che cercava di definire, via via che sistemava lo studio. [..] Mentre restaurava i mobili e li disponeva nella stanza, era se stesso che lentamente ridisegnava, era se stesso che rimetteva in ordine, era a se stesso che dava una possibilità».

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PICCOLO P. Opinione inserita da PICCOLO P.    08 Gennaio, 2016
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CAPOLAVORO

Quando un libro mi colpisce con tanta forza da lasciarmi esangue ed attonito a fissare l’ultima sua pagina, con una serie di emozioni contrastanti che lottano fra loro per prendere il sopravvento sul conscio, cercando la via per formulare un pensiero, oppure un giudizio su quello che si è appena letto, mi rendo conto di essere di fronte a quello che io definisco un capolavoro.
E la prima conseguenza è una palese difficoltà ad esplicare in parole o concetti quello che internamente si sta attraversando.
Stoner. Un romanzo che può essere letto come una biografia, come una storia di vita, una vita drammatica eppure intrisa di picchi di felicità. La vita di William Stoner, narrata nella sua interezza, non parla di eroi, di storie mitiche, di vicende storiche importanti. No, Stoner non è un eroe, apparentemente non ha nulla di speciale. Come dice lui stesso, non era speciale in niente, non era neppure un bravo insegnante poichè nella sua vita ha dovuto rendersi conto dei propri limiti. Stoner non è nessuno. Dopo pochi anni dalla sua scomparsa, nessuno si ricorderebbe di lui se non fosse per quella piccola targa che commemora la sua carriera di professore all’Università del Missouri. Una carriera iniziata da giovanissimo quando, praticamente ancora studente, gli fu offerto un posto come lettore per la letteratura Inglese, e conclusa con la sua morte. Fu un ottimo professore, ma a parte un libro e qualche buon ricordo nei suoi studenti, non lascerà il segno nella storia neppure per i suoi meriti di docente.
Ma ha lasciato il segno in milioni di lettori, e credo che porterò anche io le stigmate per una storia che mi ha inciso profondamente in profondità.
Stoner è la normalità, è la vita apparentemente senza senso e scopo, uguale a quella di milioni di altri individui, che normalmente sfuggirebbe all’attenzione e al ricordo di tutti. Ma se ci si fa attirare al suo interno se ne resta affascinati, perchè ci si accorge che ogni pagina rappresenta la vita per come è veramente, la vita che ognuno di noi vive ogni giorno, impressa nella memoria personale e mai rilevata dalla moltitudine che ci circonda.
Stoner non eccelle in nulla, non aveva crediti particolari ricevuti in eredità, non è bello, non è caparbio, non è un buon marito e forse potremmo giudicare che non è stato nemmeno un buon amante. Anche sul suo ruolo di padre potremmo trovare parecchio da ridire. Ma non si può non amarlo, così come forse si vorrebbe amare la proiezione di quello che vorremmo essere, e non si può fare a meno di soffrire e gioire con lui per le sue vicende.
Stoner siamo noi. Questo è quello che sento emergere profondamente dalle pagine di questo romanzo. Leggerlo, equivale a fare una lunga introspezione dentro se stessi, prendendo proprio come paragone lui, che più di una volta si è reso conto di non avere grandi capacità di introspezione. Lui non ha avuto la possibilità di leggere il romanzo della sua vita con altri occhi rispetto ai suoi, noi abbiamo l’incredibile dono di poterlo fare, anche parzialmente, leggendo la sua storia.
So che tutto quello che ho scritto non si avvicina neanche lontanamente a descrivere la marea di sensazioni che questo libro mi ha regalato. Probabilmente nei giorni a seguire, anzi negli anni a seguire affioreranno periodicamente altre riletture personali e tante sensazioni troveranno la traduzione in parola.
Ho trovato anche decisamente efficace ed elegante la prosa di John Williams, con una narrazione che portava il lettore a seguire gli eventi con lo sguardo rivolto al passato. Ma, incredibilmente, nei momenti importanti, così come nei dialoghi, ci si sentiva trascinare all’indietro in un istante fino a vivere la scena in un tempo presente. Per poi allontanarsi nuovamente poco dopo. Uno sguardo intimo sulla vita di una persona, sorvolandola, per poi gettarsi in picchiata ogni tanto fino ad esplorare le coscienze.
Stoner fa parte del patrimonio della letteratura mondiale e sono certo che diventerà un classico perchè la sua forza è quella di poter essere sempre attuale. La vita, come viene raccontata nel romanzo di J. Wlliams, è un concentrato di vita dell’umanità intera.

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lapis Opinione inserita da lapis    01 Gennaio, 2016
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Era se stesso, e sapeva cosa era stato

Relegato a dormire su un divano in una gelida veranda, alienato nella sua stessa casa. Una moglie fredda ed egoista che si accanisce su di lui con piccole meschinità quotidiane e vendica la sua infanzia anaffettiva negandogli la tenerezza di un legame paterno. La desolante assenza di amici. Lo studio, la lettura e l'insegnamento come unico rifugio, svolti con passione e dedizione, ma sempre nei binari dell'ordinarietà.

Ecco Stoner, un uomo che di certo le bilance del successo condannerebbero al fallimento. Al giorno d'oggi sembra che la vita si misuri in quantità: quanto ammonta lo stipendio, quanti amici ti telefonano per il compleanno, quanto si è ammirati. Ma se la vita si giocasse su un piano diverso, un piano interiore dove spariscono misure e paragoni e non restasse che l'aderenza al proprio essere?

Stoner non ci appare mai demoralizzato, affranto, depresso. Affronta le disillusioni con rassegnazione, continua la sua vita con dignità e attinge forza dalla propria integrità, dal proprio buon cuore, dalla tenace fedeltà a se stesso. Si nega l'unica possibilità di amore non a causa delle convenzioni sociali imposte dall'epoca ma per non rinunciare allo studio, che rappresenta l'unica forma di focolare sicuro che abbia mai conosciuto e l’unica scelta che non lo abbia deluso.

Egli vive in fondo la vita che tocca alla maggior parte di noi, una vita semplice, di anonimato e difficoltà, alternati a fugaci momenti di fortuna. Ed è proprio questo che rende il romanzo così malinconico, straziante ed emotivamente toccante.

Sono pagine di eccezionale qualità e intensità, che incantano nella loro assenza di artifici o colpi di scena. Una penna straordinaria riesce a catturare con le parole sensazioni che credevamo solo di poter sentire ed è capace di inciderle nella mente e nel cuore, in quel luogo dove trovano dimora la compassione, l’affetto, la malinconia.

Nel mio cuore è lo stesso luogo dove quest’anno si è insediato il Morris Bober di Malamud. Non voglio fare paragoni ma ho trovato una certa affinità tra le emozioni che mi hanno suscitato questi due personaggi, con la loro profondità interiore, la loro pura mitezza, la loro vita silenziosa resa unica da una scrittura che ha la stessa grazia, pacatezza e sensibilità dell’animo dei protagonisti.

Romanzi potenti e commoventi. Romanzi che ti lasciano qualcosa in più di qualche ora in buona compagnia, ti fanno guardare alla tua vita e per questo fanno anche un po’ male. Romanzi che riescono a riconciliare davvero la narrazione alla vera vita.

Le mie parole mi sembrano in fondo piccole e insignificanti rispetto a romanzi così, ma voglio lo stesso iniziare il 2016 con questo commento. Per augurare a tutti un nuovo anno di letture così belle!

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Lonely Opinione inserita da Lonely    17 Novembre, 2015
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Se questa è vita

La vita a volte, ad alcuni, rema contro, e ce la mette proprio tutta per minarne il precario equilibro.
La vita ti spinge dove vuole lei se si rimane inermi aspettando solo che cambi direzione.
Ad un certo punto occorre intervenire per far si che la nostra barca non vada alla deriva, e per farlo bisogna prendere coscienza e consapevolezza delle nostre forze, delle nostre potenzialità.
Bisogna credere in se stessi, per ottenere quello che si desidera, e bisogna fare delle scelte, altrimenti si rischia di vivere mediocremente, o se non altro infelici, e la vita è troppo breve per lasciarla scorrere tra le dita, senza averne bevuto almeno un sorso.

Stoner, è ambientato nei primi anni 50.
Il tutto si consuma tra la prima e la seconda guerra mondiale che fanno da sfondo a questa storia, quella di un uomo, che non sa dove andare, ma che nonostante tutto ci va lo stesso.
William Stoner è figlio di contadini ma diventa insegnante, senza sapere come.
Inizia a frequentare l'università di agraria per volere del padre, perchè avrebbe potuto essere d'aiuto nel lavoro dei campi, ma diventa insegnante per volere di un professore che scorge in lui una passione per la letteratura.
Stoner s'innamora, o crede d'innamorarsi, di una donna al primo incontro e la sposa, senza conoscerla veramente, ma dietro quella figura esile, e quel viso angelico si nasconde la più perfida delle donne, Edith.
Ha pochi amici, uno dei quali muore nella prima guerra mondiale, Dave; una tragedia che minerà il legame anche con l'altro amico reduce, Gordon.
Subisce il suo matrimonio, ormai finito (semmai iniziato) per amore della figlia, Grace, voluta a tutti i costi dalla moglie, che poi praticamente ne lascia la cura a lui.
Per la prima volta Stoner riesce a stabilire un legame di vero amore, quello con la figlia, ma anche questo gli viene strappato via sempre dalla moglie, che decide di riappropriarsi della casa e della figlia e di rieducarla, secondo le sue idee.
Stoner allora mette tutto se stesso nel suo lavoro e impegna tutta la passione che ha dentro di se, diventando un ottimo insegnante, e s'innamora, e stavolta veramente, di un'altra donna, che lo ricambia con trasporto.
A questo punto del libro, chi è abituato a leggere i classici, anche di letteratura russa (tra l'altro il libro mi ricorda un po' L'Idiota di Dostoevskji), il lettore si aspetta il riscatto del protagonista.
Ma rimarrà deluso.
Stoner continuerà a lasciarsi trasportare dagli eventi, ineluttabilmente, percorrendo un percorso che gli sta evidentemente stretto, ma che non ha la forza di cambiare.
Perchè? Perchè è buono!
Sembra banale, la mia risposta, ma, Stoner è così, è buono e paziente, crede negli altri, dà sempre una seconda possibilità, lascia spazio, anche se non ne lasciano a lui, e soprattutto non conosce cattiveria, e di conseguenza non la riconosce.
Ha un suo profondo senso di giustizia, che lo aiuta a separare quello che secondo lui è giusto, da tutto il resto, inganno, invidia, odio...ma la giustizia non gli rende merito, e non gli lascia scampo.

Un romanzo intenso, profondo, e amaro, come può esserlo la vita.
Una lettura scorrevole e piacevole ma mai banale o superficiale.
Lo definirei un eroe della normalità.
Dave, il suo amico, dà di lui un ritratto autentico e lucido:
«Non credere di scappare, amico mio. Ora tocca a te. Chi sei tu, veramente? Un umile figlio della terra, come ti ripeti davanti allo specchio?
Oh, no. Anche tu sei uno dei malati: sei il sognatore, il folle in un mondo ancora più folle di lui, il nostro Don Chisciotte del Midwest, che vaga sotto il cielo azzurro senza Sancho Panza. Sei abbastanza intelligente, di certo più del nostro comune amico. Ma in te c’è il segno dell’antica malattia. Tu credi che ci sia qualcosa qui, che va trovato. Nel mondo reale scopriresti subito la verità. Anche tu sei votato al fallimento. Ma anziché combattere il mondo, ti lasceresti masticare e sputare via, per ritrovarti in terra a chiederti cos’è andato storto. Perché ti aspetti sempre che il mondo sia qualcosa che non è, qualcosa che non vuole essere. Sei il maggiolino nel cotone, tu. Il verme nel gambo del fagiolo. La tignola nel grano. Non riusciresti ad affrontarli, a combatterli: perché sei troppo debole, e troppo forte insieme. E non hai un posto al mondo dove andare».

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Mauro67 Opinione inserita da Mauro67    30 Ottobre, 2015
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Eroe o antieroe?

Stoner l'eroe o forse l'antieroe. Perchè nel nostro immaginario collettivo l'eroe è colui che combatte e muore oppure vince ma comunque combatte. Stoner non lo fa mai. Come una canna di morbido bambu si piega ai venti della vita e non si spezza. Ed è forse per questo che il personaggio ti entra nel cuore, si piega ma non si spezza e non cede. Integro fino alla fine, moralmente ineccepibile anche nella vita coniugale, pur vivendo una storia d'amore con una studentessa, perchè anche qui lui non combatte, non urla , non chiede il divorzio da una donna che lo odia. Ne avrebbe tutte le ragioni ma lui no, accetta, subisce e resiste. E per questo che diventa un eroe vero. Subisce la mole di lavoro imposta dai parenti pur di continuare gli studi universitari voluti dal padre, ma cambia facoltà e lo fa contro la volontà dei genitori. Subisce un matrimonio disastroso con una donna che lo odia da subito ma lui l'ha voluta caparbiamente e la tiene fino alla fine tentando di salvare il salvabile. Subisce l'allontanamento della figlia che nel carattere vuole essere come il padre ma non ne ha la stessa forza morale e annegherà la sconfitta nella bottiglia e Stoner accetterà anche questo con la consapevolezza che la bottiglia è quell'ancora di salvataggio che lui non si è potuto permettere. Subisce le angherie del suo superiore ma si imporrà caparbiamente alla promozione di uno studente per lui non meritevole. Si arrenderà all'amore per una studentessa e patirà il dolore per la sua partenza ma non abbandonerà il suo vero grande amore, l'insegnamento.
Insomma in una storia che sembra banale, che non abbia niente di particolare da dire, scopri un mondo che provoca tutta la vasta gamma dei sentimenti, amore per il personaggio, odio per la moglie e per il rivale collega, tristezza per la figlia, rabbia per la perdita di un amore. Ti viene voglia a volte di scagliare il libro e dire " e che cavolo... un po' di carattere" ma alla fine ti chiedi se mai anche tu sarai capace di avere il coraggio di Stoner....

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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    13 Agosto, 2015
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Aprì il libro e il libro smise di essere il suo

“Stoner” di John Williams è un protagonista davvero originale. Nella pluralità dei romanzi dominati da eroi eccezionali e superdotati, nei quali gli scrittori trasfondono il proprio egocentrismo e le ansie d’immedesimazione di un pubblico sovrano nel decretare un sempre più difficile successo commerciale, Stoner costituisce un’autentica rarità e si lascia apprezzare per il piglio recessivo e per l’atteggiamento di sopportazione stoica con il quale affronta le scelte, la lotta per la sopravvivenza, le delusioni, gli insuccessi e le difficoltà che per lo più costellano l’esistenza della moltitudine non appartenente alla categoria del superuomo.

John Williams designa il suo personaggio con il solo cognome, Stoner, e grazie a questa operazione ottiene nel lettore (che pronuncia Stoner, ma pensa a Bill, tetragono compagno di disavventure) la reazione opposta, non già per la terza legge della dinamica, ma per il fatto che chi legge si affeziona e si commuove per il docente universitario: non un genio, ma un ottimo e serio mestierante, che conserva il proprio spirito critico nelle turbolenze della vita e accetta che gli eventi s’inanellino in sequenza moderatamente e complessivamente tragica (“Arrivato a quarantadue anni, William Stoner non vedeva nulla di emozionante nel proprio futuro. Del suo passato, poco gli interessava ricordare”) sull’asse instabile dell’esistenza (“Si ritrovava a chiedersi se la sua vita fosse degna di essere vissuta”). Così si avvicendano la scelta dell’università e della professione accademica senz’ansia di carriera, il matrimonio infelice (“Erano entrambi illibati e consapevoli della loro inesperienza… Come per molti altri, la loro luna di miele fu un fallimento”) con Edith (“Edith accolse Stoner come fosse un estraneo e poi si allontanò con noncuranza…”), una povera nevrastenica che sul marito inizialmente innamorato atrocemente riversa volubilità e frustrazioni (“Quell’autunno… Edith sferrò l’ultimo attacco contro suo marito…”), i compromessi familiari (“Alla fine Stoner accettò il prestito”), il fallimentare rapporto con la figlia Grace (“Ho un bisogno disperato di bere”) strangolata da una madre debordante, una tardiva relazione extra-coniugale (“A quarantatré anni compiuti, William Stoner apprese ciò che altri, ben più giovani di lui, avevano imparato prima: che la persona che amiamo da subito non è quella che amiamo per davvero e che l’amore non è una fine ma un processo attraverso il quale una persona tenta di conoscerne un’altra”), i meschini giochi di potere che nell’ateneo come in qualsiasi ambiente lavorativo spesso costituiscono i principali meccanismi di funzionamento.

Con stile calibrato, aggraziato, lucido e appropriato alla vicenda (“Sembrava in grado, a piacimento, di rimuovere la sua coscienza dal corpo che la conteneva e di osservarsi dall’esterno come un estraneo che ripeteva i gesti di sempre in modo stranamente familiare”), John Williams dà adeguato risalto alla determinazione tollerante, dignitosa, a tratti stranita ed estraniante di un uomo che fa della sconfitta il proprio vessillo (“Ciò che sentiva era il peso di una tragedia collettiva, di un orrore e di un dolore così diffusi che le tragedie private e le vicissitudini personale venivano trasferite su un altro piano esistenziale…”) e che, anche in punto di morte, riesce a mantenere il suo distacco tollerante e filosofico (“Non riusciva a interessarsi più di tanto”), intravedendo nella cultura il senso – l’unico? - della continuità esistenziale che giustifica il misterioso procedere del mondo: “Aprì il libro, e mentre lo faceva, il libro smise di essere il suo”.

Bruno Elpis

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Anna_Reads Opinione inserita da Anna_Reads    17 Giugno, 2015
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Dove si firma per una vita così?

ATTENZIONE SPOILER !!

A questo libro sono giunta piena di aspettative.
Non vedevo l’ora di leggerlo, tout court. È sempre un pessimo modo di approcciare un libro. La delusione è sempre in agguato. Non di meno non c’è stata delusione alcuna.
Tuttavia mi trovo in una situazione di perplessità, perché, anche nelle critiche più entusiaste che ho letto e sentito, ricorrono spesso elementi e termini quali “uomo senza qualità”, “bello anche se non accade nulla”, “passività” e similia.
Ora, io devo dire che ogni tanto, mentre la lettura progrediva, ho avuto il dubbio di leggere un altro libro.
Riassumo il plot, come mia abitudine.
Il nostro protagonista nasce in una famiglia di contadini – da generazioni – che strappano con fatica, da una terra certamente non generosa, quel poco che gli serve per sopravvivere. Questi genitori, senza volto, quasi senza parole, al prezzo di grandi sacrifici mandano il figlio all’Università.
Per studiare.
Agraria.
Per migliorare la resa della fattoria e – si spera – le condizioni di vita della famiglia.
Il nostro parte per la nuova avventura, peraltro sfruttato dai parenti che dovrebbero aiutarlo, e la affronta come ci abituerà a fare sempre: determinato.
Non “rassegnato”.
Non “ottuso”.
Determinato.
A metà dell’università, folgorato dal professore apparentemente meno folgorante che si possa pensare – Archer Sloane - decide di cambiare tutto.
Non Agraria.
Letteratura.
“… e allora si sentiva fuori dal tempo, proprio come si era sentito quel giorno in cui Archer Sloane gli aveva parlato. Il passato sorgeva dalle tenebre e i morti tornavano in vita di fronte a lui, e insieme fluivano nel presente, in mezzo ai vivi, tanto che per un istante aveva la percezione di stringersi a loro in un’unica, densa realtà, da cui non poteva e non voleva sottrarsi. Tristano e la dolce Isotta gli sfilavano sotto gli occhi, Paolo e Francesca vorticavano nel buio incandescente, Elena e il radioso Paride, amareggiati dalle conseguenze del loro gesto, spuntavano dal buio. E Stoner li sentiva più vicini dei suoi stessi compagni, che si spostavano da una classe all’altra, alloggiando presso una grande università a Colombia, nel Missouri, e che camminavano distratti nell’aria del Midwest.
In un anno imparò il greco e il latino, quanto bastava per leggere i testi più semplici; aveva spesso gli occhi rossi ed irritati per la fatica e la mancanza di sonno. Certe volte rifletteva su com’era pochi anni prima, e il ricordo di quella strana figura, bruna e inerte come la terra da cui proveniva, lo lasciava incredulo. Poi pensava ai suoi genitori, li sentiva estranei quanto il figlio che avevano generato ed avvertiva per loro un misto di pietà ed amore distante.”

E qui Stoner ha trovato la PASSIONE. Quella che sostanzia la vita e quella che ti fa andare avanti, nonostante quello che (ti) succede intorno. Non sopporta, non si fa scivolare addosso, non resiste.
Sta facendo altro. Si sta occupando di altro. Di quello che è importante. Il resto viene dopo.
Capita a molti? Forse a pochi? Non so, ma è una fortuna da saper cogliere.

Ma torniamo all’uomo senza qualità.
Me lo vedo proprio, un uomo passivo e senza qualità che fa tutto questo. Che studia di notte, che impara a prendere le distanze anche da sé stesso, soggiogato da una passione che gli sostanzia la vita; un uomo che va a dire al padre e alla madre – che si son levati il pane di bocca per farlo studiare agraria, per migliorare le loro condizioni – che no, lui ha pensato di diventare professore di letteratura e non per soldi o prestigio, ma per passione.
Tout court.
Nonostante questo, Stoner lo fa.
Come farà sempre tutto il resto, senza modi eclatanti, senza grandi dichiarazioni di intenti, senza titanismo, senza hybris, senza “beau geste”. Quello che va fatto.
Diventato “professorino” fa amicizia con i colleghi Dave e Gordon.
(Dave, che rimane vivo per più o meno dieci pagine, è stato – al solito – il mio personaggio preferito; e mi è piaciuto come il suo ricordo tornasse nei momenti importanti del libro). Lui fotografa mirabilmente Stoner, Finch, l’Università/ospizio e sé stesso, nel monologo migliore di tutto il libro.
Non lo trascrivo tutto, ma nella descrizione di Stoner che vede la felicità e la giustizia “qualche libro più in là” io mi son commossa.
È Voltaire.
E nel suo fallimento c’è quello dell’illuminismo, di Voltaire e di una certa idea della cultura, del sapere e della bellezza.
Finch è tutto sommato un buon diavolo che non vuole darsi troppo da fare, ma in fondo non così malvagio da essere disonesto e Dave di sé dice “Sono troppo intelligente per il mondo e me ne andrei anche in giro a dirlo; è una malattia incurabile, la mia. Per questo devo essere rinchiuso qui, dove posso comportarmi in modo irresponsabile senza alcun pericolo, senza far del male a nessuno.”
Così, in mezza pagina, da un personaggio che va a morire per qualcosa in cui non crede.

Scoppia la prima guerra mondiale, grande entusiasmo “interventista” in America, arruolamenti in massa. Anche degli amici del nostro.
Che non si arruola.
Resta lì.
Scelta impopolare e controcorrente.
Non ci viene neppure spiegato – in un certo senso – perché. Almeno non direttamente da Stoner. Il senso di tradimento e spreco lo avvertiamo nelle parole di Sloane, ma non in quelle del protagonista.
In Sloane che dice “Non si dovrebbe chiedere ad un uomo di lettere di distruggere ciò che ha passato la vita a costruire.” C’è bisogno di un altro motivo per essere uomini di lettere?
E poco dopo “Deve ricordare – dice a Stoner – chi è e chi ha scelto di essere, e il significato di quello che sta facendo. Ci sono guerre, sconfitte e vittorie della razza umana che non sono di natura militare e non vengono registrate negli annali della storia. Se ne ricordi al momento ci fare la sua scelta.”
A pensarci, assai raramente viene fatta esplicitamente luce su quello che Stoner pensa. Abbiamo descrizioni di azioni e (brevi) dialoghi. In perfetta antitesi con Lomax che invece parla, strilla, gesticola ed agisce, Stoner è misurato, apparentemente al limite dell’apatia.
Secondo me è qui l’equivoco sulla passività e “l’uomo senza qualità”.
Stoner fa le cose come se non ci fosse altro da fare. Come se fosse “ovvio” o “naturale”
Rassegnato sarebbe chi subisse passivamente un destino che non si è scelto, ottuso sarebbe chi non sapesse deviare da una strada presa (o imposta).
Stoner non si ribella a forze e situazioni che non può modificare, ma resiste sempre. Non diventa complice e non si abbruttisce. Non può farlo, la sua Passione glielo impedisce.
Poi si infatua di Edith.
Bella, diafana, elfica, figlia di un banchiere.
Fuori portata, per un professorino figlio di contadini.
Non di meno, il nostro è Stoner. Determinato, riesce ad ottenere quello che desidera.
Peccato che non avesse una Morgana qualunque a dirgli di temere quello che desidera, specie nel momento in cui lo ottiene.
La povera Edith si dimostra, almeno all’inizio, una creatura debole e insicura, priva (lei sì) di qualità, come molte generazioni di donne, schiacciate dalla loro condizione cromosomica.
Non è difficile immaginarla a cercare un marito qualsiasi per tirarsi fuori da una situazione claustrofobica e poi incolpare lo stesso marito di non essere il principe azzurro che si era immaginata e accusarlo di averla strappata al suo magico mondo infantile (tra parentesi, avete presente il momento in cui Edith torna a casa dopo la morte del padre e ritorna nella sua stanza? E poi fa tutto meticolosamente a pezzi? Non è una sequenza da film horror? Io ne son stata sconvolta).
Stoner vede l’infelicità della moglie e capisce di esserne la causa, non l’unica, non la più grave e non volontaria, ma comunque causa.
Le resta accanto e cerca di assecondarla, perché le vuole bene e la vede per quello che è: una piccola creatura che soffre. Edith non vive per niente e non ha niente per cui vivere. Non ha qualcosa che la animi e la appassioni e, nei pochi momenti cui è felice, la sua è una felicità “disperata”. Cerca disperatamente qualcosa: prima nei suoi ricami fragili e nei suoi paesaggi delicati, poi nell’unica realizzazione che la società ammetteva, allora (?), per una donna: la maternità.
Ma l’alchimia non riesce. La maternità non la rende felice e neppure la lascia indifferente. Peggiora le cose. Comincia a rifarsi sul marito, perché lui sì che ha qualcosa che lo fa stare bene e lei no.
Stoner si ritaglia piccoli spazi di vita altrove. E può farlo, perché lui ha altro, ha la passione.
Ed arriviamo al momento – per me – più straziante del libro, la morte del mentore, ossia di Archer Sloane.
Lui sì, un titano.
“Ma William Stoner fu sempre convinto che fosse stato proprio Sloane, in un momento di rabbia e disperazione , a decidere che il suo cuore si fermasse, come in un ultimo, muto gesto d’amore e disprezzo verso un mondo che lo aveva tradito così profondamente da essergli diventato insopportabile.”
“E poiché non aveva né familiari né congiunti che lamentassero la sua dipartita, fu Stoner a piangere quando la sua bara venne calata nella fossa, come se il pianto potesse attenuare la desolazione di quella discesa. Se piangesse per sé stesso, per quella parte della sua storia e della sua giovinezza che finiva sotto terra, o per la povera figura smunta appartenuta all’uomo che aveva amato, non lo sapeva.”
E non è un caso che Finch, al momento di congedarsi da Stoner, dopo il funerale, associ le figure di Dave Masters e di Archer Sloane “Non so. Per tutta la funzione ho continuato a pensare a Dave Masters. A lui che moriva in Francia e al vecchio Sloane che è rimasto lì seduto alla sua scrivania, morto, per due giorni.”
Bene.
Persi i due personaggi preferiti e le uniche figure positive che gli siano, per un poco, passate accanto, Stoner è solo con i suoi libri, l’insegnamento, le nevrosi della moglie che diventano francamente patologiche, la sua bambina.
Grace.
Stoner se ne occupa amorevolmente, perché è quello che va fatto e che sente di dover fare, data l’incapacità della moglie. L’affetto vero, per la bambina, io lo vedo in altro. Grace è l’unica a cui Stoner permette di stargli accanto quando vive davvero. La tiene con sé nel suo studio, dove legge, dove scrive. Grace vede il padre essere felice e cerca di uniformarsi a quell’idea di felicità.

E qui apro parentesi.
Siamo sicuri (ma davvero sicuri sicuri) che, fatto salvo il grande amore che Stoner ha per la bimba – incommensurabilmente minore di quello che ha per la letteratura – questa educazione fosse una cosa “sana” per una bambina?
Nessuno si fa venire il dubbio che Edith, “risorta” dopo aver seppellito il padre e la sua parte adolescenziale, abbia davvero cercato di fare qualcosa per sua figlia? Perché non crescesse come una disadattata? Certo lo fa in modo incongruo e brutale, ma le propone un’idea di felicità – cioè l’essere popolare – che è quella che è stata inculcata a lei, alla quale sa – confusamente – che tutte le donne si devono uniformare per ritagliare qualche scampolo di felicità - siamo nel primo dopoguerra, non va dimenticato, secondo me.
Be’ a me il dubbio è venuto.
Io non la vedo, Edith, crudelmente malvagia, qui. Sa che Grace non potrà condividere la passione di Stoner e cerca di aiutarla. Come può e come sa.
Male.
Ma non “contro”, secondo me.
Stoner come reagisce? Come ci ha abituato a fare. Come fa con tutto quello che non lo riguarda troppo da vicino e, soprattutto, non riguarda quello che per lui conta davvero. In una parola quello che conta poco. Si adatta.
Gli portano via la bambina? Sta da solo. Gli smantellano lo studio? Sta all’Università.
Fastidi.
Invece, succede davvero una cosa importante a questo punto.
Arriva Hollis Lomax.
Nuovo professore, geniale, istrionico, volto d’angelo, voce d’angelo. Deforme.
“Gli ci volle un po’ di tempo per capire il motivo per quell’attrazione per Hollis Lomax. Nella sua arroganza, nel suo eloquio fluente e nel suo allegro cinismo, Stoner intravedeva, distorta, ma riconoscibile, l’immagine del suo amico Dave Masters. Avrebbe voluto conversare con lui come faceva con Dave...”
E accade, perché una sera, Hollis alza un po’ il gomito e parla di sé. Parla della sua “Passione” che lo ha liberato dalla schiavitù del suo corpo. Stoner lo ascolta e sente la sua storia. Lui è stato liberato dalla schiavitù della gleba, dalla Passione, Hollis da quella del corpo.
“E quando arrivò alle lunghe giornate e alle serate passate da solo nella sua stanza leggendo libri su libri per sfuggire a limiti che il suo corpo infelice gli aveva imposto, e alla scoperta graduale di un senso di libertà, che si faceva più intenso via via che ne comprendeva la vera natura. Quando raccontò tutto questo, William Stoner sentì un’affinità con lui che non aveva previsto. Capì che Lomax aveva attraversato una sorta di conversione, un’epifania di ciò che le parole possono far conoscere e che però non si può esprimere con le parole: proprio come era accaduto a lui durante la lezione di Archer Sloane. Lomax ci era arrivato prima, e da solo, e dunque quella conoscenza era parte di lui più di quanto non lo fosse di Stoner. Ma in fondo, ed era questa la cosa più importante, lui e Stoner erano uguali, anche se nessuno dei due avrebbe voluto ammetterlo con l’altro, o perfino con sé stesso.”
Stoner tende la mano a Lomax il giorno dopo, ma lui si ritrae, pentito di essersi esposto in quel modo.
E Stoner scrive. Ha perso un’anima affine, ma non ne ha bisogno. Ha sé stesso e il suo amore. Struttura il suo libro e struttura sé stesso “Ogni volta che ripensava a quel libro, e al fatto di esserne l’autore, restava stupito ed incredulo di fronte alla propria temerarietà. E alla responsabilità che si era assunto.”
È il panache di Cirano. È sé stesso, ciò che la passione gli ha permesso di essere. Quello che ha e quello che lascia. E scopre che questa passione riesce a comunicarla non solo attraverso lo scritto, con il libro, ma anche con la voce, insegnando. Scopre il piacere di insegnare, quasi goffamente; e immediatamente si dispiace per i suoi studenti precedenti, che ha “ingannato”.
“A volte veniva così preso dall’entusiasmo che balbettava, gesticolava e ignorava gli appunti, che di solito guidavano le sue spiegazioni. All’inizio quelle esternazioni lo infastidivano, quasi tradissero un’eccessiva familiarità con la materia e quasi se ne scusava con gli allievi. Ma quando quelli cominciarono ad andare da lui dopo le lezioni e a mostrare, nelle esercitazioni scritte, tracce di immaginazione e di crescente entusiasmo, si sentì incoraggiato a fare quello che nessuno gli aveva mai insegnato. L’amore per la letteratura, per il linguaggio per il mistero della mente e del cuore che si rivelano in quella minuta, strana e imprevedibile combinazione di lettere e parole, di neri e gelidi caratteri stampati sulla carta, l’amore che aveva sempre nascosto come se fosse illecito e pericoloso, cominciò ad esprimersi, dapprima in modo incerto, poi con coraggio sempre maggiore. Infine con orgoglio.”
Parrebbe la felicità perfetta. Ma qualcosa minaccia il piccolo mondo di Stoner. Non sia tratta della guerra, del male, della moglie… ma qualcosa di veramente pericoloso per ciò che lui ama.

Arriva il pupillo di Lomax, Walker. Uno studente senza qualità che in qualche modo fa breccia nell’anima di Lomax, che – complice la deformità – in lui si rivede. E nel piccolo, insulso furbetto senza qualità, Lomax rivede sé stesso. E decide di aiutarlo, favorendolo, laddove non ha merito alcuno.
Il passivo (?) Stoner, che apparentemente non ha fatto una piega di fronte a ben di peggio, si arma fino ai denti e blocca l’invasione.
Da solo.
Si fa tormentare dalla moglie, si fa portar via la figlia, subisce ogni tipo di scelta altrui, ma questa no.
Perché questa era una cosa importante, le altre no.
Perché questo, uno Walker promosso, uno Walker insegnante, avrebbe messo in pericolo quello che davvero conta per Stoner.
Naturalmente nessuno capisce.
Stoner l’apatico si accanisce contro uno studente, pure deforme, pure pupillo di Lomax.
Gordon prova a farlo ragionare.
“Qualsiasi cosa tu faccia rischi di perdere la battaglia. Non possiamo tener fuori i vari Walker.”
“Forse no – disse Stoner – ma ci possiamo provare.”
E io la vedo, la faccia di Gordon, – Dave Masters aveva ragione – in fondo è un buon diavolo e vuole bene a Stoner – diventare un grosso punto interrogativo.
E Dave se lo ricorda anche Stoner, perché un momento dopo dice:
“Gordon, ti ricordi cosa ci disse una volta Dave Masters? (…) Eravamo tutti e tre insieme e lui disse qualcosa, qualcosa sul fatto che l’università è come un ospizio, un rifugio dal mondo, per gli infelici, gli storpi. Ma non alludeva a quelli come Walker. Dave avrebbe considerato Walker come… come il mondo esterno. E noi non possiamo lasciarlo entrare. Perché se lo facciamo diventeremo come il mondo, altrettanto irreali, altrettanto… l’unica speranza che abbiamo è tenerlo fuori.”
E qui Stoner difende quello che per lui è importante. Quello che vale, quello che salva la vita. Ed è inflessibile, apparentemente anche in modo incomprensibile.
Folle e assurdo.
La vendetta di Lomax è terribile. Non può licenziare Stoner, ma gli rende la vita un inferno. Lo tocca dove pensa di ferirlo (la carriera, l’insegnamento), riuscendo solo a indispettire Edith, che Stoner ormai bellamente ignora. Stoner sopravvive amenamente a tutto, perché nulla di quello che Lomax fa, lo tocca davvero.
Ha difeso, preservato e salvato il suo fortino. Come aveva detto Dave. Fine della storia.
Il resto non conta.
In tutto questo, Stoner riesce anche, ormai quarantenne, ad avere una storia d’amore “vera”.
E non a caso si innamora di una come lui.
Katherine.
Una donna animata dalla sua stessa passione. Si innamora di lei “leggendola” attraverso il suo lavoro di scrittrice. Si amano, leggono e scrivono.
Nessuno, almeno per un po’ se ne cura e la stessa Edith se ne buggera piuttosto discretamente (questa donna che poi doveva essere un mostro… non sarebbe stato un perfetto terreno di tortura questo? Invece niente). Alla fine, però, la storia arriva all’orecchio di Lomax che – ovviamente – da bravo Vilain della storia, intriga per separare i due amanti.
Anche qui, apparentemente, Stoner non lotta per il suo amore, come aveva lottato per la sua “passione”.
Invece, secondo me, i due agiscono di comune accordo e il dialogo “finale” che hanno è un bellissimo duetto d’amore.
“Se rinunciassi a tutto, se me ne andassi via così e basta, tu verresti con me, vero?”
“Sì” disse lei.
“Ma sai che non lo farò, vero?”
“Sì, lo so.”
“Perché in quel caso – Stoner spiegò a sé stesso – niente avrebbe più senso, niente di quello che abbiamo fatto, di quello che siamo stati finora. Io non potrei più insegnare, e tu, tu diventeresti qualcos’altro. Entrambi diventeremmo qualcos’altro, qualcosa di diverso da noi. Non saremmo…niente.”
Hanno capito – entrambi – che si amano per quello che sono. Perché son due lettori, scrittori, insegnanti. Perché amano i libri e la letteratura. Sono i libri e la letteratura. In “due cuori e una capanna” non si amerebbero, perché non sarebbero più loro. L’amore che hanno saputo donarsi derivava dalla passione che avevano in comune. Tradendola – lasciando cioè l’insegnamento, la letteratura, l’Università – perderebbero sé stessi e il loro amore.
E quindi, Katherine – da gran donna che è – esce di scena senza pianti e strepiti, ché tutto quello che c’era da dire era già stato detto.
Nel frattempo si prepara un’altra guerra mondiale. Un altro spreco di vite. Un altro attacco a quello che è importante. E ancora una volta, nel momento della disperazione la memoria torna a Dave e ad Archer Sloane e l’aiuto arriva dalla passione. Quella vera.
“Ripensò a Dave Masters e quell’antica perdita gli ritornò alla memoria con rinnovata intensità. Pensò, anche, ad Archer Sloane e ricordò, dopo quasi vent’anni, la lenta angoscia che si era fatta strada sul suo viso ironico, assieme alla disperazione corrosiva che aveva dissolto tutta la sua forza. E penso che adesso, nel suo piccolo, anche lui poteva comprendere quel senso di desolazione. Immaginò gli anni a venire e sentì che il peggio doveva ancora arrivare. Com’era accaduto ad Archer Sloane avvertiva l’inutilità e lo spreco di quelle vite votate interamente a forze irrazionali e oscure che spingevano il mondo verso una fine ignota. Al contrario di Sloane, Stoner conservava un piccolo spazio per la pietà e l’amore, in modo da non farsi travolgere da quel fiume in piena. E come in altri momenti di crisi e disperazione, guardava con timida fiducia al baluardo dell’istruzione universitaria. Si diceva che non era gran che, ma sapeva che era tutto ciò che aveva.
Nell’estate del 1937 sentì riaccendersi la vecchia passione per lo studio e l’apprendimento. Con la curiosità e l’entusiasmo infaticabile dello studente, la cui condizione è sempre senza età, tornò all’unica vita che non lo aveva mai tradito. E scoprì che non se n’era mai allontanato, neppure al culmine della disperazione.”
E questa, secondo me, è la passione “vera”.
Grazie a ciò, Stoner diventa “leggenda” all’università, superando di slancio anche le meschine vendette di Lomax. Insegna, cosa sa e come vuole. Ottiene quello che desidera e “in un certo senso fu un trionfo, al quale tuttavia continuò a guardare con atteggiamento ironico e sprezzante, come una vittoria ottenuta solo con la noia e l’indifferenza.”
Perché aveva già vinto.
Ormai “leggenda” dell’università, Stoner segna i suoi bravi punti anche a casa, dove Edith riprende la sua antica guerra. La povera donna, che ha accanto un uomo felice e sereno, nonostante tutti i suoi sforzi, per un po’ ci prova a tormentarlo, “coglieva ogni pretesto per deriderlo, ma Stoner difficilmente le faceva caso (…) gli gridava contro mille imprecazioni che lui ascoltava sempre con cortese interesse”, ora, fra i due non so chi possa apparire più crudele, a questo punto.
Alla fine pure Edith si arrende ed accetta la sconfitta.
Ci pensa allora Grace, a provare a rovinare la serena vecchiaia del padre, senza però riuscirci davvero. Divenuta “popolare” grazie agli sforzi – secondo me in buona fede – della madre, alla fine rimane incinta di uno di cui le importa meno di nulla. Stoner mette un deciso freno alle isterie di Edith e cerca una soluzione alla faccenda. Con Grace trovano quella meno dolorosa e fastidiosa possibile. Matrimonio, pupo, guerra mondiale, vedovanza.
Qui Grace e Stoner fanno in tempo ad avere un bellissimo colloquio, prima di quello estremo. Grace comprende di essere stata una delusione per il padre, che non lo ammetterà. Ma di fatto vede, nella figlia, quello che sarebbe stato lui senza passione. Senza i libri, senza la letteratura, senza l’università e senza l’insegnamento. Grace è lucida nel descrivere il suo opportunismo e la sua situazione. Si è sposata per fuggire da casa dove la sua natura non poteva trovare la pace a cui anelava, esclusa dai disegni materni e dalla passione paterna. Per farlo ha inguaiato un disgraziato che praticamente è morto per la vergogna. Si trova sulle spalle un moccioso di cui non le importa nulla, ma di cui, per fortuna, si occupano i nonni paterni. Ha la sua dimensione di tranquillità e pace, che era quello a cui anelava. Il conforto di una passione che le sostanzi la vita (probabilmente) non lo avrà.
Io penso che sia questa consapevolezza che fa dire a Stoner che è grato che almeno possa bere. Sa che non potrà essere felice, senza quel fuoco che ha reso felice lui, quindi è almeno grato che possa avere l’oblio.
Questo colloquio d’addio (prima di ammalarsi) con la figlia è il primo di Stoner. Il secondo sarà con l’amore e con Kathrine. Un amore che torna, ancora in forma scritta, attraverso la dedica “A W.S.” che Kathrine appone al suo libro. Amore e passione, fusi per un breve momento. Stoner non distingue fra amore per le persone e per la conoscenza “A una donna o a una poesia il suo amore diceva semplicemente: Guarda! Sono vivo!”
Poi naturalmente il destino si accanisce e Stoner si ammala. Ma di una malattia abbastanza lenta e dolorosa, in modo da poter prendere congedo da tutto. Lui l’affronta quasi con curiosità e con il solito, immenso, olimpico distacco. Perché, in fondo, niente può toccarlo.
Dopo la figlia e l’amore, l’addio tocca agli studenti, Stoner descrive la sua vita dicendo “Ho insegnato… ho insegnato in questa università per quasi quarant’anni. Non so cosa avrei fatto se non fossi stato un insegnante. Se non avessi insegnato, forse… (…) Vorrei ringraziarvi tutti per avermi concesso di insegnare.”
E io qui ho trovata una delle migliori dichiarazioni d’amore e devozione che abbia mai letto.
Ma il tempo stringe e gli addii fervono. Tocca ad Edith. I due si perdonano e – forse – pensano alla vita che avrebbero avuto se le cose fossero andate diversamente. Ma Stoner non indugia nel raccontarsi favole e la scrittura di Williams lo sostiene con la sua pulizia, senza sconti e senza sbavature:
“Se fossi stato più forte, pensava. Se avessi saputo di più. Se avessi potuto comprendere. E alla fine, spietato, pensò: se l’avessi amata di più.” La scrittura non fa sconti, come non se ne fa Stoner.
Non l’ha amata. Non come amava davvero quello che era importante. Al momento di massimo coinvolgimento emotivo, Edith lo ha infastidito. E lui ha fatto altro. A questo punto lo riconoscono entrambi, capiscono che non poteva essere diverso e si perdonano.
E siamo alla fine. E alla fine si ripresentano quelli che contano davvero.
Inaspettato (ma anche no) ricompare Dave, dopo 40 dalla sua morte, Stoner si sveglia e lo chiama, chiede di lui. Il povero Gordon è giustamente sconcertato e Stoner si pente di aver nominato l’amico “il ragazzo insolente a cui entrambi avevano voluto bene e il cui fantasma li aveva uniti, per tutti quegli anni, in un’amicizia più profonda di quanto avessero immaginato.”
E alle battute davvero finali, come Cirano, Stoner prende congedo da sé stesso, da quello che veramente ha contato, nella sua vita, per lui.
Come per Cirano non è Rossana l’ultimo pensiero, così per Stoner non lo è Kathrine, non lo è Grace, non lo è Edith.
Perché come Cirano di Bergerac, neppure Stoner è una storia d’amore.
È una storia di passione.
E come Cirano omaggia il suo panache – il suo pennacchio – come l’emblema del suo essere altro e di più e meglio, Stoner omaggia il suo libro. La sua passione, la sua eredità.
“Era il suo libro, che cercava, e quando la sua mano lo prese, sorrise vedendo la copertina rossa tanto familiare ormai sbiadita e consumata dal tempo.
Poco importava che il libro fosse dimenticato e non servisse più a nulla. Persino il fatto che avesse avuto o meno qualche valore gli sembrava inutile. Non s’illudeva di potersi ritrovare in quel testo, in quei caratteri scoloriti. E tuttavia sapeva che una piccola parte di lui, che non poteva ignorare, era lì, e vi sarebbe rimasta.
Aprì il libro, e mentre lo faceva, il libro smise di essere il suo.”
Dove si firma per una vita così?




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mia77 Opinione inserita da mia77    09 Giugno, 2015
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Stoner di John Williams

Attenzione: contiene spoiler.
Ho deciso di leggere questo romanzo per le ottime recensioni di tutti coloro che hanno intrapreso prima di me questa bellissima avventura. Ho cercato di approcciarmi allo stesso cercando di non farmi influenzare dalle critiche entusiastiche altrui, ma alla fine non posso fare altro che convenire con tutti i lettori che mi hanno preceduta: ho letteralmente amato questo libro. Per l'ineluttabilità della nostra condizione umana, la leggerezza e la brevità del nostro passaggio su questa Terra in questa vita, che - seppur breve - ci è dato di attraversare, per la fortuna di poter conoscere e incontrare le persone con le quali condividerla, che ci amano e che amiamo. John Williams descrive la vita normale e quasi "piatta" di quest'uomo in modo profondo e molto coinvolgente, tirando fuori tutta la nostra empatia per quest'individuo sfortunato, che spesso non sa o - peggio - non vuole reagire a tutto ciò che di negativo gli accade, quasi a volerlo salvare da sé stesso. Come se potessimo aiutare lui, non sapendo, o non potendo, aiutare e salvare noi stessi. Vediamo William Stoner attraversare la propria vita in modo inetto e passivo, senza poter fare molto per scuoterlo, per destarlo e convincerlo a salvarsi da sé, per cui restiamo delusi e amareggiati, ogni volta, per la nostra corrispondente passività. Una vita deludente sia dal punto di vista sentimentale (una moglie che non lo ama e un'amante che lo fa, ma non lo può salvare), un collega - Lomax (deforme nell'aspetto fisico, ma ancor di più nel cuore e nella morale) - che rende anche la sua vita lavorativa deludente, una figlia - Grace - che come il genitore vive una vita catastrofica e insensata (peggiore anche di quella del padre) e l'incapacità di Stoner di aiutarla e di salvare almeno lei.
Solo nel punto del romanzo in cui trova in Katherine l'amore, lo vediamo gioire, vivere, godere delle cose belle della vita, ma purtroppo non gli è dato di essere felice per troppo tempo (come nemmeno a noi) e, quando l'amante se ne va, Stoner sente che la parte più bella della sua vita è finita e a soli quarantatré anni inizia piano piano a spegnersi.
Bellissima, però, la scena finale, in cui alzandosi e guardando fuori dalla finestra, prima di morire, vede dei giovani studenti camminare felici nel campus, perché la loro vita - al contrario della sua che sta per finire - continuerà (anche se il loro incedere è così leggero, da ricordarci la lievità del nostro passaggio su questa Terra).
Bellissimo romanzo, molto profondo e toccante, che consiglio a chiunque voglia intraprendere una lettura leggera, pulita e fluida nella forma, ma molto profonda e toccante nel contenuto.
Alcune frasi, o espressioni, che mi sono piaciute:
- riguardo al suo rapporto con l'amante : "Passavano dalla passione alla lussuria, fino a una profonda sensualità che si rinnovava di momento in momento" e ancora, prima di lasciarsi :"Si accoppiarono con la tenerezza e la sensualità di sempre, date dalla conoscenza reciproca, e con una nuova, intensa, passione, legata alla consapevolezza della perdita". Dopo molti anni, quando riceve il romanzo scritto dall'ex amante:" Il senso di quella perdita, che aveva rinchiuso così a lungo dentro di sé, straripò sommergendolo mentre lui si lasciava portare alla deriva, oltre il controllo della sua volontà, perché ormai non voleva più salvarsi";
- quando Stoner parla con la moglie di Katherine, la sua amante che se ne è andata, e la consorte gli dice che la loro è stata solo un'avventura insignificante, Williams descrive questa bellissima scena: "Lui annuì con aria assente. Fuori, sul vecchio olmo che occupava quasi tutto il recinto sul retro, un grande uccello nero e bianco, una gazza, aveva cominciato a gracchiare. Stoner ascoltò il suo richiamo, contemplando con remoto incanto il suo becco aperto, da cui lanciava quel grido solitario";
- parlando della disperazione della figlia, Grace: "E alla fine Stoner capì che Grace, come gli aveva detto, era quasi felice nella sua disperazione. Avrebbe vissuto serenamente, bevendo sempre un po' di più, anno dopo anno, per stordirsi e non pensare al nulla con cui si era ridotta la sua vita";
- infine, quando la morte si avvicina : "I moribondi sono egoisti, pensò. Vogliono il momento tutto per sé, come dei bambini", e, per finire, "Vaghe presenze si affollavano ai bordi della sua coscienza. Non riusciva a vederle, ma sapeva che erano lì, a raccogliere le forze in cerca di una palpabilità che non era in grado di vedere né di sentire. Si stava avvicinando a loro, lo sapeva. Ma non c'era alcun bisogno di correre. Poteva ignorarle, se voleva. Aveva tutto il tempo del mondo".

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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    09 Giugno, 2015
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' TUTTA UNA VITA '

Raramente accade di leggere un libro convincente come "Stoner".
Williams in quest'opera si rivela scrittore straordinario (tra l'altro, William è il nome proprio di Stoner, e come l'autore anche il personaggio è di origini contadine ed insegna per tutto il periodo lavorativo nella stessa Università).
La prosa è magnifica : semplice, scorrevole e senza alcuna enfasi giunge direttamente nel cuore dei sentimenti del lettore : suscita interesse e commozione. Si avverte una disarmante autenticità che non può lasciare indifferenti. Lo scrittore racconta le vicende del suo personaggio con una tenerezza che non ho mai riscontrato altrove. Se posso fare un paragone, mi torna in mente solamente la toccante scrittura della svedese Selma Lagerlof (Premio Nobel).

Stoner, all'università per studiare Agraria, devia il suo percorso, conquistato dal fascino della letteratura : "acquistò una consapevolezza di sé che non aveva mai avuto prima"; "per la prima volta nella vita prese coscienza della solitudine"; per quanto riguarda i personaggi letterari, "li sentiva più vicini dei suoi stessi compagni".
Giunge poi l'innamoramento, che lo condurrà ad un matrimonio azzardato...

L'autore, con profonda pietas e umanità, lo segue nei due ambiti della sua vita: quello privato e quello di insegnante.
L'ambiente universitario viene rappresentato soprattutto nelle sue meschinità, anche se è in esso che il nostro protagonista trova la propria realizzazione.
Intanto scorre la Storia: la Grande Guerra, il proibizionismo, la crisi del '29, la ripresa, Pearl Harbor, e la Seconda Guerra Mondiale, poi il dopoguerra... Tutto osservato, ovviamente, da un punto di vista statunitense.
Al centro della rappresentazione rimane comunque Stoner, personaggio indimenticabile.
Chi coltiva un certo stereotipo della letteratura americana contemporanea sarà felicemente sorpreso da questo libro, certamente uno dei più belli, in assoluto, dell'intero Novecento.

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Liponi Opinione inserita da Liponi    25 Marzo, 2015
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Il fascino insospettato della banalità

E’ un romanzo piuttosto singolare, non tanto perché racconta una vita anonima, grigia, poco brillante, quanto per il modo in cui vengono delineati i personaggi, che sembrano tutti, a prima vista, aridi, poveri di sentimenti e incapaci di esprimerli, di comunicare, di mettersi in relazione. In particolare, il protagonista, William Stoner, forse perché nato e cresciuto in un ambiente contadino, con dei genitori che sembrano tagliati con l’accetta, perennemente intristiti dalla durezza del loro lavoro e per l’aridità dei loro terreni, tanto da divenire essi stessi l’immagine di questa aridità, sembra incapace di tessere delle relazioni umane autentiche, a partire dai suoi due amici, che infatti scelgono una strada diversa dalla sua, fino al suo matrimonio, un vero fallimento fin dalle sue premesse. Anche la relazione con la figlia Grace, che sembra la più solida del libro, finisce presto, non appena la moglie decide, quasi rabbiosamente, di vendicarsi di lui e dei suoi presunti torti. Questo protagonista sembra piegarsi ai colpi della sorte, con un fatalismo che ricorda certi personaggi verghiani, mantenendo però intatto un suo nucleo solido, petroso (“stone”), che rimane inscalfito: l’amore per lo studio, l’applicazione tenace nella ricerca, l’attaccamento al suo umile lavoro di docente, di un docente privo di qualunque ambizione di carriera, di qualunque aspirazione al guadagno, ma capace anche di farsi ammirare ed amare dai suoi allievi. Infatti, in una vita priva di qualunque altra gioia, improvvisamente sboccia un amore tra il professore e una giovane e promettente collega, un amore finalmente totale, fisicamente e mentalmente, un sentimento finalmente reciproco e profondo. Ovviamente, non destinato a sopravvivere alla malignità dell’ambiente circostante, che costringe, dopo pochi mesi, i due amanti a separarsi e Stoner a subire la sua prima grave malattia, fisica e psicologica insieme, che lo fa rapidamente e precocemente invecchiare.
Malgrado la tristezza quasi fatalistica della vicenda, come dice Peter Cameron nella “Postfazione”, il romanzo cattura e coinvolge il lettore, che fa fatica a staccarsene, forse anche perché non tutto è chiaro ed esplicito, molto rimane misterioso o non detto, soprattutto nei personaggi di contorno. Rimangono nell’ombra, per esempio, le motivazioni della moglie Edith e dell’altro avversario del protagonista, Lomax. Ma anche dei dettagli, come, per esempio, le modalità che usava Edith per conoscere tutte le mosse di Stoner (malgrado sembrasse così poco interessata al marito).
Ma, come dice Cameron, la vicenda tocca i nodi più profondi dell’esistenza: “Perché viviamo? Che cosa conferisce valore e significato all’esistenza? Che cosa vuol dire amare?”. E, poi: “Stoner attraversa con grazia leggera e delicatezza il cuore del lettore, ma la traccia che lascia è indelebile e profonda”.

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Elisabetta.N Opinione inserita da Elisabetta.N    24 Settembre, 2014
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Cosa ti aspettavi?

Cosa ti aspettavi?

Stoner potrebbe essere identificato come l’uomo comune, ordinario, la cui vita è lineare, senza mai una novità, mai completamente felice né completamente triste.
Stoner è un individuo che subisce gli eventi.
Gli viene detto che deve andare all’università e lui ci va.
Gli viene offerto un posto di lavoro all’università e lui accetta.
Gli capita davanti una bella ragazza e lui la vuole sposare.
Stoner non si impone se non in qualche occasione in cui le sue azioni risultano dettate da un emozione che lo estrania dal corpo (quindi non completamente sue) e dalla quale si risveglia sempre abbastanza velocemente.

Stoner è comunque una figura positiva anche se, a mio avviso, eccessivamente passiva. Anche gli eventi storici come la prima e la seconda guerra mondiale lo sfiorano appena dandogli solo un leggero senso di inquietudine e di estraniamento, ma nulla più, come se facesse fatica ad accettare che qualcosa all’esterno del suo mondo è cambiato.
Nonostante tutto ci ritroviamo a fare il tifo per lui contro l’odiosa moglie (ma come avrà fatto a sposare una donna del genere??) e contro il perfido Lomax.
E ci ritroviamo a sorridere per le piccole rivincite e soddisfazioni che, nel suo piccolo, si prende il nostro beniamino.

Non posso descrivere lo stile di Williams. Credo che chi riesca a trasformare una vita povera di eventi in un romanzo degno di questo nome e conferisca ad esso una scorrevolezza e una ricchezza di linguaggio, sia uno scrittore degno di essere ammirato.
Confesso di non aver capito tutte le citazioni letterarie al primo passaggio all’interno del romanzo, ma questo non ha rallentato più di quel tanto la lettura.

Non posso definire questo romanzo piacevole nel vero senso della parola, ma sicuramente è un romanzo che ti fa riflettere sulla vita.
Quando Stoner cerca di riassumere la sua vita dice ”Cosa ti aspettavi?”. Viene spontaneo, una volta lette queste 3 parole, porsi la stessa domanda e le risposte sono infinite…

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ferrucciodemagistris Opinione inserita da ferrucciodemagistris    22 Settembre, 2014
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"Un rifugio dal mondo"

La vita di un professore universitario che si svolge, prevalentemente, tra la propria abitazione e i baluardi dell'ateneo. Un'esistenza grigia, senza lode e senza infamia, che nasconde un profondo disagio dovuto alle ingerenze di alcune persone molto vicine al professor Stoner; l'apparente banalità e il piatto trascorrere del tempo, racchiudono una parossistica passività comportamentale che arriva fino alla fine del segmento vitale. Narrazione limpida nonostante la tristezza e drammaticità che si evince riga dopo riga. Una riflessione sul senso della vita e sul senso della sofferenza.

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pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    28 Agosto, 2014
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L'emozione non ha voce

“Dal piccolo recinto spoglio e senz’alberi che conteneva suo padre, sua madre e qualche altro contadino, scrutò l’orizzonte in direzione della fattoria dov’era nato e dove i suoi avevano trascorso tutta la loro vita. Pensò al prezzo che avevano pagato, anno dopo anno, a quella terra che rimaneva com’era sempre stata, un po’ più arida, forse, e un po’ più parca di frutti. Nulla era cambiato. Le loro vite erano state consumate da quel triste lavoro, le loro volontà spezzate, le loro intelligenze spente. Adesso erano lì, in quella terra a cui avevano donato la vita e lentamente, anno dopo anno, la terra se li sarebbe presi. Lentamente l’umidità e la putrefazione avrebbero infestato le bare di pino che raccoglievano i loro corpi, e lentamente avrebbero lambito la loro carne, consumando le ultime vestigia della loro sostanza. In ultimo sarebbero diventati una parte insignificante di quella terra ingrata a cui si erano consegnati tanto tempo addietro”.
Anche William Stoner, come suo padre e sua madre, era destinato in principio a diventare “una parte insignificante di quella terra ingrata”, ma poi il destino prese per lui una piega diversa, frequentò l’università, si appassionò agli studi, divenne ricercatore e, con la stessa muta dedizione con cui “a sei anni già mungeva le loro vacche ossute, dava da mangiare ai maiali nel porcile a poche iarde da casa e raccoglieva le minuscole uova delle vecchie galline nel pollaio”, con lo stesso tenace, servizievole e disciplinato impegno che a diciassette anni già gli aveva incurvato le spalle sotto il peso delle cose da fare, dedicò tutta la sua vita all’insegnamento e divenne una parte insignificante non della terra ingrata, ma di quell’università ingrata a cui si consegnò tanto tempo addietro.
Una vita apparentemente grigia, piatta, tanto da dubitare che fosse degna di essere vissuta e che nascondeva invece sotto la cenere della monotonia e dell’inettitudine una grande capacità di provare emozione e passione, pur non riuscendo mai a comunicarla, a trasmetterla, a lasciarla trasparire. L’emozione non ha voce, sembra proprio il caso di dire, fin dal momento in cui Stoner resta affascinato anche fisicamente dai muri dell’Università, ne percorre i corridoi, accarezza le copertine dei libri, ne inala l’odore di cuoio, resta annichilito e senza parole nel momento in cui è chiamato a commentare un sonetto di Shakespeare.
Una vita non facile, non felice, non fortunata, affrontata con la mite imperturbabilità del contadino che sa che a nulla serve lamentarsi del gelo, della grandine, della natura ostile e matrigna, ma si adatta al suo ambiente e trova il modo di conviverci, di amarlo persino, con un accanimento, un fatalismo e un’ostinazione che dall’esterno possono apparire ottusi e incomprensibili.
L’esterno, le apparenze, il mondo: non c’è persona meno interessata di William Stoner a cosa succede fuori e persino due guerre mondiali riescono soltanto a suscitargli un vago senso di malessere e di disagio per il terribile spreco di energie, di sangue, di gioventù, di speranze. Stoner, a cui la vita scivola addosso come su pietra liscia e compatta, da un lato ci affascina per la sua capacità di rimanere perennemente bambino, di conservare intatto il suo stupore, a sessant’anni come a venti, dall’altro ci fa arrabbiare perché lo vorremmo meno imbelle, se non per se stesso, almeno per le persone che ama.
In ogni caso, un’esperienza che non potrebbe essere più lontana dal nostro tempo dominato dagli affanni, dall’apparire, dall’esteriorità, da una competizione sempre sproporzionata rispetto alla posta in gioco. Tanto che alla fine ci domandiamo: ma non avrà ragione lui?

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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    18 Mag, 2014
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Stoner di John Williams

Personaggio emblematico d’un tipo di intellettuale introverso, in conflitto col mondo che lo circonda, Stoner, il protagonista dell’omonimo romanzo di John Williams, diventa l’antieroe di un’epoca sempre più drammaticamente protesa alla esaltazione dell’ego e alla sopraffazione del prossimo.
Di origini contadine, dopo gli studi superiori, Stoner approda all’Università di Columbia, per frequentare inizialmente la facoltà di Agraria, che abbandonerà ben presto per dedicarsi allo studio della Letteratura Inglese. Già dalle prime pagine del romanzo la figura di questo personaggio si delinea come mite e riflessivo, pronto però ad affermare la sua volontà nella scelta degli studi. Sarà questo, tuttavia, il solo ambito in cui, nel corso degli anni, riuscirà a far rispettare le sue decisioni.
Divenuto un discreto insegnante, incontra e si innamora di una giovane donna di buona famiglia, Edith, che accetta di sposarlo, pur non amandolo. Il matrimonio si rivela subito un fallimento e nulla può neanche la nascita della figlia Grace, che, trascurata dalla madre, si lega profondamente al padre.
Stoner sembra assistere inerme al disfacimento del proprio matrimonio, alla prevaricazione di Edith su Grace, alla trasformazione della figlia da bambina dolce e affettuosa in donna apatica e apparentemente insensibile. Ciò che Stoner vede intorno a sé non è che desolazione e distruzione. La sua vita a cavallo delle due guerre più sanguinose del ventesimo secolo, si trascina tra delusioni e perdite. La sua scelta di non partecipare alla prima guerra mondiale lo allontana in parte dai suoi due amici, di cui uno, Dave, morirà pochi giorni dopo essersi arruolato. Dunque questa è forse la caratteristica principale di Stoner: scegliere di non scegliere. E così sarà anche nel suo rapporto con Katherine Driscoll, il suo vero grande amore, che abbandonerà, perché non forte abbastanza per lottare in condizioni di vita diverse e meno agevoli. E se il lettore a volte non capisce le ragioni di tanta inerzia, la rassegnazione a volte colpevole di Stoner, c’è da chiedersi se in fondo egli non sia un personaggio emblematico considerato il periodo storico in cui vive, quando gran parte del mondo era stato inspiegabilmente messo in ginocchio dall’arroganza, la prepotenza e la violenza. Ci sono esseri la cui mitezza sembrerebbe inspiegabile, a volte persino irritante, ma che tuttavia nascondono in sé una forza insuperabile che è quella della rassegnazione. Perché alcuni scelgono una lotta più difficile, tutta interiore. L’unico momento in cui Stoner riesce a palesare il suo disaccordo e a lottare per le sue scelte, sarà nel suo ripetuto scontro con Lomax, che, con Edith, rappresenta il lato oscuro del mondo che lo circonda.
Il romanzo sembra non trasmettere alcun messaggio positivo, eppure io credo che sia nascosto proprio nelle ultime righe del testo il vero profondo significato dell’opera. “Aprì il libro, e mentre lo faceva, il libro smise di essere il suo.” Ecco Stoner sfoglia il libro che lui stesso ha scritto e in quegli estremi sublimi momenti, capisce che la sua opera qualunque sia il suo valore non appartiene più solo a lui, ma appartiene al mondo intero. Perché è questa la funzione dell’artista.

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Minuscola Opinione inserita da Minuscola    07 Mag, 2014
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Mi mancherà!

Che libro! Intenso, veloce e corretto. Scritto bene e fluido! Era da un po' che non leggevo un libro così è penso che lo rileggerò.
Molti descrivono Stoner uomo grigio e che ha vissuto una vita scialba. Non è così a mio avviso, lui è una persona che ha vissuto come ha saputo, come gli hanno insegnato a vivere. Umile certo, ma colto, astuto in molti casi, vedi contro Lomax, suo rivale e collega. Ha saputo tenere l'amico di sempre, ha studiato ciò che voleva. S i è sposato e amato la figlia, ma gli è stato impedito d i crescerla come avrebbe voluto per colpa di quella moglie che non ha mai capito. Ma perché non gli interessava capirla! Ha avuto un'amante e l'ha amata fino alla fine della sua vita. L'ha nominata sul letto di morte. E si è arreso solo davanti alla morte che ha gestito come desiderava, ha messo tutto a posto prima di lasciarci.
Non è u uomo scialbo, ma vero ed i intelligente e mi mancherà!!!

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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    04 Marzo, 2014
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“In me tu vedi il crepuscolo di un giorno..."

Quella di William Stoner non è la storia di un uomo che ha lasciato tracce memorabili nella sua esistenza. Lo scrittore mette le cose in chiaro fin dall'inizio, gettando subito sul romanzo una luce di malinconia e disillusione.
Sono i dettagli quelli che contano in questo libro, oltre ai punti salienti di una vita che procede malgrado i numerosi fallimenti.
Dopo averne conosciuto i sentimenti più riposti ci si sente crudeli a definire Stoner un fallito, sebbene lo sia indubbiamente sotto molti punti di vista.
Ma non si dimenticano le sue mani tozze e brune, sciupate dal lavoro nei campi - le mani di un figlio di contadini poveri - che sfogliano delicatamente un libro di letteratura, non si dimentica la sua folgorazione durante una lezione all'università di Columbia:
“Shakespeare le parla attraverso tre secoli di storia, Mr Stoner. Riesce a sentirlo?”.
Li sente eccome quei versi struggenti, con un'intensità che lo stordisce e che cambierà la sua vita:
“In me tu vedi il crepuscolo di un giorno che dopo il tramonto svanisce all'occidente...”
Il campus diviene la sua vera casa, studia con passione per recuperare il tempo perduto fino a consumarsi gli occhi, e i libri resteranno sempre i suoi fedeli compagni.
Quarant'anni di vita accademica in qualità di docente, quarant'anni di matrimonio con una moglie nevrotica che farà pagare a lui un'infanzia infelice e anaffettiva, e che per gelosia e invidia ucciderà la felicità della figlia distruggendo metodicamente il suo rapporto col padre.
Stoner incassa i colpi senza reagire più di tanto, lotta con dignità per ciò in cui crede ma si lascia più volte disarcionare, mentre le sue spalle di studioso si incurvano sotto il peso del tempo che avanza e delle frustrazioni personali e professionali.
Comincerà a morire molto prima della sua fine effettiva, quando rinuncerà all'amore senza combattere.
“Non ho mai imparato”, dice ad un collega ed amico, che a differenza sua sembra sapere perfettamente come si sta al mondo.
Le ultime pagine toccano le vette del capolavoro, mentre il lettore fa suo in un certo modo doloroso l'interrogativo di respiro universale che Stoner rivolge a se stesso:
“Cosa ti aspettavi?”.

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Opinione inserita da Sarli ernesta    18 Gennaio, 2014

Se tutti i libri fossero tutti così!!!

Profondo, triste, è riuscito a descrivere sentimenti interiori difficili. Rabbia per la sopportazione di una moglie sicuramente problematica. Invidia per forza di andare avanti e per l'amore verso la letteratura. Comunque è un uomo che ha osato, non si è tirato indietro di fronte all'amore, non avrei creduto! mi ha dato piacere, come se fosse un caro amico, la sua gioia nel sentirsi voluto bene ed amato. E la fine? È riuscito a descrivere in modo magistrale i sentimenti. vorrei poter esprimere meglio quello che ho provato nel leggere questo libro ma non ne ho le capacità.

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Opinione inserita da Nicola    29 Dicembre, 2013

Lo leggi, te ne innamori e lo rileggi ancora

L'opinione su stoner, potrebbe essere quanto mai banale e scontata: è bellissimo, lo si legge con piacere, ha una narrativa e una prosa scorrevolissima. Ma secondo me questi, seppur gran complimenti, lo sminuiscono. Leggere Stoner è fare un salto dentro ad una vita, è innamorarsi insieme a lui, soffrire insieme a lui. le mie attese non sono state per niente disilluse, anzi le hanno amplificate.

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drysdale Opinione inserita da drysdale    05 Novembre, 2013
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Splendido

Per una volta la prefazione a un romanzo rispecchia in modo talmente fedele il suo contenuto che merita veramente di essere (quanto meno in parte) trascritta: “ William Stoner ha una vita che sembra essere assai piatta e desolata. Non si allontana mai per più di centocinquanta chilometri da Booneville, il piccolo paese rurale in cui è nato, mantiene lo stesso lavoro per tutta la vita, per quasi quarantanni è infelicemente sposato alla stessa donna, ha sporadici contatti con l'amata figlia e per i suoi genitori è un estraneo, per sua ammissione ha soltanto due amici, uno dei quali morto in gioventù. Non sembra materia troppo promettente per un romanzo e tuttavia, in qualche modo, quasi miracoloso, John Williams fa della vita di William Stoner una storia appassionante, profonda e straziante”. (Peter Cameron).
Ho inizialmente pensato di abbandonare questo romanzo dopo poche pagine di lettura, tanto sciatta mi era apparsa la storia. Piano, piano, poi, mi ha attratto e poi travolto. E, alla fine, ci ho rimuginato sopra per giorni.
Un libro fantastico, che parla di tutti noi, che nasciamo, viviamo e moriamo senza lasciare traccia della nostra esistenza. Un esercito di “x”. Vite vissute, spesso, proprio come quella del protagonista di questo romanzo, con grande intensità e grandi emozioni. Ognuno con le proprie. Ma non ne rimane nulla, se non nella memoria di pochissimi…e anche questi, non scontati.
Un testo stupendo e che fa riflettere.

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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    09 Agosto, 2013
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Che cosa ti aspettavi?

Bellissimo! Questo libro parla della vita del prof. Stoner iniziando dall'adolescenza e dalla decisione del padre di fargli studiare agraria. Il segreto del libro non è in ciò che ci viene detto ma in ciò che l'autore non dice della vita di Stoner. E l'autore ci nasconde pensieri e emozioni dei personaggi, che sono quasi tutti incapaci di esprimerli e probabilmente non solo di esprimerli ma di decifrarli. Bellissimo l'incontro di Stoner con la letteratura inglese. Lo studente resta così profondamente colpito e turbato da sembrare ebete,da essere del tutto incapace di spiegare il contenuto di una poesia. Poi si vedrà che così non è, lo studente è solo congelato dalla fortissima impressione, paralizzato di fronte alla bellezza da un'emozione che non riesce a decifrare. Anche nella vita, Stoner è totalmente incapace di capire le emozioni proprie e soprattutto di sua moglie Edith affetta dalla stessa difficoltà emotiva-affettiva. Con Edith inizia una guerra che attraverserà tutta la vita di Stoner in contemporanea con la battaglia sul fronte universitario con un altro docente il prof. Lomax. Bellissimo il primo atto di questa guerra, il più bello, quando Stoner si ritrova tagliato fuori sia dalla vita universitaria che famigliare, sconfitto su tutti i fronti, e guarda dal suo ufficio surriscaldato il campo coperto di neve, estraniandosi sempre più da se stesso, in un desiderio, forse più attrazione che desiderio, di morte. Ho riletto queste bellissime pagine diverse volte. Certo, poi il libro prende una piega più vitale. Stoner trova un affetto, trova le armi per combattere Lomax riuscendo a entrare perfettamente dentro quelle eterne dinamiche universitarie che inizialmente sembrava dovesse solo subire. Bello il finale anche se le pagine del campo di neve sono le più belle. Il finale riesce comunque a trasmettere perfettamente lo stato d'animo di Stoner. Anche lì Stoner, come lo è stato in tutta la sua vita, è in attesa. Tutto ciò che per lui conta di più è nelle pagine del libro che gli cade di mano nell'ultima pagina del romanzo. Bellissima la tranquillità, la mitezza del personaggio, il modo in cui attraversa quasi con rassegnazione l'esistenza. Che cosa ti aspettavi?
Drammatico invece il rapporto con la figlia. Lì non è riuscito a reagire come ha fatto, invece, in qualche modo, sul lavoro. La figura della figlia abbandonata nelle mani di quella madre fredda e probabilmente psicotica, la distruzione sistematica della sua psiche da parte della madre manipolatrice e anaffettiva senza che Stoner trovi armi per difenderla, lascia irrimediabilmente gelato il lettore.

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Il turista involontario di A. Tyler
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calzina Opinione inserita da calzina    15 Mag, 2013
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UNA PENNA D'ORO

Ho adorato la penna di John Williams, l’autore di questo romanzo. Si percepisce nel suo stile un velo di ricercatezza linguistica e stilistica davvero insoliti. Attraverso l’uso magistrale della scrittura, William, riesce a catapultarci dritto nella vita di William Stoner, il protagonista di questo romanzo.
Terminato il libro ho dato una breve letta alla biografia di questo scrittore, e credo si possa affermare che in questo romanzo siano presenti note autobiografiche dello scrittore; le umili origini che accomunano entrambi ne sono un esempio.
Stoner attraversa una fase profondamente travagliata allo scoppio della prima guerra mondiale, sebbene i suoi amici le incitino ad arruolarsi insieme a lui, egli decide di non farlo. Durante il conflitto uno dei suoi più cari amici perirà e perfino il suo professore più “vicino”, pur dichiarandosi contro l’intervento americano in guerra, subirà una grossa trasformazione psichica in questo periodo. Una coltre di tristezza lo avvolgerà tramutandolo profondamente.
E’ difficile non pensare che la partecipazione dello scrittore nel secondo conflitto mondiale abbia reso tale descrizione talmente sentita da farne respirare appieno il dolore che solo la guerra può dare.
Tanto si è scritto di questo romanzo. Perfino Peter Cameron ha scritto una postfazione del libro.
Non ho ravvisato però in alcuna opinione i tratti di Stoner che più hanno colpito me; segno del fatto che questo romanzo sia veramente un capolavoro, poliedrico al punto di prestarsi a tante interpretazioni.
La vita, seppur apparentemente banale, di Stoner, in realtà, nasconde una realtà alquanto diversa.
Non credo ad uno Stoner privo di emozioni, non credo ad uno Stoner apatico. Credo invece che Stoner costringa se stesso all’apparenza e alla superficialità. Se ci si impone di vivere i sentimenti, di non immergersi dentro di essi, non si rischia di soffrire. Certo però che questo vuol dire anche non provare felicità.
L’unico momento in cui Amerà e Soffrirà sarà quando deciderà finalmente di togliersi questo velo di insofferenza verso se stesso, avvicinandosi con il cuore ad una persona.
Ma perché Stoner ha deciso di precludersi la vita gustandola appieno? Perché? Credo che un nodo cruciale per una risposta sia scritto nella prima parte del romanzo, quando Stoner “lascia” la famiglia e decide di diventare un insegnante. Questa è stata la prima vera imposizione fatta a se stesso. Una bugia, uno stereotipo della società che vedeva nella vita da docente o da intellettuale una vita NORMALE. Fatta di tranquillità, benessere e famiglia. La vita di campagna, invece, quella dei genitori, una vita fatta di sacrifici, una vita per cui lavori la terra finchè la terra fino al giorno in cui la terra reclamerà il tuo corpo morto.
Anche io, come Stoner, ho una mamma e un babbo che lavorano duramente la terra. E come Stoner, grazie ai sacrifici dei miei genitori, mi sono prima diplomata e poi laureata. Ovviamente le epoche storiche sono diverse, ma oggi come allora provenire da una famiglia contadina crea diversi pregiudizi, lo garantisco io. Ma mai e poi mai i miei studi hanno rappresentato per me la volontà di “elevarmi” ad un mestiere diverso per sentirmi più “uguale” alle altre persone.
Il desiderio di poter scegliere nella propria vita non ha eguali, la libertà di pensiero, poi, ne è assolutamente il cardine. Stoner si è precluso in una prigione, ha vissuto attraverso le sbarre che si è costruito intorno, ben conscio che al di fuori si rischia di mettersi in gioco. Amare e soffrire, gioia e dolore, non è forse il loro alternarsi il vero senso dell’esistenza?
Consiglio a tutti questo romanzo, lo leggerete tutto d’un fiato.

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Opinione inserita da maria teresa    07 Febbraio, 2013

piacere inaspettato

E' un libro, che per il contenuto della storia, non avrei mai scelto. Si legge all'inizio con difficoltà fino ad addormentarcisi. Sembra noioso e a tratti irritante. Ma ad un certo punto, non puoi più smettere di leggere, ecco la magia di questo libro. Eppure la storia è banale, non c'è un evento che colpisce, non c'è suspance. Ha dentro una forza, che è la forza della semplicità, delle scelte banali, della vita qualunque, che ti rapisce, ti intristisce, ti va venire voglia di entrare nel libro e parlare con Stoner, aiutarlo a districarsi nelle ragnatele della vita, che lui accetta così passivamente. Applaudi di gioia quando lo scopri con l'amante o quando finalmente si ribella con determinazione ad un capo arrogante. Consiglio di leggerlo, assolutamente e grazie a chi me l'ha consigliato.

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Opinione inserita da Germana    29 Dicembre, 2012

Stoner

Il racconto della vita di William Stoner fatto da John Edward Williams mi ha preso.
Inizialmente ho giudicato il protagonista un debole per niente virile e con poca stima di se stesso.
Ma il suo essersi affrancato dalla vita che lo attendeva e divenire un docente universitario seguito e stimato e' forte, così' come opporsi con furbizia alle cattiverie di un capo dipartimento rancoroso, il piccolo deforme Lomax. Una relazione con la moglie Edith avrebbe distrutto chiunque, l'importanza di Stoner e' comprensibile e' una donna stupida e malevola forse da raddrizzare solo con le botte. La comprensione verso la figlia Grace e' poco comune : una risposta vera al suo senso di accettazione. Lo scrittore rende molto bene i personaggi e l'ambiente; romanzo da rileggere senza dare giudizi.

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Opinione inserita da anna    18 Settembre, 2012

il vero piacere della lettura

vorrei solo aggiungere ai precedenti commenti che a me la figura di Stoner non è sembrata poi così "grigia".
Certo non è l'immagine di un "vincente" e neppure di un carattere forte e volitivo, anzi a tratti è irritantemente debole se giudicato con i nostri paramenti ma anche in questo sta la sua grandezza: accettare e rispettare l'altro sia esso l'isterica e insoddisfatta moglie o la sofferente e introversa figlia, siano esse le conseguenze di un suo credo profondo, fin anche all'accettazione della morte
Vero è che il grande tema dell'accettazione può apparire più una rinuncia che un rispetto ma,a mio avviso, solo in superficie

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sylver Opinione inserita da sylver    08 Agosto, 2012
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stoner

La vita qualunque di un uomo qualunque in un paese qualunque.
Un'infanzia grama, gli studi, un matrimonio infelice, una figlia, due amici, un amore, qualche nemico.
Cose così, come chiunque di noi.
Ne risulta inaspettatamente una storia appassionante, che mi ha tenuta stretta fino alla fine ma anche oltre, perchè la postfazione di Peter Cameron è necessaria quanto il libro stesso.
Magnifico e scritto così bene che vorrei non dimenticarlo.

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katia 73 Opinione inserita da katia 73    07 Agosto, 2012
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Stoner

Finito di leggere in pochissimi giorni , quando conosci Stoner non vuoi più mollarlo, devi a tutti i costi andare avanti e scoprire cosa succederà ,devi sapere se puoi perdonarlo, o se devi smettere di provare pena per lui , perché questo personaggio ha suscitato in me sentimenti sempre molto contrastanti .
E’ la storia di un uomo qualunque, che si laurea, trova lavoro come insegnante, si sposa e diventa padre, si, all’apparenza poterebbe sembrare una banalissima storia priva di colpi di scena , ma questo libro invece racchiude un fiume di emozioni e sentimenti, scritto con uno stile elegante e coinvolgente , quasi perfetto ci trasporta in un mondo dove nulla forse è come sembra e ogni lettore si sente libero di farsi un’idea di Stoner, di sua moglie, della loro vita fuori e dentro le mura domestiche.
William Stoner è uno di quei mariti perfetti, quelli che quando vediamo sposati con altre pensiamo “che donna fortunata, lui è bravo, le permette tutto, l’aiuta in casa, con la figlia, lavora sodo , non alza mai la voce….. “ ma nella realtà noi donne in generale poi non sapremmo cosa farcene di un uomo così , senza spina dorsale, che accetta di essere umiliato dalla moglie che non è in grado di imporsi nelle decisioni comuni , perché un uomo così è davvero poco stimolante adatto solo a donne come Edith un poco cattivelle e con l’indole al comando.
Nemmeno quando intraprende una relazione clandestina riesci a pensare “ ma allora è lupo travestito da agnello !” perché lui cerca veramente l’amore la pace, il conforto, cerca tutta la serenità che non è stato in grado di trovare con la sua famiglia, e una parte di lui sente di non tradirla realmente ma di arricchirla . Non ha cercato questa relazione (non è nella sua indole), gli è capitata e ci è finito dentro con tutte e due le scarpe.
Ci sono cose che sono riuscita a perdonargli, altre no, ma ho comunque infinitamente amato questo personaggio, direi unico indiscusso protagonista di questo romanzo.

Decisamente da leggere anche la postfazione di Peter Cameron che fa luce su avvenimenti e particolari che magari alla prima lettura possono sfuggire.
Un libro da leggere e gustare.

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gracy Opinione inserita da gracy    22 Luglio, 2012
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Dietro a una vita insignificante un caleidoscopio

...senza fine....

Stoner è stato scritto nel 1965, ha 47 anni ed è come non sentirli addosso. Stoner è un uomo semplice, Edith è una donna antipatica, Grace una ragazza sfortunata, Wilker è uno studente supponente, Gordon è un amico discreto, Lomax è un superiore prepotente, Katherine è intelligente e passionale. Sembrerebbero queste le qualità di ognuno di loro eppure mi viene da pensare che è solo apparenza, ognuno di loro hanno qualcosa che va al di là di quello che sembra e si vede dalle scelte che ognuno di loro intraprendono. Stoner è un uomo che accarezza tutto quello che fa, appena vorrebbe viverle appieno si tira indietro senza indugi, consapevole della rinucia e delle conseguenze, un pò come tutti noi, a chi non è capitato di sentirsi un pò "Stoner" nella vita? Tutti facciamo una vita di sacrifici e di conseguenza delle scelte e questo non comporta nessuna sorpresa, fa parte di un processo. La vita scorre e ci rendiamo conto solo dopo, che il tempo passa e non si può tornare indietro. Stoner è la storia piatta senza slancio di un uomo "insignificante" che grazie alla penna dell'autore diventa un fiume in piena, una perfetta introspezione dove i pensieri e le emozioni prendono vita e fluttuano, almeno è quello che è successo nella mia mente, al ritmo lineare dove ogni tassello completa un puzzle quasi perfetto e ne viene fuori che anche un semplice e modesto professore universitario poco avvezzo alla vita sociale è come un caledoscopio, ovunque si guarda cambia forma e comunque fa apparire il mondo perfetto.

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Carlo Turco Opinione inserita da Carlo Turco    24 Mag, 2012
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Un classico da non perdere

Per me il fascino e la bellezza di questo romanzo stanno proprio nel fatto di avvincere il lettore nella scoperta e nella realizzazione progressiva dell’importanza e della grazia salvifica dell’essere rispetto all’apparire. Procedendo nella lettura si comprende quanto possa essere articolata e ricca la personalità di un personaggio che, fin dalla presentazione iniziale operata dal narratore, sembra essere del tutto comune e insignificante. Al di là delle delusioni, delle traversie, di immeritate avversità che segnano l’esistenza di Stoner, la sua storia dimostra invece la pienezza, la dignità e l’unicità del senso che può essere conquistato ad una vita apparentemente ordinaria dal carattere e dall’impegno del protagonista.
Proprio per questo a William Stoner si addice a pieno titolo la definizione letteraria di eroe della storia. E nonostante che essa sia quanto di più lontano possa immaginarsi dalle narrazioni che meglio si prestano agli espedienti del genere, gli effetti di suspense derivanti dallo svolgimento delle vicende e dalle riflessioni su di esse e sul personaggio – non di rado arricchite dall’intervento di un narratore esterno, onnisciente - appaiono del tutto paragonabili a quelli di un thriller.
All’efficacia della narrazione contribuisce in termini determinanti lo stile che gli è conferito dalla scrittura, dal fraseggio, dalla lingua del racconto, che si elevano nei toni e nell’espressività man mano che si arricchisce il ritratto di Stoner: così che l’amore per lo studio e la cultura dei classici, proprio del personaggio, trova piena corrispondenza nelle modalità classiche della narrazione.
Contrariamente all’apparenza e ai facili giudizi espressi o sottintesi da quanti accettano supinamente le convenzioni, Stoner non è certo un personaggio chiuso in se stesso o, al più, nella torre d’avorio del mondo accademico. Il tema centrale della ricerca e affermazione della propria identità, della realizzazione di sé, è intrecciato ad altri temi, sia di rilevanza sociale che di natura più intima e personale. Sono i temi della guerra, dell’educazione e della funzione dell’istruzione universitaria, dell’integrità professionale, della posizione della donna nella società e nel matrimonio, dell’emancipazione femminile, da una parte; e, dall’altra parte, sono i temi dei rapporti coniugali, dell’amore filiale e genitoriale, dell’amicizia, del conformismo, della passione amorosa. Si può certamente affermare che la coniugazione dell’amore nelle sue diverse accezioni costituisca una forza dominante nel definire vita e carattere di Stoner.
Con questo romanzo ci si trova di fronte ad un classico che non può mancare dalle letture degli amanti della letteratura statunitense. All’editore Fazi, perciò, si deve essere assai grati per averlo reso disponibile al pubblico italiano. Non posso tuttavia tacere qualche perplessità e riserva per quello che riguarda la versione in italiano. Come altre volte mi è capitato di osservare nelle traduzioni dall’inglese, anche in questo caso mi sembra che ci sia una forte propensione a semplificare il linguaggio, ad alterare la punteggiatura, ad attenersi a certe regole convenzionali (per esempio, evitare la ripetizione di parole - pur scientemente prescelta dall’autore - ricorrendo a sinonimi), a rendere il testo assai più esplicativo: insomma, a privilegiare la ricerca di quello che evidentemente si ritiene essere un bell’italiano rispetto alla fedeltà all’originale. Ma quando, come nel caso di Williams, le forme dello scrivere sono connesse a contenuti e modi della narrazione in termini così stretti e funzionali, si corre seriamente il rischio di produrre non poche banalizzazioni del testo, di alterarne respiro e ritmo della prosa e, talvolta, di incorrere in veri e propri travisamenti di senso, finendo, così, per rendere un cattivo servizio all’autore non meno che al lettore.
(Chi fosse interessato può trovare un mio commento più esteso su Stoner nel mio blog personale: https://carturco.wordpress.com)

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charicla Opinione inserita da charicla    30 Aprile, 2012
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FAVOLOSO!!!

Questo libro racconta della vita grigia e tormentata di William Stoner, dapprima giovane studente timoroso dell’ Università del Missouri e successivamente docente universitario paziente e tollerante che svolge con impegno e dedizione la sua professione, forse come segno di tacita redenzione nei confronti di una vita privata completamente fallimentare, rappresentata da un matrimonio infelice, da una paternità quasi negata e da una relazione adulterina completamente ostacolata sul nascere. Una storia semplice quanto brillante, racchiusa in un libro assolutamente incantevole e scritto in modo magistrale che lascia il lettore a bocca aperta per la sua intensità e con un finale decisamente commuovente.

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