Quel che resta del giorno
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il maggiordomo
Sedimentata nell’immaginario di ognuno, la figura del maggiordomo rappresenta una professione concreta, eppure così distante dalla nostra realtà quotidiana da apparire come un mero elemento cinematografico.
Kazuo Ishiguro, col potere della letteratura, estrae dal romanzo il personaggio e lo rende un uomo vivo, più che mai verosimile. Lo fa con una potenza ed un realismo strabilianti.
Così, nell’Inghilterra dei facoltosi e dei potenti, ci è concesso di visitare Darlington Hall, una meravigliosa magione vittoriana appartenuta all’omonimo Lord inglese, entro le cui mura si discusse il futuro dell’Europa.
All’organizzazione di un cospicuo numero di persone di servizio, Mr. Stevens è il maggiordomo, un professionista di prestigio, appartenete alla vecchia scuola di stampo aristocratico.
Colto, misurato, instancabile, elegante e di umorismo algido come solo un gentleman inglese.
Una vita intera votata al suo signore, nella piena convinzione che supportare l’uomo di potere che voglia migliorare il mondo non possa essere che l’unico strumento per elevare chi ha scelto il suo impiego.
Dignità, per Mr. Stevens significa non mostrarsi in pubblico diversamente da ciò che impone il proprio ruolo.
Il primo viaggio dopo anni di servizio, qualche giorno in Cornovaglia a bordo di una Ford d’epoca, un salto nel passato, messaggi non colti e opportunità glissate.
E’ stata dunque la mansione scelta da Stevens a orientare il senso della sua vita? A cosa ha rinunciato, quanto ha tralasciato, evitato, disprezzato per onorare la professione? Ne è valsa la pena?
La risposta, forse, nei silenzi timidi e brevi, nei rimpianti abbozzati e nella malinconia malcelata.
Un corposo percorso introspettivo tratto da una narrativa capace e dal tratto elegante, deciso ma non ridondante, in un’Inghilterra che ci offre panoramiche ambientali suggestive.
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Bisogna essere felici
"Maggiordomi di minor levatura sono pronti, alla minima provocazione, a metter da parte la loro figura professionale per lasciare emergere la dimensione privata. Per simili personaggi, fare il maggiordomo è come recitare in una pantomima; basta una piccola spinta, ed ecco che la facciata cade scoprendo l’attore che c’è sotto. I grandi maggiordomi sono grandi proprio per la capacità che hanno di vivere all’interno del loro ruolo professionale e di viverci fino in fondo". Per Stevens fare il maggiordomo non è semplicemente un lavoro, è una vera e propria missione, una vocazione che richiede cieca obbedienza al dovere, massima devozione alla causa. Aspirando alla dignità, elemento fondamentale per qualsiasi maggiordomo degno di questo nome, Stevens esegue il suo compito estraniandosi da tutto ciò che esula dal governo della casa. Sentimenti, idee personali, esigenze, vengono messi da parte. Alla stregua di un automa, il protagonista è capace di continuare impassibilmente il servizio mentre il padre muore a pochi metri da lui, a dimostrare servile devozione al proprio padrone anche quando questi dimostra discutibili simpatie politiche, a lasciarsi scappare quell'amore che sarebbe stato capace di cambiargli la vita. Intransigente con se stesso e con i suoi collaboratori, sempre impeccabile e in grado di prevedere ogni cosa, incapace di godere di un minimo di riposo, alle soglie della vecchiaia l'uomo è costretto ad un implacabile faccia a faccia con la propria esistenza. A bordo della fiammante Ford che il suo nuovo datore di lavoro americano gli ha messo a disposizione, Stevens attraversa la campagna inglese per quella che è la prima vera vacanza della sua vita. Un viaggio in auto per visitare luoghi bellissimi che ha sempre avuto vicino ma che non ha mai potuto raggiungere, sempre troppo impegnato con il dovere, con l'obiettivo finale di rivedere miss Kent, vecchia collaboratrice con cui ha sempre avuto un rapporto tormentato, per proporle di ritornare a lavorare insieme a seguito del fallimento del suo matrimonio. Perso tra le amenità del paesaggio, il protagonista si abbandona a ricordi sempre e indissolubilmente legati alla vita professionale, arrivando inevitabilmente a redigere un bilancio della sua vita. Bilancio che, dopo un'esistenza in cui ha messo da parte tutto ciò che conta veramente, non può che risultare passivo. Ma ormai è troppo tardi per tornare indietro. Il passato non si può più cambiare, si può solo cercare di immaginare con rammarico quello che poteva essere e non è stato, cercando, quando ormai la sera dell'esistenza è vicina, di vivere nel migliore dei modi quel che resta del giorno. “Bisogna essere felici. La sera è la parte più bella della giornata. E forse allora vi è del buono nel consiglio secondo il quale io dovrei smettere di ripensare tanto al passato, dovrei assumere un punto di vista più positivo e cercare di trarre il meglio da quel che rimane della mia giornata”.
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Il senso del dovere
Un viaggio di una settimana consente al protagonista, un maggiordomo inglese d’altri tempi, Stevens di fare un bilancio della propria esistenza spesa interamente per adempiere al meglio al proprio lavoro, con una dedizione e un’ abnegazione totale.
Attraverso la narrazione di episodi accaduti durante il viaggio e di ricordi lontani nel tempo attraverso continui flashback si delinea la personalità di Stevens: un uomo meticoloso, che non lascia nessuno spazio nella propria vita a legami personali o affettivi con un unico obbiettivo: essere un buon maggiordomo e servire al meglio il proprio signore.
Quello che ne risulta è un senso del dovere assoluto, (che ,forse condizionata dalle origini dell’ autore, mi fa pensare al codice d’onore dei samurai) oggi forse difficile da comprendere perché lontano dal nostro modo di vivere ma proprio per questo molto affascinante.
La fine del libro lascia un senso di delicatezza e malinconia con delle considerazioni sulla vita umana che non si possono non condividere.
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L'etica del samurai
“Ho dato trentacinque anni di servizio a Lord Darlington; e per questa ragione non sarà ingiustificato affermare di aver 'fatto parte di una casata illustre', nel senso più vero del termine, per tutti quegli anni. E riandando con lo sguardo alla mia carriera sino ad oggi, la soddisfazione più grande che provo deriva da quanto sono riuscito a raggiungere nel corso di quegli anni, cosicché oggi non sono altro che orgoglioso e grato del fatto che mi sia stato concesso un simile privilegio”.
Giunge inaspettata a Stevens la notizia che, dopo anni e anni di servizio ininterrotto come maggiordomo, può approfittare di una settimana di pausa dal governo di Darlington Hall. Quasi non saprebbe che farsene, se non fosse per il suo nuovo datore, l’americano Mr. Farraday, che gli presta la sua preziosa Ford per viaggiare tra le campagne e conoscere meglio un pezzo d’Inghilterra.
E’ l’occasione, per l’irreprensibile e misurato Stevens, di rimettere mentalmente ordine negli eventi e negli insegnamenti di un’intera carriera trascorsa, nei suoi anni migliori, a servire Lord Darlington. Ma anche per incontrare nuovamente Mrs. Kenton, che, per sposarsi e metter su famiglia, ha lasciato definitivamente Darlington Hall anni prima.
Se inizialmente stupisce – e non poco – la scoperta che questo particolarissimo romanzo sia opera di un autore giapponese, Kazuo Ishiguro (premio Nobel per la letteratura 2017), nel corso della narrazione questo stupore muta nel suo esatto contrario: ci si rende conto che una tale paternità, per una storia del genere, è quanto di più naturale vi possa essere. Nella figura del perfetto maggiordomo britannico si cela, in controluce, la più alta personificazione del samurai. Il parallelo è illuminante quanto “necessario”: la vita di entrambi trova il significato più elevato nel servire in piena dignità un importante “padrone”, sino al punto in cui tale servizio assurge al rango di vera e propria arte.
Il “servire” come missione che dà luce alla persona: è la scoperta nella quale Ishiguro trascina il lettore attraverso un narrare minimalista e misuratissimo, fatto di piccoli segnali. Particolarmente godibile il confronto, che si dipana negli anni, tra la mentalità di Stevens e quella di Mrs. Kenton, giovane governante di Darlington Hall: un confronto che si consuma spesso nelle ore pomeridiane di riposo trascorse al tavolino di un salotto dove i due sorseggiano la cioccolata e organizzano il lavoro che verrà (quando la storia sarà trasposta al cinema da James Ivory, i personaggi di Stevens e Mrs. Kenton avranno i volti – azzecatissimi – di Anthony Hopkins ed Emma Thompson).
Il samurai anche governa, ed il maggiordomo anche combatte. Entrambi come “servitori”, nel senso più alto e dignitoso.
… E che non venga mai in mente, al preannunciarsi della sera, che ci si sarebbe potuti curare di un altro padrone: se stessi. Che non venga mai in mente!… Per poter continuare a servire, con la medesima scrupolosità e dignità di sempre, per “quel che resta del giorno”.
“Un 'grande' maggiordomo può essere di sicuro solamente colui il quale sia in grado di indicare tutti gli anni di lavoro e dire di aver messo i propri talenti al servizio di un grande gentiluomo – e attraverso costui, al servizio dell’umanità”.
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Un classico datato 1989
“Quel che resta del giorno” è un romanzo di narrativa generale pubblicato nel 1989; vincitore nello stesso anno del Booker Prize, ha dato il via all'ascesa letteraria di Kazuo Ishiguro, culminata nel 2017 con la meritata assegnazione del Nobel per la letteratura.
La trama è prevedibilmente povera di eventi e si dipana con la lentezza che sempre caratterizza l'opera di Ishiguro, per poi acquistare di pagina in pagina un'importanza ed una carica impreviste
«-Può darsi che la Storia stessa si compia, sotto questo tetto, [...]»
sino al finale, ricco di emozioni e capace, a dispetto dello sconforto generale, di trasmettere un positivo messaggio di speranza, che mi ha ricordato per molti versi l'epilogo de “Olive Kitteridge” di Elizabeth Strout.
La narrazione copre due archi temporali, passando da un presente riconducibile agli anni '50 del secolo scorso a lunghi flashback ambientati a cavallo tra gli anni '20 e '30. Protagonista e narratore è Mr Stevens, perfetta incarnazione del classico maggiordomo inglese; l'uomo ha trascorso gran parte della sua vita alle dipendenze di Lord Darlington e, trovandosi improvvisamente con un nuovo (e ben diverso!) datore di lavoro, affronta una crisi lavorativa e personale con la quale è incapace di venire a patti.
Un viaggio in auto tra alcuni paesini della campagna inglese offre a Stevens degli spunti per riflettere sugli eventi più importanti della sua vita da maggiordomo, durante la quale ha sempre anelato ad un ideale di dignità, arrivando a seppellire ogni sentimento ed impulso dietro ad una perenne maschera di compostezza formale. In particolare, la narrazione al passato mette in contrapposizione due eventi, uno tragico ed uno potenzialmente positivo, ed è interessante notare come per entrambi la reazione del protagonista sia lo stesso freddo distacco emotivo.
Con queste premesse, capirete che non è affatto facile empatizzare con Mr Stevens, ma si può imparare pian piano a capire le sue motivazioni; personalmente l'ho trovato ottimamente caratterizzato, specie per i diversi elementi che richiamano al Howard W. Campbell Jr. de “Madre notte” di Kurt Vonnegut. Il protagonista da il suo meglio nelle scene in cui si confronta con Miss Kenton: la governante è quasi la sua antitesi, perché incapace di tenere a freno le sue emozioni, siano esse positive come un'offerta di amicizia concretizzata dal regalo di un mazzo di fiori o negative come la rabbia che spesso la domina, e lo sviluppo della relazione tra i due è forse l’unica incognita a mantenere viva la tensione nel volume.
Come per gli altri romanzi dell'autore che ho letto finora, la storia trova la sua perfetta ambientazione nella provincia inglese; lunghi dall'essere uno mero scenario, la patria d’adozione di Ishiguro si conquista a più riprese la scena, risultando sicuramente una componente fondamentale all'interno dello stesso cast. Inoltre diversi personaggi la evocano nei dialoghi
«Sì, perché voialtri [...] quando mai avete occasione di andarvene in giro a visitare questo vostro meraviglioso paese?»
in una sorta di ode a quella terra, come pure fa il protagonista nei suoi pensieri
«[...] una qualità capace di designare il panorama inglese [...] è probabilmente meglio riassunta nel termine di “grandezza”.»
focalizzandosi su una caratteristica che acquisisce per lui un significato ben più profondo, portandolo poi ad associare se stesso allo spirito augusto e flemmatico dell'Inghilterra stessa.
Il romanzo presenza una struttura atipica: non sono presenti dei normali capitoli, bensì ogni sosta nell'itinerario di Mr Stevens ottiene una parte a se stante che inizia generalmente con un riepilogo del viaggio in auto, come una vera cronaca, per poi passare al viaggio tra i ricordi, attraverso i quali rivalutare le scelte del passato.
Questa forma porta l'autore ad adottare la narrazione in prima persona al presente, dando ai lettori la sensazione di essere seduti al fianco di Stevens sulla Ford d’epoca mentre racconta, e ricorda. È inoltre da notare che alcuni aspetti verranno poi ripresi ne “Il gigante sepolto”, come la tematica dell'importanza del ricordo, ma anche la scelta di un protagonista anziano con una storia tutta da esplorare.
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Essenza apparente
Inghilterra di inizio ‘900, a cavallo tra le due guerre, osserviamo attentamente la figura di Mr Stevens, una vita da maggiordomo trascorsa al servizio di Lord Darlington, gentiluomo inglese al centro della vita politica del paese, fino al cambio di proprietà ed all’ avvento di Mr Farraday, dai tratti moderni e sfacciatamente americani ma con la ferma volontà di conservare le tradizioni in atto.
È un tempo di attesa e di cambiamenti e per Mr Stevens, dopo molti anni di servizio devoto, il momento di una pausa attraverso un viaggio in macchina nella vastità del paesaggio inglese, la calma mista alla bellezza, una grandezza consapevole senza la necessità di essere proclamata a gran voce.
Un viaggio ed un racconto in prima persona che tocca una vita intera, focalizzandone i tratti salienti.
Mr Stevens ritorna al dovere che la propria professione comporta, un obbligo completamente indirizzato ad esaudire i desideri del proprio datore di lavoro con un’ etica professionale integerrima che scacci le proprie debolezze e qualsiasi sentimento.
Egli considera la finzione necessaria all’ espletamento del proprio lavoro, una sorta di missione, e quella maschera perennemente dipinta sul proprio volto si fa essenza caratterizzante ed espressione devota in opposizione a personalismi ed astrazioni cangianti.
Ed allora nasce un concetto di dignità che sia all’ altezza della posizione occupata ed una necessità di appartenenza al ruolo che si ricopre fino a quando si è completamente soli.
Di certo quella del maggiordomo non è una professione per tutti, implica una completa dedizione ed identificazione a costo di abbandonare sfera privata e personalismi, è tracimata a tal punto nella propria quotidianità che le competenze travalicano ogni possibile essenza.
E poi c’è la percezione che gli altri hanno di lui, qualcuno si domanda perché debba sempre fingere ma c’ è anche chi, nei comportamenti e nei modi, lo scambia per un vero signore, oltre il taglio degli abiti ed il suo modo di vestire elegante perché è qualche altra cosa del tutto evidente a renderlo una persona diversa.
In sostanza il concetto di dignità per Mr Stevens consiste nel non togliersi i panni di dosso in pubblico fino a quando non rimane solo con la propria sfera più intima.
Ed allora come affrontare il privato quando si è chiamati a mostrare le proprie debolezze, sballottati tra sentimenti e sofferenze improvvise a cui la vita inesorabilmente ci porta?
Un dubbio resta sovrano, una incertezza nata e cresciuta nel tempo, in quegli anni vissuti al fianco di Mrs Thompson, collaboratrice fidata e devota, ma anche forte presenza che richiama Mr Stevens ad una resa dei conti, in primis verso se stesso e ad un’ idea trascinata per anni alla fine scacciata dalla evidenza.
In questo romanzo dalla lentezza evidente, dalle riflessioni protratte, dalla forma perfetta, in cui il lungo monologo di Mr Stevens abbraccia stile e contenuti, finiamo con il chiederci la differenza tra forma e sostanza, professione e vita, etica e sentimenti, senza una risposta evidente per il protagonista, imprigionato nella propria essenza apparente.
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I silenziosi conflitti di un grande maggiordomo
A quanto pare, per uno scrittore esistono due metodi infallibili per salire alla ribalta internazionale: la morte, oppure il premio Nobel. Per la fortuna di Kazuo Ishiguro, il motivo che lo ha portato alla mia attenzione è quello più felice dei due, e devo dire che il premio svedese (spesso denigrato, non saprei dire se giustamente o meno) in questo caso mi ha dato la possibilità di leggere un romanzo davvero degno di nota. Tra gli altri ho scelto proprio questo perché tra i più conosciuti e, inoltre, perché attirato dal fatto che ne esistesse una trasposizione cinematografica con protagonista l'immenso Anthony Hopkins.
Appena avrò finito con questa recensione, correrò a vedere il film.
Non so fino a che punto possa spingermi a definire lo stile di Ishiguro: mi è sembrato adattato perfettamente al personaggio del signor Stevens, voce narrante e protagonista di questa storia, e non mi stupirebbe di trovarlo diverso negli altri romanzi proprio per questo motivo. Il modo di raccontare questa storia si adatta così perfettamente a quello che è il personaggio che pare quasi di sentirlo parlare, con quel suo modo di esprimersi così elegante e col suo punto di vista perfettamente espresso, che plasma la realtà secondo i suoi occhi. In questo, credo che Ishiguro sia stato davvero magistrale, anche se a tratti la lettura richiede un po' di impegno nell'evitare distrazioni.
È un qualcosa di splendido entrare nella psicologia di Stevens, osservare i conflitti che tenta incessantemente di sotterrare nella sua figura di maggiordomo irreprensibile; ogni cosa che vi si discosta lui la respinge categoricamente, e questo aspetto è perfettamente reso, anche se viene lasciata al lettore la possibilità di indovinare i veri sentimenti che si celano dietro quella maschera. L'autore riesce a creare il famoso legame tra protagonista e lettore, e in quest'ultimo la condotta del Signor Stevens, spesso in contrasto coi suoi veri sentimenti, genererà emozioni contrastanti.
Il Signor Stevens è un maggiordomo inglese, di quelli irreprensibili e totalmente dediti al lavoro; di quelli che ormai non se ne vedono più e appartengono a una società ormai passata.
Stevens ha passato gran parte della sua vita al servizio di Lord Darlington, dedicandosi anima e corpo nel tentativo di compiacere il suo padrone, figura di spicco nella politica europea, nel contesto che porterà all'esplosione della seconda guerra mondiale.
All'inizio della storia, tuttavia, nonostante sia ancora in servizio nella dimora di Darlington Hall, il suo vecchio padrone è deceduto da ormai tre anni e si trova alle dipendenze di un americano, il signor Farraday, che ha acquisato la dimora: un affarista che a quei tempi veniva definito come appartenente alla categoria dei "nuovi ricchi". Dovendo partire per un viaggio di un paio di settimane, Farraday invita Stevens a fare una breve vacanza e gli offre di utlizzare la sua Ford, per intraprendere il viaggio. Stevens accetta la proposta e deciderà di approfittare dell'occasione per andare a trovare la vecchia governante che serviva Lord Darlington insieme a lui e con la quale, in quegli anni, aveva instaurato un rapporto abbastanza controverso. La donna è ormai sposata, ma a quanto pare il suo matrimonio non naviga in buone acque e in una lettera pare esprimere nostalgia per Darlington Hall, nostalgia che Stevens interpreta come una voglia di tornare in servizio lì. Lui avrebbe bisogno di una mano, e quella di Miss Kenton sarebbe più che preziosa.
Dunque, Stevens parte per questo viaggio che ha anche un motivo professionale; o almeno di questo vuole convincersi. Questo viaggio si presenta come un pretesto per riflettere sul passato, sui giorni degni di nota che ha vissuto, sulle persone importanti alle quali la sua professione gli ha permesso di entrare in contatto, seppur indirettamente.
Quest'uomo irreprensibile continuerà a nascondersi dietro la sua professionalità, dietro la sua ferrea volontà di essere un "grande maggiordomo", carico di dignità. Lungo questo viaggio, tuttavia, ci sono molte altre cose su cui si troverà a riflettere, e non tutte saranno piacevoli.
Un romanzo che da parecchi spunti di riflessione, difficili da condensare in una breve recensione. Leggetelo.
"E forse allora vi è del buono nel consiglio secondo il quale io dovrei smettere di ripensare tanto al passato, dovrei assumere un punto di vista più positivo e cercare di trarre il meglio da quel che rimane della mia giornata. Dopotutto cosa mai c'è da guadagnare nel guardarsi continuamente alle spalle e a prendercela con noi stessi se le nostre vite non sono state proprio quelle che avremmo desiderato?"
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La sera è la parte più bella della giornata?
Il maggiordomo Stevens – protagonista assoluto di Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro - rivede la propria vita trascorsa al servizio di Lord Darlington quando la prestigiosa proprietà viene rilevata da un ricco americano nel secondo dopoguerra: in quest’epoca di sconvolgimenti sociali (“La nostra generazione… vedeva il mondo non come una scala, ma come una ruota”) la professione di Stevens subisce contraccolpi e vengono messi in discussione il ruolo e l’identità di un uomo che della fedeltà, della dignità e del sacrificio ha fatto essenza di vita.
Così, al mondo popolato da lacché (“il problema della lucidatura dell’argenteria”) e gentiluomini e sotto il dominio imperante di Sua Signoria si oppone la nuova visuale che si dischiude a Stevens durante un viaggio-premio da Oxford alla Cornovaglia, in un paesaggio inglese che è misura e compostezza in antitesi a “quegli spettacoli naturali… che si offrirebbero all’attenzione dell’osservatore oggettivo come inferiori proprio per quel loro indecoroso esibirsi”. Il viaggio ha una meta finale: l’incontro con la ex governante di Darlington Hall, una donna che rappresenta la rinuncia all’amore, consumata da Stevens in nome di un ideale superiore (“Fornire il miglior servizio possibile a quei grandi gentiluomini nelle cui mani è riposte davvero il destino della civiltà”).
Il senso della misura e della dignità in qualche modo amplificano, nella percezione del lettore, l’impatto dei sentimenti sempre controllati e soffocati da Stevens: l’amore per il padre (“Come se si augurasse di ritrovare un gioiello prezioso che aveva perduto in quel punto”) da praticare con ostinazione nonostante la decadenza fisica del genitore e durante gli impegni del convegno del 1924; la fedeltà verso lord Darlington anche quando sul nobile aleggiano sospetti politici infamanti (“Sir Oswald Mosley, la persona che fu a capo delle camicie nere, era stato ospite a Darlington Hall, io direi, in non più di tre occasioni…”).
Il finale del romanzo è particolarmente triste e struggente, fitto di domande che irradiano una luce malinconica sulle prospettive di un’esistenza il cui senso vacilla pericolosamente (“Dopotutto che cosa c’è mai da guadagnare nel guardarsi continuamente alle spalle e a prendercela con noi stessi se le nostre vite non sono state proprio quelle che avremmo desiderato?”) sotto i colpi della crisi d’identità.
Giudizio finale: finemente struggente, potentemente malinconico, sottilmente ironico.
Bruno Elpis
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Lealtà
Quando passi una vita pensando solo al bene del tuo padrone, ogni giorno inizia e finisce come quello prima e come quello dopo. Una vita leale, impeccabile e con la mente impegnata al lavoro, ma i tempi cambiano e anche i padroni; arriva un momento in cui ti ritrovi davanti un’opportunità che dopo mille riflessioni ti ritrovi a prendere al volo.
Stevens è un maggiordomo, ma non uno qualsiasi, è un grande maggiordomo di una delle grandi famiglie inglesi, il suo padrone è Lord Darlington ma la guerra è finita e anche molte grandi dinastie hanno finito i loro anni d’oro. Un ricco americano, Mr Farraday, ha comprato tutto e con tutto intendo casa e domestici per poter vivere lo splendore inglese di una volta. Ovviamente Stevens fa parte del pacchetto “casa”, ma questo padrone non è come l’altro, questo gli consiglia di lasciare per la prima volta la residenza e di approfittare di qualche giorno di libertà per intraprendere un viaggio.
Stevens non sa che quel viaggio metterà in discussione tutta la sua vita.
Ishiguro con uno stile impeccabile riesce a rendere allettante una storia che non ha nessuna base per esserlo. Una storia che ha tutti gli elementi per essere lenta e monotona, invece porta il lettore all’interno di un viaggio introspettivo che oltre a mettere in difficoltà il grande maggiordomo, inevitabilmente porta anche il lettore a porsi molte domande che continuano anche dopo la lettura.
Mi sono avvicinata a quest’autore perché volevo leggere qualcosa del nuovo Premio Nobel e ne sono rimasta particolarmente colpita. Il suo stile è così coinvolgente da non farti sentire semplice spettatore ma parte integrante del pensiero del protagonista e della sua storia.
Un libro introspettivo, riflessivo e non adatto a tutti.
Buona lettura!
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In che cosa consiste la dignità?
Dopo la recente assegnazione del premio Nobel per la Letteratura a Kazuo Ishiguro, ho voluto leggere qualche sua opera e ho deciso di iniziare dal celeberrimo romanzo “Quel che resta del giorno”, edito nel 1989.
Il narratore è Mr Stevens, irreprensibile maggiordomo di una aristocratica dimora, Darlington Hall. Siamo negli anni '50 del Novecento e Stevens lavora per Mr Farraday, un ricco signore americano che ha da poco comprato la nobile residenza che in passato era appartenuta ad un aristocratico inglese, Lord Darlington.
Il maggiordomo viene invitato da Mr Farraday a prendersi qualche giorno di vacanza lasciando Darlington Hall: Stevens all'inizio non vorrebbe farlo, non si è quasi mai allontanato da quella casa, che rappresenta per lui il lavoro, un lavoro praticato con perfezionismo, dedizione estrema, che non ha lasciato spazio a nient'altro. Dopo un po' però si convince e decide di partire per la Cornovaglia, per andare a trovare una governante che ha lavorato con lui molti anni prima, Miss Kenton, ora Mrs Benn. La donna circa vent'anni prima lasciò il servizio per sposarsi. Stevens sospetta che lei non sia felice con il marito e spera che possa tornare a lavorare a Darlington Hall. Così inizia il suo viaggio, con l'automobile che gli ha prestato Mr Farraday, verso la Cornovaglia: il percorso da fare non è soltanto geografico ma diventa anche temporale. Stevens inizia a stilare il suo diario di viaggio, interponendo numerosi flashback nella narrazione, ritornando con la memoria agli anni '30, quando raggiunse l'apice della carriera di maggiordomo lavorando per il precedente padrone della residenza e a Darlington Hall arrivò lei, Miss Kenton.
Il romanzo ci parla di quanto il protagonista abbia sacrificato tutta la sua vita affettiva per inseguire un estremo ideale di dignità da raggiungere realizzandosi pienamente nella professione. Adesso, ormai anziano, ripensa con “un grande senso di trionfo” agli episodi in cui non si è lasciato andare ai sentimenti per rimanere il maggiordomo perfetto. Ripensa a quando è riuscito a ridere delle battute spiritose di alcuni ospiti della casa che doveva intrattenere, mentre suo padre moriva in una stanzetta al piano superiore. Oppure ricorda, stavolta con un pizzico di rammarico, di come riuscì a rimanere fuori dalla stanza di Miss Kenton, restando nel corridoio di fronte alla porta chiusa, mentre la donna piangeva sapendo che sarebbe andata via per sposarsi e non lo avrebbe forse più rivisto.
Stevens si esprime in maniera estremamente burocratica ed ampollosa, come se ciò lo aiutasse a mantenere la corazza che si è costruito in tutti quegli anni di onorevole servizio. Ribadisce inoltre più volte che sta andando da Miss Kenton per motivi puramente professionali, però non riesce a riferirsi a lei con il nome da sposata, Mrs Benn. Con il procedere del viaggio anche noi lettori ripercorriamo insieme a lui, attraverso i confusi messaggi che gli lancia la memoria, i momenti più significativi della sua vita. Insieme a lui ci accorgiamo che sotto quell'apparenza imperturbabile è celato un abisso di rimpianto. Una consapevolezza che viene raggiunta troppo tardi e per questo solo sfiorata, non approfondita, non rivelata fino in fondo.
Il romanzo mi ha trasmesso molta malinconia e mi ha fatto riflettere. La ricerca ossessiva del successo professionale ad esempio, che molte persone non esitano ad anteporre agli affetti, è veramente così importante oppure alla fine è soltanto una causa di infelicità per l'essere umano? C'è da chiedersi quanto sia triste arrivare alla sera della propria esistenza e rendersi conto di aver dato tutto quello che c'era da dare ad un datore di lavoro, oppure ad un ideale astratto di “dignità”, e accorgersi di essere rimasti inequivocabilmente e completamente, soli.
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E se il meglio potesse ancora venire?
La sera è spesso il momento in cui ci si sofferma a pensare a ciò che si è vissuto durante la giornata, talvolta con soddisfazione, talvolta con malinconico rimpianto. E se ci rendessimo conto, al tramonto della nostra esistenza, di aver fatto le scelte sbagliate e di aver perso l'opportunità di essere veramente felici?
Ishiguro entra nei panni di Mr Stevens, un anziano maggiordomo inglese a cui viene concessa una settimana di vacanza nella quale egli decide di visitare le principali attrazioni della zona ed ammirare la grandezza della natura. Il viaggio è l'occasione per rivedere, dopo tanti anni, Miss Kenton (ormai Mrs Benn) che da giovane aveva prestato servizio, come governante, insieme a Mr Stevens presso la prestigiosa dimora di Lord Darlington. Il tragitto verso la Cornovaglia è per il maggiordomo un percorso a ritroso nel passato, la rievocazione dei prestigiosi anni in cui a Darlington Hall si decidevano le sorti dell'Europa, ma è soprattutto la presa di coscienza delle tappe fondamentali di una intera esistenza con la speranza di poter recuperare un'occasione perduta.
Scritto con una prosa impeccabile, uno stile elaborato ed un ritmo compassato ma non privo di un certo humor tipicamente inglese, il romanzo si presenta come il meticoloso diario di viaggio di un personaggio alquanto singolare e, per certi aspetti, irritante. Mr Stevens si esprime e si comporta in modo cerimonioso e studiato in ogni dettaglio: figlio di un maggiordomo, è stato educato a reprimere ogni emozione e a perseguire la “dignità” vista come adesione totale ad un ruolo che non consente mai di svestirsi dei propri panni professionali. In simbiosi con le esigenze del proprio padrone, Mr Stevens adempie alle sue mansioni con orgoglio, votato ad una missione che lo fa sentire, in un certo qual modo, parte della Storia. Abnegazione, irreprensibilità ed efficienza al prezzo di una profonda e completa solitudine. Impassibile sia di fronte alla morte di suo padre, sia nei confronti dei sentimenti di Miss Kenton, Mr Stevens rinuncia, di fatto, agli affetti familiari e all'amore.
Solo al tramonto dei suoi giorni pare rendersi conto degli errori commessi e delle occasioni mancate, alle volte in cui avrebbe potuto agire e parlare in modo diverso, a tutti i fraintendimenti creati, ai “piccoli incidenti” che hanno “reso irrealizzabili dei grandi sogni”. E' ancora possibile rimediare? Sembra chiedersi in extremis Mr Stevens. La risposta arriverà, ancora una volta, dalla saggezza di Miss Kenton: “Non si può più mettere indietro l'orologio. Non si può stare perennemente a pensare a quel che avrebbe potuto essere”. E allora, che fare? Nelle pagine finali di questo splendido romanzo Ishiguro ci invita alla consapevolezza e alla speranza: non esistono esistenze perfette e non ci resta che convincerci “che la nostra vita è altrettanto buona, forse addirittura migliore di quella della maggior parte delle persone, e di questo si deve essere grati” (p. 286).
Non ci rimane dunque che godere di quel che resta del giorno e far sì che la sera della vita possa essere la parte più bella della nostra esistenza.
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Dimensione pubblica e privata nel concetto di dign
Stevens, l'impeccabile maggiordomo inglese al servizio di Lord Darlington, è il protagonista del magnifico romanzo di Ishiguro "Quel che resta del giorno". Il tema del viaggio, così caro alla letteratura anglosassone, dà forma ad una narrazione in prima persona, ricca di flash-back, che ci consegna un ritratto esaustivo del personaggio e mette l’accento sui punti di forza e di debolezza della cultura e della società britannica.
Al centro del romanzo è il concetto di dignità.
Dalla sua condizione particolare di maggiordomo, Stevens definisce la “dignità” con la “capacità di non abbandonare il professionista nel quale si incarna”. È la dimensione privata che viene soffocata e repressa per assolvere in modo impeccabile ai doveri professionali. Non manca, a questo punto, una considerazione severa sul comportamento e sulla attitudine di coloro che non appartengono al Regno Unito: “Gli europei non sono in grado di fare i maggiordomi, perché come razza non sanno mantenere quel controllo emotivo del quale soltanto la razza inglese è capace […..] in una parola, la dignità è qualcosa che trascende simili personaggi”. E qui è palese l’atteggiamento discriminatorio rispetto al continente del quale spesso i britannici hanno dimostrato di non sentire di fare parte.
Il tono di Ishiguro è qui sottilmente ironico come in molti altri brani del romanzo. Egli non risparmia infatti il personaggio dell’americano Mr Farraday, succeduto a Lord Darlington nella proprietà di Darlington Hall. Il nuovo padrone di Stevens non ha lo stile e il tratto del Lord inglese, tratta il maggiordomo con fare troppo confidenziale e grossolano. “Sono certo- dice Stevens- che egli stesse semplicemente dilettandosi in quel tipo di tono scherzoso che negli Stati Uniti è segno, non vi è dubbio, di una intesa corretta e amichevole fra datori di lavoro e dipendente, e alla quale ci si dedica come ad uno sport affettuoso.”
Con il procedere della narrazione assistiamo al graduale mutamento del personaggio Stevens, che, avvitato dapprima su se stesso in una situazione di ambiguità, si snoda verso una più chiara e definita posizione. Lo stesso concetto di “dignità” in lui così fermamente e indiscutibilmente radicato viene progressivamente riconsiderato alla luce degli eventi che mettono in discussione la personalità di Lord Darlington, offuscata dalle ombre cadute su di lui in seguito alle sue frequentazioni e al suo sospetto collaborazionismo con il nazismo. E sarà lo stesso Stevens a porsi in fondo il quesito se sia giusto adempiere fino in fondo ai propri compiti mantenendo un rigoroso riserbo, mettendo a tacere la propria coscienza, in breve soffocando la propria personalità, oppure reagire in nome di quell’onestà intellettuale che è parte integrante della coscienza. Qui entrano in collisione rigore e onestà, e ci si chiede quale etica debba prevalere, quella che ha sede nel mondo della libertà o quella pubblica che privilegia la forma rispetto al contenuto. Lo stesso Stevens darà una risposta tacita, nel momento in cui non considererà più punto d’onore l’avere servito Lord Darlington. Egli comincia a porsi degli interrogativi sin dal momento in cui impone a miss Kenton il licenziamento di due domestiche ebree. E sarà proprio il confronto con Miss Kenton a scuotere in fondo la sua coscienza troppo a lungo repressa. Sarà per lei che intraprenderà il suo viaggio, che si rivelerà un momento di crescita spirituale anche se avrà avuto luogo in quel tempo della vita in cui la luce sta per spegnersi.
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Quel che resta di una vita
Romanzo fortemente e sentitamente inglese che delle radici culturali dello scrittore sviluppa solo la meticolosità dei dettagli e le riflessioni ovattate del protagonista.
In effetti lo stile di scrittura, attento e acuto, si amalgama perfettamente al "flusso dei pensieri" del personaggio principale, Mr Stevens, mentre ripercorre, in prima persona sotto forma di diario, le vicende della sua vita a servizio di Lord Darlington presso Darlington Hall.
Siamo di fronte ad un elucubrante viaggio interiore, che riaccende ricordi personali e ripercorre gli avvenimenti più significativi; esso si realizza durante una traversata in automobile per raggiungere la costa occidentale dell'Inghilterra, la Cornovaglia, dove lo attende Mrs Kenton, ex governante, anni prima, nella stessa casa.
Attraverso questo spostamento terreno, accompagnato da un senso di libertà che non gli è proprio perché provato per la prima volta nella vita, si entra in contatto non solo con l'uomo ma anche con i luoghi di passaggio che, sfiorati dal suo sguardo, acquisiscono una patina nostalgica color seppia.
Mr.Stevens ha fatto della dignità e della professionalità lo scopo della sua vita a tal punto dall'essersi trasformato quasi in un robot, sopprimendo azioni volontarie, pensieri propri ed emozioni intense, e divenendo così un uomo dai tratti esasperanti ed inquietanti.
Mr. Stevens "il maggiordomo" non lascia mai nulla al caso.
Un semplice sorriso di rimando ad una battuta del suo "Milord" è, da parte sua, oggetto di studio comportamentale.
Come suo padre prima di lui, ha perseguito un istinto interiore profondo che lo ha guidato e plasmato. "Tutti sono capaci di servire ma nessuno può farlo in modo assolutamente perfetto come un inglese".
Questo è un po' il leit motiv del romanzo.
È proprio per questo che muovendosi nella grande casa pensa e agisce da vero stratega. Tutto al proprio posto, nulla di intentato, massimo rigore.
In questo viaggio Mr Stevens acquisisce però una lucidità tutta nuova ed una lungimiranza inaspettata.
Un romanzo che rappresenta la voce del ricordo che parte in sordina e che alla fine ruggisce; è il resoconto sommario di una vita che, in un certo qual modo, grida e rivendica il tempo trascorso a servizio di un uomo che si rivelerà essere di dubbia moralità. Su tutto regna sovrana una patina di rimpianto, specie quello per un sentimento d'amore da sempre soffocato in nome di una lealtà fittizia.
Nel titolo c'è tutto il senso del romanzo, e penso che sia uno dei titoli più belli mai trovati nel mio percorso di lettrice.
Quel che resta del giorno sta ad indicare quel che resta di una vita vissuta a metà. Il sole tramonta ed indietro non si può tornare.
Un romanzo intenso ed anche fortemente decadente, da leggere con attenzione, senza rincorse, lasciandosi guidare da un personaggio pronto a spazzar via dal contesto ogni probabile imperfezione.
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Quel che resta
Questo è stato un libro davvero interessante.
Dapprima ho apprezzato solo le vicende che mi mostravano la vita di un maggiordomo inglese ed ho sorriso davanti a certe puntigliosità che, al giorno d’oggi, sono virtù rare presenti forse solamente a corte.
Ma poi, man mano che la lettura avanzava, mi sono accorta che il romanzo prendeva spessore e profondità. Nel libro è onnipresente il concetto di dignità, requisito che il protagonista considera fondamentale per un maggiordomo.
Lui intende la dignità come una sorta di compostezza davanti ad ogni situazione, un senso del dovere intenso e profondo, io invece la interpreto come freddezza e prigionia, in una gabbia dorata sicuramente, ma sempre di prigione si tratta.
Questo romanzo infatti porta a riflettere sulla vita, ti sprona a non sprecare le occasioni e le possibilità che ti si presentano, ma soprattutto ad osare.
Lo stile mi è piaciuto molto. È scorrevole, lineare e talvolta, soprattutto quando vengono descritte le minuziosità del lavoro del maggiordomo, molto ironico.
Un romanzo che fa riflettere sulla vita.
Finchè si vive nella propria bolla di sapone si è in pace, ma quando la bolla scoppia e la realtà delle cose entra prepotentemente nella vita, le certezze, che si possedevano fino a quel momento, vacillano.
È proprio in quel momento che, voltandosi indietro, bisogna saper dire “ne valeva la pena” perché altrimenti, quel che resta del giorno, o della vita, è nulla…
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Tempo e vita.
Rimanere fedeli a sé stessi, qualunque cosa accada. Ed egli ci riesce alla perfezione, a quale prezzo però. Stevens è un personaggio ben costruito, equilibrato, istruito, e con una grande dignità. Quest’ultima è in particolare la chiave di lettura che determina la sua esistenza. Per tutta la sua vita ha servito con rispetto e con rigido rigore gli uomini delle classi più elevate senza mai far si che le emozioni prendessero il sopravvento, senza mai manifestare il suo pensiero, limitandosi semplicemente al suo compito di assistenza e cura della casa e del suo padrone. Tutto doveva risultare alla perfezione in qualsiasi circostanza.
La ricerca della «dignità» è uno degli obiettivi ma anche degli interrogativi che maggiormente affiggono l’uomo. In cosa consiste questa? Quando la si riscontra in un perfetto maggiordomo? Ha ragione la vecchia o la nuova scuola? Stevens non si considera all’altezza di tale qualità, ritiene che la sua dedizione a sua signoria debba esser ancora coltivata prima di poter anche solo lontanamente essere paragonabile a quella storicamente conosciuta. L’unico essere umano in cui è riuscito ad individuare una parvenza di questa è il suo signor padre, sua grande ispirazione ed uomo da emulare tanto per controllo quanto per dedizione, forse di una diversa generazione ma pur sempre membro di una servitù di grande qualità ed istruzione, salda tanto nei principi che nella moralità.
Così quando il padrone, che si sarebbe allontanato per un breve periodo dalla residenza per affari, lo invita a prendere la vettura e a farsi un viaggio solo per lui dove la sua unica preoccupazione sarebbe dovuta essere sé stesso, Stevens inizia quello che sarà un excursus della sua vita.
Inizialmente fatica ad allontanarsi dalla residenza, sia fisicamente che mentalmente, tutti i suoi giorni sono legati a quelle mura, a quei giardini, a quei padroni e mai ha avuto del tempo per godere dalla sua terra, della compagnia della sua stessa persona. Con piccoli passi riscopre la bellezza di un tramonto, la gioia di una giornata che finisce, la cortesia di emeriti sconosciuti che restano immancabilmente attratti da quel servitore che tanto sembra un padrone. Ed il pensiero implacabilmente va a Miss Kenton a suo tempo collega di lavoro. Rivive i momenti che ha gustato con lei, cerca di rianalizzarli eppure non li comprende appieno. Gli sfuggono per quel che sono. Tutti i tentativi della donna di andare oltre alla professione, di far uscire il servo dal suo guscio non sono colti perché c’è sempre una esigenza, un dogma a cui attenersi, una paura da non affrontare. Quando una festa importante, quando sua signoria ha bisogno di qualcosa, quando semplicemente non ha la temerarietà di sfidare quelle parole, Stevens si tira indietro. Fugge dalla realtà e si rifugia nel mondo che si è creato. Un universo di maschere, dove l’abnegazione del sé stesso regna sovrana. In conclusione dell’opera due significativi incontri: il primo con la predetta ex Governante della proprietà terriera; il secondo con un uomo, un ex maggiordomo ormai in pensione. Ella rappresenta il passato che non torna, l’attimo che se ne è andato, l’occasione perduta, l’errore evitabile, la felicità sfiorata; egli il futuro di solitudine, il tempo per se dopo anni dedicati ad altri, il riacquisire la propria individualità, la volontà di vivere nell’oggi e nel domani e non nello ieri.
Un velo di malinconia caratterizza il romanzo, componimento scritto sotto la forma di diario ed interamente caratterizzato da un linguaggio forbito e di alto livello, dove indiscutibilmente la voce narrante trasporta il lettore in riflessioni sulla propria vita, sulle maschere spesso indossate e sulle occasioni perdute o rimandate. A differenza di opere quali “Non lasciarmi” che ti accarezzano e trascinano impedendo qualsiasi tentativo di distacco dallo scritto fintanto che questo non è giunto alla sua conclusione, “Quel che resta del giorno” è un testo che va centellinato, che scorre lentamente, da leggere un po’ alla volta e da assaporare piano piano. E’ un romanzo ricco sia da un punto di vista storico che sostanziale ma richiede attenzione, ogni dettaglio determina le circostanze successive e ciò lo rende un volume adatto a chi non cerca opere leggere bensì ricche di contenuto e capaci di restare impresse nella mente anche molto tempo dopo la lettura.
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Assertiva retrospettiva
Teatralità odierna nell’affrontare il dolore, il fatto più privato che la Natura ci abbia concesso, contro un uomo che indossa una maschera fatta di dignità e di congiunta comunione tra l’essere e il fare.
È un maggiordomo, fosse stato altro nella vita, lui sarebbe stato comunque fedele a se stesso, alla sua storia, alla sua famiglia, alla sua collocazione sociale.
Ishiguro ha creato un personaggio che mi rimarrà nel cuore per coerenza, intransigenza , savoir faire, equilibrio, rigore, responsabilità. Non una piega se non il percorso, questo viaggio, raccontato come un diario e impreziosito dalle analessi di una vita. Un viaggio verso il recupero, verso il punto di origine, verso se stesso, sempre negato, mascherato e, in fondo, ritrovato e confermato.
Si è quel che si vuole essere, sempre. Le opportunità, le possibilità sono sempre e comunque anche atti di volontà.
Voler non essere: una possibilità.
Quel che resta? L’accettazione di ciò che è stato.
Non ho altre parole, se non il consiglio di centellinarlo, questo libro, come un buon vino d’annata.
A piccoli sorsi, il suo gusto, il suo calore, il suo sentore avvolgente vi placheranno, ad ogni rigo, l’animo. Stevens, il maggiordomo-voce narrante, ha reso così anche questo servizio: coccolare l’ennesimo ospite. Abnegazione fino alla fine. E in fondo chi ci dice che lui non abbia saputo coglierle le sue possibilità? È stato per trentacinque anni al servizio di Lord Darlington e vivere nella sua dimora gli ha permesso di vivere la storia dell’Europa interessata da due conflitti mondiali “vicino al fulcro della storia del mondo” quindi “orgoglioso e grato” del fatto che gli sia stata concessa questa possibilità “un simile privilegio”: l’ha saputo cogliere appieno. Se si pensa, inoltre, al ruolo di testimone storico che gli attribuisce Ishiguro poi, non mi rimane che invidiarne benevolmente, il ruolo di memoria storica che assume.
Quando gli eventi si allontanano con il loro carico di dolore ed errore, è difficile, con equilibrio, ricordare i percorsi intrapresi, accettati o semplicemente subìti e diventa invece infinitamente più facile con un colpo di spugna cancellare tutto e condannare la Storia, i suoi protagonisti, se stessi.
La vita offre la possibilità di evitare anche questo semplicemente contemplando la sera ed accettandola con il suo carico di nuove opportunità.
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Bellissimo
Un ormai anziano maggiordomo, in servizio presso la maestosa dimora di un ricco americano , fa un viaggio attraverso la campagna inglese per raggiungere una collaboratrice che non vede da molti anni e con cui aveva un rapporto molto stretto a dispetto della rigidità dell'etichetta e dei ruoli dell'epoca.
Mr Stevens, il maggiordomo, durante il viaggio rievoca i fasti della dimora in cui presta servizio, quando il proprietario era un nobiluomo inglese, poi caduto in disgrazia agli occhi dell'opinione pubblica per le sue simpatie e frequentazioni incaute con influenti personaggi politici vicini alla Germania nazista.
Il ritmo è molto compassato, come gli spostamenti di Stevens, tutto è permeato da un senso di dignità, la più grande qualità che deve avere un maggiordomo.
Una tale dignità e un tale portamento , educato, austero, quasi perfetto, crea una serie di equivoci con alcune persone incontrate da Stevens durante il viaggio, che ovviamente lo scambiano per una persona di ceto sociale elevato.
Mr Stevens torna con la memoria ad avvenimenti del passato, quasi a creare un bilancio della propria vita, chiedendosi se è stato alla fine un grande maggiordomo, colui che si dimostra sempre all'altezza del suo compito quali che siano le circostanze e gli avvenimenti.
Da ogni gesto, dalle parole , traspare un senso del dovere che sembra rimasto ancorato nel tempo, impossibile da portare ai giorni nostri, lo stesso atteggiamento del nuovo datore di lavoro di Mr Stevens si lascia andare ad una licenziosità , una leggerezza di toni che Mr Stevens fatica a comprendere , sono cambiate le persone, ma anche i costumi e il modo di rapportarsi agli altri.
Mr Stevens ricorda la figura del padre, con un amore quasi asciugato dal dovere, dall'etichetta, dalla stima che si esprime nell'imitazione del padre più che a parole, nel senso di lealtà verso la persona presso cui presta servizio , immolandosi fino all'ultimo respiro.
E alla fine del viaggio, dopo aver parlato con la donna che andava a visitare e scoperte cose che forse, in passato, avrebbero potuto cambiare il corso della propria vita , Mr Stevens si chiede se tutto ha avuto un senso o se rimane solo un grande vuoto colmato da occasioni perdute, parole non dette, , un amore mai rivelato senza più speranza di compiersi, vita non vissuta veramente.
Ma anche di fronte al conto del destino e a ciò che rimane Mr stevens si eleva addirittura sopra le persone che ha servito, lui ormai anziano e solo , senza una famiglia, solo con il suo lavoro e i suoi ricordi, non rinnega nulla di ciò che è stato. Nemmeno il disprezzo che ora ricopre la figura del Lord per cui ha lavorato per tanti anni può rendere meno meritevole e dignitoso quanto da lui vissuto.
La misura di un uomo è nei valori che ha portato sulle sue gambe tutta la vita qualunque fosse il prezzo: la dignità, il senso del dovere, la lealtà , il rispetto per gli altri.
Non si vive per se stessi , per Mr Stevens tutto ha avuto un senso, tutto è stato giusto così, nel solco tracciato dalla sua vita idealmente lungo un giorno, il sentiero del rimpianto si intravede solo per un attimo nello spazio di un tramonto.
Libro umanamente splendido, lento ma scritto magistralmente, non c'è un attimo di noia, si viene rapiti dall'incedere dei pensieri e dei ricordi di Mr Stevens, da un vissuto che sentiamo essere ad un livello verso cui guardare con devota ammirazione. Ishiguro ha colto in modo eccezionale le caratteristiche di un'epoca e di una certa società.
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Le parole non dette
Questo bellissimo libro racconta la storia d'amore fatta di occasioni perse, di parole non dette, di frasi sbagliate tra la governante Miss Kenton e il maggiordomo Stevens, dignitosa figura custode di un mondo ormai scomparso e che non ha mai avuto in sé quella dignità che il maggiordomo ha contribuito con la sua dedizione assoluta a tributargli, anche a sacrificio della sua vita privata.
Tutto il libro è fatto di parole che ne alludono altre, di azioni che nascondono altre intenzioni, di contraddizioni tra parole e sentimenti. E' un libro malinconico fatto di ricordi sulla scia dei quali il maggiordomo, ormai forse consapevole di aver gettato la sua vita per un mondo che non la meritava, si decide una buona volta a cercare Miss Kenton per dire quelle parole che non ha mai avuto il coraggio di pronunciare. Ma il tempo passa, le cose cambiano nonostante tutto possa sembrare immobile.
Il libro è assolutamente da non perdere (e anche il film).
una vita da maggiordomo
Per Stevens "la dignità, in un maggiordomo, ha a che fare, fondamentalmente, con la capacità di non abbandonare il professionista nel quale si incarna".
Questo concetto rappresenta per Stevens la linea guida della sua esistenza ed è il filo conduttore dei suoi pensieri che lo portano a ripercorrere alcuni momenti della sua vita mentre intraprende il suo primo viaggio dopo anni di onorata carriera come maggiordomo.
Un viaggio che lo vede attraversare la campagna inglese in direzione di Little Compton, dove lo attende l'incontro con Miss Kenton, governante che aveva lavorato con lui in passato a Darlington Hall. Un viaggio che rappresenta per il nostro protagonista l’unico e il primo vero momento dove, staccatosi dalle vesti di maggiordomo, può fermarsi e viaggiare non solo nello spazio fisico, ma anche e soprattutto dentro se stesso.
La ricerca della perfezione nell’essere maggiordomo ha rappresentato per Stevens il senso della vita, divenendo il fulcro del suo agire, è come se avesse indossato i panni del maggiordomo escludendo automaticamente la sfera privata, la sfera dei sentimenti.
Il concetto di dignità lo porta a ricordare momenti del passato facendogli provare un grande senso di trionfo nei confronti del suo operato, specie nelle occasioni dove è riuscito a mantenere il suo ruolo nonostante le vicissitudini fossero contrastanti. Come la morte del padre avvenuta in un momento in cui stava svolgendo servizio per Lord Darlington, e che Stevens vive in maniera distaccata e professionale.
Ripercorre il rapporto esclusivamente lavorativo con Miss Kenton, sottolineando aspetti del passato sensazioni ed emozioni che sono vive nel momento del presente, nel momento in cui ricorda, perché le ripercorre in un tempo diverso, in un contesto in cui si è tolto le vesti da maggiordomo e può osservare la sua vita con un senso critico più umano, perchè nel tempo che fu era come imprigionato dentro se stesso.
Stevens in questo viaggio si è calato, seppur di poco, la "maschera" del maggiordomo interrogandosi malinconicamente sul passato e sul futuro.
Una lettura a volte un po’ lenta, non del tutto immediata che ci porta pian piano a comprendere il senso del vero viaggio che il protagonista intraprende.
Lo stile di scrittura è elegante ed impeccabile cade a pennello con l’ambientazione inglese e gli anni in cui si svolge il racconto.
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