Post office Post office

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WottaCambija Opinione inserita da WottaCambija    14 Novembre, 2023
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Uno spasso

Come buona parte dei libri di Bukowski, se ci si lascia trascinare dalla scrittura senza troppi moralismi, l'esperienza della lettura diventa uno spasso. Post Office, insieme a Panino al prosciutto e Pulp, trovo che sia uno dei libri meglio riusciti di Bukowski. Ha una struttura simile a quella di Factotum fatta di capitoletti molto brevi che scivolano via veloci tra risate, sgomento e amarezza. A differenza di Factotum, Post Office è decisamente più dinamico e meno monotono, con un'evoluzione (o involuzione a seconda dei punti di vista) del personaggio. Certo bisogna entrare nell'ottica del personaggio, spesso sboccato, alcolizzato e a tratti misantropo. Se volete prepararvi al meglio a questo libro, capendo meglio il personaggio, leggetevi prima Panino al prosciutto, ovvero l'infanzia e l'adolescenza del buon Henry Chinasky (alter ego di Bukowski in questi racconti).
Bukowski ha una capacità che pochi scrittori hanno: far scoppiare dalle risate con le sue scenette tragicomiche, i "vasi di gerani sul culo" vi dico solo questo.

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Consigliato agli amanti del genere schietto, a tratti sboccato e a chi cerca una lettura leggera riuscendo a scindere la lettura dalla morale.
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Ale Sekh Opinione inserita da Ale Sekh    20 Giugno, 2018
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Libro non per tutti

Quello di Bukowski è un nome che ho sentito spesso nel corso degli anni. C'era chi lo osannava, chi lo considerava sopravvalutato e un paio di persone che, come me, non aveva mai nemmeno letto una sua frase. Cercando su Amazon un libro a basso costo che mi permettesse di staccare da quella palla di Tropico del Cancro mi sono imbattuto in Post Office, il primo romanzo pubblicato di Bukowski. Acquisto obbligatorio, anche perché lo si trova a soli 4 euro.

L'edizione da me presa (TEA) l'ho trovata davvero affascinante: copertina flessibile, resistente e dal design semplice, carattere della giusta grandezza, formato comodo e portatile. Ovviamente è un parere soggettivo, io adoro tutte queste cose e trovarle in un unico libro mi ha fatto piacere.



Il libro è una semi-biografia di Bukowski, semi perché vi sono alcuni elementi di finzione (a detta stessa dell'autore, noi non possiamo sapere cosa sia fittizio e cosa reale).

Non è certamente una lettura per tutti, non perché sia difficile o noiosa ma perché bisogna capire il personaggio che è Chinaski/Bukowski per apprezzarlo. Non siamo di fronte a un protagonista buono e il racconto è pieno di bevute, sesso, descrizioni della sua pessima vita e del lavoro. A tratti vi è dell'umorismo (cinico), ma il libro tratta praticamente solo di temi deprimenti e rozzi. Leggendolo non ci si immedesima nel personaggio, ma si impara a conoscerlo, capiamo il suo modo di pensare. Grazie allo stile di scrittura di Bukowski il libro ti tiene incollato, tant'è che l'ho finito in una sola seduta.

Io l'ho trovato un ottimo libro e, pur sapendo che gli argomenti alla base dei suoi libri sono sempre gli stessi (alla fine sono tutti semi-biografici, è anche normale), sicuramente recupererò anche il resto della bibliografia di Bukowski.

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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    03 Dicembre, 2017
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Le amarezze affogano nell'alcool.

E’ il primo dei sei romanzi di un autore prolifico (romanzi, poesie, racconti), ove Henry Chinasky (alterr ego di Bukowsky) narra le vicissitudini maldestre del suo impiego alle poste di Los Angeles, prima per tre anni agli inizi degli anni ’50 e poi per circa dieci anni dal ’60. “Post office”, oltre ad offrire un quadro impietoso degli uffici postali dell’epoca, mette in particolare a nudo le insofferenze di un personaggio, il Chinasky, a fronte di un lavoro metodico, ripetitivo, poco remunerativo e spersonalizzante. Chinasky è un ubriacone, la bottiglia di vino, le lattine di birra (consumate in confezioni da sei), i superalcoolici non raramente di bassa qualità sono gli inseparabili compagni della sua vita e della vita delle donne che a lui temporaneamente si accompagnano. Non c’è speranza, non ci sono raggi di luce, eppure ….. Eppure nel personaggio apparentemente ridotto quasi a robot mal funzionante si nasconde un uomo che sembra nascondere in sé la certezza di essere superiore a quelli che lo comandano a bacchetta ed in genere alla massa di umanità vociante e folle che gli passa accanto…. E pensare, sembra dire, che la vita è così semplice ….. Nell’alcool affoga l’amarezza, nel degrado in cui vive sembra trovare una sua dimensione. L’unica speranza è la scrittura, e le ultime righe del romanzo ne sono la testimonianza : “Alla mattina era mattina e io ero ancora vivo. Magari scrivo un romanzo, pensai. E lo scrissi.”

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Le altre opere di Bukowsky, in particolare "Factotum".
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Kvothe Opinione inserita da Kvothe    17 Settembre, 2016
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IL GIRONE DELL' INFERNO DEI POSTINI? L.A

I libri più belli che ho letto non li ho cercati ma li ho letti per caso. E’ così che io e post office ci siamo incontrati in maniera casuale . E’ buffo che in tutte le recensioni che ho fatto fino adesso su questo sito, per la maggior parte siano su libri che mi sono capitati casualmente tra le mani. Dopo Post Office e sulla strada giuro che smetterò di essere così naif nel recensire i miei libri (ehehe). Scovato tra la collana del ‘900 della mia famiglia che mi ha sempre dato gioie inaspettate, facendomi scoprire grandi autori che mi erano stati negati fino ad allora, dalla mia razionale scuola.


Non conoscendo l’autore mi appropinquai alla lettura di questo sconosciuto autore . La trama è basata sul periodo di Bukowski alle poste che procederà tra continui tira e molla, attraverso rapporti travagliati con le donne e sbronze bibliche nell‘ amata e odiata L.A. Il libro è composto da sei capitoli, racchiusi da vari sottocapitoli, intervallati dalle sue esperienze con le donne; il capitolo 5 con l’inserimento delle ammonizioni sul lavoro è una soluzione geniale, che rappresenta l’ imminente countdown alla completa estraniazione di Hank dalla noiosa società e all’ inizio della formazione del pensiero di Buk che si appresta a cambiare lettera per lettera la scritta Hollywood, sostituendola con un grosso e grasso FUCK OFF.


Ho subito trovato questo autore divertente da morire per il suo stile: acuto, cinico, diretto e volgare. Quest’ uomo ha messo così tanta autoironia in questo romanzo da farsela sotto dalle risate, certi episodi mi hanno fatto veramente ridere di gusto. E’ stato intelligente nel saper tirare fuori da una storia di solito noiosa e ripetitiva, un romanzo arguto e brillante che con le sue massime rende il libro veloce da leggere e accattivante. In questo libro ha saputo imprimere la sua impronta originale rendendolo autentico ed esclusivo, brevettando il suo modo di scrivere rendendolo riconoscibile a colpo d’ occhio.

La prima cosa che si apprezza di Buk è l’onestà, non pretende e non vuole troppo, ma si “accontenta” di vivere, basando la sua vita soddisfacendo i suoi bisogni. Il gioco, l’ alcool e le donne fanno parte di lui, senza crearsi false aspettative sul mondo e senza fare più del necessario, si gode le piccole cose che realmente rendono per lui, la vita degna di essere vissuta : delle belle gambe, una vincita alle corse, una bottiglia di vodka scadente e un sigaraccio.

Bukowski laido ubriacone, sfaticato, cinico, misantropo e misogino ecc tutto quello che vi pare ….. può non piacere ma per tirare fuori tutto il marcio che si ha dentro, ci vuole una certa dose di sensibilità artistica ed umana, non bisogna prendere Bukowski alla lettera come un profeta, perché non lo è. Si può condividere certi suoi pensieri o no, ma perlopiù, sono provocatorie analisi del mondo di come lo vive e lo vede lui; al giorno d’oggi è anche abbastanza stracitato e frainteso fino allo sfinimento non capendo appieno questo autore che ha uno stile sarcastico fino al midollo.

La sua vita di scrittore non è stata tutta rose è fiori pensando anche di smettere. Ha raggiunto il successo dopo post office e solo in tarda età se l’è spassata alla grande, riprendendosi tutto con gli interessi. C’è da dire che per conoscere il vero Bukowski non bisogna leggere i suoi romanzi ma le sue poesie perché si definiva un poeta, quindi perché non approfondirne la conoscenza anche in ambito poetico? Le consiglio sono veramente belle e sconclusionate (quella sullo stile è meravigliosa). Concludo dicendo che è diventato uno dei miei scrittori preferiti e lo straconsgilio, se si vuole iniziare con un romanzo di Bukowski questo è il romanzo perfetto: veloce, scorrevole e divertente.


P:S Se vi piace l’autore guardatevi il documentario Bukoswki: Born into this veramente fatto bene, è divertente e conoscerete qualcosa in più di lui e del suo modo di essere.

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A chi piace Bukoskwki e a chi ha senso dell' umorismo.
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Vita93 Opinione inserita da Vita93    01 Febbraio, 2016
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"È iniziato come un errore"

Charles Bukowski, tra gli autori più conosciuti del XX secolo, ha iniziato fin da giovane ad assecondare inclinazioni che lo hanno accompagnato per tutto il resto della vita. Tra queste la scrittura, un rapporto morboso con l’alcol e l’abitudine a frequentare l’ippodromo. Le donne sarebbero arrivate dopo, appena raggiunta una certa fama letteraria. Bukowski si è infatti dedicato a tempo pieno alla scrittura soltanto a partire dal 1969, all’età di 49 anni, adattandosi fino a quel momento a vivere grazie ad una serie infinita di lavori.
L’incarico più duraturo è stato quello di impiegato postale. E da questa esperienza lavorativa nasce “Post Office”, primo romanzo dell’autore, datato 1971.

Il protagonista è Henry Chinaski, personaggio letterario considerato un vero e proprio alter ego di Bukowski. È un ubriacone, un grande appassionato di corse di cavalli, ed accumula donne con la stessa velocità con cui cambia professione e residenze. Trova lavoro come impiegato postale, ma è convinto che tale mansione non si adatti al suo stile di vita. Troppi orari da rispettare, colleghi frustrati, regole rigide ed impregnate di moralismo, in una struttura lavorativa gerarchica che è metafora della società. E così lavora il meno possibile, accumulando una serie di provvedimenti e ammonizioni che a lungo termine avranno una sola possibile conseguenza. O salvezza, dipende dai punti di vista.

Con quanto affermato fino ad ora, “Post Office” potrebbe sembrare una denuncia sociale. Niente di più falso. Chinaski è un individuo fondamentalmente passivo, che passa le sue giornate in maniera quasi casuale. È un solitario, scollegato dalla realtà per quanto riguarda questioni politiche o socio-culturali. Non desidera infondere alcuna morale, o tantomeno comunicare il suo pensiero. E non è neanche un anticonformista, infatti più di una volta critica i simboli del movimento di controcultura tipico di quegli anni. È un perdente, che assiste al susseguirsi delle storie sentimentali, delle mansioni lavorative e delle giornate con la stessa indifferenza con cui scommette sulle corse dei cavalli. Tratta il fallimento con un sarcasmo che mal si addice all’ideale del sogno americano, permeato di determinazione ferrea e quotidiano duro lavoro. Ma nonostante tutto, Chinaski sa esattamente chi è. Un pregio non indifferente. Ed è, a modo suo, un lottatore, un incassatore di tutto rispetto in un universo umiliante e noioso.

In conclusione, guai a giudicare un libro dalla trama. Sotto strati sporchi di svogliatezza e apparente banalità, “Post Office” è un romanzo venato di malinconia e in grado di regalare amare verità.

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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    18 Novembre, 2014
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Un romanzo ad alta gradazione

Il Charles Bukowski fotografato in “Post office” reca il nome di Henry Chinaski e sfugge alla vita del clochard facendosi assumere come supplente in un apparato del sistema produttivo capitalisticamente ispirato a regole rigide ed efficienza.
Naturalmente, lo spirito ribelle dello scrittore insorge e confligge con i responsabili che di volta in volta cercano inutilmente di piegare il Buk al rispetto delle regole.
Il mestiere viene svolto in un’epoca molto diversa dall’attuale: le mail non esistevano, ma alcuni passaggi del romanzo riflettono situazioni che ancora oggi viviamo, quando svuotiamo la casella delle lettere invasa da scampoli di Amazzonia sacrificata (“Non era colpa mia se usavano il telefono e il gas e la luce e comperavano tutto a credito”).
Dopo un primo licenziamento maturato nell’insofferenza al sistema, Chinaski decide di tornare all’impiego postale nonostante la sua fedina opaca (“Mr. Chinaski. La sua situazione giudiziaria è terribile. Vorrei che mi spiegasse il perché di tutti questi fermi, e se possibile giustificasse la sua attuale posizione presso di noi”) per evitare le critiche di parassitismo provenienti dalla famiglia della moglie Joyce, miliardaria e ninfomane che costringe il Buk e veri e propri tour de force del sesso.
Poi il matrimonio naufraga, Chinaski passa da un rapporto all’altro con una concezione della donna (“Le donne erano destinate a soffrire, non c’era da meravigliarsi che volessero sempre grandi dichiarazioni d’amore”) decisamente criticabile e di fatto criticata dalle femministe europee (“Non è una novità che le donne ti si appiccicano addosso e non ti mollano più”), sino a cadere nelle braccia di Fay, che gli regala una figlia. Ma anche la paternità viene affrontata con svagata disinvoltura (“Dopo un po’ ricevetti una lettera di Fay. Lei e la bambina vivevano in una comunità hippie del New Mexico”).
Tra un’ammonizione e l’altra, tra corse di cavalli e un funerale (“Ero andato alle corse anche dopo gli altri due funerali e avevo sempre vinto… un funerale al giorno e sarei diventato ricco"), Chinaski matura la decisione: dopo un periodo d’aspettativa (“Le poste mi hanno trattato bene. Ma ho assolutamente bisogno di tempo per curare certi miei interessi”) nel quale dà libero sfogo alla sua natura senza il fastidio del lavoro (“Era una bella vita e cominciai a vincere davvero”), e dopo undici anni di (dis)onorato servizio, il postino si licenzia in via definitiva. Il Buk ha cinquant’anni suonati e lascia il certo per l’incerto…

“Post office“ rimane un’opera fondamentale per ritrarre l’icona dello “sconvolto” (“Ricominciai coi giramenti di testa. Li sentivo arrivare. Vedevo il casellario girare vorticosamente”) che tanta presa avrà su molte generazioni coeve e successive.

Bruno Elpis

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Donnie*Darko Opinione inserita da Donnie*Darko    03 Ottobre, 2014
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un postino poco affidabile

Henry Chinaski ha un'idea: farsi assumere alle poste. Lavoro facile e poco faticoso, tutto sommato ben retribuito, possibilità di tempo libero da passarsi alle corse dei cavalli e, per un sessuomane come lui, non è da escludersi qualche incontro hot occasionale con casalinghe annoiate/disperate.
Che il lavoro sia uguale a tanti altri, ovvero monotono, faticoso e parco di soddisfazioni non ci vuole molto per scoprirlo; se non altro è un modo come un altro per sbarcare il lunario senza troppi sbattimenti
Chinaski è l'alter ego di Charles Bukowski, realmente impiegato come portalettere per circa un decennio a Los Angeles. Questo romanzo è una sorta di autobiografia ovviamente romanzata in cui il nostro conferma tutta la sua idiosincrasia ad essere un irreprensibile e diligente cittadino. L'autore urla la sua allergia al far parte della nutrita schiera dei tanti meccanismi perfettamente produttivi nell'ambito della società americana.
Chinaski è infatti un menefreghista incallito, uno a cui non interessa accumulare ma godersi la vita senza troppo pensare al domani; il lavoro per lui è tutt'altro che nobilitante, solo un mezzo per sopravvivere evitando di arrovellarsi su progetti a lungo termine.
E' una variante incontrollabile di una società di cui l'ufficio postale con le sue regole castranti è aderente allegoria.
E' come un virus innocuo incapace di adeguarsi all'anatomia di una civiltà dominata dalla sacra triade: lavorare, possedere e consumare.
Lo stile è quello tipico dello scrittore randagio: secco e scurrile, non vi è traccia di raffinatezza linguistica o orpelli grammaticali. Il protagonista è cartina tornasole di un mondo sotterraneo, grezzo, maleducato, invadente in cui il bello è contrassegnato dall'eccesso e dall'anarchia.
Da prendersi con le molle Il Chinaski: odioso ed amabile allo stesso tempo, dotato di un'ideologia romantica da marciapiede che lo elegge superstite di un' umanità deceduta nel tentativo di catturare l'utopico benessere.

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Todaoda Opinione inserita da Todaoda    29 Luglio, 2013
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Stile, stile e ancora stile!

Brevemente, poiché il librò in sé non necessita un' analisi particolarmente approfondita, (almeno non quanto quella necessaria a descrivere, comprendere e definire l'autore e la sua filosofia di vita) Post Office o lo si odia o lo si ama... o entrambi. Premesso che apprezzare non è sinonimo di condividere e comprendere non lo è di approvare, questa è un'opera comprensibilmente apprezzabile: il soggetto è semplice, il tema biografico comune, ciò che conta tuttavia non è l'originalità dei contenuti, ma l'originalità di come vengono presentati, narrati. Bukowski riesce a fare del disagio sociale e dell'autoemarginazione un punto di forza, anzi "IL" punto di forza e anche quello di partenza di tutta la sua opera e di tutta la sua filosofia di vita.
Quello che Chinaski, trasposizione letteraria dell'autore, ha nei confronti della vita è un comportamento apoptotico: lui sa di vivere così, sa a quello che va incontro con i suoi comportamenti, sa cosa rischia e gli va bene, o meglio non gliene frega niente. Quella è la sua vita, ma non è che se l'è scelta così, è come se fosse già tutta programmata da qualcun altro: lui vi si adatta come può. Contento lui... di fatti poco contano le sue scelte, o meglio quelle che impone ai suoi personaggi, ciò che conta è l'abilità con cui le rappresenta, come le giustifica senza una vera giustificazione, come riesce, in soldoni, a rivoltarti la frittata e farti credere che abbia ragione perché il mondo secondo lui va proprio così!
Ci sono molti modi per leggere un libro e per giudicare un autore, uno è quello di prestare attenzione solo ai contenuti e ritenere quanto più valido uno scrittore, quanto più originali e divertenti sono essi siano; un altro modo è quello di concentrarsi sull'impatto delle parole, su quanto viene detto, quanto sottointeso, sull’eccessivamente esplicito del singolo che racchiude un profondo implicito sociale.
Per concludere e riassumere mi sembra quanto mai appropriato riportare qui un aneddoto:
quando dissi a suo tempo a un amico, anche lui appassionato di letteratura, che mi accingevo a leggere il mio primo libro di Bukowski, lui commentò soltanto, "Ah bellissimo! ...In fondo però dice un mucchio di cavolate."
Come dargli torto? E' vero, in fondo dice un mucchio di cavolate, ma con che stile!

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A chiunque piaccia la buona letteratura specie se leggera o camuffata da leggera...
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spanish77 Opinione inserita da spanish77    13 Marzo, 2012
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SESSO, ALCOOL E CAVALLI.

Romanzo breve e brillante che si legge nel giro di poche ore. Linguaggio diretto , senza tante cerimonie e spesso volutamente scurrile. La vicenda gira intorno alle vicissitudini di Henry Chinaski che in una impalpabile Los Angeles degli anni ’70 è alle prese con il suo lavoro alle poste che gli garantisce una sicurezza economica a cui egli tuttavia non aspira; anzi il sistema capitalista americano, rappresentato in questo romanzo dai serrati ritmi di lavoro a cui si sottopone (o si dovrebbe sottoporre), sembra quasi tarpargli le ali e frenarne i desideri. Ho detto desideri??? Beh forse nel caso del protagonista si può piuttosto parlare di stimoli primordiali, in effetti le cose per cui Henry sembra vivere sono , l’alcool, le donne e le corse dei cavalli. Henry è sicuramente un personaggio interessante, che stimola sensazioni differenti spesso opposte, mi spiego meglio; a volte , a dire la verità quasi per tutto il racconto, lo si detesta e lo si prenderebbe a calci nel di dietro per quel suo atteggiamento così lascivo e menefreghista nei confronti dei sentimenti e degli obblighi a cui la vita lo mette di fronte ma poi in altre occasioni, viene a galla un profilo più sensibile che lo fa quasi apprezzare, anche per quel suo apparente distacco nei confronti dei beni materiali ; virtù questa non proprio comune negli Stati Uniti degli anni ’70. Insomma un personaggio controcorrente che si ama e si odia allo stesso tempo, simbolo ed interprete di una generazione che ha avuto il coraggio di dire la sua in un periodo di grandi rivoluzioni sociali.

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Il grande Gatsby; Colazione da Tiffany ; Diario di un killer sentimentale; Sulla strada
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Alex81 Opinione inserita da Alex81    21 Marzo, 2011
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Alcolico e Rancoroso

“Piccola non essere ingenua. Qualunque stronzo è capace di trovarsi uno straccio di lavoro; invece ci vuole cervello per cavarsela senza lavorare. Qui la chiamiamo l’arte di arrangiarsi. E io voglio diventare maestro in quest’arte".

Bukowski non ha vie di mezzo. Alla prime righe del romanzo capiamo subito se il suo stile incazzoso fa per noi oppure no. Lo si ama o lo si odia. Quel che é certo é che non lascia indifferenti.
In post office "subiamo" un Bukowski oltraggioso, squallido, ripugnante, affascinante, menefreghista che fa a pugni con il mondo e con il mondo sembra andare a braccetto alle corse dei cavalli.
Romanzo autobiografico in cui l'autore ci scarica addosso tutto il suo malessere per la societa' moderna verso la quale combatte una battaglia personale a colpi di ubriacate colossali, scopate occasionali e scommesse all'ippodrome che lo vedono spesso perdente.
La sua inquietudine esistenziale traspare attraverso tutto il romanzo, lasciando l'autore (ed in parte il lettore) esausto e sfinito in preda a crisi mistiche dalle quali non riesce ne vuole uscire.
Eterno perdente che imbronciato si limita a galleggiare sulle onde della vita facendosi trasportare da una riva all'altra senza il minimo interesse. Nonostante cio'Bukowski riesce sempre a ritardare l'affogamento definitivo; perche questo demone dalla scarpe bucate la barba incolta e l'alito che puzza costantemente di vino sa bene che questo é il solo modo per evitare di annegare e di tornare all'inferno.

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Henry Miller
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andrea70 Opinione inserita da andrea70    10 Febbraio, 2011
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Divertente e basta

Non sono pudico, non mi piace Sparks, aggiungo che adoro Lansdale e Doyle che non sono proprio delle educande...nonostante questo il libro di Buchowski non mi ha particolarmente impressionato anche se l'ho trovato divertente.
Critica sociale forse poco convincente, tutte queste pretese poi di trasporre nell'ufficio postale i limiti e le incongruenze della società mi sono sembrate forzate.
Ha detto bene Paolo, come lettura durante un viaggio aereo o perchè no in spiaggia e via dicendo è sicuramente indicato, lo stile di Buchowski però non mi ha "preso" , non rimane.
Tanto per restare in tema, il personaggio di Chinaski è un pò come per gli sproloqui degli avvinazzati al bar, al momento ti fanno ridere, poi li trovi patetici.

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