Opinioni di un clown
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Malinconia e mal di testa
"Sono un clown. Definizione ufficiale: attore comico, non pago tasse per nessuna Chiesa"
Con questa frase-manifesto Hans si presenta. Il clown come archetipo di uomo libero da vincoli e condizionamenti sociali e per questo condannato a essere incompreso. Un fastidioso granello in collaudati ingranaggi del vivere civile. Una voce fuori dal coro che è piacevole diversivo per incontri in società fintanto che lo sproloquio si possa liquidare con sorrisetti di commiserazione.
Eppure l’occhio disincantato del clown ha la forza dell’onestà e dell'ingenuità del fanciullo e ciò che vede e denuncia è il desolante festival dell’ipocrisia.
I bersagli delle sue invettive sono tanti: il circolo dei cattolici che in nome di un formalismo bigotto distrugge l’amore puro di Hans per Maria; il trasformismo dei nuovi potenti così abili nel rifarsi una candida veste da progressisti benpensanti liquidando uno scomodo passato filo-nazista, l’avidità patologica della madre, la debolezza colpevole del padre, il patetico affannarsi d'ispirati ideologi siano essi fascisti, cattolici o comunisti.
Hans il clown è estraneo a tali miserie. Alle sciocchezze ipocrite del mondo contrappone il suo amore per Maria che nell'essere totalizzante ha valenza universale. Quando quell’amore gli viene negato, la rapida parabola discendente che è sia umana che professionale diventa inevitabile. Squattrinato e debilitato nel fisico e nello spirito, Hans annota su un foglio la lista di famigliari, conoscenti e amici incontrati nel suo persorso. Una vita intera racchiusa in una lista di nomi cui telefonare e cui aggrappare le residue speranze di rinascita. Il romanzo si sviluppa così attorno alla sequenza d'infruttuose telefonate che danno la stura a una catena di ricordi e ad amare riflessioni sulle debolezze umane.
Nella sua nobiltà d'animo, il clown non cede alle semplificazioni delle teorie universali, alle "chiese" in senso lato, ma piuttosto ricerca verità profonde attraverso l'indagine degli "attimi" il cui susseguirsi definisce le complesse vicende umane.
Vero e grottesco si confondono spesso e il romanzo non è privo di aspetti umoristici. Mi piace ricordare le paradossali conversazioni col centralinista del convitto di religiosi che ospita il fratello: un gustoso gioco dell'assurdo che spezza il clima malinconico del romanzo.
Hans il clown non troverà conforto. Nessuno tra quelli della lista compierà un gesto di umanità, di vicinanza, che la sua condizione richiederebbe. Hans non li condanna. Si limita a descriverli nelle loro miserie perché, presi come sono dal loro mondo fasullo, questi patetici personaggi della “umana commedia” sono più da compatire che da disprezzare.
Il disagio esistenziale e il senso di progressivo maliconico estraneamento crescono pagina dopo pagina assieme all'emicrania che affligge Hans. Un tragico epilogo per il clown col volto imbrattato di biacca sembra già tracciato... ma il tintinnio di una moneta nel lirico finale fa presagire una vita nuova.
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Alceste in Germania 300 anni dopo
OPINIONI DI UN CLOWN
HEINRICH BÖLL (1963)
Riflettendo sul titolo di questa mia “opinione” e cercando una formula che potesse dire molto con poco, mi è venuto in mente Alceste, il protagonista di una delle più note e amare commedie di Molière: “Il misantropo o l’atrabiliare innamorato”, che secondo me assomiglia moltissimo a Hans Schnier, il personaggio di Böll, il clown di ricca e potente famiglia che finisce per mendicare sui gradini della stazione cantando la Litania lauretana. Entrambi riconoscono e condannano aspramente l’ipocrisia, ovunque essa si annidi, cioè dappertutto, inimicandosi tutti coloro con cui hanno a che fare (tranne i pochissimi senza macchia), ed entrambi si innamorano di una persona “sbagliata”. Alceste, che fa parte dell’aristocrazia e ne fustiga i difetti, si innamora infatti di una giovane donna che in quegli ambienti ci sta come un pesce nell’acqua, mentre Hans è innamorato di Maria, la giovane di modestissima condizione e, secondo le parole di lui, “non molto intelligente” con cui vive, la quale crede con fervore nei valori e pure nei dogmi del cattolicesimo, che condivide con gli ultracattolici del “Circolo” (il Kreis) che frequenta (con Hans), i quali tutti hanno aderito al nazismo e ora corteggiano i nuovi poteri insediatisi. In altre parole, lei ama ciò che lui detesta apertamente: la “strana coppia” del film omonimo è forse persino più compatibile di quella formata da Hans e Maria.
Attraverso i pensieri che si dipanano nella mente di Hans nelle ore successive alla scoperta che Maria non solo lo ha abbandonato, ma anche si è sposata con un altro (e che altro!) - sono questi pensieri che costituiscono la materia del libro -, veniamo a conoscere la vita che l’amata Maria conduceva con lui, recalcitrante di fronte a qualunque miserabile condizionamento dall’alto della sua integrità, e tra questi innanzitutto l’obbligo di firmare il documento, necessario per sposarsi, con cui si sarebbe impegnato a educare i figli cristianamente. Tra le tante cose, apprendiamo che Maria ha avuto due aborti spontanei dovuti forse - dico io - alle fatiche cui si sottoponeva per seguirlo di città in città con le valige in mano, apprendiamo che lei spesso piange per le aggressioni verbali di lui alle persone colpevoli di opportunismo o avarizia o smania di potere ecc., che non di rado vivevano di carità perché lui non è uomo da piegarsi a “compromessi”. Beh, stante ciò, come non capire che alla fine lei gli abbia preferito un uomo un po’ meno integro ma potente membro della borghesia cattolica, peraltro avviato a una fulgida carriera politica? (il quale l’avrebbe sposata, dice lui in un inciso, “forse per salvarla” dall’immoralità del concubinato: mah! altra “strana coppia”).
Insomma, non è che io voglia esortare a sposarsi “tappandosi il naso”, tanto per utilizzare un’espressione che pesco da altro contesto, ma trovo la storia di Hans e Maria poco verisimile (così come la rappresentazione di una Germania bigotta) e francamente insopportabile questo Alceste della Germania postbellica. Quanto alla cattolicissima Maria, la frivola Célimène amata da Alceste è più credibile di lei, simile ad Elvira, la donna ingannata da Don Giovanni, anch’egli a suo modo un clown … Capisco che la psicologia di Hans è “segnata” da una madre-mostro (assimilabile alla molieresca bigotta Arsinoé), che è stata capace di incoraggiare la figlia Henriette a partecipare alla difesa del “sacro suolo” della patria - e Henriette non tornerà -, ma questo non giustifica che lui dal canto suo sacrifichi la felicità della donna che dice di amare.
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Viaggio nel buio
Pensateci un attimo: la critica alla convenzioni e all'opulenza della società tedesca viene lanciata e portata avanti da un clown. Curioso, no?
Non ho nulla contro i clown, sia chiaro. Ma inutile nascondere che nell'immaginario collettivo essi vengono associati al ridicolo, alla scarsa credibilità e al divertimento, insomma nulla a che fare con riflessioni politiche e sociali che dovrebbero appunto trattare sulla direzione che il mondo sta prendendo.
Con questa premessa non voglio dire che l'intento di Heinrich Boll sia ridicolizzare coloro che attaccano la nuova modernità, scegliendo quale protagonista un pagliaccio di professione.
Credo piuttosto che tale scelta rafforzi le accuse che vengono scritte in questo romanzo: le storture presenti in quella realtà arrivano a colpire pure un personaggio comune come Hans Schnier, il nostro triste protagonista.
Il dibattito che ho appena lanciato, quale dei due poli vogliamo abbracciare, è aperto, ma non mi appassiona più di tanto: non credo si tratti di un inno all'eterogenesi dei fini. Questo libro è infatti universalmente riconosciuto come un grande j'accuse all'opulenza e al nichilismo che sembrano radicarsi nella Germania di quel tempo. E, conoscendo anche la storia dello scrittore, viene facile pensare che sia effettivamente così.
Rimane il fatto che l'oggetto del racconto e il soggetto di tale racconto siano in sottile contraddizione. Ed è questo il file rouge che lega le parole, le pagine e i capitoli di questo libro.
In fondo l'unico modo per vivere in quella società è estraniarsi, creare una sorta di bolla così da avere quella "sicurezza ideologica" in cui i valori (veri o presunti) vengono preservati. Da qui la paradossale scelta di essere un clown.
Boll fa dire poi ad Hans che "gli attimi bisognerebbe lasciarli così come sono vissuti, mai tentare di ripeterli, di riviverli", salvo poi venire a scoprire che tutto il racconto è un susseguirsi di ricordi, di aspettative, di pensieri, di attimi che il protagonista vorrebbe rivivere e che permettono alla sua mente di rimanere incastrata nel passato così da non avere possibilità di guardare al futuro. Perchè da quella parte vedrebbe solo il buio.
Boll ci consegna dunque un uomo distrutto, vinto e sfinito dall'esistenza. La perdita di Maria, l'unica donna che lui abbia mai amato, è solo uno dei tanti passaggi che Hans rievoca, ma è il più doloroso. Perchè è consapevole che, a saperla libera, la sua presenza avrebbe dato senso e speranza in una società perbenista e ipocrita. Ma così non è. E allora il flusso di ricordi ed opinioni non può che essere intriso di disperazione, rabbia e accorata rassegnazione. Prova disgusto e invidia per tutti coloro che sanno adattarsi a una realtà che non chiede null'altro che una maschera e un'etichetta (come quella del cattolicesimo, dice lui) per poter essere accettati.
Lui rifiuta tutto questo, bandisce ogni azione ulteriore -e così nel racconto nulla accade- e decide di mettersela lui, quella maschera. Letteralmente -per lavoro- alla luce del sole. Mi sembra di sentirlo, mentre si veste, pronto ad esibirsi: "Facciamolo, tanto è tutta una pagliacciata". Ma non può funzionare. Lui è fuori posto, in ogni senso. E infatti si fa male, si rinchiude in albergo e si dedica alle chiamate con i propri "amici" e congiunti, ai ricordi accumulati nel corso del tempo, ai continui rimproveri verso quella che avverte come una degenerazione dell'intera umanità.
Ma sono anche tutti tentativi di eludere il confronto con se stesso, evitando di trovarsi a tu per tu con la propria coscienza.
Il buio non è solo il suo futuro, ma è anche la nostra esperienza da spettatori concentrati nel tentativo di seguire i salti temporali e l'asimmetricità del suo racconto: la piacevolezza viene meno, complice l'assenza di ogni tipo di colpo di scena e diversità dall'ordinario racconto.
Rimane uno scritto tutt'altro che banale, la cui potenza stilistica è al servizio di un viaggio introspettivo e stratificato di un personaggio estremamente complesso.
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Maschere e vere identità
«Solo che io non sono affetto soltanto da malinconia, mal di testa, indolenza e dalla mistica facoltà di sentire gli odori del telefono. Il più terribile dei miei mali è la predisposizione alla monogamia; c’è una sola donna con la quale posso fare tutto quello che gli uomini fanno con le donne: Maria. E da quando lei se n’è andata, vivo come dovrebbe vivere un monaco, con la differenza che io non sono un monaco.»
Lui aveva ventun anni e lei diciannove quando i loro destini si sono incrociati in quella stanza in cui un uomo e una donna possono incontrarsi per condividere un momento di intimità. Anche adesso che il protagonista ne ha ventisette e non è considerato altro che un attore comico che non paga le tasse e che vive con i suoi tanti numeri di cui uno si chiama “ Arrivo e partenza”, come può non vivere nel ricordo di quel che è stato di quel che vissuto, percorso e affrontato, di quel che ha perso e di quei legami con la famiglia e gli affetti che si sono spezzati senza possibilità alcuna di essere riallacciati, ricostituiti?
Ed è da qui che parte il lungo racconto fatto di un flusso di pensieri continui e ininterrotti di un uomo che, nella veste di clown, sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua vita e sta perdendo tutto. Hans Schnier non può così sottrarsi dal tornare indietro con la mente e con il ricordo, non può esimersi dal rivivere quello che è stato per arrivare a capire quello che è diventato il presente, quel che lo ha condotto alla miseria. Figlio di una famiglia agiata ma anche controversa, osserva trascorrere i giorni con la loro inesorabilità, assiste allo sgretolarsi della sua professione, è inerme di fronte alla perdita del suo grande amore.
Il tutto in un viaggio continuo fatto di introspezione e di domande ma anche del suo vittimismo, del suo lasciarsi andare all’alcol, dello scaricare le colpe sugli altri senza di fatto cercare di mutare la propria condizione.
Il risultato finale di questo elaborato è quello di un personaggio complesso, stratificato, affatto scontato, un personaggio che arriva al suo lettore per quella sua semplice, unica e forte umanità. Una umanità fatta di errori, di redenzione, di dolore. E la maestria di Boll è proprio quella di riuscire a rendere tridimensionale un antieroe che da un lato arriva per la sua parte emotiva e dall’altro per il suo tratteggiare la realtà di una società circostante fatta di rigidità e contraddizioni. Tra le tante tematiche che sono riportate all’attenzione del lettore vi è anche quella della maschera che, in questo caso attraverso la veste di quella calzata per esigenze lavorative, ci riporta alle opere pirandelliane e a quella falsità e ipocrisia che regna nella quotidianità circostante.
Un elaborato che arriva, invita alla riflessione, da leggere e assaporare con calma.
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Meglio dello Xanax
Purtroppo si è rivelata una grande delusione.
Dopo aver visto il cupo film Joker, che valso il premio oscar al grande attore Joaquin Phoenix, mi credevo di aver trovato il libro per rivivere le gesta del disperato clown ed invece ne sono rimasto fortemente deluso.
L'idea germinale è ottima, la storia ha tutto per diventare un lungo discorso sulla solitudine dell'uomo che non si allinea alle idee della massa.
Dello sconfitto dalla vita, che a causa di un infortuno al lavoro si ritrova da solo in una stanza di uno squallido albergo a riflettere sulla sua esistenza e sulla strada che lo porterà al disastro economico e alla fine da vagabondo.
Come dicevo nel titolo, invece la lettura si è ben presto tramutata in una lotta tra il sottoscritto e il desiderio di dormire.
Se soffrite di insonnia, se la camomilla non vi fa nulla, se Xanax o ansiolitici vari non riescono a conciliarvi con il sonno, se rimedi naturali come il fiore di Bach non può niente per farvi addormentare, allora forse c'è un rimedio per voi: questo libro....
Almeno nel mio caso ha avuto effetti stupefacenti....praticamente ogni quattro pagine lette gli occhi mi si chiudevano e una terribile, liberatoria, meravigliosa ondata di sonnolenza aveva la meglio su di me......
Più di una volta, mi sono risvegliato con il libro rovinosamente caduto sul petto o di lato.....
Tale sonnolenza è forse dovuta allo stile di scrittura terribilmente scialbo e monocorde.
O forse l'argomento trattato (praticamente le rimembranze di un pagliaccio fallito, con una gamba malconcia, solo e sperduto in una topaia di albergo in cui passa tutto il suo tempo a ricordare una storia d'amore con una femmina che alla fine lo lascia con il primo venuto).....
Decine e decine di pagine in cui praticamente non succede nulla e la cosa più eccitante è quando il nostro "eroe" va alla ricerca, vana, di un pacchetto di sigarette tra i cassetti della stanza puzzolente che lo ospita.
Insomma se avete nostalgia di una bella e salutare dormita, forse avete trovato la lettura che fa per voi.
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Recensione
OPINIONI DI UN CLOWN di HEINRICH BöLL -
Perdente, disilluso, con la testa incastrata nel passato, senza donna, senza soldi e senza lavoro, con il vizio dell’alcol e del fumo. Le sue uniche forze: l’ironia e il pensiero libero. Questo è Hans, protagonista indiscusso di questo romanzo scritto dal premio Nobel tedesco H. Böll nel 1963. Il romanzo è una lunga riflessione interiore di Hans Schnier, clown in declino che insegue idealmente una donna che non c’è più; una donna che lo ha lasciato per sposare un cattolico e condurre una vita perbene. “I due mali da cui sono afflitto per natura: malinconia e mal di testa. Da quando Maria è passata ai cattolici, la violenza di questi due mali è aumentata”. Il libro è una fervente critica contro le convenzioni sociali e religiose e, al tempo stesso, è una profonda dedica d’amore. La trama è costruita con un intreccio di flashback che permettono al lettore di ricostruire, in modo non lineare, le tappe più significative della vita di Hans e della sua famiglia. La vicenda si svolge nell’arco di poche ore e viene narrata attraverso le telefonate in cui Hans, con il mistico dono di afferrare gli odori tramite il telefono, chiede disperatamente soldi ad amici, conoscenti e familiari. La sua è una ricca famiglia di industriali del carbone; la madre, donna fredda e avara, è presidentessa del Comitato Centrale della Società per la conciliazione dei contrasti razziali e si circonda di ex nazisti ed antisemiti che dopo la Seconda Guerra Mondiale hanno semplicemente indossato una nuova maschera da portare in società e che, attratti dal nuovo capitalismo e dal fervente boom economico, non hanno affatto preso coscienza degli orrori prodotti dalla loro nazione. Come marionette che “si toccano mille volte il colletto ma non riescono mai a scoprire il filo che le fa muovere”.
L’ipocrisia dilagante viene messa alla berlina da Hans, un uomo che scegliendo di fare il clown si è ritagliato una “zona di sicurezza ideologica” e di indipendenza. Hans, monogamo e miscredente, non si è voluto allineare, ha rifiutato di piegarsi al conformismo e al perbenismo e ciò lo ha condannato ad essere un perdente, un uomo solo, impotente, escluso e allontanato da ogni relazione sociale. L’atmosfera finale è pesante, non c’è riscatto, non c’è barlume di speranza nel futuro ma una condanna inesorabile alla solitudine e all’individualismo.
“Gli attimi bisognerebbe lasciarli così come sono vissuti, mai tentare di ripeterli, di riviverli”…“Sotto il nome di felicità non riesco ad immaginare niente che possa durare più di uno, forse due o tre secondi”.
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Opinioni di una vittima
“Opinioni di un clown” di Heinrich Böll è quello che il titolo ci promette: il flusso di pensieri di un uomo (che per l’appunto, fa il clown) nel momento più difficile della sua vita. È proprio nei momenti più difficili che gli uomini cominciano a rievocare il passato, a interrogarsi su quelle che sono le cause che li hanno condotti a tale miseria.
È proprio questo che Hans Schnier, il nostro protagonista, fa in questo libro.
Abbandonato dalla sua donna (che lui considera sua moglie, ma che tale non è), si abbandona alla malinconia e lascia che anche la sua professione vada in malora; una professione inusuale per il figlio di una famiglia ricca (e controversa), ma nella quale sembrava poter avere un brillante futuro.
Il libro scorre bene nonostante non accada quasi nulla; rimaniamo difatti soprattutto nei pensieri del nostro clown: riviviamo alcuni dei suoi ricordi, sporcati dal suo punto di vista; ci destreggiamo tra le sue opinioni della società e dei cattolici; assistiamo al suo continuo vittimismo, al suo piangersi addosso, al suo continuo scaricare la colpa del suo stato sugli altri; ci arrabbieremo a causa dei suoi gesti impulsivi, dei quali a volte anche lui stesso si pente.
Heinrich Böll tratteggia un uomo controverso, complesso, rendendolo profondamente umano; nel bene e nel male, e nonostante sia un uomo pieno di difetti non possiamo fare a meno di empatizzare con lui, di lasciarci emozionare dal suo dolore. Un personaggio a tutto tondo che prende vita; "Opinioni di un clown" sembra quasi l’autobiografia di una persona che ha vissuto per davvero, segno che Böll ha fatto un lavoro egregio, in questo senso.
Oltre a partecipare allo sconvolgimento dei suoi sentimenti, verremo messi a conoscenza anche delle sue opinioni: sul cattolicesimo, che molto spesso viene adoperato come una semplice etichetta; sull’entusiasmo e la rigidità dei tedeschi appartenenti a un partito nazista agli albori, e sull’ipocrisia di quegli stessi tedeschi quando quest’ultimo incontrò il suo spaventoso fallimento e la condanna da parte del mondo. È forse anche questo quello che tormenta Hans: l’essere circondato da uomini pieni di difetti proprio come lui, ma che se la passano molto meglio perché li nascondono dietro falsità e ipocrisia. Lui, il clown che una maschera è costretto a indossarla per lavoro, è più genuino di tutti gli uomini che quella maschera la indossano per apparire “giusti” in una società malsana e falsa. Hans è l’unica persona genuina, vera; non ha problemi a mostrare a tutti il suo vero io, i suoi pensieri; anche quelli che lo mettono in cattiva luce.
Un paradosso che lascia il lettore spiazzato, all’inizio; amareggiato nel momento in cui si rende conto di quanto quello che legge è vicino alla realtà delle cose, a un mondo in cui se la passano meglio gli ipocriti, coloro che assecondano le convenzioni senza nemmeno comprenderle; mentre chi è vero, chi si interroga sui motivi celati dietro ogni cosa si trova gettato nella disapprovazione e nella miseria.
Dopo aver “osservato” e ascoltato quest’uomo durante tutta la lettura, in molti angoli della sua personalità, il finale non potrà far altro che emozionarci.
A me, ha emozionato.
"I momenti della vita non si possono ripetere e neppure si possono dividere con altri [...] Tanto diaboliche possono essere le conseguenze del sentimentalismo. Gli attimi bisognerebbe lasciarli così come si sono vissuti, mai tentare di ripeterli, di riviverli..."
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Hans Schnier
Come carta di identità ha scelto una mattonella di carbone con su stampato, sottolineato con gesso rosso, Schnier, il nome della sua famiglia.
Famiglia di industriali del carbone, spilorci ma pur sempre milionari, con una figlia morta adolescente per servire il Terzo Reich, un figlio convertito al cattolicesimo per farsi prete e un altro clown professionista in declino, “colpevole della più grave colpa per un clown: suscitare pietà”.
Con la biacca un po' incrostata che gli ricopre il viso, gli occhi azzurri “come un cielo di pietra” e i capelli scuri che per contrasto sembrano una parrucca, Hans Schnier mostra al mondo la sua faccia più vera, quella di un uomo senza un soldo in tasca e col cuore spezzato.
Paga il prezzo della sua coerenza in una società di marionette che “si toccano mille volte il colletto ma non riescono mai a scoprire il filo che le fa muovere”, paga il suo amore per Maria, che lo ha abbandonato per sposare un cattolico e condurre una vita “perbene”.
Monogamo e miscredente, canta le litanie lauretane con l'entusiasmo di chi cattolico non è, e soffre la perdita e il tradimento della sua unica donna.
Quello che osserviamo attraverso i suoi occhi è un mondo che si sgretola senza più certezze e a cui lui rifiuta disgustato di adattarsi, mentre scorrono i flashback di una storia d'amore pura e profana, e poi attimi di vita che un clown non può e non deve dimenticare.
La narrazione, a tratti, sembra lo sfogo un po' monotono e deprimente di un uomo caduto in disgrazia, ma tra sarcasmo, dolore, smanie autodistruttive e speranze disperate ha il pregio della schiettezza. E se le argomentazioni di un clown ci appaiono alla fine più oneste e affidabili di quelle della variegata umanità che lo circonda una ragione ci sarà.
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IO SONO UN CLOWN
Heinrich Böll iniziò a dedicarsi alla produzione letteraria nel 1946 dopo l’esperienza del richiamo alle armi con conseguente interruzione degli studi universitari e dopo aver subito non solo il fronte ma anche il campo di prigionia, avendo egli disertato. Il suo lavoro di intellettuale è stato sempre all’insegna dell’impegno sociale e civile e tutta la sua produzione è attraversata dalla critica al quadro sociale della Germania postbellica caratterizzata da conformismo, ipocrisia, opulenza.
“Opinioni di un clown” edito nel 1963 rappresenta in modo significativo le posizioni dell’uomo e dell’intellettuale, inscindibili.
Hans Schnier , giovane clown proveniente da facoltosa famiglia borghese, si perde a Bonn nell’appartamento messogli a disposizione dalla famiglia ma che non può né vendere né affittare. Vi arriva defraudato del suo amore per Maria che lo ha abbandonato , è inoltre in piena crisi artistica: i suoi ultimi spettacoli sono stati fallimentari.
Entra nell’appartamento,apre contatti telefonici con alcune persone, si prepara un bagno, riceve pure la visita del padre. Ricorda, trama, farfuglia, lucidamente analizza se stesso e gli altri: mi pare non salvi nessuno. Al bando l’ipocrisia di facciata, lui ha però bisogno di una maschera. Ipocriti i cattolici, altrettanto le forme rinascenti di borghesia, a partire dalla sua famiglia. Al bando il denaro, la miseria, la guerra, la pace.
La sua è una negazione continua: “io non sono sedentario”, “non sono ubriacone”, è ricco di famiglia ma gli è sempre stato negato l’accesso al denaro e perfino ad un vitto sostanziale, ha una madre ma è anaffettiva, non ha più Maria, non ha più la sorella sacrificata alla patria, il padre e il fratello sono altre due entità eteree. Lui senza Maria è niente. Nessuno lo capisce: non è protestante, non è cattolico. Lui è solo un clown, coglie l’essenza, gli pare dannatamente comica e la rimanda al mittente. Lui è solo come chi non si allinea, chi sfugge alle regole, chi ha le sue modeste opinioni e ha il coraggio di enunciarle anche quando non fanno comodo a nessuno, primamente a se stessi.
La narrazione asciutta, martellante, intervallata da ricordi accompagna il lettore oltre la maschera, oltre il cerone in una perfetta adesione dell’ideale al reale. Fortemente malinconico, da conoscere e da apprezzare.
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La tristezza del clown
“Ho sempre litigato con Maria a proposito del riposo di Dio; mi domandavo se il Dio nel quale lei crede si prende anche lui il suo riposo e lei diceva sempre di sì, andava a prendere il Vecchio Testamento e mi leggeva dalla Genesi: 'E al settimo giorno Dio riposò'. Io la contraddicevo con il Nuovo Testamento. Dicevo che poteva anche darsi che Dio riposasse, ma un Cristo che alla sera smette di lavorare non me lo potevo immaginare. Maria divenne pallida quando lo dissi; ammise che l'idea di un Cristo col riposo serale le appariva blasfema. Aveva fatto festa, questo sì, ma riposato nel senso comune non aveva mai.”
Un giovane che ha scelto di fare il comico, il mimo, il cabarettista, l'autore e attore di numeri esilaranti, sebbene non approverebbe nessuna di queste etichette, perché si ritiene – semplicemente (!) – un clown.
Non c'è mestiere più complicato, specie per chi si ritrova a farlo nell'atmosfera spaesata della Germania postbellica, dove ci si chiede come sia potuto accadere quel che è accaduto, oppure, per praticità d'approccio, si cerca soltanto di rimuoverlo dalla propria coscienza.
Nella sua esistenza controcorrente, Hans Schnier attraversa paesi, stazioni di treni, palcoscenici, interni di tassì, camerini, alberghi e pensioni, ilarità di un pubblico sempre diverso, tenendo stretto a sé un unico punto fermo: Maria. Agli occhi dell'uomo dietro la maschera da clown, Maria rappresenta la ragazza vista e subito amata, la persistente attrazione per la donna, un desiderio che si tramuta rapido in irrinunciabile punto d'appoggio.
Perciò, quando lei va via, Hans è assalito e sconfitto dalla tristezza.
Un clown triste – si sa – non fa più ridere; magari finisce a rompersi una gamba sul palcoscenico, solo per avere il pretesto di tornare nella sua casa a Bonn, e sdraiarsi sul letto o nella vasca da bagno a rimuginare e recriminare...
Bel libro, questo di Boll, che si regge – più di quanto ci si accorga – sulla sottile ironia del paradosso: il protagonista è un clown, ma il racconto è un monologo dal contenuto amareggiato e accusatorio (seppur venato di notevole sarcasmo). Un monologo che, per inciso, è perfettamente adattabile alla scena teatrale.
Schnier ne ha per tutti: per la madre ottusa, per un padre che si pente fuori tempo massimo dei suoi errori educativi, e soprattutto per l'ipocrita religiosità di un cattolicesimo piccolo-borghese diffuso nella Germania dei primi anni '60. Recrimina sul fatto che la stessa sua adorata (e timorata) Maria gli sia stata sottratta dalle chiacchiere dei “pastori” di un cristianesimo fasullo, per scappare infine con il deprimente Zupfner, un adepto.
Al clown con il ginocchio gonfio a mollo nell'acqua calda – contrariato con il mondo – non resta che prendere coscienza di un ultimo paradosso: la Germania della ricostruzione e del miracolo economico postbellico è una vasca vuota pronta a contenere di tutto, anche un artista dalle quotazioni che scendono sempre più sul fondo, inesorabilmente.
“Tutti sanno che un clown deve essere malinconico per essere un buon clown, ma che per lui la malinconia sia una faccenda maledettamente seria, fin lì non ci arrivano.”
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Opinioni di un clown
questo romanzo racconta lo sfogo di Hans Schnier, giovane clown che,reduce dall'ennesimo insuccesso, torna nella propria abitazione e si lascia andare ad una lunga autocommiserazione sulla propria vita, sul rapporto con la famiglia d'origine e soprattutto sul perché la propria fidanzata lo ha lasciato.
La coppia Hans e Maria ha vissuto fin dagli inizi grosse difficoltà poichè lei , fervente cattolica, faticava a comprendere esigenze e comportamenti di Hans e viceversa . Maria inoltre frequentava un gruppo di cattolici locali i quali non facevano altro che mettere pressione e osteggiare la coppia.
Alla fine, Maria decide di unirsi a un uomo, anch’egli cattolico, e di avere una relazione stabile e borghese.
In questo romanzo l'autore utilizza il pretesto dello sfogo del giovane Hans per descrivere e criticare quella borghesia conservatrice che da sempre e ad ogni latitudine è solita salire sul carro del vincitore, sia esso la Germania nazista o la giovane democrazia.
Il linguaggio di quest' opera è abbastanza semplice e scorrevole ed il tono è molto sarcastico e ironico.
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SITUAZIONI DI DISAGIO
Questo è uno dei libri non-classici che amo di più. Credo che la mia affezione in parte sia dovuta anche alla difficoltà di esprimere una condizione che solo chi ha vissuto in prima persona può veramente comprendere. Perciò, dato che ritengo coraggioso e onesto il lavoro dell’autore nell’esprimere una condizione di disagio (personale e anche nei rapporti con il mondo esterno) che certamente a molti può apparire lontana, la mia solidarietà (e affetto) è d’obbligo.
Quando un libro affronta argomenti “non per tutti”, è normale che non a tutti piaccia. Credo sia anche una questione di sensibilità verso certi temi e condizioni umane. Temi, in questo caso, affrontati al meglio: il testo è scorrevole, lo stile buono, insomma una lettura piacevole, coinvolgente e a tratti anche esilarante.
Chi si aspetta facili (e scontati) messaggi di rinascita, autocritica o rivalsa nei confronti della società o della propria condizione forse resterà deluso, giustamente deluso a mio parere. Chi invece ama indagare nelle possibili condizioni dell'animo umano, o anche solo avvicinarvisi invece no.
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La verità fa male
È un romanzo definito aristotelico quindi non aspettatevi grandi colpi di scena o altro ma una catarsi ci deve essere.
Questo romanzo si svolge nell'arco di poche ore, in un'unica stanza. Nonostante non ci sia azione è un libro che offre spunti di riflessione su temi come la coerenza con le proprie idee, il volta faccia delle persone e della società, il falso perbenismo.
Anche se Hans Schnier, il protagonista, può apparire un esaltato/viziato, questi suoi difetti vengono parzialmente "annebbiati" dalla grandissima coerenza che egli ha nei propri confronti rispetto ai personaggi secondari: falsi perbenisti tedeschi cattolici della Germania Ovest.
Originale l'idea dell'autore di non inserire nel romanzo un vero e proprio protagonista privo di qualsiasi difetto. Nel libro non esistono personaggi perfetti, totalmente retti nella morale ecc. È un libro che si dovrebbe apprezzare anche solo per il fatto che i personaggi sono umani: ognuno ha i suoi difetti.
Lo stile è sarcastico. Mi è piaciuto molto in modo in cui Hans si prende gioco dei suoi interlocutori senza offenderli con l'arricchimento di parolacce. Li prende in giro dimostrando una certa intelligenza.
Non è un libro da leggere così "a cuor leggero" ma se si hanno degli ideali diventa un testo piacevole.
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Una maschera trasparente
''E gli atei?''
''Quelli mi annoiano perché parlano sempre di Dio.''
''E lei che cos' è, in conclusione?''
''Io sono un clown.''
(''Opinioni di un clown'' Heinrich Boll)
Essere un clown non è facile; non sai mai chi sei, l' uomo sotto il trucco o la maschera che ti sei creato da solo.
Il signor Schnier è il protagonista di questo libro. Professione: clown, cioè un comico che non paga tasse per la Chiesa. Dopo aver sfiorato il successo eseguendo spettacoli in giro per l' Europa, perde la moglie Maria, scappata con un cattolico, e quindi tutto il suo mondo.
Una storia di particolari incentrata soprattutto sull' amore-odio che si interpone quando pensa alla ex moglie. Molto spesso.
Il fallimento per un uomo è la cosa peggiore. Sentirsi morto, senza l' appoggio della tua vita, senza valere nulla, senza voler vivere se non per vendicarsi della perdita dell' amata. Amava il suo lavoro, si definiva un' artista, ma adesso nulla.
Il romanzo è incentrato sulla lontananza di Maria, sui ricordi indissolubili di un clown che ancora ama la sua donna. Una storia triste ma scorrevole, un attacco alla Chiesa cattolica, neanche troppo celato da allegorie.
La caratteristica che colpisce dell' intero libro è il notare del protagonista qualsiasi imbarazzo che si cela dietro le persone, quel diventare rossi in viso che è lo sfogo di parole non dette che però fuoriescono sotto forma di colore in volto.
Il nostro clown si definisce un' artista,è orgoglioso di quello che fa, ma questa insistenza sulla vergogna mi fa pensare a una consapevolezza ulteriore: il clown è una maschera, l' uomo al di sotto di essa, sotto il bianco del trucco, forse molto spesso arrossisce di un fallimento, della compassione del pubblico per un uomo fallito.
La maschera cela agli altri, non a se stessi.
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Opinioni in libertà
Riconosco che dopo avere letto questo libro sono rimasto abbastanza stupito nel constatare come certi argomenti che ruotano attorno alla religione siano considerati così importanti anche in un paese nordico come la Germania, peraltro patria della riforma protestante. Se infatti il libro fosse stato ambientato in l’Italia, certe invettive rivolte contro una società borghese-cattolica caratterizzata da un’aura di ipocrisia e sempre pronta a criticare chi non è allineato col sistema, mi avrebbero sicuramente meravigliato di meno.
Invece il personaggio creato da Boll, è un clown di professione, specializzato nella recitazione di monologhi e pantomime. Attraverso le opinioni espresse nella casa di Bonn dove si è rifugiato ed esternate sottoforma di pensieri, telefonate a parenti, presunti amici o conoscenti, e ricordi, dipinge un quadro a tinte piuttosto fosche della società tedesca degli anni sessanta, che pare volere celare gli orrori compiuti durante la guerra ed a chiedere timidamente scusa di ciò che è capitato.
Il nostro clown è un attore la cui carriera è ormai compromessa, in caduta libera, a causa del forte contraccolpo psicologico causato dalla sua ex compagna Maria che lo ha lasciato per sposarsi con un fervente cattolico praticante. Inoltre, come se non bastasse, un infortunio ad un ginocchio non gli permette di muoversi e recitare liberamente sul palcoscenico e rappresenta pertanto un’ulteriore motivo di difficoltà nella prosecuzione della sua professione. Ecco che l’insieme di queste cause, diventano quasi una scusa per abbandonarsi a sé stesso, per piangersi addosso e cominciare ad attribuire le colpe del suo stato ai cattolici di Bonn. Costoro sono accusati di avere convinto Maria, anche lei assidua praticante e frequentatrice di quella comunità, a lasciarlo in quanto non era concepibile che i due vivessero “nel peccato”, senza essere uniti dal vincolo del matrimonio. Oltre a Maria viene inoltre descritta una galleria di personaggi piuttosto folta, e risulta molto difficile trovarne uno che agli occhi del protagonista sia esente da qualche colpa o da qualche difetto, compresi i suoi genitori e suo fratello, anche lui convertitosi alla causa cattolica !
In definitiva si tratta di un libro indubbiamente non facile, che talvolta potrebbe risultare un po’ ripetitivo, ma che complessivamente rappresenta un’opera di indiscusso valore, tenuto conto dei temi affrontati.
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