Niente di nuovo sul fronte occidentale Niente di nuovo sul fronte occidentale

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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    05 Marzo, 2023
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Per non dimenticare

Questo è uno di quei libri da “leggere almeno una volta nella vita”, di quelli che si definiscono assolutamente necessari per non dimenticare gli orrori della guerra. Un libro come questo non deve essere giudicato dallo stile, nella costruzione della narrazione, nell’attenzione rivolta ai personaggi, perché è sufficiente il contenuto e l’ambientazione per esprimere la massima valutazione possibile. Remarque scrive una storia dal sapore fortemente autobiografico, che rappresenta una spietata cronaca della Grande Guerra, “conflitto di posizione” per eccellenza, vissuto dentro le trincee. Una guerra capace di annientare milioni di ragazzi, come del resto già si intuisce dall’incipit, che esprime il concetto di “tentativo di raffigurare una generazione la quale – anche se sfuggì alle granate- venne distrutta dalla guerra”.
I giovani tedeschi mandati al fronte, spesso sobillati e indottrinati dalla precedente generazione pregna di un forte nazionalismo, si identificano in una gioventù senza futuro, senza speranza, come carne da macello che combatte una guerra voluta da altri (“Io vedo dei popoli spinti l’uno contro l’altro, e che senza una parola, inconsciamente, stupidamente, in una incolpevole obbedienza si uccidono a vicenda...Che faranno i nostri padri, quando un giorno sorgeremo e andremo davanti a loro a chiedere conto?”).

Attraverso la narrazione diretta del protagonista, si assiste alla spietato ed insensato svolgimento della guerra, alle sue innumerevoli sfaccettature: i continui combattimenti con il rischio di venire colpiti da proiettili, colpi d’artiglieria, schegge, i compagni feriti, mutilati o caduti in battaglia, le sofferenze dentro gli ospedali da campo, lo spirito di solidarietà e cameratismo che inevitabilmente si costruisce tra soldati nei brevi momenti di riposo e pausa. Su tutto questo aleggia legittimamente una domanda:

“Quanto appare assurdo tutto ciò che è stato scritto, fatto, pensato in ogni tempo, se una cosa del genere è ancora possibile! Deve essere tutto falso e inconsistente, se migliaia d’anni di civiltà non sono nemmeno riusciti a impedire che scorressero questi fiumi di sangue”.

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Clangi89 Opinione inserita da Clangi89    27 Agosto, 2022
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Parole per non dimenticare

È difficile recensire Niente di nuovo sul fronte occidentale, l'unico modo sarebbe riscriverlo parola per parola, affinché ciascuna di essa entri dentro di noi.
Gli occhi di chi la guerra l'ha vista si devono osservare da vicino, per riflettere e non smettere di dimenticare, non smettere di condannare l'orrore che fu e che c'è, vicino e lontano.
Entra nella coscienza di ciascuno il pensiero alle atrocità, alle brutture, ai dolori, alla fame, alle assurdità di ciascuna guerra.
Allo stesso tempo il lettore tocca con mano il cameratismo, le gioie ed i sorrisi tra compagni, i ricordi felici e le riflessioni sul futuro di una generazione di ragazzini che vennero gettati nelle trincee.
E' un libro che ti graffia dentro, non ti lascia uscire indifferente. È un inno contro la guerra, senza lasciar nulla per scontato.
Sono molti i pensieri che rieccheggiano dopo una simile lettura: i soldati nemici e uguali, la propaganda, il terrore che non potrà mai essere capito una volta rientrati dal fronte, le urla soffocate nella terra pregiata di sangue, sudore e lacrime.
Restano le parole, che non moriranno mai.
"Io sono giovane, ho vent'anni: ma nella vita non conosco altro che la disperazione, la morte, il terrore e la insensata superficialità, congiunta con un abisso di sofferenze. Io vedo dei popoli spinti l'uno contro l'altro, e che senza una parola, inconsciamente, stupidamente, in una incolpevole obbedienza si uccidono a vicenda. Io vedo i più acuti intelletti del mondo inventare armi e parole perché tutto questo si perfezioni e duri il più a lungo possibile."

"Mi rivolgo al morto e gli dico:"Compagno,io non ti volevo uccidere. Se tu saltasse un'altra volta qua dentro, io non ti uccidere, purché anche tu fossi ragionevole. Ma prima tu eri per me solo  un'idea , una formula di concetti nel mio cervello, che determinava quella risoluzione. Io ho pugnalato codesta formula. Soltanto ora vedo che sei un uomo come me. Allora pensavo alle tue bombe, alla tua baionetta, alle tue armi; ora vedo la tua donna, il tuo volto e quanto ci assomigliano. Perdonami compagno!"

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68 Opinione inserita da 68    26 Dicembre, 2020
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Umana dissolvenza

Prima, dopo, durante, pezzi di umanità ridotti a brandelli, anime morte e vite prosciugate di compassione attraversando la guerra, giorni interminabili in trincea, una disumanizzazione che ne ha cambiato l’ essenza, rimosso il passato e azzerato il futuro, invecchiati per sempre, annegati in un presente di giovinezza che avrebbe meritato altro.
Diciannovenni sani e forti, partiti dalla stessa aula di scuola per andare al fronte, imbevuti di idee confuse che avrebbero conferito alla vita e alla guerra un carattere ideale e quasi romantico, indottrinati da un maestro follemente intriso di niente, sottratti ai propri sogni sulla soglia dell’ esistenza, indirizzati allo stupore del bello e d’ improvviso gettati laddove tutto cambia per sempre.
Al fronte si cresce velocemente in una lotta senza speranza che svuota cuore e mente sovvertendo le priorità al servizio della patria, li’ è impartita la più raffinata educazione di caserma, si diviene duri, spietati, vendicativi, rozzi, diffidenti, qualità indispensabili per sopravvivere, adattandosi a ciò che la guerra ha prodotto di meglio, il cameratismo.
Contorniati e soggiogati dal terrore della morte senza essere ribelli, disertori e vigliacchi, si avanza con coraggio, imparando a distinguere e sapendo che il mondo che è stato non sopravviverà, terribilmente e spaventosamente soli, e da soli si deve sbrigarsela.
A casa si sono lasciate un fascio di poesie, l’ inizio di un dramma, letture, parti di se’, quel poco che si aveva, i genitori, la scuola, qualche ragazza, un po’ d’ entusiasmo, di questo non è rimasto più niente, induriti in una forma strana e dolorosa, nonostante non ci si senta più capaci di tristezza, identificato il concetto di patria nella rinuncia alla personalità.
Chi è quel giovane soldato che ci guarda, che cosa rappresenta, crede, pensa, e dopo la sua morte, da noi indotta, chi gli sopravvivrà, se non i resti di una famiglia?
Come si ritornerà a casa, non più giovani, dei profughi che fuggono da loro stessi, diciottenni costretti a sparare contro il mondo e l’esistenza, colpiti al cuore, esclusi dall’attività’, dal lavoro, dal progresso, che credono nella guerra?
La casualità spinge alla sopravvivenza e rende indifferenti, trascinati da un’onda che moltiplica le proprie energie e rende crudeli, briganti, assassini, ...” anime morte che hanno perso ogni compassione, viaggiatori di passaggio nel paesaggio della loro giovinezza “... rozzi, tristi, superficiali, perduti per sempre, in giorni inconcepibili e ovvi.
Si può resistere ma non dimenticare e, una volta tornati dal fronte, comincerà la resa dei conti sulla vita e sulla morte, e i giorni e gli anni trascorsi in trincea rivivranno.
E allora, nella tremenda ansia di una madre si ritrova la propria calma e un mondo estraneo, logorati dentro, tutti parlano troppo, hanno preoccupazioni, scopi, desideri impossibili da concepire, i libri contengono parole ormai illeggibili e irraggiungibili e c’è un letto di ospedale che mostra il vero volto della guerra, ...” un viaggio senza ritorno dalla tragedia alla farsa “..., appesi a una fragile speranza, presto dissolta .
Questa la voce reale e sofferta di “ Niente di nuovo sul fronte occidentale “, pubblicato per la prima volta nel 1929 e considerato uno dei libri più veri sulla carneficina della Prima guerra Mondiale, testimonianza di una generazione che, quando sopravvissuta ai moderni strumenti di morte, ne è stata distrutta.
L’ edizione edita da Neri Pozzi si avvale delle bellissime illustrazioni di Marco Cazzato che restituiscono il dramma, l’ intensità e la lucida rappresentazione del fronte, accompagnandone, pagina dopo pagina, la cruda essenza e il senso insensato di ventenni per anni occupati a uccidere, ...” una prima e unica professione nella vita con un sapere limitato alla morte “..., resi inutili ed estranei a se stessi.
...” Che ne sarà di noi “.. si chiede il protagonista, Paul Baumer, appeso a una flebile speranza suo malgrado inevasa.

... mi alzo, sono contento, vengano i mesi e gli anni, non mi porteranno via più nulla. Sono tanto solo, tanto privo di speranza che posso guardare dinanzi a me senza timore. La vita, che mi ha fatto attraversare questi anni, è ancora nelle mie mani e nei miei occhi. Se io abbia saputo dominarla non so. Ma, finché dura, si cercherà la sua strada, vi consenta o non vi consenta quell’ essere che nel mio interno dice “ io “.

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    07 Luglio, 2020
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Umanità

«Ma al tempo stesso vedo dietro di lui una foresta, e le stelle, e una voce buona mormora parole che danno pace: pace a me, al povero soldato che coi suoi scarponi e con la sua cintura e col suo tascapane cammina sotto il vasto cielo, lungo la via che gli si stende dinanzi: pace al povere soldato che presto dimentica, e solo di rado ormai è triste, ma sempre cammina sotto il grande cielo notturno. Un piccolo soldato ed una voce buona: e se gli deste una carezza, forse non vi capirebbe più: ha gli scarponi ai piedi e il cuore pieno di terra; e marcia così, e ha tutto dimenticato fuorché marciare. Non sono forse fiori all’orizzonte, e una campagna così quieta e serena, che gli vien voglia di piangere? Non sorgono là immagini di cose ch’egli non ha perdute, perché non le ha possedute mai: di cose che lo turbano, ma che per lui sono passate via: non solo là i suoi vent’anni?»

Un piccolo grande capolavoro è “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Una storia intrisa di durezza, crudezza, realtà e tristezza che porta il lettore a interrogarsi su una pagina della Storia che può sembrare dimenticata ma che in verità è ancora molto ma molto attuale perché i valori custoditi in queste pagine sono ancora fondamentali nella nostra esistenza. E sempre lo saranno.
La grande forza di Remarque è quella di riuscire a restituire umanità a quei volti che hanno rivestito i panni dei cattivi per più di una volta ma che alla fine non erano altro che sventurati soldati chiamati a morire in massa per una guerra che non gli apparteneva e che è stata decisa da altri.
Tante le voci che colorano lo scritto, tante le umanità che ci accompagnano con le loro speranze, i loro desideri, le grandi e piccole mancanze e le tante disillusioni accumulate tra brevi e fugaci attimi di pace.
“Niente di nuovo sul fronte occidentale” è un libro di gran contenuto, che non teme di mostrarci la verità anche se questa può risultare atroce e dolorosa. È un volume di struttura forse semplice ma di gran contenuto. È un elaborato che invita alla riflessione e che a distanza di anni non muta la sua forza empatica, al contrario, la rinnova e la rende ancora più intensa. È uno scritto che con genuinità ci porta a osservare la guerra da un’altra prospettiva e che per questo scuote il conoscitore, ha un effetto dirompente su di lui.
Un testo che chiede di essere letto e che merita di essere letto.

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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    03 Febbraio, 2020
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La brutalità e vacuità della guerra

Per quanto riguarda le letture, il mio 2020 è cominciato alla grande. Questo libro di Remarque (che segna il mio primo approccio con l’autore) è probabilmente l’opera più bella che ho letto da inizio anno e che darà parecchio filo da torcere a chiunque cerchi di superarla.
Si, perché “Niente di nuovo sul fronte occidentale" è un capolavoro: devastante, duro, crudo, triste, ma un capolavoro. Nella mia storia di lettore mi sono ritrovato davanti opere basate principalmente sulla seconda delle due grandi guerre, nella maggior parte dei casi vista dalla parte degli “oppressi” o comunque dei “buoni” (anche se si tratta di termini vaghi); riguardo alla Prima Guerra Mondiale e del punto di vista dei “tedeschi brutti e cattivi” non avevo mai approcciato nulla, fino ad ora. Devo dire che, pur appartenendo alla più “snobbata” (avete notato quante virgolette sto usando?) delle due grandi guerre, non credo di aver mai letto un’opera potente ed emozionante quanto questa, riguardo al tema della guerra e di tutto ciò che ne concerne.
Remarque ci fa camminare accanto a degli sventurati soldati tedeschi, che non sono mostri ma soltanto uomini, che si trovano a combattere e morire in massa per una guerra che in fondo non è la loro; per degli ideali e delle offese che persone in poltrona hanno giudicato imperdonabili e da lavare nel sangue, che tuttavia non sarà il loro ma quello di una generazione che ha come unica colpa quella d'esser nata nel momento sbagliato della Storia. Una generazione che sarà artefice del suo stesso annichilimento: uomini si trovano a stroncarne altri senza nemmeno sapere chi siano e costringono sé stessi a vederli come dei semplici fantocci da abbattere, cosa che può risultare semplice dalla distanza necessaria allo sparo d’un proiettile o al lancio d’una granata, ma che diventa insostenibile quando lo strumento di morte diventa un coltello e la morte che abbiamo generato si mostra davanti ai nostri occhi, coi suoi gorgoglii e con la vita che si aggrappa disperatamente a quel corpo in convulsione. E allora ci si rende conto che quei fantocci non sono tali, che come te hanno una casa e una famiglia che hanno dovuto lasciare e alla quale vorrebbero tornare. Non siete poi così diversi; diversi sono solo gli uomini che hanno scelto di mandarvi a morire.
Seguendo i giorni al fronte di Paul Baümer, Stanislaus Katczinsky e compagnia diventeremo i loro camerati: Remarque ci getta in mezzo a loro con la sua scrittura potentissima; ci rende partecipi delle loro paure, dei loro desideri, delle loro difficoltà, e dei loro fugaci momenti di pace. C'è davvero tantissimo su cui riflettere, e non vi succederà di rado di fermarvi a pensare a ciò che avete appena letto. Si pensa spesso ai soldati come a una massa d'uomini senz'anima; la conta dei morti non significa molto se non v'è in mezzo il nome d'una persona cara, e anche in quel caso il dolore è canalizzato su quella persona soltanto, mentre la massa intorno resta sfocata e il numero... è un numero e basta. Ma quel numero è fatto di tante persone care a qualcuno, e ogni unità che accresca il totale aumenta in maniera esponenziale la miseria e la tragedia umana. Come si possono svestire tanti uomini della propria anima e condurli al macello in questo modo? Se chi sceglie di muovere guerra a un altro sapesse cosa stronca nel mandare a morire anche il più miserabile degli uomini, lo farebbe? Non lo sa, non ci pensa o non vuole pensarci? Che razza di uomo è, in ognuno di questi casi?
Remarque ci sbatte in faccia la realtà VERA; non una che potrebbe presentarsi se dovessimo perseverare nella nostra cattiva condotta, VERA. Ci mostra quello di cui siamo stati già capaci.
Ed è qualcosa a cui dovremmo pensare più spesso.
Ed è qualcosa di cui dovremmo DAVVERO ricordarci.
Questo libro va letto assolutamente e non v'è stomaco debole che possa giustificarci. V’è rappresentato il vero e proprio dramma dell'umanità, in cosi tante sfaccettature che ne resterete davvero disorientati.
Non aspettatevi benevolenza.
Non siamo mai stati buoni con noi stessi. È la dura verità e la verità va affrontata, prima o poi.

“[…] non siamo più giovani, non ci interessa più dare l’assalto al mondo. Siamo dei profughi, fuggiamo da noi stessi. Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare il mondo e l’esistenza: ci hanno costretti a spararle contro. La prima granata ci ha colpiti al cuore. Siamo esclusi ormai dall’attività, dal lavoro, dal progresso, non ci crediamo più. Crediamo nella guerra.”

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archeomari Opinione inserita da archeomari    19 Aprile, 2019
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Un potente colpo alle nostre coscienze

Letteratura come dovere. Pubblicata in Germania nel 1929, l’opera principale di Erich Maria Remarque mostra tutto l’orrore della guerra, di quella “inutile strage”, così la chiamò il papa di allora, Benedetto XV. Un libro che va letto, perché ricordare è un dovere e quando lo si fa in uno stile così asciutto e pregevole, diventa letteratura della memoria.
Remarque aveva appena diciotto anni quando prese parte alla prima guerra mondiale, rimanendo ferito. La terribile esperienza in trincea, la perdita dei cari amici soldati, segnarono a fuoco la sua coscienza scuotendola nel profondo e scombussolandone gli equilibri in maniera irreparabile.
L’opera, una sorta di diario di guerra, ottenne subito un grande successo di pubblico e di critica, ma costò l’esilio all’autore a causa dell’esplicito messaggio pacifista. Nella prefazione all’edizione Oscar Mondadori del 1975 si legge “ I libri di Remarque continuano ad essere validi per la struttura morale e le qualità letterarie che li caratterizzano”.
Concordo in pieno. Il libro ha una prosa snella, senza fronzoli, si legge scorrevolmente e pur, trattando delle brutture della guerra, conserva in alcune pagine una potente tenerezza, soprattutto quando parla dell’effetto verso la madre, quando soccorre i commilitoni feriti ed agonizzanti. In mezzo a tanto orrore di corpi mutilati, di crani fracassati, di ventri squarciati, dell’odore di sangue, l’amicizia sincera del cameratismo rende umani quei soldati che sono costretti a uccidere per non essere uccisi.
Appena diciottenni i giovani sopravvissuti alle granate sono consapevoli che la vita che li aspetta sarà fatta di depressione e di smarrimento totale:
“Ritornando ora, siamo stanchi, depressi, consumati, privi di radici, privi di speranze. Non potremo mai più riprendere il nostro equilibrio”.

L’io narrante è un soldato, un certo Paolo, che mette a nudo la propria coscienza, l’unica cosa che non può essere distrutta dalle bombe.
Sono tantissimi i passi che mi sono segnata e che lascio al lettore scoprire e gustare: l’autore scuote le nostre coscienze con potenti immagini, coi suoi giudizi nei confronti della situazione storica che sta vivendo:

“oggi nel mondo si sono aperte enormi frontiere di conoscenza scientifica, ma gli orizzonti della responsabilità morale sono sempre molto limitati. L’uomo come tale è sempre quello di duemila anni fa, con la sua imbecillità, la sua crudeltà, il suo egotismo”.

Sono le parole dell’autore e sono valide ora come allora. Cos’è cambiato da quegli orrori? Le guerre e le crudeltà, anche sotto forme diverse, continuano a distruggere ogni forma di civiltà.

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Erox Curry Opinione inserita da Erox Curry    09 Agosto, 2015
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Dietro le quinte

La guerra.
Così com'è. La vergogna dell'uomo, la sua ignoranza più grande e più travolgente.
Poteva essere una qualsiasi guerra, in un qualsiasi dove, in un qualsiasi quando, potevano cambiare i nomi dei personaggi o i calibri e i tipi delle armi, ma la sostanza rimaneva la stessa.
Una guerra che viene certo studiata sui libri di scuola, come molte altre, ma qui non è scritta dai vincitori.
Anzi, dai vinti, se si vuole entrare nello specifico, ma se alla fine i ragazzi "protagonisti" del racconto avessero vinto non sarebbe cambiato molto: in questo libro viene raccontato quel lato delle guerre che viene sempre ignorato, dando peso solo alle nazioni in se, oppure alle cause, per potere, denaro, territori...ma a rimetterci non sono mai coloro che stanno al vertice.
Sono coloro che vengono trascinati, buttati fuori dalle loro vite, i loro sogni, le loro ambizioni per andare...per andare dove??? Nè i vinti nè i vincitori sanno veramente perchè sono lì, cosa interessa aloro di uccidere altre persono, che non conoscono nemmeno, per qualcosa come la gloria??? La gloria di chi? Per chi diventerai un eroe? Vale la pena sacrificarsi per la patria? Come sarai ricordato per il tuo sacrificio?
Bhe, il titolo stesso del libro potrebbe darvi una chiara idea...

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siti Opinione inserita da siti    02 Marzo, 2015
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Al confine della vita

Pubblicato undici anni dalla fine del conflitto, raggiunse un successo di pubblico per il messaggio pacifista ma fu osteggiato da chi faceva leva sul diffuso malumore su cui si alimentarono il nazionalsocialismo in Germania e il fascismo in Italia.Dire che nel 1933 finì al rogo pare quasi superfluo.
E oggi? Che effetto fa , leggere oggi, quest’opera?
Il 24 maggio ricorrerà il centenario dell’entrata in guerra dell’Italia e spesso ho pensato alla dialettica tra interventisti e neutralisti che animò il nostro contesto storico. Sapere quali ragioni ci portarono al conflitto non è di gran conforto. Visitare i luoghi che oggi sono sormontati da sacrari, campane della pace, lapidi siglate da cronologie troppo brevi, montagne dilaniate dalla presenza bellica, permette di toccare con mano.
Leggere l’esperienza dei nostri dalla penna di Lussu significa scoprire le drammatiche condizioni dei soldati-bambini, dei soldati-contadini, dei ragazzi del ’99 e dell’inefficienza siglata Italia.
Leggere Erich Maria Remarque significa elevarsi a una visione trans- frontaliera.
Siamo sul fronte occidentale non in quello italiano dell’altopiano di Asiago narrato da Lussu.
Se Lussu non si abbandona mai alla denuncia, Remarque invece scrive con l’ottica del reduce, di chi è consapevole che la guerra è stata solo un grande bluff.
Lui partito invasato dalle parole di un suo professore, lui volontario perde e perde tutto. Perde la sua gioventù, perde le sue certezze, perde la “concezione del mondo” che gli avevano insegnato; si mostra fortemente critico rispetto alla sua patria da subito e a maggior ragione dopo dieci anni. Il reduce fa sentire la sua voce e con essa quella di una generazione privata di sogni, bellezza, amore, futuro perché già schiacciata dai conflitti che la grande guerra non ha affatto risolto. Il reduce non ha futuro: chi torna sa già che tutto gli apparirà vuoto e desolante e l ’unica certezza sarà quella della guerra. “Crediamo alla guerra”, il resto è falsità. Gli uomini? “Povere scintille di vita”.
Racconta, descrive, non tralascia i particolari, non concordo con chi vi vede una prosa scarna, da stile giornalistico. Ho apprezzato una scrittura sincera, intrinsecamente commovente, a tratti poetica quando elevata a considerazioni sulla condizione umana. Il realismo è necessario per capire e ringrazio di aver potuto sapere ciò che non si racconta mai.
Mi ha aiutato a capire la drammatica universalità della condizione del soldato, mi ha ricordato quanto sia importante la pace, mi ha ricordato pure quanto siamo indifferenti alla sofferenza che accompagna i nostri giorni. Mi ha commosso e mi ha fatto arrabbiare. Conservo il ricordo di pagine indelebili .
Ne consiglio vivamente la lettura.

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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    30 Agosto, 2013
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"Perdonami, compagno..."

Questo non è un libro sulla guerra ma sulla pace, parla soprattutto di morte ma è un inno disperato alla vita.
Accostarsi alle sue pagine non è facile, è come essere costretti ad assistere ad un tragico spettacolo da cui si vorrebbe distogliere lo sguardo: cadaveri smembrati, continue esplosioni, sangue, urla e un unico, fondamentale conforto: lo spirito di fratellanza che si viene a creare tra commilitoni.
E poi, il caso che ti salva o ti fa soccombere, una manciata di secondi che fanno la differenza tra la vita e la morte, quell'impulso primordiale che spinge a correre verso una possibile salvezza perfino con le gambe spezzate. Ma la cosa peggiore è la ragione che vacilla insieme al corpo, la speranza che si spegne, il massacro dell'anima.
E' la Prima Guerra Mondiale, guerra di logoramento combattuta in trincea che falciò giovani vite strappandole dai banchi di scuola.
Ecco cosa hanno fatto - si insiste amaramente nel corso della narrazione - quelli che parlavano di eroismo e gioventù di ferro: “La nostra gioventù se n'è andata da un pezzo. Noi siamo gente vecchia”.
Vecchia e disillusa, perché guardare negli occhi il proprio nemico e capire che è un essere umano come te un attimo prima di ucciderlo è qualcosa che non ha niente a che fare con l'eroismo: “Perdonami, compagno, come potevi tu essere mio nemico?”.
Sono pagine di grande intensità quelle dedicate all'incontro ravvicinato tra il protagonista, tedesco, e un francese delle truppe avversarie, ferito a morte dalle sue coltellate.
Ore passate insieme in una buca mentre fuori infuria il combattimento, la lenta e dolorosa agonia di un uomo che il suo uccisore tenta invano di soccorrere: “Prenditi venti anni della mia vita, compagno, e alzati; prendine di più, perché io non so che cosa ne potrò mai fare”.
Pensieri indegni di un soldato e su cui è meglio non soffermarsi troppo, se si vuole sopravvivere. Ciò che conta è tornare a casa dai propri cari, a casa, dove ancora non sanno che dal fronte nessun ragazzo uscirà più veramente vivo: “Oh mamma mamma! Perché non posso prenderti nelle mie braccia, e morire insieme? Poveri disperati che siamo!”.

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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    26 Aprile, 2013
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Macelleria umana

Libro, direi quasi classico, che offre un importante messaggio pacifista ed antimilitarista, senza alcuna retorica. E' un diario di guerra romanzato che trasmette al lettore tutto l'orrore della prima guerra mondiale. Un libro terribilmente vero, che rappresenta nel modo più efficace l'assurdità e l'orrore della guerra. Soldati, soldati troppo giovani, che hanno gambe che non li reggono più, mani che tremano. Soldati che non hanno più né carne né muscoli e che hanno paura a guardarsi nel viso l'un l'altro. Un urlo interminabile, che non se ne va dalla tua testa neanche quando chiudi l'ultima pagina. e' un libro che ti fa provare un'intensa sofferenza ed un grande dolore.

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Zine Opinione inserita da Zine    18 Aprile, 2013
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Per non dimenticare

Fronte occidentale, Prima Guerra Mondiale.
Il soldato diciannovenne Paul Bäumer racconta i suoi giorni al fronte insieme ai propri camerati, in parte ex compagni di scuola: il pratico Tjaden, il trovatutto Kat, l’amico Albert... Attraverso i loro occhi, ci viene mostrato un mondo in cui i valori e gli aspetti fondanti dell’essere umano si sovvertono, una condanna a morte che pende su tutti coloro che stanno sui due fronti del confine belligerante, attendendo solo di afferrarli.
Paul ci mostra il cameratismo tra soldati, cementato dalle esperienze comuni e dalla necessità di mantenere dei rapporti umani, continuamente reciso dalla morte, da ferite orribili che segneranno per sempre coloro che vengono allontanati dai combattimenti. La vita diventa un lusso che non ci si può più permettere, che si muoia o che si continui a vivere, portando con sé orrori di cui non si riuscirà mai a parlare, per cui non esistono parole adatte.
E perché? Per cosa? Il meccanismo della guerra prende tutti nell’ingranaggio e uscirne non è una prospettiva meno terribile dell’esserne schiacciato. Resta solo da capire chi riuscirà a vedere la fine di questa follia, sempre ammesso che qualcuno ci arrivi vivo.
Erich Maria Remarque pubblicò “Niente di nuovo sul fronte occidentale” nel 1929, dopo essere sopravvissuto ai combattimenti della Prima Guerra Mondiale (Paul è il suo vero secondo nome ed è palese fin dalle prime righe che il protagonista del romanzo racconta ciò che per l’autore è stata vita vissuta). Caratterizzato da uno stile crudo ma sincero, pieno di umanità, Remarque ha il pregio di aver raccontato la verità della vita del soldato tedesco nonostante la propaganda nazionalista, culminata con il rogo delle sue opere durante il regime nazista.
Un tema portante del romanzo è l’assurdità della guerra. Un soldato viene mandato al fronte per servire il proprio Paese, schierato contro il nemico straniero da sconfiggere. Fin qui, ordini e retorica. Quando, però, la guerra la si vive sulla pelle giorno per giorno, le parole cessano di avere una funzione pratica e pensieri scomodi si fanno largo, che lo si voglia o no, e chiedono di essere- pur confusamente- espressi.
Cosa significa “servire lo Stato”? Che differenza c’è tra il concetto di patria e quello di governo, che in fondo è formato da poche persone le quali reggono il destino di milioni di connazionali? Chi è il nemico straniero? E’ una specie di mostro da sconfiggere, un semplice bersaglio per il tiro a segno? Cosa accade nella mente di un soldato quando le circostanze lo portano a rendersi conto che il nemico ucciso è niente più che un uomo come lui, che a casa ha lasciato dei genitori, una famiglia, un lavoro e dei sogni?
Simili pensieri possono fare impazzire. Fanno odiare il momento in cui ci si è presentati per l’arruolamento, l’aver creduto alle parole di coloro che avrebbero dovuto prepararti alla vita adulta (insegnanti, genitori, politici) e ora sono a casa, a leggere gli orrori sui giornali lodando il coraggio di chi si gioca la pelle ogni minuto o criticando la loro vigliaccheria se non raggiungono gli obiettivi preposti.
Questo apre anche al conflitto generazionale, i giovani pronti a gettarsi a braccia aperte nel futuro che si vedono condannati al massacro per una guerra decisa dai padri e dai nonni, che non vedranno mai il fronte e continueranno a parlare della battaglia con fascinoso interesse o stagnante retorica belligerante. E’ la perdita delle illusioni, la definitiva morte di ogni sogno. Conta solo il presente, vivere un giorno ancora, mangiare quando e quanto puoi. I soli compagni sono i soldati della tua compagnia, che vedi morirti attorno senza poterci fare niente. Per non impazzire, tocca ricorrere a un umorismo macabro, a un annichilimento della sensibilità che può venire messo a dura prova in qualsiasi momento da un attacco di terrore oppure da qualche giorno di licenza, che spalanca una finestra su tutto ciò che non si possiede più né si riesce a sperare di tornare ad ottenere.
L’autore riesce a trattare argomenti spinosi, domande esistenziali di devastante profondità, con incredibile delicatezza. I protagonisti non si lasciano mai andare a concioni, non propinano al lettore il loro punto di vista belligerante oppure pacifista o, ancora, rivoluzionario nei confronti del regime corrente. Remarque ci offre molto più semplicemente per bocca loro tutta la confusa e triste consapevolezza dell’ingiustizia della condizione di questi ragazzi, mandati a morire quando ancora non avevano potuto imparare cosa significava vivere.
Questa è una lettura di cui non si dovrebbe fare a meno.

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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    20 Gennaio, 2013
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Contro ogni guerra

Questo romanzo mi è stato compagno fedele fin dalla gioventù ed è stato oggetto di più riletture al fine di non dimenticare il messaggio di pace che porta in modo addirittura sublime.
La guerra, questa bestialità dell’uomo, mai è stata descritta così bene come in questo testo di Erich Maria Remarque, alsaziano che l’ha vissuta direttamente sul fronte francese combattendo sotto le bandiere dell’impero tedesco.
Non c’è una riga di troppo, non si avverte mai la tentazione, in cui era pur così facile cadere, di invitare il lettore alle facili lacrime. Eppure la commozione prende mentre si scorrono le pagine, dense di episodi di una gioventù allevata con uno spirito nazionalistico che l’ha fatta aderire entusiasticamente a una guerra motivata dalla becera retorica della grandezza della patria e della legittima aspirazione di ampliarne i confini. Parole vuote riempiono le menti di questi giovani studenti, nascondendo non solo gli autentici fini di potere e di denaro di ogni guerra, ma anche la realtà della stessa.
Anni in cui si dovrebbero conoscere le gioie della vita sono così segnati dall’orrore della morte, dalla paura di ogni giorno, dal senso di colpa che ti prende quando ferisci a morte un nemico, se poi hai occasione di conoscerlo e di vedere in lui un povero disgraziato come te, numero in una macchina infernale che tutti divora, vinti e vincitori.
Si può solo resistere se si conserva, o addirittura si crea, un gruppo affiatato di amici con cui condividere questa pena di vivere.
La fornace della guerra, però, strapperà al protagonista, ad uno ad uno, gli affetti, rendendolo sempre più indifferente alla vita fino a quando anche lui verrà ucciso.
Il romanzo è senza ombra di dubbio un autentico capolavoro che dovrebbe costituire oggetto di studio nelle scuole di ogni nazione, con dignità pari a quella dei testi di grandi classici, e con il preciso scopo di non dimenticare che la pace è uno stato di grazia.
Dubito, però, che ciò sia possibile, perché gli interessi che muovono alla guerra sono gli stessi che presiedono alla vita di ognuno durante i periodi di relativa tregua.

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Cla93 Opinione inserita da Cla93    23 Marzo, 2012
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Un massacro

Un libro all’apparenza semplice, uno di quelli che ti fanno leggere alle scuole medie. Un libro che narra in prima persona la vicenda di un soldato tedesco e dei suoi compagni mandati al fronte. Una vicenda sicuramente drammatica, ma l’autore non si limita alla pura descrizione razionale dei fatti: la realtà viene filtrata dal protagonista, e le sue riflessioni vengono chiaramente riportate. Riflessioni sull’uomo, su questa bestia assetata di sangue; riflessioni sulla guerra, sul fatto che quest’ultima non serve a niente se non a disumanizzare i giovani ragazzi arruolati volontari sulla base di pure fandonie. Ragazzi che perdono e buttano al vento la propria giovinezza, che non sanno più vivere, che sanno solamente combattere e uccidere. La trasformazione da uomo a macchina assassina è descritta chiaramente.
Un libro crudo, diretto, senza troppi giri di parole. Un libro semplice e complicato al tempo stesso.
Un libro che fa riflettere su come l’uomo non sappia vivere senza ammazzare un proprio fratello.
È attraverso un libro del genere che l’autore cerca di farci immaginare – anche se per noi, per questa generazione è difficile farlo – la drammatica situazione mondiale del novecento e la drammatica concezione umana di questo secolo.

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