L'insostenibile leggerezza dell'essere Hot
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Infinito mostrarsi
Leggerezza e pesantezza, forza e debolezza, fedeltà e tradimento, anima e corpo, luce e buio, felicità e tristezza, forma e contenuto, flussi antitetici e complementari in una trama dai contenuti variegati e complessi. Un costrutto che attraversa il tempo, due coppie, unioni, intrecci , separazioni e una certezza:
..”l’ opposizione pesante-leggero e’ la più pesante e la più ambigua tra tutte”….
Praga, Tomas ama Teresa, Teresa ama Tomas, Franz ama Sabina, Sabina ha amato Franz, anni trascorsi nel cuore di digressioni socio-filosofico-esistenziali e dell’ invasione russa del 1968.
Che cosa concerne un certo modo di essere, che cosa induce a considerare l’ esistenza tinta di eterno ritorno, la pesantezza insostenibile e la leggerezza meravigliosa?
La vita è unica e come tale va vissuta, senza confronti ne’ rimpianti, ma vivere una volta soltanto è come non vivere affatto, il passato un’ essenza appiccicata addosso, un percorso non circolare che attraversa una linea retta.
Tomas è uno stimato chirurgo che sarà un lavavetri, un donnaiolo pervaso da un’ incompletezza sentimentale che ricerca la peculiarità femminile nella sessualità, il suo amore per Teresa è nato per caso, da una serie di coincidenze, un sentimento bello ma faticoso nel quale fingere, consolare, subirne le accuse, i sogni, sentirsi colpevole, giustificarsi, scusarsi, con la necessità di disamorarsi di una compassione che non ha e di cui lei lo ha riempito.
Tereza vive i tormenti di un amore sofferto, negato, assoluto, con la continua paura di perderlo, uno stato di debolezza e di rassegnata consapevolezza di essere una delle tante donne di Tomas, ricercando la propria anima in uno specchio che le riflette il corpo materno, il destino di
figlia in una colpa che non potrà mai espiare.
Franz è un professore universitario sposato e sicuro di se’, l’ amore per Sabina lo ha reso debole, vulnerabile, sottraendolo alla sua forza, rendendolo un seduttore impenitente che ha smarrito la voglia di lottare per riconquistare l’ amore.
Sabina è una pittrice innamorata dell’ intelligenza, della bellezza, della bontà di Franz, lui è tutto ciò che desidera e proprio per questo vuole distruggerlo, i due più si avvicinano e più desiderano essere lontani.
Quale comparazione tra leggerezza e pesantezza, Sabina sospinta dalla insostenibile leggerezza dell’ essere, Tereza da una pesantezza che vorrebbe scacciare per rifugiarsi con la propria anima in compagnia di Tomas.
Quante parole rincorse e ricoperte di significati, equivoche, divisive, definenti, diverse, figlie del proprio passato, ciascuno a suo modo ricerca l’ amore, la comprensione dell’ altro, la propria soddisfazione, un amore che
…” non è che il desiderio della parte perduta di noi”….
e che
…” non si manifesta con il desiderio di fare l’ amore ( desiderio che si applica a una quantità infinita di donne ) ma col desiderio di dormire insieme ( desiderio che si applica a un’ unica donna )”….
Kundera colloca i propri personaggi in un’ area di neutralità per svelarne i contenuti più intimi, li inquadra, li scruta, li analizza, elevandoli a simbolo di sentimenti incompleti e complessi che concernono un reale e un immaginario collocati in una prospettiva più grande.
Franz rientra nei sognatori, in coloro che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti, Tomas e Tereza hanno un continuo bisogno di stare sotto gli occhi della persona amata.
Il romanzo non è una semplice confessione dell’ autore ma un’ esplorazione lieve e profonda di ciò che la vita umana è e della trappola che il mondo è diventato, di certo l’ esperienza dolorosa dei protagonisti e di cio’ che rappresentano genera contrapposizioni, fusioni, incertezze, evasioni, fughe, ritorni, rimpianti, analisi e autoanalisi non definente ne’ definitiva in una Praga assediata.
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Un'eterna nostalgia del presente
L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera è stato per me un libro (non senza vergogna) di cui ho sempre saputo l’esistenza e poco altro. Un po’ come il filetto alla Wellington. Esiste, ma esattamente cos’è? E se ora questo filetto dal sapore anglosassone continua a rimanermi un mistero, Kundera invece ha iniziato a svelarsi e non potevo farmi regalo più grande.
Ambientato alla fine degli anni sessanta - tra la Primavera praghese e la successiva invasione sovietica - il romanzo, attraverso le ossessioni e fragilità dei suoi protagonisti (Tomáš, Tereza, Franz, Sabina), si propone di dipingere un perfetto quadro di quella che è la più misteriosa e ambigua di tutte le opposizioni umane: l’opposizione pesante-leggero.
«Davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza è meravigliosa?»
È infatti questo l’eterno dilemma che pagina dopo pagina si insinua all’interno della mente del quartetto amoroso, generatosi da una parte per via di sei ridicole coincidenze (Tomáš-Tereza) e dall’altra a causa di quell’inevitabile attrazione che sgorga fra due vocabolari opposti (Franz-Sabina).
In poco più di 300 pagine si ha la possibilità di cogliere il vero andamento della vita umana, nonché del suo tempo. Un tempo che non ruota in cerchio, ma avanza veloce in linea retta; d’altronde «è per questo che l’uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione».
Ed ecco allora che conclusa la lettura una nuova amara consapevolezza («Es muss sein») batte nelle tempie sempre più chiara: leggerezza e pesantezza son destinate a fondersi in un’eterna nostalgia del presente e, alla fine, tutto quello che si sceglie e apprezza come leggero non può far altro che rivelare - prima o poi - il suo peso insostenibile.
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Meraviglioso e affascinante
Ci sono libri che non si dimenticano e storie che leggere una volta non è sufficiente. Ci sono personaggi che sanno conquistare e scrittori che sanno incantare. Pagine che ti restano dentro e parole manovrate con arte e misurate con precisione, per trasformare ogni lettore in spettatore. Kundera è così: meraviglioso e affascinante. Regista di un opera teatrale che va in scena solo per noi, architetto di un mondo che nasce sulla carta e si trasforma sotto i nostri occhi in realtà quotidiana. Il titolo è un ossimoro che cattura immediatamente l’attenzione e riassume attraverso una scrittura impeccabile il mistero che si nasconde nello scontro tra pesantezza e leggerezza. A rendere indimenticabile questo libro sono gli spunti di riflessione disseminati e celati tra le righe per lasciare a noi lettori il piacere di scoprirli e farli nostri: la difficoltà di guardarsi dentro e l’impossibilità di sapere quale sia la scelta migliore; il rifiuto dell’amore e il bisogno di essere amati; l’eterna lotta tra anima e corpo, e lo scontro inevitabile tra casualità e necessità. Impossibile stabilire se si tratti di un romanzo, di un saggio storico o di un trattato filosofico; difficile riassumere la trama: un incontro casuale di vite che involontariamente intrecciano le loro strade. Non ci sono personaggi principali e secondari, a ciascuno viene dedicato spazio e tempo perché ognuno di essi è portavoce di un messaggio: Tereza, con le sue incertezze è li per ricordarci che l’amore spesso si porta dietro la paura di soffrire e di perdere qualcuno. Tomas alla continua ricerca di relazioni effimere nasconde dietro una maschera di sicurezza l’angoscia di un legame durevole. Sabina e il suo bisogno di tradire ci insegnano come la leggerezza possa portare il suo peso insostenibile. Uomini e donne simili a noi, specchio delle nostre passioni, resi forti dalle loro debolezze. Vite incomplete che nelle parole di Kundera trovano la loro perfezione e il loro esatto compimento. A manovrare i fili della loro esistenza c’è l’amore incondizionato, interpretato e rivisitato nell'ottica TELEPATIA di sentimenti. Infedeltà e gelosie, fragilità e paure, vanno in scena per noi e ci insegnano che quel fardello che opprime la nostra anima e a volte fa sanguinare i nostri cuori è condizione necessaria per vivere in maniera autentica. Attraverso queste vite che scorrono sulla carta impariamo che amare significa anche rinunciare alla forza e mostrare ogni debolezza, concedendosi agli altri senza pretendere nulla in cambio.
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Il romanzo delle dicotomie
Il mio primo Kundera, nella sua forse più famosa fatica letteraria. Delizioso. Se ne coglie penso il suo reale significato se lo si approccia più come saggio filosofico che come romanzo propriamente detto. Sono le dicotomie esistenziali il filo conduttore della narrazione: quella fra leggero e pesante, fra libertà e coercizione, non solo in senso affettivo (la spinta ossessiva ed irrefrenabile, ancorché inappagata, verso la libertà dell'innamoramento ed il desiderio del controllo di se stessi e dell'altro) ma anche storico (le pagine sulla primavera di Praga e la successiva invasione sovietica). I protagonisti nonché interpreti paradigmatici di queste lotte dicotomiche sono Tomas, moderno e decadente ricercatore della felicità effimera, traditore seriale ma incapace di staccarsi dalla sua compagna, che raggiunge a Praga da Zurigo anche a costo di recarsi oltre cortina. Tereza appunto, donna con un'infanzia molto triste che si getta anima e corpo in un amore idealizzato con Tomas per compensare l'assenza di amore della madre, lacerata dai tradimenti di Tomas ed illusa di poterlo cambiare e controllare. Sabina, amante storica di Tomas, pittrice controcorrente e anticonformista, nei sentimenti come nella vita, che fugge da tutto e da tutti e che vuole fare della propria vita un'opera d'arte. Franz, uomo opposto rispetto sia a Tomas che a Sabina, con cui ha un flirt, quanto ad approccio alla vita e alle relazioni. Coraggioso, idealista, capace a differenza di altri di assumersi le proprie responsabilità ed andare fino in fondo rispetto alle proprie scelte di vita. E' un romanzo in grado di commuovere e far riflettere sul senso dell'esistenza e dei rapporti d'amore.
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L'insostenibile distacco dell'essere
L'insostenibile leggerezza dell'essere è un romanzo culto che segue le vite e le vicende amorose di quattro intellettuali cechi: Tomas, un chirurgo di successo che timorosamente cerca di ribellarsi al regime comunista, esitando, ritrattando, ma alla fine riuscendoci; Tereza, la sua compagna (fotografa per caso e profondamente traumatizzata dall'ideale comunista in cui purtroppo è cresciuta); Sabine (una pittrice intelligente e irrequieta) e Franz, un modesto professore universitario.
Le loro vite si intrecceranno in un quartetto amoroso vissuto con insieme tormento e distacco, e fa da sfondo la rivoluzione comunista in Repubblica ceca.
La trama è molto intrigante, l'introduzione è geniale (leggetela), il libro parte in quarta dipingendo personaggi complessi, quasi veri. Anzi, sono sicura che Kundera si deve essere ispirato a suoi intimi amici per dipingere i protagonisti.
Molto raffinato nello stile, descrive scene erotiche senza cadere nel volgare.
Eppure.
Quel finale.
Quando dissi a un mio conoscente, anche lui scrittore, che ero a metà de L'insostenibile leggerezza dell'essere, lui mi disse "Lo ricordo bene, avevo voglia di saltare molti capitoli verso la fine".
Infatti il finale è prolisso, ci sono molte pagine che possono essere saltate, non contengono nulla se non digressioni filosofiche belle ma pedanti.
Inoltre, non a caso ho scritto che le vite dei personaggi si alterneranno in un "quartetto amoroso vissuto con insieme tormento e distacco". Perchè non si parla di leggerezza qui, ma di un fenomeno psicologico più complesso che è quello del distacco emotivo. Tomas mi sembra estremamente cinico e freddo nel frequentarsi con le sue amanti. Sabine, seppur irrequieta, non esprime mai le sue più interne emozioni, e neanche gli altri: non Tereza, tradita eppure sempre in negazione dal dolore che Tomas le procura, nè Franz, che lascia che sua moglie scivoli via dalla sua vita, osservando in silenzio.
Signori miei, qui non si vivono i tradimenti con leggerezza: qui c'è distacco, cinismo, apatia: è ben diverso.
Quindi, se volete leggervi una digressione su L'insostenibile distacco dell'essere, leggete Kundera.
Ps. Il libro contiene anche citazioni bellissime e rivelatrici. Ve ne lascio una:
"Le missioni di vita sono una stupidaggine, Tereza. Io non ho una missione. Nessuno ce l'ha... E ti senti terribilmente libero quando realizzi di essere libero, libero da ogni missione"
Mi è piaciuta.
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Un Latin Lover senza remore nella Praga occupata
Come cantava Venditti in una sua famosa canzone degli anni 80: "non leggi neanche Milan Kundera".....
e no mio caro Antonello, me lo sono letto Kundera e posso dirti che sicuramente è molto meglio la tua canzone......
Sarà la voglia dell'autore di descrivere i particolari sessuali dei protagonisti e soprattutto l'infinita miriade di conquiste del protagonista principale, il Brad Pitt dei medici di Praga, descritto come un conquistatore senza freni e inibizioni.....praticamente mezzo libro si concentra sulle avventure del buon Tomas e l'altro mezzo vuole fare una filippica tediosa e infinita contro i sistemi socialisti e le disavventure a finire sotto quei cattivoni dei Russi.
Bastano queste cose per rendere questo romanzo un pappone di proporzioni cosmiche, che ucciderebbe pure la pazienza di un monaco Tibetano alle prese con lo sciopero della fame e della sete.
Poi una cosa assolutamente insopportabile e questa latente misoginia che sembra pervadere l'opera dall'inizio alla fine, con la donna come essere che deve tollerare le scappatelle del proprio maschio e anzi dove proprio porsi domande oppure ribellarsi. Insomma miei cari siamo quasi alle pagine rosa dei volumi che si trovavano in edicola, quando ancora io andavo a scuola con le Timberland.
E poi vi raccomando il finale, che non vi racconto perchè non mi pare giusto che io solo debba essermi sorbito tutta questa insostenibile leggerezza dell'essere che paventa l'autore.....un concetto quello di "leggerezza" che l'autore forse non aveva ben in mente mentre si apprestava a scrivere delle avventure/disavventure sessuali del suo amato chirurgo.......
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Un'opera completa
Classico contemporaneo del quale è già stato detto tutto, una lacuna colmata con troppi anni di ritardo ahimè (e ringrazio chi ha contribuito a farmelo leggere). Uno di quei libri da "leggere assolutamente almeno una volta nella vita". Un saggio-romanzo (oppure il contrario forse?) che sonda la profondità dell’animo umano attraverso continui approfondimenti filosofici, ma che allo stesso tempo spazia anche su tanti altri temi come la politica (la denuncia dell'occupazione sovietica nel 1968, durante la Primavera di Praga), religione, amore.
“Che cosa dobbiamo scegliere la leggerezza o la pesantezza?” E’ quello che si chiede Kundera fin dalle prime pagine, l’eterno dilemma, e questa dicotomia attraversa le pagine di quest'opera che ci fa capire quanto l’uomo ambisca ad una vita piena, realizzata, emozionante, anche se in concreto tali aspirazioni possono configurarsi in tutta la loro "pesantezza" e gravità. Sull’altro piatto della bilancia abbiamo invece il concetto di "leggerezza" che può anche diventare insostenibile, indesiderabile (come nel caso di Sabina, una delle co-protagoniste dell’opera). La stessa vita tra l’altro può definirsi leggera ed effimera, un’opportunità che svanisce velocemente (“la storia è leggera al pari delle singole vite umane, insostenibilmente leggera, leggera come una piuma, come la polvere che turbina nell’aria, come qualcosa che domani non ci sarà più”). Per Kundera infatti “Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. E’ per questo che l’uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione”. L'uomo è perenemmente alla ricerca di quegli elementi di rottura in grado di rendere la sua vita unica e indimenticabile, ma come riuscire a cogliere le sollecitazioni della vita? Come distinguere il banale da ciò che non lo è ? Per Kundera la spiegazione sta in qualche modo nella casualità perchè "Soltanto il caso può apparirci come un messaggio. Ciò che avviene per necessità, ciò che è atteso, che si ripete ogni giorno, tutto ciò è muto".
Un libro che allo stesso tempo credo possa definirsi un'opera enciclopedica per la portata di concetti che contiene. Al di sopra di tutto e di tutti Kundera ci appare come il narratore onniscente che racconta la vita attraverso i suoi personaggi, ed allo stesso tempo svela il legame personale con la sua opera in quanto "I personaggi del mio romanzo sono le mie proprie possibilità che non si sono realizzate. Per questo voglio bene a tutti allo stesso modo e tutti allo stesso modo mi spaventano: ciascuno di essi ha superato un confine che io ho solo aggirato".
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INDIMENTICABILE
Questa è una recensione molto tardiva di un libro letto questo autunno, lasciato sul comodino, di cui ho letto e riletto più volte i passaggi che mi hanno colpita maggiormente. È uno dei libri, come dice qualcuno, della vita: uno di quelli che non devono mancare nel nostro bagaglio di letture.
Sono stata attirata dalla copertina, color carta da zucchero, e soprattutto perché era da tempo che avrei voluto leggerlo.
Non è per tutti: è necessario avere una certa maturità di letture e di esperienze di vita per poterlo capire fino in fondo ed apprezzarne la grandezza e la profondità.
Ogni sua parte è densa di delicatezza, di lirismo, alternati ad una trama sapientemente intrecciata da una parte e dall’altra della composizione.
Il romanzo si ambienta tra Praga e Zurigo, i personaggi principali sono Tomaš, un medico, la moglie Tereza e Sabina, l’amante “storica” di Tomaš, la femme fatale di tutta la storia.
È un libro composito e complesso, perché oltre ad una trama, abbastanza lineare, ci sono profondità di riflessione dei vari personaggi, le loro manie, i loro conflitti psicologici, riflessioni sulla vita, sulla libertà di parola, sull’importanza di avere una propria integra dignità.
Dolcissima e tenera l’immagine di Tereza che si presenta a casa di Tomaš, dopo essersi visti una volta sola, e viene paragonata ad un neonato inerme abbandonato dentro ad una cesta in balia della corrente di un fiume. Lei amerà Tomaš e soffrirà per i suoi continui tradimenti; lui amerà Tereza, sentirà per lei un amore profondo, indissolubile, si sentirà responsabile della propria felicità al punto da rinunciare anche ad un prestigioso posto di lavoro, ma...l’attrazione per le belle donne è più forte.
D’altronde:
“Fare l’amore con una donna e dormire con una donna sono due passioni non solo diverse, ma quasi opposte. L’amore non si manifesta con il desiderio di fare l’amore (...) ma col desiderio di dormire insieme”, l’autore sostiene infatti che
“Legare l’amore al sesso è stata una delle trovate più bizzarre del Creatore”
Prima di Tereza, Tomaš non aveva mai dormito con una donna e né lo farà dopo il matrimonio. Non ha neppure mai dormito con Sabina, che nel romanzo è l’unica che raggiunge l’insostenibile leggerezza dell’essere. Una volta perso il papà, che rappresentava la convenzione da trasgredire, una volta che Praga è stata invasa dai comunisti, trovandosi anche senza patria, Sabina non ha nessun ideale, nessuna persona da tradire.
Per essere pesanti, tra le altre cose, è necessaria la compassione: il nostro dolore non è mai più pesante di quello che proviamo insieme ad un altro, verso un altro, al posto di un altro, dice Kundera. Quindi Sabina, ormai sola, una volta che l’ultima sua tresca amorosa è stata rivelata alla rivale, è veramente leggerissima, senza nessun peso, senza radici che la tengano ancorata in un determinato posto, senza il peso della compassione, senza il peso della vita.
Interessantissima la riflessione sull’unicità della nostra vita
“ Non esiste alcun modo di stabilire quale decisione sia la migliore, perché non esiste alcun termine di paragone. L’uomo vive ogni cosa subito, per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore che entra in scena senza avere mai provato. Ma che valore può avere la vita se la prima prova è già la vita stessa? Per questo la vita somiglia sempre ad uno schizzo. Ma nemmeno “schizzo” è la parola giusta, perché uno schizzo è sempre un abbozzo di qualcosa, la preparazione di un quadro, mentre lo schizzo che è la nostra vita è uno schizzo di nulla, un abbozzo senza quadro”.
È un concetto ribadito più volte all’interno dell’opera. Il lirismo dell’opera consiste non soltanto nelle immagini, ma anche nella ripetizione di alcuni concetti e di alcune immagini, che ricordano un po’ le abitudini degli antichi cantori, gli aedi. Vi invito a leggere con attenzione le pagine in cui Kundera parla della magia delle coincidenze, dell’amore e della fedeltà del cane verso il padrone, dell’amore paragonato ad una composizione musicale a due che, a seconda del grado di maturità di ciascuno, delle sue esperienze, avrà diversi risultati. Vi invito a soffermarvi sulle pagine dedicate alla bombetta di Sabina...qualcuno di voi avrà visto il film, qualcun altro come me, non l’avrà visto e sarà stato più fortunato, perché non è tanto la storia quella che ti segna, ma lo stile, la bravura di Kundera. In fondo la trama non è particolarmente dinamica e sconvolgente, ma lo sono le riflessioni, il modo unico, e sottolineo, unico, di questo autore di imprimere in noi certe sensazioni.
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Non è voluminoso, ma si gusta a sorsi.
Io individuo nell'infinità dell'anima
Classe 1982, pubblicato per la prima volta in Francia nel 1984 e in Repubblica Ceca soltanto 17 anni dopo, “L’insostenibile leggerezza dell’essere” è un elaborato polifonico ambientato nella primavera di Praga e in quel periodo storico precedente all’imminente invasione sovietica. È un testo ricco di spunti di riflessione che si pone come precursore di una nuova interpretazione del romanzo psicologico e che, di conseguenza, si propone altresì quale primo tentativo di superamento dello stesso. Il primo elemento a riprova di detto assunto è il fatto che Kundera non utilizzi le caratteristiche interiori dei personaggi per psicanalizzarli e rispondere esclusivamente alla domanda del “dove comincia e dove finisce l’io” (propria di questo filone narrativo negli anni del Novecento), quanto, al contrario, per soppesare pure tutte quelle questioni che solo in apparenza fanno da contorno. Lo stesso proverbio tedesco “Einmal ist Keinmal” sottolinea come le scelte compiute durante nell’arco di una vita siano irrilevanti se paragonate con la vita stessa. Appaiono pertanto leggere rispetto a quel cercare significati, paradossalmente insostenibili, e dunque pesanti. Privilegiando dunque l’identità dell’io rispetto all’infinito dell’anima, vengono scinte le prospettive, le riflessioni, le analisi che capitolo dopo capitolo si dipanano in quella dualità data dal trinomio anima-corpo-leggerezza dell’esistenza.
Tutto ciò avviene mediante una trama che ha quale protagonista risvolti politici, geografici e storici nonché deviazioni, amore, errori, tradimenti e anche mancate corrispondenze. A dar voce a detta stratificata narrazione ambientata nella realtà dell’Europa dell’Est degli anni ’60 abbiamo i protagonisti Tereza e Tomáš ma anche Franz e Marie-Claude, Sabine e tutte le donne amanti, gli uomini spia, gli animali da affezione che si susseguono battuta dopo battuta.
Così, il lettore si trova letteralmente catapultato in mix di microcosmi individuali amplificati dalla pluricosmicità dei macrocosmi e quindi in una serie di rapporti umani che sono inevitabilmente intrecciati e condizionati dalle censure, dal potere, dal regime dittatoriale che la società impone. Ogni individuo è un modello, il suo io è emblema di un comportamento, di uno schema politico, di una concezione dell’esistenza e di quella leggerezza che cela la pesantezza e di quella pesantezza che sembra voler essere obliata dalla leggerezza.
Il sesso, ancora, in ogni veste e forma assunta, dal goduto al nascosto, al mancato, all’ignorato, è il mezzo con cui si realizza il potere perché si tramuta in espressione dell’individualità, dell’anima, della libertà, della dignità, del rispetto.
Di contro alle critiche al comunismo e all’evidenziazione del come diffidenza e paura siano condicio sine qua non alla base della sua pianificazione e impostazione, veramente interessanti, e ottimo spunto di riflessione, sono le pagine dedicate alla libertà individuale del popolo, del pensiero, della fede politica, dell’estetismo, dell’affettività, della completezza e incompletezza dell’essere.
Dal punto di vista stilistico lo scrittore è geniale nell’interpretare il ruolo del perfetto burattinaio e nel descrivere, ricomponendo come un puzzle le voci che magistralmente si alternano, quella ricerca propria di ogni suo primo attore. Quasi come se fosse una ballata, quasi come se ogni periodo fosse intercorso da un andamento musicale perfettamente cadenzato, ogni voce oscilla tra leggerezza e pesantezza, dimostrando una fervida attrazione verso quella voragine, quel baratro che è l’autodistruzione, il venir meno di quella vita di per sì così in bilico e così priva di equilibri e certezze. Nemico sempre più accorto, tangibile e inarrestabile di questa pesantezza è il kitsch che mira ad eliminare tutto quel che nell’esistenza è inammissibile privilegiando soltanto l’estetismo e non l’eticità e dunque arrivando ad escludere quale possibile soluzione sia la realtà occidentale che orientale, sia cioè l’universo americano che quello sovietico. La penna del romanziere, scorre rapida tra le mani dell’avido conoscitore, che tra metafore, filosofeggiare, meditare e erudizione narrativa, si sente complice di quelle vicende che sente a sé vicine e proprie, grazie a quell’uso forse non poetico ma efficace, del termine scurrile.
Ma quindi, cosa significa vivere nella pesantezza? Cosa significa vivere nella leggerezza? Quale tra le due è la retta via da intraprendere? Come scegliere di vivere nella pesantezza se ciò significa sottostare al Kitsh mentre opporsi a questo significa abbracciare quella insostenibile leggerezza dell’essere? Che non ci sia soluzione? Che non ci sia felicità per l’uomo? Che l’uomo non possa essere felice? Che l’uomo non sia il padrone di alcunché a differenza di quel che crede? Che i valori siano divenuti talmente esigui e labili da far sì che il mondo sia diventato talmente tanto leggero che a nulla vale far rivalere i propri ideali e la propria moralità? Che non vi sia altra possibilità innanzi a questo forte richiamo della meditazione? Perché l’equilibrio non è naturale, è un qualcosa che deve essere autoimposto e tutto è devoluto solo alla responsabilità di chi decide di vivere e nel come decide di vivere. Quanto davvero vanità e forza si sfiorano, uniscono e separano? Quanto nella quotidianità dell’esistenza la scelta rappresenta l’equilibrio tra passione e ragione? Come si può, ancora, affermare l’assolutezza di un equilibrio quando un equilibrio permanente non esiste perché tutto è sempre in discussione tanto che ogni atto deve sempre indossare un nuovo volto, una nuova maschera? E perché, nonostante tutto, si persiste a credere, sperare, gioire, lottare, amare e soffrire? Quanto la libertà è davvero possibilità di scelta?
Questo e molto altro è “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, uno scritto che resta dentro a chi lo legge per ogni suo aspetto controverso e meditativo e che richiede tempo anche per una sua pur provvisoria recensione, basti pensare che la sottoscritta ci ha messo soltanto dieci mesi ad arrivare ad una prima valutazione e che confessa essere ancora nel dubbio non avendo ancora totalmente chiare le idee sulla totalità del suo contenuto.
«Ma questa volta non era riuscito a padroneggiarsi quando, nel bel mezzo della notte, aveva ripreso tutt’a un tratto piena coscienza. Chissà da quali stanze tornava! Chissà con quali fantasmi aveva lottato! Quando aveva visto che era a casa e aveva riconosciuto le persone a lui più vicine, non aveva resistito al desiderio di condividere con loro la sua terribile gioia, la gioia del ritorno e della rinascita» p. 306
«L’amore tra l’uomo e il cane è idilliaco. In esso non ci sono né conflitti né scene strazianti, in esso non c’è evoluzione. Karenin circondava Tereza e Tomas con la propria vita fondata sulla ripetizione e si attendeva da loro la stessa cosa» p. 320
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Unico nel suo stile
Non prediligo i romanzi riguardanti la guerra, o che comunque abbiano anche un vago sfondo di conflitto, povertà e miseria. E questo non perché sono posh, ma credo che questa mia selezione derivi da un capriccio: i romanzi di guerra sono ovviamente tristi, perché penso alle morti reali che la guerra ha comportato e comporta. Il punto è che per me un romanzo non può iniziare con l'essere ovviamente triste o ovviamente felice, per il semplice fatto che non cerco un "ovviamente" in un romanzo. Insomma, deve sorprendermi.
"L'insostenibile leggerezza dell'essere" è stata l'eccezione che ha permesso di discostarmi da quel mio assurdo capriccio.
Insomma, la guerra in Boemia è diventata un palco sul quale i personaggi (sono almeno tre quelli importanti) si muovono, agiscono, pensano, cercano il loro posto nel mondo per evadere e stare meglio, com'è naturale per l'uomo. Tuttavia dal "Kitsch" non si scappa, nemmeno se Sabina parte per l'America e Tomas e Tereza vanno a vivere in campagna, perché la guerra e il Kitsch, una volta conosciuti, ti segnano a vita.
La questione però non è tragica come sembra, perché c'è amore nel romanzo, c'è soprattutto voglia di vivere ed esprimersi, c'è il tentativo di cambiare le cose, c'è la voglia da parte dei personaggi di pace (dai demoni della guerra certo, ma anche quelli che hanno dentro) e felicità. E poi c'è l'autore, fantastico, un po' disilluso, che si ostina a seguire le loro storie, inseguendo un senso, fornendo spiegazioni sul peso delle scelte dei personaggi e le loro altrettanto pesanti emozioni.
E' proprio il pensiero dichiarato dell'autore la chiave della svolta che mi ha permesso di andare avanti nelle pagine, fino alla fine. Tra tutti i personaggi è lui il mio preferito se possibile, per la sincerità della scrittura, è riuscito a raggiungermi molto più degli altri, e tutt'ora sono in bilico sul sospetto che sia stata questa l'intenzione di Kundera.
Lo stile è difficile per me da definire, direi comprensibile in primis, ma guai a saltare accidentalmente una proposizione, nel giro di pochi secondi si rischia di non capirci niente e occorre riprendere dall'esatto punto in cui la concentrazione aveva lasciato a piedi la lettura. Per me, quest'ultimo è un gran bel complimento sullo stile, in quanto significa che i concetti, anche se ripresi più volte all'interno del romanzo, non sono mai ripetitivi, ma ogni volta viene aggiunto qualcosa di nuovo che permette di vederci chiaro.
La trama è stata apprezzata per quanto mi riguarda, non certo amata alla follia, ma lo posso accettare alla luce del fatto che i personaggi sono caratterizzati tanto da essere memorabili: i sogni di Tereza fondati sulla realtà, Sabina e la sua dimensione artistica "influenzata", Tomas e il sesso con tante donne. Tutti sono speciali a loro modo, indipendentemente dal corso degli eventi. E anche questo è un complimento, se vogliamo.
Questo era il primo romanzo di Kundera che ho letto, devo assolutamente selezionarne un altro per inquadrare lo stile che mi è piaciuto molto, e avere delle conferme. Cosa consigliate
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UN INTRIGANTE ROMANZO POLIFONICO
“L’insostenibile leggerezza dell’essere”, uno dei maggiori casi letterari degli anni ottanta del secolo scorso, si propone come un ambizioso tentativo di superamento del cosiddetto romanzo psicologico. Fin dalle prime pagine, lo scrittore boemo non nasconde che i suoi personaggi “non nascono da un corpo materno, bensì da una situazione, da una frase, da una metafora contenente come in un guscio una possibilità umana fondamentale”, ed in questa considerazione, in apparenza secondaria, sono contenuti secondo me i principi fondamentali dell’arte kunderiana. La rivendicazione della natura fittizia dei personaggi significa soprattutto questo: che a Kundera non interessa scandagliare la loro vita interiore (in più di un’occasione, egli mostra addirittura di non essere a parte di tutti i meccanismi psicologici che li muovono), bensì servirsi di essi per rispondere ad altre domande che non quella classica su cui si impernia tutto il romanzo psicologico del Novecento, “dove comincia e dove finisce l’io?”. Ciò non vuol dire che Kundera intende privare i suoi personaggi di una vita interiore, ma solo che di fronte al problema dell’insondabile infinito dell’anima e a quello dell’incertezza dell’identità dell’io, egli sceglie di privilegiare il secondo. Si legga ad esempio il quarto capitolo, nel corso del quale Tereza si ferma davanti a uno specchio e inizia una lunga serie di riflessioni: se il suo naso le si allungasse di un millimetro al giorno, dopo quanti giorni il suo viso sarebbe diventato diverso? E se le varie parti del suo corpo avessero cominciato a ingrossare e a rimpicciolire in modo da togliere ogni somiglianza con la figura che ora ha di fronte, sarebbe stata ancora lei? E se, nonostante tutto, la sua anima, dentro, sarebbe sempre la stessa, allora che rapporto c’è tra lei e il suo corpo? Il suo corpo ha diritto al nome “Tereza”? E se non ne ha diritto, a che cosa si riferisce quel nome? Solo a qualcosa di incorporeo, di intangibile? Queste domande esprimono una problematica fondamentale per Tereza, vale a dire il dissidio tra l’anima e il corpo, il cui tema ritorna ossessivamente nelle pagine che la riguardano. Per Tomas, l’altro protagonista, il problema essenziale è invece quello della leggerezza dell’esistenza in un mondo in cui non c’è eterno ritorno. “La vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna – afferma Kundera all’inizio del romanzo – è simile a un’ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza e, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla… (C’è una) profonda perversione morale… in un mondo fondato essenzialmente sull’inesistenza del ritorno, perché in un mondo simile tutto è già perdonato e quindi tutto è cinicamente permesso”.
Dualità anima – corpo e leggerezza dell’esistenza sono due tra i tanti motivi che percorrono il romanzo e che costituiscono i concetti-chiave mediante i quali i suoi personaggi si relazionano al mondo. Con questo sistema, Kundera si sforza di definire per ogni personaggio il suo codice esistenziale: non attraverso l’esame della sua vita interiore, ma andando in fondo alla sua problematica esistenziale, questo è il modo non-psicologico di Kundera di cogliere l’io. Appare perciò in tutta evidenza la lontananza dell’”Insostenibile leggerezza dell’essere” sia dal romanzo ottocentesco sia da quello del secolo scorso. Le motivazioni psicologiche, l’aspetto fisico ed il passato dei personaggi, cioè gli elementi imprescindibili attorno ai quali ruotavano i romanzi tradizionali, sono qui presi in considerazione solo nei limiti in cui essi costituiscono i temi fondamentali delle loro vite: così, ad esempio, mentre nulla ci viene detto dell’aspetto di Tomas, l’autore si sofferma a descrivere con cura i seni di Tereza, perché la problematica del corpo, come ho fatto notare più sopra, rappresenta uno dei motivi di cui Tereza è formata; per fare un secondo esempio, il passato di Tomas e di Franz rimane oscuro, mentre di quello di Tereza e di Sabina viene detto parecchio, per il motivo che la situazione familiare da cui Tereza proviene è basilare per capire a fondo le sue parole-chiave, come la vertigine o la debolezza (“a volte ho l’impressione che la sua vita non sia stata che un prolungamento della vita della madre, un po’ come la corsa di una palla sul biliardo è il prolungamento del movimento del braccio del giocatore”), allo stesso modo in cui le esperienze giovanili di Sabina a diretto contatto con il brutale e violento conformismo del mondo comunista spiegano la sua originalità ed il suo bisogno disperato di intimità. Gli stessi avvenimenti storici che punteggiano il romanzo (il ’68 cecoslovacco, l’invasione del paese da parte dell’esercito russo, la forzata normalizzazione degli anni seguenti) interessano Kundera solo in quanto sono potenzialmente adatti a creare per i personaggi situazioni esistenziali rivelatrici. In questo senso, la situazione storica non è più uno sfondo sul quale si svolgono le situazioni umane, ma è essa stessa una situazione umana (come quando l’umiliazione di Dubcek che boccheggia e balbetta nel suo discorso alla nazione si trasforma nella debolezza di Tereza nei confronti dei tradimenti di Tomas).
Siamo in grado a questo punto di affrontare un aspetto fondamentale dell’arte kunderiana, la filosofia. A molti lettori Kundera pare eccessivamente didascalico e pedagogico, con quella sua smania di sillogizzare in continuazione su tutto ciò che narra. Anche se non sempre gli riesce di sfuggire ai rischi della pedanteria e della banalità, il Kundera-filosofo non è per nulla inferiore al Kundera-narratore, soprattutto alla luce di una importante considerazione: le riflessioni filosofiche o pseudo-filosofiche del romanzo (come quelle sull’eterno ritorno già citate in precedenza e quelle sul kitsch che costituiscono l’ossatura del bellissimo sesto capitolo) non sono affatto delle colte ma sostanzialmente inutili digressioni con le quali l’autore, interrompendo il naturale flusso della narrazione, si propone narcisisticamente di esibire la propria abilità dialettica, ma sono un’ideale cornice che permette di decifrare meglio il codice esistenziale dei personaggi.
Tanti altri motivi stilistici percorrono “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, dall’abbondanza di simbolismi e di riferimenti onirici (che talvolta, come nel sogno dell’esecuzione sulla collina di Petrin, richiamano le pagine di alcuni racconti kafkiani) all’andamento musicale del romanzo (ad esempio, all’atmosfera brutale e concitata del sesto capitolo, contraddistinto da un fortissimo e prestissimo, fa seguito l’atmosfera calma e malinconica del settimo capitolo, caratterizzato da un pianissimo e adagio). La caratteristica che salta in maniera più evidente agli occhi è però la sua polifonia: nel romanzo vi sono quattro personaggi principali e Kundera sceglie di seguirli separatamente, singolarmente, in modo che nel capitolo dedicato a uno di essi si possano conoscere solo i pensieri e le emozioni di questi e non degli altri. Questo modo di procedere, anche se dà un’impressione di apparente frammentarietà, consente in realtà allo scrittore di mantenere un notevole distacco critico e di evidenziare, sfuggendo a qualsiasi rigidità tematica, la profonda diversità dei protagonisti, che neppure il fragile minimo comun denominatore del sesso riesce a superare. Credo anzi che proprio nella reciproca diversità risiede la loro esemplarità, la loro capacità di stagliarsi con straordinaria concretezza e vividezza nella nostra mente. Vediamoli in rapidissima successione. Tomas è un chirurgo famoso e dongiovanni, il quale, continuamente oppresso da un senso di impotente incertezza di fronte alle angosciose alternative della vita, viene spinto ad agire (o a non agire) volta a volta dal fatalismo, dalla compassione e dai rimorsi piuttosto che dalle proprie convinzioni morali; Tereza, la sua compagna, è dal canto suo una ragazza che, fuggita dallo squallido e volgare mondo della sua infanzia, mobilita tutte le proprie forze per fare del suo amore per Tomas un qualcosa di sublime, in grado di smentire la degradante dualità di corpo e anima; Sabina è invece un personaggio originale e anticonformista il quale, dopo aver tradito la famiglia e il comunismo, non è più capace di fermarsi sull’inebriante ma infelice strada dei tradimenti; Franz, infine, è una figura di intellettuale nobile e coraggioso, ma ingenuo e idealista, che Kundera vede come il simbolo della beffarda vanità della Grande Marcia verso l’avvenire.
E’ vano tentare di riassumere la trama dei rapporti che legano tra loro i quattro personaggi: una molteplicità di invisibili fili volta a volta li avvicina o li allontana, li fa casualmente incontrare per poi altrettanto accidentalmente separarli. Quello che conta, all’interno di quel complicato quadrilatero di storie individuali in cui tutto incessantemente varia, è scoprire qual è il motivo conduttore, il tema portante. Questo motivo lo troviamo contenuto già nell’enigmatico e bellissimo titolo, che si imprime nella memoria come una frase musicale. Al contrario di Italo Calvino, che nelle sue recenti Lezioni americane propone la leggerezza come un valore da salvaguardare, Kundera sceglie senza mezzi termini la pesantezza: “Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza meravigliosa? […] Quanto più il fardello è pesante, tanto più la nostra vita è vicina alla terra, tanto più è reale e autentica. Al contrario, l’assenza assoluta di un fardello fa sì che l’uomo diventi più leggero dell’aria, prenda il volo verso l’alto, si allontani dalla terra, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato”. I personaggi del romanzo non sono però capaci di schierarsi coerentemente a favore di questa opzione e oscillano problematicamente, sia pure con diverse gradazioni, tra la leggerezza e la pesantezza. In realtà, la loro lotta per dare un senso “pesante” alla vita è in ogni istante contrastata da una fascinosa vertigine, da una stordente attrazione verso l’abisso, che è allo stesso tempo inconscio desiderio di autodistruzione (così è per Tomas, il quale, per non ritrattare le idee politiche espresse anni addietro in un articolo giornalistico, è indotto ad abbandonare la professione medica) ed “ebbrezza della debolezza” (così è invece per Tereza, la quale, per punirsi della sua incapacità di conservare la fedeltà di Tomas, umilia il proprio corpo in una avvilente avventura erotica). D’altra parte, vivere nel segno della pesantezza è continuamente minacciato da un subdolo ed insinuante nemico, il kitsch, che, inarrestabile, sta dilagando come un’epidemia nel mondo. Alla base del kitsch sta una fede fondamentale, che Kundera chiama “accordo categorico con l’essere” ma potrebbe essere parimenti definita come una fiducia aprioristica e incondizionata nella vita. Questo ideale, estetico prima ancora che etico, si regge sulla negazione e sulla eliminazione di tutto ciò che nell’esistenza umana è essenzialmente inaccettabile (Kundera prende spunto, guarda caso, da considerazioni provocatoriamente scatologiche, ma non tarda ad estenderle al comunismo, che si fonda su un forzato e imprescindibile accordo collettivo da cui sono obbligatoriamente banditi l’individualismo, il dubbio e l’ironia). Il kitsch rende pateticamente illusori sia l’ideale della Grande Marcia della sinistra europea (“questo inebriante cammino verso la fratellanza, l’uguaglianza, la giustizia, la felicità”) sia quello dell’american way of life inneggiante ai valori tradizionali e alla lotta contro il pericolo rosso.
Credo che Kundera abbia toccato in queste pagine uno dei tasti più dolenti della nostra era: il kitsch, questo ridicolo e ineliminabile retaggio sentimentale che al cinema ci fa commuovere quando assistiamo a scene in cui lui pensa che lei non lo ami più, lei pensa la stessa cosa di lui e alla fine cadono uno tra le braccia dell’altra in un tripudio di lacrime, che nelle patinate immagini degli spot televisivi assume l’immagine di un tranquillo, dolce e armonioso focolare domestico, dove regnano una madre amorevole e un padre saggio, che nei manifesti delle campagne elettorali inneggia alla solidarietà e al progresso civile, il kitsch dicevo, questo cancro incistatosi profondamente nella nostra società, è entrato in noi fino a divenire parte integrante della condizione umana. Esso ci accompagna fino alla morte, nella morte anzi trova la sua più grande consacrazione (“Prima di essere dimenticati, verremo trasformati in kitsch. Il kitsch è la stazione di passaggio tra l’essere e l’oblio”). Nell’”Insostenibile leggerezza dell’essere” c’è un personaggio che rifiuta sdegnosamente il kitsch e si proclama apertamente suo acerrimo nemico: è Sabina. Non è un caso, a mio avviso, che Sabina sia anche il personaggio più doloroso e sofferto di tutto il romanzo. La sua scelta di stare dall’altra parte, di tradire genitori, patria e amante, di non scendere a compromessi con nessuno, di sfuggire insomma al kitsch nel quale la gente vuole trasformare la sua vita, ha fatto intorno a lei il vuoto: la sua vita si è trasformata (anche fisicamente, con i progressivi trasferimenti in Svizzera, in Francia e in America) in una corsa in linea retta, affannosa, verso il vuoto, fino alla decisione finale di farsi cremare, cioè di morire nel segno della leggerezza.
Le conclusioni di Kundera sono agghiaccianti: vivere nella pesantezza significa sottostare all’ambigua e pericolosa seduzione del kitsch (in questo senso devono intendersi il candido e quasi infantile idealismo di Franz e la nostalgia dell’idillio di Tereza), ma opporsi al kitsch porta solamente all’insostenibile leggerezza dell’essere. Sembra non esserci alcuna soluzione a questa insolubile aporia. Il mondo di Kundera è un mondo in cui il disegno della Creazione non è quello di rendere gli uomini felici. Kundera percepisce tutto ciò con straordinaria chiarezza e, con l’arma del sarcasmo e dello sberleffo, stronca la stupida e vanagloriosa convinzione dell’uomo di essere il “signore e padrone della natura”, affermando che i poli dell’esistenza umana si sono avvicinati fin quasi a toccarsi, che non c’è più differenza tra il sublime e l’infimo, che il mondo è diventato infinitamente leggero e a nulla vale gettare sul piatto della bilancia l’irrisorio e futile peso dei propri ideali e dei propri imperativi morali.
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Un libro che parla d'amore e di scelte che segnano
L’insostenibile leggerezza dell’essere è rimasto su uno scaffale per anni, finchè un bel giorno mi è capitato il titolo sotto gli occhi e ho cominciato a leggerlo.
Era il momento di leggerlo!
É un libro leggero, come il suo stesso titolo, le cui parole hanno la capacità di risuonare dentro, come se Kundera le avesse scritte per ogni singolo lettore.
I personaggi che animano questa storia: Tomáš , Tereza , Sabina , Franz , seguono ognuno il proprio percorso d vita, ma i percorsi si incrociano, si mescolano come ingredienti di una pietanza, si confondono come foglie nel vento d’autunno, ed esprimono emozioni dense, che sono simili a quelle di ogni essere umano.
Di che cosa racconta questo romanzo? Dell’amore.
Amore verso un ideale, amore romantico, amore tradito, amore verso la propria missione di vita, amore verso sè stessi, e persino amore verso un animale.
Un libro che parla del senso diverso che ogni essre umano attribuisce alle parole che incontra, che descrive il fondamento inevitabile dei fraintendimenti.Parole, che nascono con un senso comune ma che si modificano, di volta in volta, conseguentemente all’esperienza di chi le ha vissute.
Un libro che parla di quanto sia difficile o facile portare avanti le proprie scelte nel momento in cui ogni scelta non consente ripensamenti. Perchè il presente ci obbliga a non sapere che cosa sarebbe cambiato “se” la decisione fosse stata diversa.
La vita è una. Una sola. I personaggi di questo romanzo rappresentano ognuno una propria scelta, estrema, irrevocabile, che segna un tragitto ben definito, tracciato con vernice indelebile.
Un romanzo profondo, variopinto. Un romanzo che ricerca la felicità nella capacità di rendersi liberi dai condizionamenti delle proprie stesse convinzioni.
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Il valzer delle attribuzioni
Una persona che non mi conosce e che il caso ha voluto farmi incontrare, facendo scattare un’immediata simpatia e cordialità reciproca, mi ha regalato due libri. Il primo è stato una sua raccolta di poesie, l’altro “L’insostenibile leggerezza dell’essere”. La dedica del primo recitava: “...hai un’aria da insostenibile leggerezza dell’essere”. Quando gli ho confidato di non averlo mai letto, ha provveduto a regalarmelo benché gli avessi detto di possederne due copie.
Ma allora cosa significava quell’affermazione corredata da tale citazione letteraria?
Non lo so e certo la lettura del libro non aiuta a leggere una percezione che però mi aggrada cucirmi addosso. Sarà l’accostamento dei termini INSOSTENIBILE e LEGGEREZZA? Sarà l’attribuzione di pesantezza insita nell’aggettivo? Sarà la rinnovata verve semantica che quell’accostamento produce nel concetto di leggerezza? Mi piace, mi è sempre piaciuto questo titolo anche grazie a Venditti che lo amplificò in musica negli anni ’90 quando l’eco del libro scritto nell’82 e pubblicato in Italia nell’84 era ancora forte. In realtà non si è mai spenta, il titolo tuttora molto conosciuto, l’opera gode di numerose ristampe e viene letta. Certo la lettura nel 2015 produce effetti, presumo, notevolmente distanti da quelli che ne hanno siglato il successo negli anni ’80 e presumo ancora che questo sia dovuto all’effetto del tempo e al mutato scenario storico-politico. In un presente in cui Boemia è sinonimo di una Praga rivalutata dal punto di vista turistico e da cui si può percepire il fantasma della sua storia attraverso le famose finestre del castello o di fronte alla lapide di Jan Palach, se non si è vissuta l’epoca è allora difficile ritrovarla. Se non si è cresciuti con le ideologie politiche ma in assenza di ideologie e in presenza di tanta pseudo- politica, è complicato trovare aderenze.
L’opera però è lì e la sua contestualizzazione storica è necessaria. La stessa biografia di Kundera è un invito. Nato nel ’29, è stato emarginato nel ’48, riabilitato nel ’56 e di nuovo allontanato dal partito comunista quando prese parte alla “primavera di Praga” . Perse il lavoro per questo fatto e dal ’75 risiede in Francia. Gli eventi della sua vita coincidono con quelli delle esistenze dei protagonisti del romanzo: Franz e Thomas, Sabine e Teresa, due uomini e due donne, aldilà dei loro intrecci amorosi. Così li vedo, non tanto coppie. Tomas ama Teresa ma incontra Sabine, Franz ama Sabine ma lei si allontana da lui.
C’è l’invasione, c’ è l’esilio volontario e c’è il rientro nella patria assediata, c’è la ricerca di identità, di un valore, di una collocazione come cittadino, come uomo, come essere. Il libro è diviso in sette sezioni che progressivamente hanno prodotto in me un valzer di attribuzioni.
Partita da una attribuzione di pesantezza tematica e concettuale, mi sono dovuta ricredere: è falsa. In itinere si è formata l’impressione (trova ampia ed esplicita conferma nella sezione quinta) che l’opera sia basata sull’attribuzione di leggerezza alla Storia, mentre cercavo di capire se dare a mia volta un’attribuzione di piacevolezza. E qui arrivo: l’opera è bella, secondo il mio gusto, la mia predisposizione personale, la mia formazione.
Ondeggiando su assunti filosofici di immediato recupero mnemonico, con uno stile trasognato e una forte influenza onirica, nonché con una lieve e piacevole connotazione erotica, presenta una serie di riflessioni sull’amore, sul dovere, sulla libertà, sull’esclusività dell’esistenza. Cresce lentamente raggiungendo i vertici del suo climax ascendente nelle ultime sezioni - più connotate dal punto di vista storico e umano- laddove le prime apparivano più incentrate su volgari intrecci sessuali.
Il suo valore, a mio avviso, è nella riflessione puntuale e precisa che porta a fare sul rapporto d’amore e sui sentimenti dell’animo umano. Si conferma insomma l’interesse dell’autore per la tematica già abilmente indagata in “Amori ridicoli” di molto precedente.
Ho un’aria da insostenibile leggerezza dell’essere?
Forse sì, come tutti del resto.
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L'insostenibile leggerezza dell'essere di Milan Ku
È uno dei libri dei quali ho sempre rimandato la lettura, perché pensavo ostico, pesante o difficile. Invece l'ho trovato interessante, completo e coinvolgente. È un romanzo d'amore, ma al contempo storico e filosofico. Parla del l'eterno ritorno nietzchiano e della sua pesantezza, della ciclicità del tempo, della leggerezza e, nel contempo, pesantezza dell'amore e dei sentimenti. In primo piano la coppia Tomás - Tereza, con la forza dell'uno e la debolezza dell'altra, l'infedeltà del corpo dell'uno contro la fedeltà dell'altra (almeno per buona parte del romanzo), che diventa fedeltà di sentimenti da parte di entrambi. Tomás che aveva sempre voluto solo amicizie erotiche, capitola di fronte alla "debole" Tereza, che trascorre la vita rosa dalla gelosia per i rapporti sessuali del marito con un'infinità di donne, che frequenta al di fuori del loro matrimonio (questa gelosia della moglie è il fardello più pesante che Tomás deve sopportare per tutta la vita). Ma questo suo restare conforme al suo modo di essere (libero e infedele) è una delle cose per le quali Tereza si innamora di Tomás, anziché di chiunque altro. Una Tereza resa tale dalla madre che l'ha cresciuta e dalle condizioni in cui è stata messa al mondo. Tereza è andata da Tomas per fuggire dal mondo della madre, dove tutti i corpi erano uguali, affinché il suo corpo diventasse unico e insostituibile ed invece ha trovato un uomo che ha bisogno del corpo di molte per vivere una vita soddisfacente, un uomo al quale il corpo della moglie non basta. Questo causa in lei una sensazione di impotenza, dalla quale nasce la vertigine ( "Chi tende continuamente verso l'alto deve aspettarsi prima o poi di essere colto dalla vertigine. La vertigine è qualcosa di diverso dalla paura di cadere. È la voce del vuoto sotto di noi che ci attira, che ci alletta, è il desiderio di cadere, dal quale ci difendiamo con paura" e ancora " l'ottenebrante irresistibile desiderio di cadere. La potremmo anche chiamare ebbrezza della debolezza"). Una moglie così debole, da costringerlo a emigrare e a trasferirsi più di una volta, per allontanarlo dalle ipotetiche amanti e che, verso alla fine del romanzo, riflettendo fra sé e sé capisce di aver approfittato per tutta la vita della propria debolezza ai danni del marito. Mentre tutti siamo portati a vedere nella forza il carnefice e nella debolezza la vittima innocente, Tereza si rende conto che nel loro caso è stato tutto il contrario.
Oltre alla storia d'amore di Tomás e Tereza vediamo anche la piccola storia fra Sabina e Franz, che però ritengo molto meno importante e significativa. A fare da sfondo La Boemia, la Svizzera, la città e i paesi rurali.
È un libro profondo e interessante, del quale consiglio la lettura a tutti.
Alcune frasi rappresentative:
"... Ma il letto comune rimaneva il simbolo del matrimonio, e i simboli, come sappiamo, sono intoccabili"
" tradire significa uscire dai ranghi e partire verso l'ignoto";
"Il fiume scorre da sempre e le vicende degli uomini si svolgono sulla riva. Si svolgono per essere dimenticate il giorno dopo è perché il fiume scorra oltre";
"Tomás non è ossessionato dalle donne, ma da quello che in ciascuna di esse c'è di inimmaginabile, in altre parole, è ossessionato da quel milionesimo di diversità che distingue una donna dalle altre donne" e ancora "solo nella sessualità il milionesimo di diversità si presenta come qualcosa di prezioso perché è inaccessibile pubblicamente e bisogna conquistarlo" e infine " non era il desiderio del piacere sessuale (il piacere era un'aggiunta, una sorta di premio), bensì il desiderio di impadronirsi del mondo, ciò che lo spingeva a inseguire le donne";
"Einmal ist keinmal": quello che avviene una volta sola, è come se non fosse mai accaduto. La storia è leggera al pari delle singole vite umane, insostenibilmente leggera, leggera come una piuma, come qualcosa che domani non ci sarà più.
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Soltanto il caso ci parla
"Soltanto il caso può apparirci come un messaggio. Ciò che avviene per necessità, ciò che è atteso, che si ripete ogni giorno, tutto ciò è muto. Soltanto il caso ci parla."
Grazie all'assurdo concatenarsi di sei banalissime coincidenze, le differenti vite di Tereza, donna semplice e interiormente contrastata per infami retaggi d'infanzia, e di Tomas, affermato medico e impietoso tombeur des femmes, si incontrano, dando origine a un amore segnato dal paradosso: fino a che punto il caso può chiamarsi destino? Fino a che punto ciò che è doveva essere così e non altrimenti? Il peso della necessità mette in subbuglio due vite in cui non è facile trovare un senso, se non quel "Es Muss Sein" ("così deve essere"), che Tomas fin dall'inizio si ripete. Ma il valore della necessità verrà riconosciuto solo nel momento in cui sarà stata sperimentata l'insostenibile leggerezza dell'essere, quel pervasivo sentore di vacuità che accompagna ogni uomo sospeso nella ricerca di un equilibrio tra l'inesorabilità del caso e la volontà di dar forma e significato alla propria vita. Una vita evanescente, dominata dalla kierkegaardiana impossibilità di scegliere, poichè scegliere implica conoscere e confrontare, il che è in netto contrasto con l'unicità della vita: "Einmal est Keinmal", ciò che è accaduto una sola volta è come se non fosse mai accaduto. Riferendosi a Nietzsche, Kundera nell'incipit scrive: "Il mito dell'eterno ritorno afferma, per negazione, che la vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un'ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla." Di qui l'aporetica lotta tra il pesante e il leggero, meravigliosamente espressa dal titolo stesso del romanzo, tra scelta e volontà, mirabilmente enfatizzata dal richiamo al celebre mito di Edipo. In un'opera ad elevatissimo tasso di filosofia, l'autore mostra come la lotta dell'io individuale con l'apparente linearità e necessità casuale che lo circondano si traduce in una molteplicità di atteggiamenti (tutti riconducibili alla personalità di Kundera stesso) su cui nessuno è nella posizione di esprimere un giudizio di assoluto valore. Non c'è giusto e non c'è sbagliato, c'è solo l'umano.
"La storia è leggera al pari delle singole vite umane, insostenibilmente leggera, leggera come una piuma, come la polvere che turbina nell'aria, come qualcosa che domani non ci sarà più." Mi servo di questa frase per agganciare l'altro tema che nel romanzo rimane sempre a far da sfondo alla vicenda. Praga, 1968: infuriano le lotte al comunismo che si concluderanno nella cosiddetta "Primavera di Praga". Impossibile per l'autore esimersi da un confronto con l'attualità, verso cui, con estrema coerenza, non si esprime alcun giudizio di condanna: i comunisti sono convinti di essere nel giusto tanto quanto i suoi oppositori. Cosa dunque permette all'uomo di elevarsi al di sopra dell'insostenibile leggerezza dell'essere, che si estende da una dimensione personale a una sociale? "Il vero antagonista del kitsch totalitario è l'uomo che pone delle domande. Una domanda è come un coltello che squarcia la tela di un fondale dipinto per permetterci di dare un'occhiata a ciò che si nasconde dietro." Solo ed esclusivamente il pensiero abbiamo come strumento in grado di aprirci la via verso il senso e verso la verità, rendendo evidente il profondo segreto dell'Es Muss Sein.
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Il romanzo come esplorazione della vita
“Il romanzo non è una confessione dell’autore, ma un’esplorazione di ciò che è la vita umana nella trappola che il mondo è diventato.” Quasi la formulazione di una teoria del romanzo, nelle parole di Milan Kundera nella parte quinta de “L’insostenibile leggerezza dell’essere”.
Le vite di Teresa e Tomas, di Sabina e Franz sono al centro di questa bellissima opera. Attraverso le vicende e il dramma esistenziale dei suoi personaggi, l’autore affronta il tema dell’eterna dicotomia tra sfera ideale e sfera sensibile, tra anima e corpo. L’amore di Tomas per Teresa non gli impedisce di continuare una vita di inganni e tradimenti. Le sue scelte sono condizionate dalla decisione di non superare quella scissione tra il sentimento sincero per la sua donna e l’esigenza di soddisfare il suo ego. Egli non accetta di lasciare che il suo corpo sia imprigionato dall’anima. Come Parmenide aveva visto l’universo diviso tra luce e buio, tra essere e non essere, Kundera si pone il dilemma della scelta tra leggerezza e pesantezza: il leggero è positivo, il pesante è negativo.
Teresa, al contrario, vive il suo amore per Tomas, con passione e dedizione, pur consapevole delle infedeltà del marito. Ella non sa far tacere la sua anima e non saprà far tacere la sua coscienza.
Il tema del tradimento e della fedeltà è centrale in tutto il romanzo. Vivere senza vincoli sarà fondamentale per Sabina, che, incapace di fare una scelta definitiva rinuncia all’amore di Franz. Ogni personaggio sembra dunque incapace di ricomporre in un tutto unitario le sfere del proprio essere. Tomas e Sabina tendono a trasformare il pesante in leggero, in un’eterna illusione. Teresa riuscirà a vedere con lucidità solo quando si unirà senza amore in un incontro occasionale. Questa scissione delle due sfere in ciascun personaggio è accentuata dalle vicende storiche che fanno da sfondo al racconto. Siamo nella Praga oltraggiata dall’invasione dei carri armati sovietici e poi governata da un regime fantoccio imposto dall’Unione Sovietica. Nulla è in realtà come appare. Il mito di Edipo ritorna spesso nel corso del romanzo, sia in rapporto all’arrivo improvviso e inaspettato di Teresa a casa di Tomas, sia successivamente, in relazione alle nefandezze commesse inconsapevolmente da coloro i quali avevano accettato le violenze e i soprusi nella propria patria. Anche Edipo era ignaro di aver condiviso il letto con la propria madre. Tomas non accetta il principio della colpa “inconsapevole”. Egli ricorda che Edipo si era strappato gli occhi nel momento stesso in cui aveva preso coscienza delle sue colpe. Qui il messaggio politico si fa più esplicito, come anche in altri capitoli del romanzo. Una posizione di una lucidità e di un coraggio notevoli, anche in considerazione dell’epoca in cui fu scritta quest’opera, quando ancora non era caduto il muro di Berlino.
Leggerezza e pesantezza investono dunque anche la coscienza. Solo conciliando sogno e realtà, si può rendere accettabile l’idea nietzschiana dell’eterno ritorno altrimenti opprimente e terribile.
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L'apparente leggerezza delle metafore
« Tomàs allora non si rendeva conto che le metafore sono una cosa pericolosa. Con le metafore è meglio non scherzare. Da una sola metafora nasce l'amore ».
Ed è proprio con le metafore che Milan Kundera ci spinge dentro a questa storia, a quest'intrigo di situazioni, innescando numerose riflessioni su altrettanto numerosi temi, affrontati da quattro principali personaggi.
Abbiamo Tomàs, un famoso chirurgo amante delle donne, e sua moglie Tereza, donna gelosa e possessiva che, seppure cosciente dei numerosi tradimenti del marito, gli rimane fino alla fine fedele. Incontriamo poi Sabine, amante di Tomàs, e Franz, amante di Sabine; entrambi troppo diversi per cercare di capirsi ed entrambi fuori tempo: all'inizio lui non vuole lasciare la moglie e lei vorrebbe invece non dover competere con un'altra donna, poi lui le dà la possibilità di uscire allo scoperto e lei capisce di non poterlo sopportare e lo lascia.
La paura dell’abbandono, l’infedeltà, la dipendenza di una donna dal suo uomo, la filosofia dell’eterno ritorno nietzscheiano, l’adattamento delle nostre azioni al condizionamento dello sguardo esterno, l’invasione della Cecoslovacchia da parte dei russi, la Primavera di Praga. Questi sono solo alcuni elementi che si incontrano nelle pagine de "L’insostenibile leggerezza dell’essere" di Milan Kundera, il tutto contornato da uno stile leggibile, a tratti un po' forse pesante per il suo essere sempre intriso di idee filosofiche, ma accattivante e che ti sprona nel continuare la lettura.
Così capiamo che tutto quello che apparentemente ci può sembrare leggero, tanto da farsi apprezzare e desiderare, con il passare del tempo mostra il suo peso insostenibile, ponendoci a una distanza di sicurezza per non farsi opprimere dalla sua gravità.
Il lettore, terminata la lettura, non potrà che avvertire la necessità di cogliere il presente, di esserci ora e adesso, di non perdersi nulla e di andare fino in fondo.
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UNA LEGGEREZZA CHE SCHIACCIA
Mi chiedo sinceramente come si possa trovare questo libro pesante o noioso, come credo che d'altronde venga letto solo per dire che lo si è letto. Ed è un vero peccato, dal momento che Kundera ritratta abilmente il concetto parmenideo del V sec aC, dove si contrappongono due degli opposti per eccellenza: da una parte la leggerezza, con accezione positiva e dall'altra la pesantezza, con accezione negativa. Kundera fa una e propria rivoluzione di questo concetto, spiegandone le ragioni, sino a dare al lettore l'impressione che questa leggerezza sia così pesante da non poter più sostenere, reggere, sino a schiacciarci. Attraverso i suoi personaggi e lo sfondo storico in cui sono immersi, Kundera è unico nel suo stile e non tradisce una sola volta i lettori che amano questo autore. Scrivo questa opinione sul libro dopo averlo letto una seconda volta ed è inoltre un piacere leggere e rileggere frasi e passaggi durante la lettura stessa. Consiglio infatti a chi ha trovato questo libro "insostenibilmente pesante" (non avendo dunque colto la bencheminima essenza di ciò che Kundera spiega sin dalle prime pagine) di prendere in mano qualche altro suo romanzo, come "Il libro del riso e dell'oblio" o "La vita è altrove", sono sicura che si ricrederanno!
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La vita è altrove
Amori ridicoli
Avrà avuto ragione Parmenide?
Come sostiene lo stesso autore in una delle prime pagine dell'opera, la questione fondamentale è: è meglio la leggerezza o la pesantezza? Non so perché ma l'uomo crede che la leggerezza sia di gran lunga migliore alla pesantezza, ma siamo sicuri sia così? Siamo sicuri che siamo in grado di sostenere l'enorme responsabilità dell'essere leggeri, di non poter aggrapparci a niente, di non poter dar colpa ad altro? Prima di leggere quest'opera d'arte, anch'io ero convinta che il pesante fosse qualcosa di negativo, ma questa lettura mi ha fatto cambiare idea!
Libro veramente illuminante, da leggere assolutamente almeno una volta nella vita!
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Sarà colpa mia...
Sarò ignorante, superficiale, ma questo libro non mi è piaciuto per niente. Noioso, noioso, noioso. Pesante, pesante, pesante. La cosa meravigliosa è il titolo... per il resto il libro non mi ha suscitato emozioni... lo trovo inutile. Forse non l'ho letto con la dovuta attenzione oppure non ho saputo leggere 'dentro' il libro. Ho faticato molto a terminarlo e ci sono riuscita solo perchè per principio non abbandono mai un libro. Poi leggo tutte queste recensioni e mi domando: 'Ma sono io che non sono normale? Sono io che non ci ho capito niente?' L'unica parte carina è quella che riguarda il cane. Forse dovrei rileggerlo... (se trovo il coraggio...)
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Kundera: un capace professore
E' quasi difficile scrivere una recensione di un'opera di questo calibro, tanto è complessa e articolata. "L'insostenibile leggerezza dell'essere" è un libro che alterna riflessioni filosofiche alla narrazione e, personalmente, ritengo che sia proprio in questo elemento che risiede il fascino dell'opera di Kundera. La narrazione è irregolare, all'apparenza un pò caotica e, stupefacentemente, l'autore decide di raccontare il finale della storia a metà opera. Sembra quasi lo faccia per attirare l'attenzione del lettore non tanto sulla trama, bensì sui significati che essa vuole esprimere (questa è, comunque, una mia personale impressione). Si racconta, in maniera parallela, la storia di quattro vite: quella di Tomas, Tereza, Sabina e Franz. Spesso, i soliti avvenimenti, sono raccontati dai punti di vista dei vari personaggi. Personaggi che, personalmente, ritengo siano così reali, così veri, quasi vivi. Tomas è un medico che, a causa del fallimento dell'ultimo matrimonio, ha deciso di rinunciare all'amore e di dedicarsi a quelle che definisce "amicizie erotiche". La sua vita, il suo pensiero cambia quando incontra Tereza di cui si innamora profondamente anche se non riesce a rinunciare alle sue amanti. Da lì nasce un amore doloroso, tra la gelosia di Tereza, i tradimenti di Tomas e il senso di colpa, una sensazione comune ad entrambi. Tomas riconosce di essere la causa delle sofferenze di Tereza e Tereza, d'altro canto, riconosce di aver sempre sottoposto Tomas a delle prove dolorose, che avevano lo scopo di renderla più sicura sul suo amore. Perchè Tereza è insicura, vuole vedere in Tomas l'uomo capace di vedere il suo corpo come "l'unico corpo" di cui possa essere interessato. Ella ha, fin da sempre, cercato di ritrovare nel suo corpo la sua anima e ha sempre rifiutato l'idea che questo fosse un elemento comune a tutti gli uomini, un qualcosa di naturale. Da lì sorge, così, un'inaspettata riflessione sulla dualità anima/corpo che è una delle tante riflessioni che interessano l'opera. La trama, poi, si concentra su Sabina, l'amante di Tomas, e su Franz, l'uomo di cui Sabina è tremendamente innamorata. I due sono diversi, si direbbe "due poli opposti", tant'è che Kundera decide di dedicare loro il "dizionario delle parole fraintese": i due si rivolgono l'uno all'altra nello stesso modo, intendendo, però, dei significati profondamente diversi. Kundera ci accompagna costantemente nella storia, ricordandoci che i suoi personaggi sono inventati, intervenendo con dei commenti personali su ciò che sta narrando o esponendo delle sue personali riflessioni. Sembra quasi di assistere ad una lezione universitaria: noi lettori, gli studenti e Kundera, il professore il quale ci mostra un video che racconta la storia di questi personaggi, cercando di trarre da essi uno spunto per proporci delle riflessioni filosofiche. L'autore riflette sulla guerra, sull'invasione comunista, sull'oppressione e la censura. Sicuramente, però, la tematica principale del libro è quella del titolo: l'insostenibile leggerezza dell'essere. Un'esistenza leggera, irrilevante che si trova a confrontarsi con il forte bisogno dell'uomo di dare un significato a tutto, in special modo alla sua vita: sorge così, nell'uomo, una grande sofferenza, una sofferenza insostenibile. Kundera ritaglia momenti precisi nel romanzo per spiegare questa sua idea e, alla fine, il significato stesso del titolo lo si può cogliere con una sempre più grande precisione man mano che si continua a leggere la storia. E' un libro che richiede, indubbiamente, attenzione, riflessione e, quindi, non di facile lettura. Ma chiunque deciderà di approcciarsi ad una lettura come questa, ne trarrà sicuramente un grande giovamento.
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COM-PASSIONE O SOUCIT?
Leggerezza e pesantezza; anima e corpo; amore e sesso; luce e buio; spesso e sottile; caldo e freddo; essere e non essere. In queste coppie che si oppongono tra loro cosa intendiamo come positivo e cosa come negativo?
Tomas e Tereza, due anime che si incontrano tra queste righe scritte da Kundera, possono rappresentare la parte più intima e contrastante dell’essere umano, con la loro forza e con la loro fragilità, nelle loro certezze e nelle loro insicurezze ci possiamo specchiare e riconoscervi una parte di noi.
Tomas è un affermato medico in carriera, forte nel suo essere libero da ogni legame sentimentale. Una serie di coincidenze faranno sì che nel cammino della sua vita incontri Tereza, “anima fragile” di cui prendersi cura proprio come un bambino, che messo in una cesta per essere trovato e salvato, è stato condotto dritto a Tomas attraverso un fiume chiamato Destino.
E’ con Tereza che Tomas imparerà l’amore, una passione sì ma quasi diametralmente opposta al sesso, per Tomas quest’ultimo è un desiderio che si applica a una quantità infinita di donne, mentre la voglia di dormire insieme è un desiderio che si applica a un’unica donna.
Nonostante Tomas abbia accolto nella sua vita l’Amore/ Tereza, non rinuncia al suo opposto, alla parte più libera di sé, non vuole rinunciare neanche per un attimo alla passione per le donne, è così che le piccole bugie per nascondere i suoi tradimenti poco alla volta vengono a galla e con loro anche tutte le paure e le insicurezze di Tereza, ma il loro è un rapporto aperto, Tomas vive liberamente le sue avventure e Tereza liberamente vive le sue angosce, di nuovo grazie a Tereza Tomas imparerà il significato della parola COMPASSIONE.
Per tutte le lingue che derivano dal latino la parola compassione è formata dal prefisso “cum” e la radice “passio” che significa originariamente SOFFERENZA, quindi avere compassione significa che non rimaniamo indifferenti al dolore altrui o addirittura che partecipiamo al dolore di chi soffre. Amare qualcuno per compassione significa amarlo realmente? In altre lingue come ad esempio il polacco (wspot-czucie), il tedesco (mit-gefuhl) o il ceco (soucit), questa parola viene tradotta con un sostantivo composto da un prefisso con lo stesso significato seguito dalla parola SENTIMENTO. Questo termine viene normalmente utilizzato con un significato quasi identico ma grazie all’etimologia della parola stessa riesce ad avere un raggio di applicabilità molto più ampio, provare compassione (CO-SENTIMENTO) significa vivere con qualcuno le sue disgrazie ma anche provare insieme a lui qualsiasi altro sentimento: gioia, angoscia, felicità o dolore. Come la definisce Kundera questa è “l’arte della telepatia delle emozioni, è la capacità massima di immedesimazione affettiva, nella gerarchia dei sentimenti è il sentimento supremo”. Questa compassione o se vogliamo (co)sentimento, non è forse una forma di amore immensa?
Ogni angoscia o paura, ogni incubo vissuto da Tereza, Tomas lo vive sulla sua pelle, è come se quell’angoscia, paura o incubo bruciasse dentro di lui anche se, in fondo, ne è lui stesso l’artefice.
A rendere impervia la strada del loro amore ci pensa anche il regime comunista che occupa la città di Praga, la totale mancanza di ogni forma di libertà costringe la coppia a trasferirsi all’estero, ma non è cambiando aria che si risolvono i problemi, Tereza si rende conto che mentre a Praga dipendeva da Tomas per ciò che coinvolgeva il suo cuore, sola e in una terra straniera, Tereza capisce che dipende da Tomas per tutto, lui è la sua casa, lui è la sua famiglia, lui è il suo tutto, lui però non ha mai smesso di frequentare altre donne…e se lui l’abbandonasse cosa sarebbe di lei?
In prima persona l’autore ci racconta la storia di Tomas e Tereza e lo fa con una naturalezza unica, è come se il lettore si facesse una chiacchierata con lui alternando la storia a profonde riflessioni.
“L’uomo vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore che entra in scena senza aver mai provato. Ma che valore può avere la vita se la prima prova è già la vita stessa?.... La vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un’ombra, è priva di peso….. sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla”( ….e in questi termini è insostenibilmente leggera).
Kundera scava con una trivellatrice l’animo e la psiche dei protagonisti permettendo al lettore di affacciarsi in questo enorme buco e poter sezionare insieme tutto ciò che provano e pensano, ci presenta e ci spiega il dualismo presente nell’animo di questi due esseri. Kundera ci offre la possibilità di riflettere su di loro, di giudicarli addirittura ma non senza i giusti parametri di giudizio anche perché ci coinvolge talmente tanto nella loro vita che non possiamo non essere participi delle loro gioie e dei loro dolori, riesce a farci immedesimare ora in Tomas , ora in Tereza tanto da provare per loro “soucit”.
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Nietzsche e la 'Primavera di Praga'
Se siete grandi appassionati di Nietzsche ed avete voglia di mettere alla prova le impressioni, positive o meno, che la sua filosofia vi ha lasciato, allora questo è il libro cucito su misura per voi. E ci penserà già l'ossimorico titolo a mettere in crisi i filosofi meno 'ferrati'.
Kundera ha il grande merito di comporre un romanzo in cui miscela omogeneamente le componenti filosofica e storia, riuscendo a costruire una solida trama pur senza porre grandi attenzioni alle vicende vissute dai suoi personaggi;
Si parte con una riflessione sul dualismo 'leggerezza-pesantezza', con l'autore che si prodiga per sostenere esplicitamente le teorie anti-relativiste, avvicinandosi ad abbracciare la teoria nietzschiana dell'"eterno ritorno", anche se non disdegnerà affatto nel muovergli un paio di critiche.
Questa digressione lascia poi spazio al nocciolo principale dell'intero romanzo: la ricerca di un significato 'noumenico', di un vero significante, di un'essenza profonda, di un senso concreto alla vita terrena, aborrendo totalmente i concetti estemporanei (fino a quanto?) di 'coincidenza' e di 'casualità'.
E' inutile aggiungere che le conclusioni tratte dal Kundera sono tutt'altro che superficiali ed aleatorie, e questo risulta essere un altro punto a favore per giudicare positivamente questo romanzo.
Altri temi secondari, ma comunque trattati con grande puntigliosità, riguardano il contesto storico-sociale della 'Primavera di Praga', l'amore in chiave anti-romantica ed un continuo riferimento al pensiero di Nietzsche, che si risolve spesso in un giudizio positivo, ma non per questo non contradditorio.
In riferimento a quest'ultimo punto, voglio farvi notare la struttura 'circolare' del romanzo: i primi due capitoli vedono protagonisti Tereza e Tomas, mentre il terzo si dedica alle vicende amorose fra Sabina e Franz. La prima coppia ritornerà poi protagonista nei due successivi capitoli, poi il sesto vedrà presente tutto il quartetto, ed il settimo, conclusivo, vedrà nuovamente in scena Tereza e Tomas, come a voler chiudere ciclicamente un cerchio che dovrà poi ripetersi e ripetersi fino all'infinito.
Ma, a confutazione di questa ipotesi, Kunderà stesso scriverà che 'Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. E' per questo che l'uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione'.
Quindi, mi sorge spontanea una provocazione: non è che il romanzo, sin dal titolo, vuole essere un implicito 'scimmiottamento' del pensiero del solito Nietzsche? La risposta la troverete leggendo il testo, non posso dirvi di più.
Un sentito ringraziamento alla mia cara amica Martina per avermene consigliato la lettura.
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Eleganza e abilità introspettiva
La definizione "sopravvalutato" non deve essere un fattore che ci allontani in modo decisivo dalla lettura,ma un ulteriore stimolo ad affrontarla,cercando di trovare in questa nuovi significati che possano discostare il nostro giudizio da quello comune. Esiste soddisfazione più grande di quella piccola sensazione di unicità che proviamo noi lettori dinanzi al contatto con i nostri libri?
Kundera ne è la dimostrazione concreta:un libro non ha un valore positivo o negativo,ma è,nel bene e nel male.
La grande commedia umana viene rappresentata dall'autore ceco mediante la descrizione di quattro poli,che si attraggono e si respingono reciprocamente,fino a ritrovarsi totalmente isolati dinanzi al confronto finale con la vita.
Il giudizio del lettore si discosta dagli iniziali presentimenti di masturbazione intellettuale(che partono dal titolo e sono alimentati dalla "leggerezza" dei riferimenti filosofici delle prime pagine) arrivando a riconoscere la grande abilità dell'autore nella lucida e fredda analisi dei protagonisti,dall'alta abilità tecnica e dallo stile elegante e raffinato (che non rinuncia a una piccola dose di estetismo).
L'evasiva Sabina e il sognante Franz,il "leggero"(in senso kunderiano) Tomàs,legato alla drammatica figura di Tereza da una compassione schopenhaueriana:i protagonisti della vicenda si fondono nel drammatico scenario dell'occupazione russa di Praga. Proprio in questa parte del romanzo arriva la conferma definitiva dell'abilità stilistica dell'autore: la tragicità dell'evento storico viene affrontata dall'interno dei protagonisti,in un meccanismo diametralmente opposto a quello a cui siamo abituati ad assistere. Realtà e aspirazioni dei personaggi si unificano alla spietata analisi dell'evento,che riflette il difficile rapporto che ancora associa Kundera con la propria patria.
Sorprendentemente l'autore cerca di fornirci anche una soluzione all'estrema complessità del carattere umano,concludendo il romanzo con un omaggio alla fedeltà,unico elemento che riesce ad allontanarci dalla disperazione del resoconto finale,in una summa dell'esistenza idealizzata nella semplicità del mondo rurale,rifugio dagli estremi viziosi della Storia.
Appare proibitivo dare un'interpretazione lineare al romanzo:le sfumature percepite da Kundera sono molteplici,labili. L'autore ci fornisce un disegno della estrema complessità dell'animo umano,fatto di mille colori:caldi,freddi,sfumati,così confusi da non distinguerli l'uno dall'altro.
Un quadro di rara abilità stilistica.
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Leggerezza o Pesantezza?
Le prime pagine di questo libro mi hanno subito colpita appena le ho lette, ma ne è trascorso di tempo prima che riuscissi a finirlo.Infatti ho provato e riprovato a leggerlo in passato, ma dopo poche pagine abbandonavo la lettura. Poi è arrivato IL momento... Era un periodo un po' cupo, di quelli che ti sorprendono a chiederti "come mai mi sento così triste se non mi manca niente in particolare?". Ed ecco il destino, il karma, il fato, o come meglio preferite chiamarlo che si prende la briga di portarmi LA risposta a quella domanda. Ed è meraviglioso quando trovi la soluzione a quel dubbio che ti era venuto troppe volte, ancor più meraviglioso se la soluzione la si trova all'interno un libro: è una magia, un incantesimo. E' una delle cose più belle che ti possa capitare, sopratutto quando vivi un momento pieno di tante cose, ma allo stesso tempo vuoto... vuoto di quel di cui realmente hai bisogno. "L'insostenibile leggerezza dell'essere" mi ha donato LA RIVELAZIONE. Una volta finito mi sono sentita più umana, perchè Kundera ha scritto ciò che ognuno di noi prova, ma non azzarda dire... ha scritto a proposito dei nostri desideri più reconditi, delle nostre emozioni più segrete. Non le accettiamo, perchè Amorali, Anormali, Anomale...ma questo siamo noi. La vertigine, quella paura che proviamo quando ci troviamo "in cima" alla montagna, in cima nella propria carriera, in cima alla gerarchia sociale, in cima alle emozioni, non è "paura" di scivolare nel burrone che guardiamo dall'alto, ma è VOGLIA... terribile voglia di caderci in quel burrone, scivolare, perdere l'equilibrio e essere travolti dalle onde, mettendo a rischio la nostra vita, la nostra dignità, i nostri valori. Perchè solo così siamo umani: solo vicino alla terra, o ancor meglio...sotterrati dalle paura, dai dubbi, dalle angosce. Solo così ci sentiamo vivi davvero ed ecco la ragione per cui, appena iniziamo a staccare i piedi dal suolo, un richiamo primordiale ci supplica di tornare ad essere chi siamo davvero: UMANI. . E' un libro che arricchisce, e, almeno nel mio caso, porta risposte.
E' stupefacente come una lettura possa cambiare il nostro modo di pensare: dopo che l'ho finito mi sono posta una domanda "cosa preferisco io? La pesantezza o la Leggerezza?"
La mia risposta è stata inequivocabilmente una:
LA PESANTEZZA.
Buona Lettura.
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Leggerezza
Molte cose vengon dette, eppure.... eppure sento di non aver imparato nulla.
Non ho un'idea chiara neppure su quello che mi sto cingendo a scrivere in questa recensione, perchè questa lettura ha trattato vagamente di molto, ma in realtà non mi è rimasto impresso un granché.
Andiamo con ordine: cioè che svilisce il libro, a mio avviso, è la tecnica narrativa. L'alternanza fra saggio filosofico e romanzo non mi ha incuriosita, anzi, la sentivo come un ostacolo! Quando la storia diventa interessante, e desidero saperne di più sulle vicende dei personaggi, ecco che arrivano a raffica digressioni filosofiche che, seppur interessanti, si frappongono tra me e il filo logico del racconto (mi è capitato di dimenticare episodi che ho dovuto ricontrollare in seguito).
Lo scopo del romanzo mi è quindi ignoto, o posso solo supporre: i personaggi con le loro storie sono solo dei mezzi di cui Kundera si serve per la sua spiegazione: leggerezza-pesantezza, anima-corpo. Non ho apprezzato il metodo con cui spiega ogni situazione: mi si spiega dettagliatamente la ragione di alcuni comportamenti, il perchè delle scelte, mi si spiegano persino i sentimenti e si enuncia una conclusione. Non lascia parlare i fatti, mentre avrei preferito utilizzare la mia personale intuizione.
Il mio istinto, però, si è legato irragionevolmente ad alcuni particolari che mi hanno reso questo romanzo indimenticabile. In Primis, la figura di Tereza. E' un'eroina romantica, appare con Anna Karénina in mano (libro che è restato nel mio cuore), ama con passione Tomas, nel contempo detesta sé stessa così simile alla madre... Un personaggio unico che non si può non amare. Anche Tomas mi è caro, sebbene non capisca come possa non stancarsi mai delle sue scopate (donne giovani, brutte, strane...) e non riuscire ad apprezzarne UNA SOLA. Ama davvero Tereza? Non saprei. Non so come possa amarla, o cosa intenda allora per amore. Ero dal parrucchiere quando ho letto della morte del cane Karenin, e mi sono sentita così stupida a singhiozzare in pubblico, guardando il mio viso riflesso nello specchio. Finalmente qualcuno concorda con me nel tenere un maiale come animale addomesticato ^*^ Mefisto!
Non esiste nessun Ess muss sein, tutto è assolutamente casuale. Casualmente mi sono imbattuta in questo libro, la leggerezza.
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Leggerezza e pesantezza
Ogni istante, ogni azione, ogni gesto è irripetibile. Eppure non ce ne rendiamo abbastanza conto. Questo libro appare come un testo in continua mutazione, è un continuo gioco tra presente e futuro, presente e passato, leggerezza e pesantezza, presenza e assenza. E' un libro costruito ad arte ed è molto armonioso, ti prende per mano, fa emozionare e fa riflettere su noi stessi, sulle debolezze, sui sogni, sulla profonda differenza fra l'idea che abbiamo di noi stessi e quella che gli altri hanno di noi. E' un libro che si presenta come una fusione di tre stili: romanzesco, storico, filosofico. Lo stile che mi ha dato più spunti di riflessione è stato quello filosofico perchè ci sono profondi conflitti dvanti ai quali il lettore è contrapposto. Sicuramente consigliata anche la rilettura, dopo circa dieci anni: quando lo rileggi, ti dà ancora qualcosa di nuovo.
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saggio o romanzo?
La tecnica e l’idea di fondere il saggio al romanzo non sempre sortisce risultati gradevoli. Un buon esempio è “Il mondo di Sofia” di Gaarder (ultimo letto del genere); un cattivo esempio è questo di Kundera.
L’aggettivo “cattivo” fa intendere già un giudizio sul libro, che però vorrei scindere in più parti. La prima riguarda il romanzo vero e proprio, la storia d’amore, per intenderci, tra i due protagonisti Tereza e Tomas (insieme e intrecciata all’altra di Sabina e Franz). La mia opinione è che non siamo di fronte a storie indimenticabili, forse anche perché tutto viene inframmezzato ripetutamente da osservazioni di carattere filosofico (non sempre apprezzabili) e da analisi politico-ideologiche, visto che la trama ha come contesto principale Praga e l’invasione del regime comunista in Cecoslovacchia.
Ciò che meno ho apprezzato, però, è l’impostazione saggio/romanzo. Ma ci arrivo subito. Ancora un attimo.
Cult degli anni ’80, l’opera di Kundera è probabilmente uno di quei romanzi sopravvalutati, vuoi per una serie di circostante (non ultima un’abile promozione), vuoi per l’eccellente scelta del titolo (dicono che anche “La solitudine dei numeri primi” deve molte delle sue vendite all’effetto di trascinamento del titolo), vuoi per il contesto politico degli anni ’80 che consentiva ancora analisi ideologiche come quelle presenti nel libro.
Ma veniamo al problema saggio/romanzo.
Qui non funziona affatto e non per i limiti di questa spesso ardita operazione di fusione delle due tecniche, ma perché Kundera applica le tecniche proprie del saggio (enunciazione, spiegazione, conclusione) anche al romanzo, cosa che avvilisce spesso il lettore, sminuendone le possibili (e seppur minime) capacità intellettive e prosciugando la narrazione di ogni fascino legato al “territorio aperto” in cui accompagnare il lettore e lasciarlo, salvo chiare indicazioni, libero di peregrinare come vuole.
Mi spiego. Passo a qualche esempio perché i soli concetti astratti talvolta offrono poco.
Per non dilungarmi vorrei fare riferimento a numeri di pagine per le citazioni, ma le diverse edizioni non consentono questo metodo. Un po’ di pazienza, allora.
Kundera ad un certo punto scrive (tralascio il motivo per cui lo scrive) “Questa situazione mostra con evidenza che nella madre l’odio verso la figlia…” Bene, un autore, almeno secondo la mia idea di romanzo, non dovrebbe “spiegare” ciò che scrive, ma lasciar parlare i fatti, sempre che questi per contenuto e costruzione siano in grado di parlare da sé. Pertanto, non ho bisogno di uno che mi dica “cosa” mostra con evidenza una situazione.
Non è un passaggio isolato quello che ho proposto.
Perché Kundera insiste.
S’incontrano spesso delle domande nel corso del romanzo, domande alle quali non sono i fatti a dare risposte (come dovrebbe) ma l’autore. Ad esempio, scrive “Perché, allora, si ripeteva ogni giorno che la sua amante voleva lasciarlo? Non riesco a spiegarmelo se non col fatto che per lui…” oppure “E perché era proprio Tomas a sparare, e perché voleva sparare anche a Terza? Perché era stato proprio lui a mandare Terza tra di loro. È questo ciò che il sogno voleva dire…” (spiegazioni addirittura dei sogni; a questo punto mi leggo un saggio di Freud…)
L’apice Kundera lo raggiunge quando a un’affermazione di Tereza (“Voglio che tu sia vecchio. Più vecchio di dieci anni. Di vent’anni!”) imperterrito aggiunge “Con questo gli voleva dire: Voglio che tu sia…”
Insomma, il romanzo paga un forte tributo a questa tecnica di narrare, finendo per indispettire il lettore (almeno me, come lettore). E questo porta a venare la narrazione di crepe la cui dimensione aumenta proporzionalmente col numero di pagine e che svilisce alcuni buoni intenti del saggio e del documento politico-ideologico.
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L'insostenibile leggerezza dell'essere
Mha, non lo considero un Capolavoro con la C maiuscola, ma non mi trovo d'accordo neanche con qualche recensione precedente, davvero troppo severa. Tralasciando di riassumere la trama, riconosco che lo stile non sia dei più elaborati, ma non sempre uno stile cavilloso è sinonimo di contenuto valido. Piuttosto rimprovero all'autore di aver voluto giocare troppo su interpretazioni "psicanalitiche" un po' sempliciotte riguardo alla natura dei personaggi. Nel complesso comunque si tratta di un buon romanzo, piuttosto scorrevole, con uno stile misurato ma piacevole, e un contenuto interessante, che ogni tanto tra le pagine dispensa qualche verità non troppo scontata sui meccanismi che si innescano nelle relazioni umane. Non è un libro destinato a una ristretta elite di intellettuali, questo no. Non è un libro che ha le carte in regola per essere annoverato tra i grandi classici della letteratura, no. E' solo un libro piuttosto intelligente, che tutti possono capire. E' un romanzo che trae dei presupposti da alcune teorie filosofiche, ma non pretende di essere un trattato di filosofia. Nonostante ciò ha delle pagine interessanti, per esempio quelle riguardo alla teoria del "diabolico dono della comprensione" che spesso unisce gli amanti e li condanna a "patire" insieme, a portare il proprio dolore o le proprie emozioni sulle spalle, aggravate dalla perfetta e lucida comprensione anche del dolore e dell'emozione dell'altro. Ripensandoci ora, a distanza di circa un anno dalla lettura, riconosco che più che per la vicenda in sè o per lo stile, questo libro si fa ricordare come un'ottima fonte di citazioni. Però su...abbiamo letto tutti decisamente di peggio. Lo consiglierei, assolutamente. Senza farvi troppe illusioni, però leggetelo.
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Di insostenibile, qua, c'è solo il libro
Tutto qui?
Il tanto decantato “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, libro-culto degli anni ’80 con tanto di quarta di copertina - nell’edizione Adelphi - di Italo Calvino, è davvero solo questo?
Modesto nella trama (che si può ridurre al quadrilatero Tereza ama Tomas, Tomas ama Sabina, Sabina è amata da Franz ma non sa cosa vuole dalla vita), sempliciotto nello stile: ho letto di gente che l’ha trovato ostico. Dove, di grazia? Sembra scritto da un bambino! Si procede per coordinazioni, la sintassi è poco sviluppata e la frase più lunga che ho letto è di due righe e mezzo (il mezzo è importante, eh). Per non parlare del lessico; ma quello può essere ‘colpa’ della traduzione: ho attivato l’opzione ‘beneficio del dubbio’, se ve lo stavate chiedendo.
Non so, mi ha delusa. Tutta la bellezza promessa dalla fama che lo precede si ferma al titolo. Il resto è solo un presunto e spicciolo pistolotto filosofico di stampo esistenzialista che sostanzialmente gira a vuoto. Il libro si basa sul motto tedesco “Einmal ist Keinmal”, e cioè ciò che si verifica una sola volta è come se non fosse mai accaduto. Spunto interessante sviluppato nel peggiore dei modi: secondo Kundera – che ce lo fa sapere in mezzo capitoletto – ognuno di noi compie delle scelte nella propria vita che non servono a modificare il corso dell’esistenza, in quanto sono leggere.
Perché, mi chiedo, fermarsi alla teoria e non approfondire?
Perché Kundera è pigro, o forse non sa scrivere. O forse è talmente bravo che sa come si fanno i soldi. Perché Kundera è il papà di Coelho, abile nel vendere a peso d’oro banalità disarmanti.
Ho trovato classici dell’Ottocento molto - molto! - più moderni di questo libro scritto un ventennio fa. Per cui parliamoci chiaro e non diciamo che all’epoca le idee erano geniali, e che adesso chi lo legge lo può giustamente trovare ‘passato’. L’epoca in questione è vent’anni fa, svegliamoci.
Leggete piuttosto Hugo o Tolstoij, loro sì che scrivevano in un’epoca diversa dalla nostra e, guarda un po’, sembra di leggere qualcuno che abbia scritto ai giorni nostri.
Non sprecherò altre parole su questo libro.
Concedetemi solo un ultimo aggettivo: sopravvalutato.
Se ne avete sentito parlare (e molto bene, suppongo) non fatevi cogliere dalla curiosità insaziabile e fatene a meno. Mi ringrazierete.
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L'insostenibile pesantezza di Kundera
Si tratta di un testo molto intenso che non lascia certo indifferenti.
Nel libro la storia d'amore di Tomas e Tereza e quella di Sabina e Franz si sviluppano parallelamente e si incastrano nel contesto storico-politico della cecoslovacchia nei primi anni ottanta.
Kundera analizza le correlazioni tra il pensiero politico imposto da un regime ditatoriale comunista e la vita dei personaggi e loro modo di pensare.
Compone un quadro psicologico estremamente reale dei protagonisti, analizzando le motivazioni che determinano i loro comportamenti e i loro pensieri, rivelando dietro a decisioni importanti una semplicità fredda e disarmante.
Ne risulta un testo pesante, di una tristezza indescrivibile.
Si susseguoni immagini strazianti (mi viene in mente l'emblematica cornacchia seppellita), muoiono tutti, compreso il cane, al termine di una lenta agonia fisica o psicologica che rende la lettura faticosa e lascia perennemente il lettore in uno stato di angoscia.
E forse è proprio questo il pregio-difetto di questo testo: ha la capacità di penetrare nel profondo dell'animo e di trasmettere sensazioni forti, purtoppo tutte negative.
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- sì
- no
Non mi ha entusiasmato...
So di essere una voce fuori dal coro, ma a me Kundera non piace.
Dopo anni che sentivo lodi sperticate nei confronti di questo romanzo, l'ho letto e non mi è sembrato così indimenticabile.
Probabilmente per capirlo meglio avrei dovuto documentarmi sulla situazione politica della Praga dipinta da Kundera, ma dato che le vicende narrate sono di carattere prettamente esistenziale, anche il documentarsi non sarebbe servito a granché...
Questi quattro personaggi si dibattono in relazioni infelici ma senza riuscire a capire cosa vogliono veramente.
Tereza e Tomas sono una coppia come ne esistono tante, destinata allo sfacelo, ma che resiste in virtù di non si capisce bene che cosa.
Tomas, libertino fino al midollo, rinuncia alla carriera pur di stare con Tereza ma le infligge una sequela di tradimenti.
Tereza, che riscuote una forte simpatia ed empatia per la sua storia un po' triste, il suo ingenuo romanticismo e il pessimo rapporto con la madre, anziché liberarsi di lui persevera.
Franz è un personaggio estremamente noioso, non si capisce davvero quale sia la sua funzione.
Sabine parrebbe l'unica che non si racconta stupidaggini: lievemente cinica e disincantata, sembra manifestare, a un certo punto, l'esigenza di scoprire il calore di affetti semplici, anche se è solo un barlume, in un romanzo che specula tanto e dice poco.
Mi dispiace di aver letto anche "L'immortalità" di Kundera, perché sembra di vedere le stesse dinamiche relazionali riproposte in salsa diversa.
Forse dovrei rileggerlo, per capire meglio, ma non riesco a osannarlo come fanno in tanti.
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L' insostenibile leggerezza della vita
Kundera riesce finalmente a farci emozionare, farci emozionare così tanto da far sembrare ogni altro libro superfluo e banale.
Nel libro troviamo molte citazione riguardo alla musica, alla filosofia antica e ai miti della nostra società.
Una storia che, se fosse stata scritta da un qualsiasi altro autore, non avrebbe mai raggiunto un risultato di questo genere; perchè analizzandola, si può ben comprendere che è una storia semplice, la differenza sta appunto nel come viene raccontata da questo grande autore che è MILAN KUNDERA.
Un libro eccezionale da tutti i punti di vista.
(Lo sto leggendo per la terza volta)
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Un libro fondamentale
Un libro da leggere, rileggere e meditare. Ad una prima lettura l' impressione e' sicuramente molto positiva, un romanzo ironico ma anche drammatico che scuote le nostre convinzioni e ci costringe a pensare. Kundera ha la capacita' di analizzare l'animo umano attraverso l'approfondimento dei suoi personaggi. Nel libro ci sono numerose citazioni e definizioni , come quella dell'amore, che si inesriscone in maniera "leggera" nel contesto del romanzo senza appesantirne la lettura, ma anzi lo arricchiscono e lo rendono unico. Kundera riesce ad unire la filosofia al sentimento,con voli del pensiero leggero nati dalla pesantezza e intensità di emozioni violente,profonde, una miscela esplosiva di pensiero e passione impossibele da controllare. In definitava un capolavoro che ci accompagnera' per tutta la vita con le sue riflessioni capaci di farci vivere con profondita' e maggiore comprensione le nostre esperienze.
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FILOSOFICO, IMPEGNATIVO
Un libro straordinario che non deve mancare dalla propria biblioteca. Kundera è impareggiabile nel descrivere l'inesorabile scorrere delle vite dei protagonisti, in cui vi è l'assurda pretesa di controllare ciò che non può esserlo. Filosofia e storia (siamo nel '68 durante la Primavera di Praga)si intrecciano abilmente per portarci a comprendere che abbandonando ogni potere sulle cose, sulle leggi della natura, l'essere può diventare lieve, leggero -da una parte- ma contemporaneamente dall'altra ci mostra il peso insostenibile dell'esistenza quando si evitano decisioni o posizioni.
Impegnativo ma basilare.
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L'insostenibile leggerezza dell'essere
Il romanzo è ambientato a Praga alla fine degli anni '60. Scorrono in parallelo le storie di due coppie di amanti.Tomas e Teresa:lei alla ricerca dell'amore vero,lui chirurgo che dedica la vita al lavoro e alle donne,preferendo rapporti liberi e indipendenti piuttosto che creare legami duraturi e soffocanti. Sabina e Franz:lei pittrice in esilio e donna libera,lui professore sposato.
Il concetto che sta alla base dell'opera è che ogni istante della vita è irripetibile e non ci sono seconde possibilità e che quello che inizialmente viene considerato come leggero,rivela presto il suo peso.
Lo stile e il linguaggio di Kundera sono abbastanza complessi così da rallentarne la lettura e da renderne il testo di non facile e immediata comprensione.
Vista la fama dell'autore ci si aspetta qualcosa di più da questo romanzo.
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