L'eredità di Eszter L'eredità di Eszter

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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    17 Ottobre, 2021
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Una specie di incubo

Una donna ricorda "la storia dell'ultimo giorno in cui Lagos venne per l'ultima volta a trovarmi e mi spogliò di tutti i miei beni" .
E' da due decenni che non si vedono; ora lei ha 45 anni, lui oltre 50.
I due si amavano, ma finì che lui invece sposò la sorella.

Di quest'uomo emerge un ritratto assai inquietante : "una spiccata tendenza alle fantasticherie più strampalate, il bisogno (...) di snocciolare una frottola dopo l'altra"; "si rallegrava e si disprezzava sempre con il massimo impegno, ma in realtà non sentiva mai nulla" ; inoltre, un grande approfittatore, un teatrale pagliaccio, un incredibile truffatore. Un caso clinico?

Inspiegabilmente, "gli amori infelici non finiscono mai".
La scrittura è bella, ma questo è l'unico elemento positivo che vi ho trovato.
Marai è fra i miei autori preferiti, ma di questa lettura ho avvertito essenzialmente un senso di sgradevolezza.
La cupezza del ritmo da tragedia greca non raggiunge di quest'ultima l'emblema simbolico conferito dalla classicità.
Il progressivo scostarsi dalla realtà plausibile fa sì che la narrazione diventi sempre meno convincente. Personaggi e situazioni mi son parsi inverosimili e artificiosi.
A questo punto mi aspettavo il colpo di genio finale. Invece, niente.

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    16 Luglio, 2019
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Da leggere ma senza troppe aspettative

«Compiere il proprio dovere… che espressione dura e teatrale! Si vive… finché un bel giorno ci si accorge se si è compiuto il proprio dovere oppure no. Comincio a credere che le grandi decisioni fatali, quelle che determinano il profilo caratteristico del nostro destino, siano molto meno consapevoli di quanto supponiamo nei momenti in cui torniamo al passato per evocarne la memoria»

Il proprio dovere. Ma cosa significa davvero adempiere al “proprio dovere”? Su che base è possibile evincere quale sia questo e quale legge morale possa indurci a definirlo, a delinearlo, a compierlo? Eszter, donna sola di circa quarantacinque anni che vive in completa estraneazione con Nunu, sarà costretta a scoprirlo a proprie spese quando Lajos, l’unico uomo che ha mai veramente amato, farà ritorno presso la sua dimora, vent’anni dopo il loro ultimo incontro, per privarla di quell’ultima eredità, di quell’ultimo lascito che ancora le appartiene. E lei, lei non farà alcunché per impedirlo. Al contrario. Seppur sia consapevole del mentire del cinquantatreenne e dei suoi figli orfani, figli oltretutto nati a seguito del matrimonio di costui con sua sorella Vilma, accetterà ogni recriminazione, ogni parola, ogni gesto che verrà proposto dall’oratore per lasciarsi andare a quel che già in passato doveva essere.
Opera immediatamente successiva a “Le braci”, “L’eredità di Eszter” è un lungo racconto costruito seguendo le linee del componimento che lo ha preceduto e al cui interno sono racchiuse tutte le tematiche care all’autore. Se da un lato abbiamo il personaggio tradito e isolato, questa volta al femminile, dall’altro abbiamo il traditore che, in coerenza con il suo essere mentitore per eccellenza, torna a far visita alla donna con prole al seguito perché ha bisogno. Attraverso le loro voci si dipanano sentimenti quali l’amore, l’amicizia, il tradimento, la famiglia, la menzogna, il sentimento ferito, la perdita dello status sociale, l’avidità, stati d’animo che culmineranno nel colloquio finale tra “traditore” e “tradito” che consegue a quello tra “tradito” e “figlia del traditore” e degna erede del padre. Premetto che per me questa è una rilettura, un testo che ho deciso di riprendere in mano per vedere se, a distanza di anni, la percezione potesse essere mutata magari anche a seguito di qualche lustro in più trascorso e qualche libro in più letto.
Purtroppo, le impressioni sono rimaste le medesime e non sono riuscite a mutare in positivo. Per quanto la prosa sia sempre ricca e ricercata, troppi sono i tratti in comune con il lavoro più famoso e un po’ debole è il crescendo delle vicende. Non solo. Non potendosi definire lo scritto quale un romanzo poiché un lungo racconto vista la lunghezza di appena 137 pagine, inevitabile è essere attanagliati da quella sensazione di inconclusione, di insoddisfazione, di mancanza. Lo scorrimento degli avvenimenti, facilmente intuibili nella loro evoluzione, non invoglia alla lettura e anzi tende ad annoiare – quasi a seccare – il conoscitore che vorrebbe scuotere Eszter, invitarla a reagire anziché a lasciare scorrere gli eventi come una cascata inarrestabile destinata a confluire nella rovina quasi come se quel castigo fosse auspicato, atteso. Il lettore fatica inoltre anche ad interpretare quel finale racchiuso nelle poche righe delle ultime due pagine che non soddisfa, non appaga.
In conclusione “L’eredità di Eszter” è un testo che racchiude al suo interno tutti gli elementi propri di Marai ma che non spicca né per originalità né per solidità. Certamente non è un volume adatto a chi già conosce dello scrittore e che quindi ha già avuto modo di apprezzarne le sfumature ma al contempo, è poco adatto anche a chi deve avvicinarvisi poiché, incapace di trasmetterne le effettive capacità narrative. Da leggere ma senza troppe aspettative.

«Per quanto tempo non mi sono resa conto di quale fosse il mio dovere? Ubbidivo, sì, ma controvoglia, strillando e protestando disperatamente. A quei tempi intuii per la prima volta che la morte poteva anche essere una liberazione. Mi resi conto che la morte è assoluzione e pace. Soltanto la vita è lotta e disonore. Com’è stata strana quella lotta! Ho fatto di tutto per mettermi in salvo. Ma il nemico continuava a seguirmi. Ormai so che non poteva agire diversamente: siamo legati ai nostri nemici, che a loro volta non sono in grado di sfuggirci.»

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si = per chi volesse leggere tutta la poetica di Marai ma senza troppe aspettative,
No = a chi già ha letto le opere più famose.
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Molly Bloom Opinione inserita da Molly Bloom    08 Luglio, 2019
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Non mi ha convinta

Questa è la quarta opera che leggo di Marai ed è anche quella che mi è piaciuta meno e mi ha persino annoiata. Sandor Marai è tra i miei autori preferiti, la sua scrittura impeccabile e la sua profonda analisi psicologica dei personaggi sono ingredienti immancabili della sua scrittura. Perché non mi è piaciuto L'eredità di Estzer? Innanzitutto perché ci ho visto una fotocopia di Le Braci, libro che amo, infatti è stato scritto subito dopo. La struttura è la stessa: un personaggio tradito, isolato dal mondo, in sola compagnia della cameriera anziana con la quale ormai si ha un rapporto quasi materno, viene a conoscenza della visita imminente di colui che lo ha tradito dopo moltissimi anni di attesa. Questo incontro è previsto e atteso in entrambi i casi per chiudere il cerchio e chiarire e chiudere con il passato. Ci sono presenti i temi dell'amicizia, dell'amore e del tradimento, e tutta la narrazione crea un crescendo di tensione che esploderà nel colloquio finale tra il "tradito" e il "traditore". In entrambe le opere l'autore scambia questi giudizi tra i due personaggi, guardandoli da più prospettive, il tradito può essere stato anche lui un traditore e viceversa. Infine, il finale, a libera interpretazione e come solo Marai sa fare è descritto in poche frasi, nell'ultima pagina del testo.
E' venuto meno l'effetto sorpresa e quindi mentre leggevo anticipavo le mosse di Marai, il che non va bene. Non è riuscito nemmeno a conquistarmi con l'intensità del libro, che ho trovato debole rispetto al fortunato Le Braci, dove non riuscivo a staccare gli occhi dalle pagine. Stessa cosa per la definizione e analisi dei personaggi, qui mi risultano un po' scialbi e non so se ne conserverò il ricordo. Sicuramente donne come Estzer e uomini come Lajos esistono anche nella realtà, magari non così estremi, e qui mi riferisco a Estzer che pur non essendo stupida, pur avendo intorno a lei persone che la consigliano bene e nonostante abbia ricevuto innumerevoli prove della disonestà di Lajos, cadde nella sua ultima trappola. Ma credo sia caduta consapevolmente e non da "ingannata" ma appositamente per guarire sé stessa dal passato. Lajos il "traditore" si scopre che in fin dei conti non era così malvagio e le sue intenzioni erano spesso buone, era altruista e non faceva nulla in modo premeditato per recare danno a qualcuno. Come in Le Braci, anche qui viene messo in discussione il tradimento: non sempre è come sembra e non sempre è da punire, talvolta può addirittura essere lecito, l'autore crea un limite incerto,confuso tra ciò che è permesso fare e ciò che non lo è.
So di essere una voce fuori dal coro, è un libro lodato da tutti, ma per me resta un'opera minore di Marai. Riesce a fare molto di più.

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Fabiana83 Opinione inserita da Fabiana83    17 Aprile, 2018
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Gli amori malati non finiscono mai...

Eszter, ormai quarantacinquenne, vive o meglio sopravvive, con la cara Nunu, nella vecchia casa, ereditata dal padre, su cui peraltro gravava una piccola ipoteca.
Le due donne, sia pur a fatica, provano a tirare avanti con i proventi della vendita dei frutti che il giardino riesce loro a garantire, circondate dall’affetto e soprattutto dall’aiuto, anche economico, di pochi amici fidati: il buon Tibor e il notaio Endre.

E’ fine settembre quando un telegramma di Lajos arriva, dopo ben vent’anni, a rianimare quelle esistenze piatte, prive di slanci; vite che giorno dopo giorno, si erano srotolate senza propinare sorprese in un divenire tristemente ciclico e ordinario.
Per utilizzare una metafora tanto cara a Marai, bastano poche parole fissate sulla carta “Arriveremo domani mattina. Saremo in cinque” a ridare la carica a quel vecchio meccanismo ormai inceppato.
La casa e l’intero paese magicamente riprendono a vivere perché Lajos, l’unico uomo che Eszter abbia mai amato, sta tornando sul “luogo del delitto” dove deve a tutti qualcosa: quattrini, giuramenti e promesse mai mantenute.
Il carillon comincia a muoversi e ognuno, come una pedina perfettamente inserita sulla giostra e saldamente legata all’ingranaggio, si agita, si prepara alla visita. Lo spettacolo è appena iniziato.

Esterz riordina i vecchi ricordi, indossa l’abito più bello e indugia davanti allo specchio. Il tempo, per lei, era stato clemente, nonostante i pochi fili bianchi che si nascondevano tra il biondo chiaro della sua capigliatura e le sottili rughe che le contornavano gli occhi, aveva mantenuto la stessa corporatura. Era alta, dritta e ben proporzionata.
La veranda accoglie anche Tibor e Laci, fratello di Estzer, che scelgono di presenziare all’evento, d’altronde tutti sono indissolubilmente legati da una sorta di alleanza che avevano stretto contro quell’uomo. Bisognava unire le forze per sconfiggere un nemico comune a cui di fatto non erano riusciti a sottrarsi e che dopo anni si riaffacciava nelle loro vite per portare a termine qualcosa che aveva solo iniziato. (“Com’è strana questa lotta! Ho fatto di tutto per mettermi in salvo ma il nemico continuava a seguirmi. Ora so che non poteva agire diversamente: siamo legati ai nostri nemici, che a loro volta non sono in grado di sfuggirci”).

Da assidua lettrice mi è capitato, con una certa frequenza, di imbattermi in personaggi detestabili e Lajos è uno di questi, sale di diritto in cima alla mia personalissima top ten, forse secondo solo al Capitano Justiniano di “Teresa Batista Stanca di Guerra”, per intenderci, l’orco che si divertiva a deflorare e seviziare bambine povere, spesso vendute dalle loro stesse famiglie per una manciata di cruzeiros e che ad ogni stupro aggiungeva un’ anello, alla sua collana d’oro, per celebrare l’ennesima preda che piegava alle sue insaziabili voglie.
A molti, questo paragone potrebbe risultare azzardato, ma in realtà ci troviamo di fronte a due veri e propri predatori sociali.
Il commerciante di Jorge Amado è un sadico che si serve dell’abuso fisico (pugni, percosse, frustate, bruciature ai piedi con il ferro da stiro) e di atroci prevaricazioni per sottomettere e schiavizzare le sue giovani vittime; Lajos invece è un burattinaio più subdolo, e non per questo meno spietato, che ricorre a pericolose manipolazioni mentali o a veri e propri lavaggi del cervello, per ridurre il malcapitato di turno in uno stato di annichilimento psicologico ed Eszter, più di altri, ne è la prova.
Eszter ovvero la donna che non solo accetta supinamente la propria distruzione, ma collabora con il suo carnefice firmando quell’atto di donazione che la spoglierà dell’ultimo bene di cui è ancora in possesso: la casa e con essa la garanzia di una vecchiaia serena.
Sigla la resa, senza protestare, e aspetta la morte che è “pace” e “assoluzione”.
A nulla serviranno le raccomandazioni del notaio e amico Endre, i suoi tentativi di impedire quell’accordo scellerato che l’avrebbe strappata dalla “modesta isoletta su cui si era rifugiata dopo il naufragio”. Eszter ormai ha deciso, inconsapevolmente (“Sì, risposi involontariamente; avevo l’impressione di parlare in sogno”), ma ha deciso.

Non so se Marai abbia avuto modo di leggere gli studi di Hervey Cleckley, se ne abbia subito l’influenza, ma certamente ha affidato alla narrazione un protagonista maschile che riassume in sè, quasi didascalicamente, tutte le caratteristiche del perfetto narcisista maligno, consegnando a noi lettori un piccolo romanzo, per alcuni versi estremamente attuale, che coglie e sviluppa le insidie del processo di seduzione psicopatica, lo stato d’animo di chi subisce una violenza che non lascia lividi, quella psicologica.

Lajos fece ingresso nella famiglia di Eszter perché amico del fratello Laci. I due erano identici “nel corpo e nell’animo”. Erano inseparabili. Ai tempi dell’università condividevano non solo lo stesso appartamento, ma anche i sogni, il dolce far nulla e il loro passatempo preferito: raccontare frottole.
Venivano considerati grandi promesse, pur non avendo uno spiccato talento se non quello di fantasticare inventando storie strampalate, ma di fatto non realizzarono nessuno degli obiettivi che si erano prefissati, e finirono con il partorire un topolino. Abbandonarono gli studi a metà percorso, Laci per aprire una bottega in cui vendeva manuali scolastici e oggetti di cancelleria, Lajos invece, da instancabile megalomane, continuò a sognare in grande, e si lasciò sedurre dalla politica, anche se non aveva una sua convinzione. Infatti dopo aver militato tra le varie file di vari partiti, anche di segno opposto, fu messo alla porta unanimemente da tutti.

Già da qui si intravedono almeno due aspetti che sono propri dei narcisisti perversi, innanzitutto l’incapacità di portare a termine qualsiasi progetto. Sono corridori a breve distanza che collezionano una serie di fiaschi perché si annoiano facilmente. Con estrema rapidità riescono ad abituarsi a qualsiasi persona o attività, consumano- fagocitano- svuotano e poi passano ad altro. Vivono di “novità”, di quel senso del “pericolo” di cui parla lo stesso Lajos, citando a sproposito Nietzche, che li spinge a ribellarsi, non contro qualcosa o qualcuno, ma contro la vita stessa perché in essa non ritrovano nulla di stimolante se non un’appagamento transitorio.
Eva, la figlia di Lajos si dice spaventata, ma anche affascinata dalla “leggerezza” del padre, dalla sua assenza di vincoli interiori, inclusi i suoi doveri di genitore, da come tutto lo lasci indifferente ad eccezione del pericolo di cui egli stesso va a caccia esplorando nuovi orizzonti, vivendo in mezzo agli uomini (“il passatempo più pericoloso”), a costo di uscirne sconfitto, frastornato e depredato.

L’altro aspetto riguarda invece l’uso sistematico della menzogna. Sono bugiardi patologici, impostori patentati e la loro stessa esistenza è un bluff. Ingannare e manipolare la percezione che gli altri hanno della realtà li fa sentire più intelligenti, più astuti, più potenti (“Sembrava che si stesse stropicciando le mani per la gioia, come uno che giocando a carte si accorge stupefatto di aver vinto una partita che credeva di aver perso”).
Lajos mente “come urla il vento”, “come cade la pioggia” con allegria indomabile e soprattutto con un’insolita naturalezza. Piange mentre racconta l’ennesima bugia e se scoperto “passa a dire la verità con la stessa disinvoltura con cui poco prima aveva mentito”. E’ un bugiardo che riesce a guardare, il proprio interlocutore, dritto negli occhi, senza mostrare alcun segno di cedimento.
Per molti, e per la stessa Eszter, queste menzogne potrebbero apparire come il residuo di un ingenuità infantile inconsapevole e priva di malvagità, in realtà spesso sono finalizzate ad attività fraudolente, a vere truffe e imbrogli.
Non a caso Lajos si è dimostrato così bravo a mentire e plagiare gli altri che ,senza troppa fatica, ha ingannato e derubato tutti coloro che in lui riponevano la massima fiducia e che a lui si erano letteralmente consegnati.
Difatti non solo era riuscito a farsi accogliere e benvolere dalla famiglia dell’amico Laci, ma sfruttando il proprio fascino, l’agile oratoria, la capacità di sedurre indistintamente tutti, si era imposto come un piccolo tiranno. In quella casa avvertivano la sua superiorità e ne erano intimoriti. Lajos invece fingeva gentilezza, ma osservava quelle persone con disprezzo, detestava il loro fare provinciale, e silenziosamente li avviava al cambiamento. Iniziarono allora a vestire e a comportarsi in maniera diversa, a leggere i libri consigliati da quello strambo giovanotto (opere peraltro di cui lui conosceva solo il titolo), a vivere al di sopra delle proprie possibilità. In breve tempo creò un vero e proprio rapporto di dipendenza trasformando i membri di quella famiglia in pupazzi da istruire e usare a proprio piacimento.
Si dichiarò follemente innamorato di Eszter, ma poi sposò la sorella maggiore, Vilma. Glielo consentirono.
Attraverso un “sistema invisibile di vasi capillari” fu abile a risucchiare tutto il loro patrimonio, e quando finirono i soldi cominciò a portare via, da quella casa, gli oggetti “come ricordo” - sosteneva (mentendo). Glielo consentirono.
Nessuno si mostrò sufficientemente forte da annullare le “stregonerie” del fachiro indiano che, con il sorriso sulla bocca, “si inchinava con in mano il piattino per riscuotere le offerte”. Lajos potè agire indisturbato diventando un esperto domatore di belve addormentate.
A distanza di vent’anni nuovamente bussa a quella porta “con un piano bell’e pronto” (vi è sempre intenzionalità e calcolo nell’agire di un narcisista maligno) per appropriarsi dell’unico bene di cui non era ancora entrato in possesso, la casa. Eszter ,ancora una volta, glielo consentirà.

Torna e allestisce il suo “teatrino psicopatico” di cui egli è il regista, ma anche l’attore principale. Recita, avvalendosi dell’aiuto di altri collaboratori che gli fanno da spalla (la figlia Eva più di tutti) o che si limitano ad interpretare il ruolo della comparsa. Riporta in scena una vecchia commedia che ormai gli spettatori conoscono a memoria, utilizzando peraltro gli stessi numeri retorici che avevano funzionato in passato. Il copione resta pressochè invariato, ma tutto funziona alla perfezione.
Rispolvera il proprio fascino, il magnetismo, la parlantina, come armi di conquista, e inizia la gara per guadagnarsi la fiducia dell’altro, inventando ad arte bugie tragicomiche, per esempio vince la diffidenza di Nunu, la più scettica del gruppo, consegnandole una lettera (falsa) di un Sottosegretario di stato in cui questi dimostra di avere a cuore il desiderio della donna di diventare un’impiegata postale. Peccato che Nunu con i suoi 70 anni non possa più lavorare.
Si cala nel ruolo del bravo prestigiatore, tira fuori dal cilindro una tartaruga “sensibile alla musica”, fischietta,e invita tutti ad osservare l’animale che allunga il collo -come per rispondere. Gli spettatori ne rimangono storditi. Li ha conquistati e finalmente abbassano la guardia.
Da buon psicopatico, Lajos dimostra ancora una straordinaria abilità nel diventare l’immagine riflessa del suo pubblico, ne intercetta i gusti e i desideri e si attiva per realizzarli. A questo punto il terreno è pronto per assestare il colpo di grazia: ottenere la casa.

E per fare questo sa che dovrà vendersi bene, camuffare il desiderio di dominio e la sua tendenza a distruggere la vita degli altri.
Chi è informato tema di psicopatia, nella figura di Lajos ritroverà quasi tutto: uno spiccato egocentrismo patologico, la completa aridità negli affetti (non conosce l’amore, nemmeno quello filiale) l’inganno perpetrato con precise tecniche della manipolazione come il gaslighting (basti pensare alla vicenda delle tre lettere che avrebbe spedito ad Eszter, probabilmente l’ennesima bugia), le calunnie e il tentativo di scaricare la colpa sugli altri, in primis su Vilma ( l’unica che non può più difendersi perchè deceduta), la vaghezza dei suoi discorsi, l’invenzione di dettagli per rendere più credibili le fandonie che va a snocciolare, la mistificazione, il vittimismo, la teatralità dei gesti, la sua innata capacità di giocare con le emozioni degli altri (il colloquio finale con Eszter ne è una conferma), ma anche un'inspiegabile spietatezza, la totale assenza di empatia (liquida il progetto di spogliare Eszter della sua casa per rinchiuderla in un ospizio come “ una faccenda non così tragica”), la mancanza del senso di rimorso e di vergogna per il danno inflitto (“Dov’è il tuo limite, Lajos? Domandai. Immagino che tutte le persone abbiano un limite interiore grazie al quale attribuiscono una certa misura sia al bene che al male. Ma tu non hai limiti”), e soprattutto l'abgilità con cui altera la capacità di raziocinio del suo interlocutore.

Per i lettori meno attenti è facile simpatizzare con personaggi ,come Teresa Batista, che subiscono una violenza fisica evidente e dunque riconoscibile, faticheranno invece a solidarizzare con una donna, come Eszter ,la cui “stima di se” è così compromessa da portarla ad accettare il suo totale annientamento.
In realtà non dobbiamo dimenticare che Eszter, al pari dell'eroina brasiliana, deve essere considerata una vittima.

Marai, a mio avviso, in questa sua opera, ha avuto il grande merito di rappresentare, con crudo realismo, la devastazione psicologica di chi incappa in un predatore emotivo, dimostrando, anche agli scettici, come uno psicopatico, senza schiaffi o calci, possa comunque trasformare persone forti e sane nell’ombra di se stesse relegandole ad una non-vita.

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Mi sento di consigliarlo a tutti, soprattutto a chi sente di aver vissuto una relazione tossica.
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BeaBonheur Opinione inserita da BeaBonheur    29 Ottobre, 2017
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IL DESTINO VINCE SEMPRE

Ritorna in Marai una molteplicità tematica che gioca un punto forte nella poetica dell'autore. La solitudine, la vendetta per un passato irrisolto, l'ineluttabilità del destino sonom anche in questo romanzo, elementi che caratterizzano la "cupezza" di questa storia.

"La legge del mondo esige che ciò che è iniziato una volta, debba essere condotto a termine", saggia verità che ci avverte di quanto il passato torni a bussare prima o poi alla nostra porta, di come torni a invadere la solitudine che proprio quel passato ha generato e che, immancabilmente quando ciò avviene, porta con sé un senso di rivalsa e vendetta, che però in questo caso finisce per essere arrendevole.

Eszter, donna sola e oramai adagiata su ciò che la vita le ha lasciato, deve infatti tornar a fare i conti con la sua predestinazione, il "responsabile di tutto ciò che è accaduto nella vita": il suo amore estremo e cieco per Lajos, personificazione della menzogna. La prova che l'amore è capace di succhiarti, con la tua passiva complicità, tutto ciò che possiedi, che senti ed, infine, che sei, facendo cadere qualsiasi forma di ostinazione.
Lajos infatti torna dopo decenni ai suoi natali per avanzare l'ennesimo conto alla porta di Eszter, l'ennesima bugia volta ad ottenere i suoi guadagni, unico scopo della sua esistenza.
Dopo un tempo che sembra non esser passato, Lajos però esige di più dalla donna, non più materialismo e un vero ricatto psicologico giocato sui sordi sentimenti di Eszter; egli svuota la coscienza (incoscienza) per rigettare luce sull'indecifrabile passato che hanno condiviso.

Marai ci insegna che tutto riemerge, che il tempo è ciclico e, prima o poi, le ombre ricompaiono ed intensificano ancor più la solitudine che il trascorrere ha lasciato quale strascico al suo struggimento silenzioso.
Ciò che però più apprendiamo da questa breve storia riguarda il fatalismo... perchè "Un giorno ci accorgiamo che tutto era preordinato secondo un meccanismo perfetto" secondo un imperativo che forma il significato ed il contenuto di ogni vita. Le esistenze di Eszter e Lajos sono state irrimediabilmente e per sempre deviate dall'incontro reciproco in modo talmente spietato da portare un conto finale che ancora una volta grava sulla donna. Ineluttabile è anche il loro rapporto, così come tutti i rapporti, oltre che il loro infausto incontro, il quale li ha consumati e la cui fiamma non si è mai spenta.
Esistono legami indissolubili proprio perchè inevitabili, nel bene e nel male, che appartengono ad "una legge diversa (...)una legge più dura e rigorosa che impone alle persone di sentirsi intimamente legate ad un'altra, come due complici".

L'eredità di Eszter ci coinvolge e ci "stanca" nella sua impossibile lotta contro il destino, da cui, dai racconti di Marai, non si sfugge

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Elena72 Opinione inserita da Elena72    07 Aprile, 2017
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Testa o cuore?

“Non so cosa mi riservi ancora il Signore. Ma prima di morire voglio narrare la storia del giorno in cui Lajos venne per l'ultima volta a trovarmi e mi spogliò di tutti i miei beni”. E' ormai anziana la donna che rievoca in un lungo flashback l'evento che sconvolse la sua vita: il ritorno dell'uomo a cui da sempre e per sempre è rimasta legata in un vincolo soprannaturale e demoniaco: “Ho fatto di tutto per mettermi in salvo. Ma il nemico continuava a seguirmi.” A quarantacinque anni Eszter è ancora un'avvenente signora circondata dalla stima e dall'affetto di poche ma fidate persone e vive serena insieme alla governante Nunu nella casa che ha ereditato dal padre. Un telegramma annuncia il ritorno di Lajos e “come una sonnambula” Eszter viene svegliata all'improvviso da un dormiveglia durato vent'anni. L'incontro, tanto atteso quanto insperato assume ben presto le caratteristiche di uno scontro, di un duello dal quale uno dei due uscirà vincitore e l'altro sconfitto. Come se il tempo non fosse mai trascorso, Lajos “riemerge dal passato per annunciare con voce commossa, di voler mettere a posto ogni cosa”, di essere ancora innamorato di Eszter, anzi, di averla sempre amata nonostante ne abbia sposato la sorella Vilma, ormai morta. Eszter, incredula, cerca di controbattere, ma Lajos incalza, passa dalle lusinghe alle accuse, dal ruolo di carnefice a quello di vittima in un crescendo di tensione e colpi di scena. Come comportarsi di fronte alle proposte di Lajos? Decisione non facile da prendere per Eszter, perché Lajos non è solo un amante apparentemente devoto, è anche e soprattutto uno scialacquatore, un inconcludente, un donnaiolo e un approfittatore. E questo Eszter lo sa, ma sa anche quanto “le decisioni fatali, quelle che determinano il profilo caratteristico del nostro destino siano molto meno consapevoli di quanto supponiamo”. Cosa è giusto seguire nella vita? Il cuore o la ragione?

Marai è un maestro nel delineare personaggi ambigui, poliedrici, ammalianti. I dialoghi (spesso monologhi) sono degni del copione di un dramma pirandelliano, in cui ognuno mostra la propria verità, perché una verità assoluta non esiste. Sta a noi lettori giudicare: condannare o assolvere secondo la nostra coscienza.

Dopo Le Braci (stupendo) volevo leggere altro di Marai e L'eredità di Eszter non ha deluso le mie aspettative. Mi ha incollata alle pagine dall'inizio alla fine in un crescendo di suspance, mi ha fatto riflettere, ma soprattutto mi ha lasciato un interrogativo in sospeso. Alla chiusura del libro mi sono chiesta: e io cosa avrei fatto al posto di Eszter? E' proprio vero che “gli amori infelici non finiscono mai”.

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lapis Opinione inserita da lapis    09 Marzo, 2017
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“Gli amori infelici non finiscono mai”

Una donna attende da vent’anni il ritorno dell’unico uomo che abbia mai amato. Lajos l’imbonitore, che l’ha fatta innamorare con le sue menzogne e il suo fascino, e poi ha sposato sua sorella. Lajos il falsificatore di cambiali, che ha sempre chiesto soldi, rischiando di mandare sul lastrico tutta la famiglia. Lajos il fuggiasco, che se n’è andato senza più dare notizia. Nel tempo Eszter è riuscita a saldare, uno ad uno, i pezzi in cui si era sgretolata la sua vita, cementandoli in un’esistenza placida e serena. Ha piano piano reso silenziose come un leggero fruscio le voci del passato e dei ricordi. Ha seppellito i sentimenti sotto una coltre di gesti quotidiani e tranquille amicizie. Eppure, anche se non lo sa, è solo in attesa. E un giorno quel telegramma arriva: Lajos sta tornando.

Quella che Sandor Marai descrive, con stupefacente profondità, non è però la storia di un incrollabile sentimento piuttosto delle conseguenze psicologiche di un amore rimasto in sospeso, non vissuto, regalato ad un uomo rivelatosi bugiardo e inaffidabile. Eszter sa di non poter credere alle parole di Lajos, inganni pronunciati “come urla il vento, con una specie di forza primordiale”; sa di non potergli affidare nulla, tantomeno un sentimento, perché tutto nelle sue mani viene corrotto. Eppure, per quanto sensata sia la voce della ragione, c’è qualcosa che risuona, ancor più forte e disperato, nella cavità che è diventata la sua vita: l’eco del rimpianto. Perché “non basta amare qualcuno. Bisogna amare con coraggio” e, con la stessa chiarezza con cui sa che l’epilogo di questo amore sarebbe stato comunque già scritto in partenza, Eszter sa anche di non aver avuto coraggio. Né per vivere fino in fondo l’amore per Lajos, né per dimenticarlo davvero. Ed ora deve fare i conti con l’incompiutezza della propria vita che reclama un tardivo, inevitabile, disperato finale.

Le parole di Eszter, voce narrante in prima persona, ci incantano con la loro pacata fluidità e morbidezza, così in contrasto con l’incisività con cui ci rivela, tra le righe, l’inquietudine e la profondità del suo animo. Pagina dopo pagina, parole di velluto avvolgono il cuore del lettore ma non abbracciano, stringono sempre più forte man mano che il destino, atteso con rassegnazione, si rivela nella sua ineluttabilità. Vorremmo un tentativo di opposizione, un gesto di ribellione. Invece Marai ci lascia riflettere amaramente sulla verità di un’umanità che non può cambiare, come non può sfuggire al proprio dolore.

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68 Opinione inserita da 68    12 Dicembre, 2016
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Speranza, inganno, legame assoluto

Il palcoscenico della vita inevitabilmente ci costringe a recitare una parte e ad indossare una maschera che finisce con il caratterizzarci ed essere maschera della vita stessa. Allora il quotidiano si traveste da commedia, recita, spettacolo, e le stesse parole di coloro che vi assistono ne divengono parte integrante.
Eszter ha vissuto l' impensabile sulla propria pelle, quando molti anni prima ha sposato Lajos, e da lui è stata più volte ferita, ingannata, derubata, tradita, fino a quel matrimonio con la sorella di lei Vilma ( poi morta ) e a quei due figli ( avuti da Vilma ) ormai cresciuti.
Lajos un giorno si annuncia di nuovo alla sua porta, senza un perché, se non la domanda che tutti si pongono: che cosa si cela dietro questo improvviso ritorno e chi è realmente quest' uomo?
Tutti hanno, in passato, imparato a conoscerlo e ritengono sia un impostore, un mascalzone, un imbonitore, un venditore di fumo, un arrivista, eppure assistono inermi e partecipano a quello spettacolo dell' assurdo da lui così meticolosamente inscenato, attratti da quel fascino impudente, scanzonato, dalla sua ammagliante irresponsabilità, perché in sua presenza la propria vita si fa improvvisamente emozionante e pericolosa, percorsa dal brivido dell' incertezza, da un soffio vitale da troppo tempo sopito.
Eszter conosce a memoria ogni sua singola espressione, gesto, inganno, potrebbe anticiparle, ripeterle, non crede più alle sue parole, esperta, consapevole, disillusa, oggi molte cose sono cambiate, eppure sembra avere atteso da anni il suo ritorno per rivivere emozioni lontane e mai dimenticate.
Lajos crede a quello che dice, alterna e confonde finzione e realtà, piange e si dispera sempre con il massimo impegno, ma la verità è che non sente mai nulla. Si limita a giocare con le passioni degli esseri umani in un' assenza assoluta di morale.
Il suo racconto è talmente finto ed inverosimile da trasformarsi in reale, divenirne essenza, capovolgendo termini e significati, in una neo-dimensione percettiva che abbandona legge e moralità per spingersi in un campo minato, inverosimile ma possibile, quella morale da lui stesso creata come un vestito che gli calza a pennello, ed un senso di possesso affettivo che coinvolge e distrugge gli affetti più cari, in primis Eszter, che, consapevolmente, sarà pronta, ancora una volta, a donare e ad affidare a questo furfante tutta se stessa.
La scoperta, o la remissione, sta in quel senso di appartenenza che segna un destino siffatto e completa quello che si era iniziato ed interrotto, marchiando per sempre la propria fine ed infelicita', ma ormai poco importa " ....perché gli amori infelici non finiscono mai "...."
Marai continua nel proprio percorso, fatto di essenza e passione, sentimenti vissuti e negati, di quella variabile umana che ogni volta ripresenta uno stato di tormento ed angoscia.
La sua è una commedia-tragedia dei sentimenti, oltre che analisi psicologica e socio-politica di una porzione di secolo dai cambiamenti profondi ( la modernità, la crisi individuale, l' omologazione ) e segnata da due guerre mondiali, in un complicato tentativo di ricomporre lo sconfinato ed indefinito puzzle della vita.
La disillusione e la malinconia definiscono il contorno, sempre, l' attesa ne è l' elemento primario, il duello verbale il campo di battaglia, i silenzi espressione di forti emozioni spesso negate.
La vita, che sembra scorrere o trascinarsi in uno stato di " normalità " e quiete apparente, lontana da imprevedibili turbolenze, finisce impietosamente con il mostrare un duplice volto, l' arroganza ed impietosita' del mondo esterno ed i propri tormenti interiori, ovvero quella sofferenza ed imprevedibilità dell' esistere che è tentativo, spesso negato o semplicemente mancato, di definirne senso e peculiarità.

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SARY Opinione inserita da SARY    14 Giugno, 2013
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Il falso

In questo romanzo di Sandor Marai i protagonisti principali sono Lajos il falso ed Eszter la buona. Sono uniti fin dall’adolescenza da un sentimento simile all’amore, ma a causa dell’instabilità emotiva di lui l’incanto svanisce presto, lasciando il posto ad una realtà beffarda, ossia il matrimonio di Lajos con la sorella di Eszter. Per lunghi anni non ci sono contatti fra i due ex amanti, fino al fatidico giorno in cui Lajos ricompare prepotentemente nella vita di Estzer per mettere la parola fine al dramma teatrale iniziato vent’anni prima. Cosa farà la nostra Estzer? Reagirà dando il ben servito all’impudente o si piegherà al suo volere? (“esiste nella vita una specie di regola invisibile per cui ciò che si è iniziato un giorno prima o poi lo si deve portare a termine in un modo o nel’altro”).
Lajos è un personaggio negativo. È un concentrato di menzogne e menefreghismo. Ci sono in circolazione persone come lui, che per quanto inconcludenti siano hanno un carisma ed una personalità che attira, calamita simpatie e favori, oltre che i guai. Lajos è un venditore di fumo, fiuta l’aria in cerca di affari, prende granchi invece di pesci ma riesce con l’inganno e, concedetemi, l’ingegno a tirarsi fuori dai pasticci, uscendone indenne; fa parte di quella schiera di persone che cadono sempre in piedi. Chi paga le conseguenze di questi comportamenti subdoli e umilianti? I buoni, gli ingenui, i sentimentali ed in generale coloro che non vogliono guardare in faccia la realtà, in questo caso la cara Eszter. Non ho condiviso il suo comportamento remissivo e accomodante. Perché mai questa donna prosciugata dall’attesa si sente ancora in dovere di mettere le pezze ai crateri creati da un uomo approfittatore? No no no Eszter, è solo colpa di Lajos se le cose sono andate così, perché dovresti perdonarti di non essere stata capace di amare coraggiosamente? Ma chi decide come si ama? È una reazione naturale, spontanea e reciproca, non forzata e unilaterale! Credo che l’amor proprio e un pizzico di orgoglio aiutino a vivere in modo sano rapporti e situazioni.
Alcuni passi mi hanno infastidita, altri rapita. Avrei preferito una precisa collocazione spazio temporale, sento il bisogno di sapere dove mi trovo e con chi ho a che fare per prepararmi ed armarmi del necessario. Avrei preferito, inoltre, una maggior determinazione e reazione da parte della protagonista, forse non sono riuscita a mettermi del tutto nei suoi panni. A parte queste personali “critiche”, il libro mi è piaciuto, è scritto benissimo, si legge con piacere.

“Quando qualcuno riemerge dal passato per annunciare con voce commossa di voler mettere a posto ogni cosa, si può soltanto compiangerlo, o sorridere delle sue intenzioni; il tempo ha già messo a posto tutto, a modo suo, nell’unico modo possibile.”

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C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    31 Mag, 2013
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La menomazione di Lajos

Lajos sta per tornare, Lajos tornera'.
Placida scorreva la vita di Eszter prima di essere scossa da una notizia inaspettata. Dopo vent'anni , i primi tempi superati col cuore ebbro di speranza, i seguenti nell'oblío della rassegnazione, lui torna.
L'unico uomo da lei mai amato, colui che le volto' le spalle per sposare l'odiata sorella, ambasciator che porta pena ricompare dopo due decenni di mutismo.
Pruriginoso cicerone della menzogna, abile giocoliere di bugia e arroganza che col calar del sipario leva il cappello e si arroga il diritto di chieder pecunia guardando dritto negli occhi, eccolo Lajos, i capelli ingrigiti ma gli stessi metodi di giovanile astuzia.
Che colpa ha questo povero ammaliatore se la vita e' cosi' assurda da esigere il riscatto dei crediti concessi, quando professare il culto del debito e della truffa , denudarsi da ogni sorta di coscienza sarebbe cosi' semplice, alla portata di chiunque ? Del resto l'intenzione e' cio' che conta, se essa e' benevola il mezzo e' giustificabile. No ?
Eszter dalla figura opaca ascolta e capisce. Cio' che un tempo ha avuto inizio, prima o poi reclama la sua fine.

Paradosso della rassegnazione, Marai propone un romanzo con pochi personaggi egregiamente delineati . Benchè l'evolversi della vicenda si riveli poco sostenibile in nome di quel minimo di senso della giustizia e del riscatto che ognuno ha in sè, la trama incuriosisce e tiene viva l'attenzione.
Lo stile dell'autore incanta scivolando sulle pagine con un pennino di cristallo artigianale privo di imperfezioni, in paragrafi di un lindore tale da non temere il peggiore astigmatismo.
Gli amori infelici non finiscono mai Eszter, perlomeno finche' noi avalliamo il loro protrarsi. Buona lettura.

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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    08 Febbraio, 2013
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Pace interiore

"Ho fatto di tutto per mettermi in salvo. Ma il nemico continuava a seguirmi. Ormai so che non poteva agire diversamente: siamo legati ai nostri nemici, che a loro volta non sono in grado di sfuggirci."
Questo bellissimo romanzo non contiene una parola di condanna per l'avventuriero, il bugiardo, il mascalzone Lajos. Anzi. Tutti nel libro sembrano essere il più possibile dalla sua parte compresi i due amici sinceri, il giusto Endre e il fedelissimo Tibor. Se devono dire una parola contro Lajos lo fanno malvolentieri. Il compito di condannare e anche di capire è tutto sulle spalle del lettore. E' il lettore che assiste dall'esterno a questa fascinazione collettiva, a questo ultimo inganno e si deve chiedere, su suggerimento della protagonista, se anche lei abbia qualche colpa. Se quei vent'anni d'attesa, in virtù dei quali potrebbe accusare e avanzare delle rivendicazioni, non siano in realtà l'ultima legittima arma di Lajos, quella che lo fa entrare in quella casa a testa alta chiedendo, anzi pretendendo quello che chiunque sano di mente riterrebbe impossibile chiedere a un altro essere umano: tutto quello che gli resta.
Il lettore si interroga se una simile conclusione in nome della fedeltà a un amore sia troppo, sente di doversi ribellare al finale della storia. Forse Eszter avrebbe fatto meglio a scegliere uno dei fedeli amici. In ogni caso, parole di Eszter, la vita è stata clemente con lei in modo inspiegabile, più di quanto osasse sperare. La sua risposta è questa pace interiore, questo tirarsi fuori dalle passioni, l'odio della sorella e la generosa avidità di Lajos, rinunciando a tutto, non trattenendo nulla per sé, se non forse l'affetto silenzioso e generoso dei fedeli amici e della zia. Un libro bellissimo e di difficile comprensione dove Marai, al solito, delinea magistralmente il profilo dei due protagonisti e rende splendidamente anche le figure minori.

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andrea70 Opinione inserita da andrea70    03 Dicembre, 2011
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Il destino del cuore

Marai scrive bene come pochi, ha una capacità rara di scendere nell'animo umano senza mai smarrirsi ma anzi creando personaggi che rimangono impressi anche se li incontriamo solo per poche pagine.
Marai racconta la storia di un destino ineluttabile in quanto frutto di una scelta del cuore fatta da Eszter, abbandonata molti anni prima da un avventuriero di pochi scrupoli , Lajos.
Quest'ultimo nella sua sfacciataggine,nella sua arroganza, nella sua totale pochezza di uomo è uno dei personaggi che fanno più rabbia nella storia della letteratura, un cialtrone vero.
Ma Eszter non rinnega nulla di quel passato, perchè vorrebbe dire far perdere valore ai pochi momenti veramente belli della sua vita, quelli in cui le è parso davvero di aver "vissuto", per quanto i sentimenti di Lajos sfuggano a qualunque certezza di autenticità.
E' una vicenda d'altri tempi che magari ai giovani dei nostri giorni potrà sembrare un pò eccessiva, ma in fondo è solo una trasposizione di tanti amori disperati che si vivono anche oggi, cambiano i protagonisti, gli oggetti del contendere, le menzogne, ma non il dolore, il valore dei ricordi, di quanto di bello abbiamo vissuto, il senso di dignità di chi perde tutto ma non è sconfitto perchè come dice Eszter :"Gli amori infelici non finiscono mai".
Commovente seguire il percorso morale della scelta di Eszter, avresti voglia di prendere a schiaffi Lajos, di scaraventarlo fuori da una finestra, di abbracciare la straordinaria Nunu.
Come per "Le braci" si tratta di un libro bello, profondo e toccante.
Grandissimo Marai!

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Lady Libro Opinione inserita da Lady Libro    03 Novembre, 2011
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La maschera dell'attrazione

Difficile recensire questo romanzo breve.
Poche pagine, ma molto intenso e dalla trama articolata.
La vicenda comincia con Eszter, protagonista e narratrice della storia, che riceve un telegramma che la informa dell'imminente ritorno di Lajos.
Lajos, scomparso vent'anni prima. Lajos, l'uomo che amava ricambiata e che invece sposò sua sorella. L'uomo che l'ha privata di tutta la sua eredità, un eterno e impenitente bugiardo, abile giocatore di persone e ricchezze, uomo dall'irresistibile fascino che ha sempre esercitato, grazie alla sua personalità, un'influenza benevola impossibile da evitare.
Eszter, ormai povera ma comunque in grado di provvedere a se stessa, non può fare altro che aspettare e accoglierlo, senza opporsi al suo destino.
Perchè il presentimento che egli possa venire per potarle via anche l'ultimo briciolo di ricchezza che le è rimasto è forte, anche se forse dietro le intenzioni e i pensieri di entrambi si nasconde molto di più...

E' il primo libro di Màrai che leggo, e mi sono subito innamorata del suo stile: la tensione e il desiderio di continuare la lettura per sapere come andrà a finire tutto non manca mai.
Inoltre questo è uno dei pochi libri che ho letto in cui ho notato un' approfondita e completa descrizione psicologica del personaggio centrale, in questo caso di Lajos.
Leggendolo si prova di tutto: curiosità, preoccupazione, tristezza, malinconia, rabbia e risentimento.
Come tanti colori si trovano in un quadro, anche in questo romanzo si notano numerosi "colori" e Màrai è un pittore con la penna.
Inutile dire che non vedo l'ora di leggere altri suoi libri.

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