Le intermittenze della morte Le intermittenze della morte

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68 Opinione inserita da 68    02 Gennaio, 2023
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Morte umanizzata

Un giorno, all’ interno dei confini di uno stato imprecisato, la morte sospende improvvisamente la propria presenza assentandosi dalla vita e lasciando spazio all’ immortalità. Quale meraviglia e sbalordimento, feste, bandiere esposte, l’ accostamento al divino, l’eternità come ricompensa, tutti i problemi risolti.
Ma come pensare di vivere per sempre, ciascuno è la propria finitezza, nuovi dubbi si pongono, sociali, economici, politici, religiosi, etici, filosofici,.
Un idillio di breve durata, i moribondi rimandano la propria fine, la Chiesa non ha più senso, niente resurrezione e aldilà, le agenzie di pompe funebri inoperose, Ospedali e istituti geriatrici sovraffollati, che farsene di una moltitudine di anziani da accudire, il sistema pensionistico in crisi, e le assicurazioni sulla vita?
Una gioia tramutata in angoscia ed emergenza, lo stato non sa come gestirla, c’è chi porta i propri cari a morire negli stati confinanti, la maphia controllerà e gestirà il nuovo business, c’è chi vorrà morire ed è destinato all’ immortalità, alcuni morti viventi preferiranno il suicidio.
Economisti, filosofi, esperti di ogni genere interrogati su soluzioni possibili, una calamità che riguarda presente e futuro.
Il paese naviga in cattive acque, potere confuso, autorità diluita, valori invertiti, perdita del senso di rispetto civico dilagante, stati vicini insorti, si cerca di ricostituire l’equilibrio socio-politico, ma la vita eterna è un problema irrisolvibile.
Una società divisa tra la speranza di vivere per sempre e il timore di non morire mai, un dibattito filosofico in atto, la morte sarà la stessa per tutti gli esseri viventi, ciascuna morte è personale e particolare, al di sopra ce ne sarà una più grande, quella che si occupa dell’ insieme degli umani, e dove è finito il senso normale di concedersi a essa quando la propria ora è giunta?
Poi, un giorno, la morte ritorna e tutto parrebbe ricomporsi, ma questa volta invia delle lettere viola, otto giorni per lasciare la vita, consegne puntuali come i decessi e nessuno è pronto a morire.
Quale il suo volto, chi si nasconde dietro queste missive, sicuramente una donna, da ricercare, ma in che modo, perizie calligrafiche, ipotesi, identikit, non ha un volto se non la propria essenza, non è selettiva, non ha preferenze, da sempre impegnata nel proprio compito.
Se qualcuno, un giorno, non risponderà alla sua chiamata si sentirà sola, derubata, inascoltata, infelice, una debolezza che ha qualcosa di umano, creando un volto da amare, aprendosi al senso di finitezza e al miracolo della vita, osservando l’ affetto che la circonda ma che non la riguarda, inoltrandosi nella profondità dell’ arte, ascoltando la dolce melodia di un violoncello, respirando il profumo di un sentimento nuovo, con la possibilità di sottrarsi e sottrarre a un destino già scritto.
Il romanzo di Saramago, per buona parte piuttosto monocorde, si apre a un epilogo sorprendente dopo un flusso di ossessioni protratte, di eventi razionali e deliranti, riflettendo su temi riguardanti presente e futuro prossimi ( l’ invecchiamento progressivo della popolazione, una massa di anziani da accudire, i problemi pensionistici ) per affrontare un dato di fatto, il senso di finitezza, l’ inevitabile condanna sancita dalla nascita e il desiderio, poco condivisibile ma sempre più radicato, di immortalità.
La morte, quella vera, un giorno si presenterà, non è dato sapere quando, la vita eterna sarebbe individualmente inaccettabile, socialmente impossibile, economicamente insostenibile, nel frattempo si può rimandare la propria condanna.
In che modo? Respirando i giorni nella propria interezza, concentrandosi sul presente, allontanando le voci di una fine imminente, concedendosi alla forza dell’ amore e dell’ arte, alimentando passione e desideri, disorientando e rimandando il temuto appuntamento prestabilito, consapevoli del tempo nel tempo, in una qualità di vita che allontani il desiderio impossibile e inopportuno di aggiungere giorni infiniti totalmente svuotati di senso.

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siti Opinione inserita da siti    08 Gennaio, 2022
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La porta del labirinto

Partendo dall'assunto che l’unica certezza che abbiamo, nella nebulosa che ci avvolge - una trappola come il “labirinto senza porte” che è la vita - è la morte, Saramago si diletta nel sospenderla per alcuni mesi, e dopo averne studiato l’effetto, soprattutto sociologico, nel cosiddetto consorzio umano, a ripristinarla ma con modalità diverse.

Il 31 dicembre la morte cessa di manifestarsi, lascia nel limbo i morituri, i malati terminali e gli anziani oltre misura per lo più; a pensarci, senza ipocrisia, tutto il fardello umano che faticosamente la società civile riesce a gestire: malattia e morte con le implicazioni connesse di accettazione, cura, sodalizio, compassione, benché ci si sforzi, rappresentano ancora eventi che fanno emergere tutto il limite degli uomini, persi nella sete di vita che malattia o vecchiaia dei propri cari paiono cristallizzare. È l'eterno conflitto della vita contro la morte, il risultato sappiamo tutti qual è. L’egoismo trionfa e apre la pista alla vera morte, quella dell’anima, per poi lasciare il passo a “sora nostra morte corporale”.

Questa prima ipotesi surreale, affascinante quanto le altre di Saramago, una per tutte la cecità lattea, ha il dono di immergerci in una serie di riflessioni che ci portano contestualmente a indagare sull’essenza umana, sul comportamento del singolo e di riflesso sulle ricadute che esso ha sulla rete di relazioni sociali. Vengono inscenati diversi quadri consequenziali alla diretta assenza della morte: l’eutanasia, il sotterfugio, la “maphia” (ovvero un sistema di gestione della impossibilità di morire appaltata dallo stato a un non stato), insomma situazioni che non hanno nulla di surreale, e che al contrario accompagnano l’amara constatazione che purtroppo ad esse siamo già pervenuti. Una riflessione quindi sulla difficile coesistenza uomo-morte che passa dall’assoluta negazione della stessa morte per giungere all’altrettanto scontata verità che tutto il nostro sistema sociale è basato su di essa. Si pensi solo alle religioni: è nota infatti la sensibilità dell’ateo Saramago verso queste manifestazioni culturali. Insomma, tutta la prima parte del romanzo merita davvero la lettura.

L’ipotesi successiva, passati alcuni mesi, è che la morte si manifesti nuovamente, portatrice ancora una volta di esistenziali sconvolgimenti, come è nella sua natura, e qui la narrazione inizia ad arrancare fino a stagnare in una rappresentazione, dai toni squisitamente teatrali e barocchi, della solitudine della stessa morte che, nella sua svolta di entità ormai personificata, si ritrova a gestire un errore procedurale. Non sempre i piani vanno come si vorrebbe e la soluzione a questa impasse è tutto tranne che ciò che ti aspetteresti da Saramago! Finale per me scontato e deludente che forse sarà meglio apprezzato da chi crede ancora “amor omnia vincit”.

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Cecità, di gran lunga più meritevole
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aislinoreilly Opinione inserita da aislinoreilly    13 Mag, 2020
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Il lato umano della morte

-ATTENZIONE SPOILER-

In una nazione ignota, in un tempo passato a noi sconosciuto, la morte smette di svolgere il suo temuto lavoro. L’unica cosa che sappiamo è che allo scattare della mezzanotte del 1° Gennaio, la gente smette di morire, solo lì. Al confine e nei Paesi circostanti le cose funzionano esattamente come sempre, niente sembra essere cambiato. Questo avvenimento provoca una catena di reazioni, a partire dalla cittadinanza che, euforica, scoppia in moti di patriottismo e festeggia la sua apparente salvezza. I problemi, però, non tardano ad arrivare: chi doveva morire ora si trova in un perenne limbo, gli anziani aumentano sempre di più, le compagnie d’assicurazione chiudono i battenti, le pompe funebri ripiegano sui funerali degli animali domestici. Anche la Chiesa sta attraversando un brutto momento, senza la morte non c’è resurrezione e non c’è salvezza eterna dell’anima. Nei sette mesi che seguiranno si instaurerà un labile equilibrio grazie alla scoperta che, non appena giunte oltre confine, le persone tornano a morire come sarebbe dovuto essere. Un giorno, però, il direttore della televisione riceve una strana lettera viola, la lettere scritta dalla morte stessa. Ella dà comunicazione del fatto che il giorno successivo tornerà ad operare come sempre, prendendosi le anime di tutti quelli che devono trovare la loro strada verso l’aldilà. La notizia devasta la nazione intera, ma non c’è molto da fare. L’unico compromesso che viene raggiunto è che ella dia comunicazione agli sfortunati, attraverso una missiva viola, del prossimo trapasso una settimana prima del triste avvenimento. La morte in cuor suo credeva di aver avuto una buona idea, in quel modo ognuno avrebbe potuto aggiustare le cose per poter morire serenamente. Chiaramente, conoscendo poco l’essere umano, sottovalutò le reazioni che furono tutt’altro che ponderate. Chi riceveva la tanto odiata lettera, non pensava di certo ai doveri! Ma una lettera non riusciva proprio a recapitarla, tornava sempre indietro misteriosamente. Così decise di verificare di persona chi fosse il fortunato che sarebbe già dovuto essere morto, ma continuava a vivere. Era un violinista, modesto, solitario e dedito alla musica. Lo spiò senza farsi vedere, poi decise di consegnargli la lettera personalmente, ma in “veste ufficiale”. Si presentò al violinista sotto forma di una bellissima donna, provocando il suo inevitabile interesse. Ma la vicinanza agli esseri umani la influenza e la rende più umana a sua volta: proverà finalmente cosa sia l’amore e rinuncerà al suo ruolo per restare al fianco del musicista.

José de Sousa Saramago, premio Nobel per la letteratura nel 1998, dà al Mondo questo splendido romanzo nel 2005. Nel contenuto e nella forma si riconosce perfettamente lo stile narrativo di Saramago. Un esempio è la quasi totale mancanza di punteggiatura, la poca che troviamo viene inserita in modo singolare e anticonvenzionale. I dialoghi non sono “contrassegnati”, si alternano all’interno della narrazione stessa, creando un flusso di coscienza quasi ininterrotto. Si è sempre dichiarato ateo e il suo scarso apprezzamento per la Chiesa si percepisce abbastanza facilmente. La morte serve, soprattutto per incutere timore e ottenere devozione dai fedeli. Senza morte, non c’è nemmeno un giudizio finale, e la distanza fra Dio e l’uomo aumenta inesorabilmente. La Chiesa non è felice per la guadagnata immortalità perché perde l’appoggio dei suoi fedeli. Ma Saramago ci tiene a precisare che il romanzo non vada visto come una riflessione filosofica sulla vita e sulla morte, quello che viene narrato è solo una situazione assurda narrata con tono ironico e sarcastico. Non mancano nemmeno le critiche alla politica che arriva addirittura a patteggiare con la Maphia (chi leggerà capirà). Insomma, in questo libro c’è veramente di tutto. La cosa bella è che non c’è confusione e disorganizzazione, tutto fila liscio dalla prima pagina all’ultima. La morte è la vera protagonista, tutto quello che accade prima della sua entrata in scena è solo un contorno, non ci sono eroi, tutti sbagliano e tutti vengono giudicati dall’autore stesso attraverso la sua voce narrante. La morte di Saramago è una creatura ultraterrena scheletrica, riservata e donna. Ha sempre svolto il suo lavoro uccidendo gli esseri umani, ma solo grazie al violinista si rende conto di non averli mai realmente conosciuti. Non sono solo involucri di carne che hanno una scadenza che lei deve fargli rispettare, sono un Mondo affascinante che non ha ancora esplorato. Così, come un bambino curioso che scopre ciò che lo circonda, la morte scopre la vita. Se non è poesia questa, ditemelo voi.

Inutile dire che è un libro che si legge da solo, a parte il “trauma” iniziale del peculiare stile narrativo di Saramago, si fa presto ad abituarcisi e ad apprezzarlo. La storia, poi, è bella e originale, travolge e stuzzica l’immaginazione. È un romanzo che consiglio un po’ a tutti, ma solo se disposti a leggerlo tutto d’un fiato perché è un po’ complesso da seguire in una lettura frammentaria. Consiglio e straconsiglio.
Buona lettura!

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kafka62 Opinione inserita da kafka62    18 Ottobre, 2019
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EROS E THANATOS

“Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, poiché assolutamente contrario alle norme della vita, causò negli spiriti un enorme turbamento, cosa del tutto giustificata, ci basterà ricordare che non si riscontrava notizia nei quaranta volumi della storia universale, sia pur che si trattasse di un solo caso per campione, che fosse mai occorso un fenomeno simile, che trascorresse un giorno intero, con tutte le sue prodighe ventiquattr’ore, fra diurne e notturne, mattutine e vespertine, senza che fosse intervenuto un decesso per malattia, una caduta mortale, un suicidio condotto a buon fine, niente di niente, zero spaccato.”

Con “Le intermittenze della morte” Saramago realizza un arguto apologo, tra il romantico, il surreale e il grottesco, del rapporto tra eros e thanatos. Qui la morte è rappresentata come nella tradizionale iconografia medioevale, uno scheletro con tanto di falce e cappuccio (anche se poi usa la corrispondenza vergata a mano per recapitare ai morituri le sue fatali sentenze e la televisione di Stato per rendere pubblici i suoi messaggi), una forza potente a cui non è possibile far resistenza (ma che sbriga il suo millenario lavoro come un qualsiasi travet d’ufficio), la quale morte decide un giorno di travestirsi da giovane donna per avvicinare l’unico essere umano, un violoncellista cinquantenne che vive solo con il suo cane, che inconsapevolmente rifiuta di morire quando è giunta la sua ora. Entrata nella sfera privata della sua vittima, peraltro abbastanza grigia e routinaria (come del resto quella di quasi tutti gli “eroi” saramaghiani, esemplari di una solitudine feroce sopportata con estrema dignità e decoro), per la prima volta rimane coinvolta, complice anche la musica di Bach, dalle emozioni dell’umanità e, da fredda dispensatrice dell’estremo viatico qual era, decide di bruciare la ferale missiva e di rimanere al fianco dell’uomo nelle sue femminee fattezze (un po’ come accadeva agli angeli de “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders).
Il romanzo, che inizia e si conclude con un’identica frase (“Il giorno seguente non morì nessuno”), è scorrevole e divertente, ma sconta il peccato di far entrare in scena i suoi personaggi principali dopo ben più di cento pagine. Prima infatti Saramago si esercita a simulare gli effetti (politici, economici, sociali, psicologici e perfino religiosi) di un’ipotesi assurda: la scomparsa della morte in un Paese immaginario. Quella che sembra un’ipotesi da paradiso terrestre si rivela, nell’implacabile logica dello scrittore portoghese, una sciagura di proporzioni inimmaginabili. Se la Chiesa ha bisogno della morte, perché senza la resurrezione e l’aldilà la sua presenza diventa superflua, il Governo da parte sua si preoccupa del pagamento delle pensioni e dell’inevitabile incremento demografico, gli ospedali dell’impossibilità di garantire le cure mediche a una pletora di malati terminali destinati a non perire mai, le imprese di pompe funebri del chiudersi dei rubinetti che portavano loro profitti apparentemente a prova di qualsiasi crisi e recessione economica, e così via. Con il suo inconfondibile humour, Saramago immagina come l’umanità riesca a reagire con opportunismo, praticità e un pizzico di cinismo anche a questa situazione d’emergenza: le compagnie di assicurazione modificano le clausole delle polizze vita inventando la “morte virtuale” a 80 anni, la mafia si getta a capofitto in un nuovo business, l’organizzazione del trasporto a pagamento dei moribondi al di là dei confini nazionali (dove si continua a morire regolarmente), lo Stato chiude un occhio su questi traffici e anzi (dal momento che gli toglie non poche castagne dal fuoco) fornisce alla mafia anche una sorta di supporto logistico. Tutto questo è descritto in maniera estremamente abile e ingegnosa (del resto Saramago è il re dei paradossi, di cui è disseminata l’intera sua letteratura), ma anche un po’ distante, come se la vicenda fosse vista con gli occhi di uno scienziato che stesse conducendo un esperimento in laboratorio. E’ solo quando viene ristabilito il naturale ordine delle cose, vale a dire quando la gente torna a morire come prima (con la sola variante che la morte consegna una settimana prima ai predestinati una lettera viola che annuncia loro l’imminente dipartita), ed entra in scena il violoncellista restio a morire, che il racconto acquista – per così dire – anima e corpo, mettendo da parte l’umanità nel suo complesso per scendere al livello – come è maggiormente nelle corde del nostro autore – delle singole esistenze individuali (umane e non, vedi la bella figura del cane che riecheggia quella del suo simile de “La caverna”). Ma ormai, come già accennato, sono già trascorsi i due terzi del libro e, nonostante l’intensità delle pagine finali, non è più possibile togliersi di dosso l’impressione che “Le intermittenze della morte” sia più che altro un esercizio di stile, una prova tutto sommato minore nella ragguardevole bibliografia saramaghiana.

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CRISTIANO RIBICHESU Opinione inserita da CRISTIANO RIBICHESU    16 Agosto, 2019
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I sentimenti della morte


Sono sicuro che molti, come me, considerano Saramago un genio della narrativa. Sinossi che definire originali è restrittivo consentono lo sviluppo di una trama che coinvolge il lettore per la sua originalità e consente all'autore di analizzare i meandri dello spirito di un essere umano grazie alle situazioni inverosimili in cui i personaggi vengono a trovarsi.
Che la morte (con la m minuscole, e capirete il perché se leggerete questo romanzo) decida di sospendere il proprio millenario compito di divina istituzione è un fatto impensabile che comporta numerose spiacevoli conseguenze in un'intera nazione, tanto da rendere auspicabile la fine di questo singolare sciopero.
Non è semplice immaginare quali siano i sentimenti di colei che ha il compito di porre fine alle nostre esistenze. L'autore da una sua interpretazione e il lettore, rapito, si lascia trasportare tra le sue elucubrazioni fiducioso.
Lo stile di scrittura è inconfondibile. La solita sensazione di esser presi per mano e condotti in un mondo immaginario ma reale è presente dalla prima all’ultima pagina.
Non si può far altro che levare il cappello e inchinarsi di fronte a tanta intelligenza e capacità descrittiva.

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marinablu Opinione inserita da marinablu    04 Aprile, 2019
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ANNO NUOVO VITA NUOVA

Qual è tra i desideri più anelati dall’essere umano? Quello più insito in ognuno di noi?.... Forse la vita eterna, ebbene cosa succederebbe se la morte smettesse all’improvviso di fare il proprio dovere? In perfetta linea con il suo stile narrativo, Saramago ci racconta di una favola moderna, ambientato in un luogo non precisato ragion per cui potrebbe essere ovunque e per tutti. Il primo giorno del nuovo anno, così all’improvviso senza nessuna avvisaglia, le persone smettono di morire, tra le prime reazioni sicuramente c’è stupore ma anche gioia tra la popolazione in generale che finalmente ha ottenuto ciò in cui ha sempre sperato, ma poco alla volta non manca anche la costernazione tra politici e religiosi. Poi arriva il dover fare i conti con la realtà, le famiglie sono costrette a prendersi cura di persone la cui vita non ha fatto il suo “naturale” o “innaturale” corso, persone che pur essendo in uno stato terminale non possono e non riescono a morire, le polizze di assicurazione sulla vita diventano prive di significato, le agenzie funebri sono ridotte a organizzare sepolture per cani, gatti, criceti e pappagalli, che ne sarà della fede quando non si ha più paura della morte, quando non ci sarà più la necessità di sperare almeno di continuare a vivere nell’aldilà? Ma giusto il tempo di far assaporare la vita eterna con gli annessi e connessi che la morte rientra in campo con un nuovo colpo di scena, dopo qualche mese infatti la morte rientra a far parte di nuovo della vita delle persone inviando una serie di letterine viola con le quali annuncia e preavvisa la dipartita dei destiantari....
In questo testo Saramago si riconferma “Saramago” caratterizzato dalla sua solita scrittura dove la punteggiatura è scarsa e all’improvviso, da bravo narratore quale è, interviene nel racconto per meglio spiegare il susseguirsi degli eventi e con opinioni al limite del personale, sembra quasi che al sorgere di un pensiero nella sua mente d’impulso questo venga scritto, cosicché il racconto nasce, cresce e si sviluppa dinanzi al lettore. Si riconferma “Saramago” perché da una situazione totalmente assurda (in questo caso la morte che cessa di esistere, ma anche in Cecità dove un’intera popolazione poco alla volta smette di vedere) riesce a raccontare l’essenza dei comportamenti umani nel bene e nel male e a fronte di un’iniziale situazione imprevedibile la serie di eventi che ne sussegue rende la situazione stessa perfettamente credibile. E’ “Saramago” perché riesce a dare personalità alla morte, una morte che, in prima persona, ci tiene a precisare che è una morte con la “m” minuscola non con la “M” maiuscola perché la Morte, quella vera, è qualcosa di talmente terribile che l’essere umano non riesce neanche a immaginare perché sarebbe la fine di tutto e non un naturale “rigenerarsi” della vita, è una morte umile che si cala nei panni dell’umanità, è un personaggio verso il quale, attraverso la potenza della parole di Saramago, si riesce a provare empatia.
E’ “Saramago” perché con geniale ironia, una pungente satira e una penna brillante ci fa riflettere su uno dei temi che più tocca la nostra sensibilità, un tema che per noi è faticoso comprendere e accettare quando tocca la nostra pelle e ancor di più quella delle persone che amiamo. Vorremmo che la morte non esistesse più ma saremmo in grado di gestire l’eternità? Per quanto ingiusta ci sembri la morte, sarebbe altrettanto giusta la vita eterna? Abbiamo il diritto, per noi stessi e per altri, di scegliere tra la vita e la morte?
E’ inutile aggiungere altro per spiegare quanto mi sia piaciuto questo romanzo, SARAMAGO (scelgo volontariamente tutto maiuscolo per la sua grandezza) egli stesso è la prova che una sorta di eternità esiste, in quanto nonostante fisicamente non sia più tra noi, la magnificenza e il suo genio rimane presente e vivo attraverso le sue opere.


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Molly Bloom Opinione inserita da Molly Bloom    18 Marzo, 2019
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Inaspettato

Davvero originale l'idea di Saramago per questo libro, la morte che va in vacanza, e mette in subbuglio un paese intero sia in seguito alla sua scomparsa che in seguito al suo ritorno, critica con una ironia molto fine e intelligente la chiesa e lo stato, che da sempre sono state due istituzioni a capo dell'umanità, e la scomparsa della morte provocherà un guaio non indifferente per loro. Salta fuori anche la maphia, iena dello stato, che in accordo con quest'ultimo, svolgerà i suoi affari sporchi. Ci sono poi le agenzie di pompe funebri, le assicurazioni e gli ospedali che in qualche modo dovranno reinventarsi l'attività.....e poi c'è lei, la morte, che nel finale del romanzo sarà molto umana, da tutti i punti di vista.

Un libro tempestato di ironia, di situazioni paradossali ma alle quali magari a volte abbiamo pensato. L'eternità è il nostro sogno, che lo possiamo raggiungere attraverso la Chiesa e la Resurrezione, nella speranza di una vita futura (ma chi lo sa con certezza?), ma quando questo sogno si avvera nella realtà, è molto probabile che non saremmo in grado di affrontarla, non siamo ne preparati e ne capaci. Mi ha fatto venire in mente Il Grande Inquisitore di Dostoveskij in merito alla libertà, come corrispondente qui di eternità: nonostante sia una condizione ideale e desiderata, paradossalmente noi non siamo capaci di gestirla. Abbiamo sempre bisogno di una guida, di una laccio al collo, di una impostazione, nello stesso modo abbiamo bisogno della morte.

Suggestivo il brevissimo studio di Chopin, opera 25, numero nove, di 58 secondi, citato nel libro, perché "quello che impressionava l morte era il fatto che le era parso di sentire in quei cinquantotto secondi di musica una trasposizione ritmica e melodica di ogni e qualsivoglia vita umana, normale o straordinaria, per la sua tragica brevità, per la sua intensità disperata, e anche per via di quell'accordo finale che era come un punto di sospensione lasciato nell'aria, nel vago, da qualche parte, come se, irrimediabilmente, fosse rimasto ancora qualcosa da dire."

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ChiaraC Opinione inserita da ChiaraC    09 Ottobre, 2018
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Forse

Onestamente non il miglior libro di Saramago.
La trama parte in modo davvero avvincente, per carita': allo scoccare della mezzanotte del 31 Dicembre la morte cessa di esistere. In questo piccolo paese (il Portogallo, probabilmente), non muore piu' nessuno, neanche coloro che si trovano coinvolti in incidenti aerei, neanche le vittime di incendio. Nessuno. Tutti restano al massimo in uno stato di coma permanente.
Le manifestazioni di giubilo cessano tuttavia quando i cittadini si accorgono che l'assenza della Morte e' in realta' una bella gatta da pelare: con il suo classico stile pessimista/inquietante/ angosciante Saramago ci descrive una realtaa' fatta di semi-cadaveri che si ammassano negli ospedali, famiglie esasperate dalla sopravvivenza dei loro cari ormai centenari e tanto, altro ancora.

Poi, un altro bel giorno, come se niente fosse, la morte torna a far visita, e decide di mandare una lettera per avvisare del suo ritorno: la manda a tutti, tagliente, efficace, e se la ricevi sai che in una settimana sai morto. La manda anche a un violinista che, pero', la rimanda indietro. E la morte non ha altre alternative se non fargli visita di persona...


Tutto molto interessante ma, c'e' un ma: verso la fine del libro vi sono circa trenta pagine che secondo me potevano benissimo essere tagliate, in quanto appesantiscono il testo e sembra quasi che Saramago le abbia aggiunte per non far sembrare il libro troppo corto. La morte, inoltre, e' descritta in modo troppo sentimentale e costruito. Il finale, inoltre, un po' banale.

Nel complesso e' un libro piacevole per i novizi, ma non aspettatevi un capolavoro. Se siete lettori esperti e siete indecisi tra questo e altri suoi libri, meglio optare per "Cecita'" o "Il Vangelo secondo Gesu' Cristo".

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    19 Marzo, 2018
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Morte, oh Morte.

«Salvo alcuni rari casi, come quelli dei già citati poveri moribondi dallo sguardo penetrante che l’hanno scorta ai piedi del letto con l’aspetto classico di un fantasma avvolto in lenzuola bianche o, come pare sia successo a proust, nella figura di una donna grassa vestita di nero, la morte è discreta, preferisce non far notare la sua presenza, specialmente se le circostanze la obbligano a uscire per la strada. In generale si crede che la morte, essendo, come qualcuno ama affermare, la faccia di una medaglia di cui dio, dall’altro lato, è la croce, sarà, come lui, per sua stessa natura, invisibile. Non è proprio così, Noi siamo testimoni attendibili che la morte è uno scheletro avvolto in un lenzuolo, abita in una sala fredda in compagnia di una vecchia e ferruginosa falce che non risponde alle domande, circondata da parti imbiancate lungo le quali sono disposti, fra le ragnatele, un certo numero di schedari dagli enormi cassettoni colmi di cartellini. È comprensibile dunque che la morte non voglia apparire alle persone in quella tenuta, in primo luogo per ragioni di estetica personale, in secondo luogo perché gli infelici passanti no muoiano dallo spavento nel ritrovandosi davanti, svoltando un angolo, quelle grandi orbite vuote. In pubblico, sì, la morte si rende invisibile, ma non in privato, come hanno potuto comprovare, nel momento critico, lo scrittore marcel proust e i moribondi dalla vista penetrante. »

È il 31 dicembre di un anno non definito quando, allo scoccare della mezzanotte, per l’essere umano giunge la tanto agognata eternità perché nessuno, semplicemente, muore più. Ma non è tutto oro, quel che luccica. Ben presto gli ospedali si riempiono, i moribondi vengono trasferiti nelle abitazioni in attesa di una dipartita che non arriverà (salvo appoggiarsi alla maphia per essere trasportati fuori dal confine dove Morte – perché il La davanti è un qualcosa di innominabile e ben oltre le nostre aspettative e visioni – al contrario ancora lavora), le case di riposo e di cura non hanno più posto, le assicurazioni sulla vita rischiano il collasso, la chiesta stessa perde la sua ragion d’essere e il Governo non sa come arginare il fenomeno. Di fatto, dopo sette mesi sopraggiunge dal nulla una missiva, una missiva contenuta in una busta viola in cui viene comunicato che, appunto, Morte, è pronta a tornare al lavoro e che a partire dalla mezzanotte della giornata stessa l’essere umano ricomincerà a morire ma con una nuova modalità: i prescelti riceveranno una busta con una lettera del medesimo colore violetto e avranno a loro disposizione otto giorni per poter sistemare gli affari in sospeso, far pace con chi hanno litigato e salutare i vari affetti. I decessi tornano a riprendere il loro regolare corso, certo, Morte si aspettava una diversa reazione da parte del genere umano vista la geniale e altruistica concessione, ma tutto va bene e scorre regolare fino a quando una delle tante comunicazioni torna ripetutamente indietro. Una, due, tre volte. Incessantemente. Che cosa farà dunque la nostra cara Morte per far fronte a questo inspiegabile intoppo?
Scritto con una penna rapida, acuta, riflessiva e ironica, “Le intermittenze della morte” riesce a far riflettere il lettore sul binomio vita con sofferenza e vita con morte. Lo scrittore riesce a mettere in luce pro e contro di ogni situazione: nel momento in cui nessuno più decede, il sistema finisce con l’essere sovraccaricato da moribondi, la soglia di vita si innalza sfornando un numero inferiore di giovani rispetto a quelli che in futuro dovranno essere accuditi, i familiari non riescono più a far fronte a quei moribondi di cui devono ininterrottamente prendersi cura tanto da dover ricorrere a carissime organizzazioni criminali per ovviare al “problema”, quando viceversa la morte torna a operare si ha un sovraffollamento di decessi a cui i medici legali non riescono a far fronte e le reazioni delle persone “informate” della imminente dipartita sono diametralmente opposte a quelle auspicate tanto che nessuno si preoccupa di pensare ai propri affari e di congedarsi dai propri affetti. Di fatto, protagonista indiscussa dell’opera è proprio Morte, con il suo scheletro, le sue orbite vuote, la sua falce, la sua stanza imbiancata e le sue lenzuola a far da abito. È una morte umanizzata che unisce emozioni e sensazioni nonché fisicità. Detto carattere subentra in particolare nella conclusione del componimento, momento in cui questa interviene personalmente per sanare la “lacuna” e in cui per la prima volta nella storia finisce con il riposare tanto che nessuno, quel giorno, muore.
Un elaborato semplicemente geniale.

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AsiaD Opinione inserita da AsiaD    11 Agosto, 2017
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LA MORTE CHE NON TI ASPETTI

Ironico, satirico e riflessivo. L'opera di Saramago ti porta attraverso le sue immaginarie visioni che rende incredibilmente reali a riflettere su un binomio naturale che l'essere umano vive con sofferenza, vita-morte. Immaginando un mondo dove per un periodo di tempo la morte decide di scomparire (con la m minuscola perché la morte non si arroga il diritto di superiorità sulle altre morti con cui si è divisa equamente il mondo così come lo conosciamo ed i regni animali), strappandoti spesso un sorriso ti porta a riflettere su quanto questo "nemico" del genere umano sia in realtà necessario per tante ragioni. Rende la vita ancora più preziosa da un lato ma si dimostra indispensabile per alcune , chiamiamole sovrastrutture, come la religione che entra in crisi in quanto le sue stesse fondamenta si basano sull'esistenza della morte. È divertente vedere come anche in un caso estremo come questo un’organizzazione criminale, che qui ironicamente ha il nome di Maphia, riesce ad avere la meglio, a trarre profitto dal disagio grazie ad un accordo segreto con lo Stato. Geniale a mio avviso il modo di raccontare questo accordo paradossale ma che cela motivazioni molto più realistiche, come l'impossibilità per lo Stato di occuparsi di "cose sporche" agli occhi del popolo ma che si rendono necessarie per cui decide di delegarle alla Maphia, albori di un rapporto che nasce su un definito contorno di ruoli e responsabilità ma che chissà dove potrà mai portare. In realtà Saramago non ce lo dice perché ci traghetta in una seconda parte della storia che è come se fosse un secondo libro perché ha tutt'altro obiettivo, tutt'altra tematica che io ho trovato un po' distaccata dalla prima parte della storia. Una morte umanizzata, che prende sembianze umane ma non solo in termini fisici, ma anche sensoriali perché acquisisce emozioni, sensazioni che la portano a lottare contro il suo stesso destino e compito, una Joe Black al femminile. Molto interessante anche questo lato del racconto più romantico, il tutto condito dallo splendido stile di Saramago con un utilizzo sublime della punteggiatura e della esposizione dei dialoghi che solo un vero genio letterario come lui può utilizzare senza appesantire la lettura.
Forse in quest’opera ho amato più il suo stile che la storia in sè a tratti molto interessante ma che forse non ho apprezzato fino in fondo proprio per questa distanza tra le due parti del libro che mi ha lasciato la sensazione di non avere né un fine né un finale.

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abby Opinione inserita da abby    21 Aprile, 2017
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e se il nostro più grande sogno si avverasse?

In ogni sua opera Saramago riesce sempre a calare il lettore in uno scenario iperbolico che rompe gli schemi della sua quotidianità, evidenziandone i paralogismi attraverso i paradossi che propone.
Lavorando sul negativo della realtá, lascia al lettore il compito di trasferire, con le dovute trasformazioni, questi concetti sul positivo.
Occorre prestare molta attenzione perché lo scrittore non rende la vita facile a chi vuole sfogliare le sue pagine, quasi a voler effettuare una prima cernita, utilizzando, per cominciare, quella sua punteggiatura poco convenzionale.
E’ però utile partire dalla copertina dell’edizione della Feltrinelli per comprendere l’impostazione del romanzo - in effetti è stata cambiata, ma v'era l’immagine della morte, seduta su una panchina con un mazzo di fiori in mano. È un’immagine che stona perché vedere la morte in una posa in cui sembra stia attendendo la persona che ama è un qualcosa che confonde. Ma è questa immagine che racchiude il senso del libro. In effetti la rima parte del romanzo inizia illustrando le conseguenze di un gesto d’amore che la morte compie nei confronti dell’essere umano – anche se il fenomeno è circoscritto ad una sola nazione. La morte semplicemente sparisce, smette di lavorare, si ritira nella sua dimora e nessuno muore più.
In pochi passaggi Saramago realizza in questo libro il più grande sogno dell’uomo: la vita eterna. Eppure qualcosa non va e si comprende che l’essere umano non è mai felice. Non ci vuole molto per capire che della morte, in effetti, ce n’era bisogno. E non poco.
Le istituzioni che avevano ragione di essere solo in funzione della morte sono le prime ad evidenziare il problema. Assicurazioni, agenzie funebri e case di riposo vanno subito in crisi, ma chi più di tutti accusa il colpo è la chiesa perché, come sottolinea un cardinale, senza morte non v’è resurrezione. Saramago snocciola, con il suo stile ruvido, le problematiche connesse a questo modo di vivere, incastonando nel racconto piccole perle rappresentative della sua filosofia di vita.
Improvvisamente la morte comprende che occorre ritornare al lavoro, l’uomo non si preoccupa che della durata della vita, tralasciandone gli aspetti veramente importanti. Beh, in effetti anche una vita eterna, vissuta senza alcun contenuto, avrebbe poco valore, no?
Ma qualcosa è mutato, non si torna alle condizioni iniziali perché la morte decide, esercitando la sua capacità di amare, che tutte le persone debbano ricevere una lettera di preavviso di 8 giorni. Da questo momento il registro del romanzo muta e il tutto diviene di facile lettura e sembra troppo romantico per essere Saramago.
Ad un passaggio in particolare occorre prestare attenzione. Le lettere della morte vengono scritte con uno stile strano, senza punteggiatura, senza seguire alcuna regola grammaticale, quasi che alla morte mancassero i rudimenti dello scrivere. Quando un giornale pubblicherà la prima lettera spedita dalla morte, apportando le dovute correzioni grammaticali, la morte, uscendo allo scoperto, preciserà con decisione il perché di quel suo stile. Questa è anche la risposta al perché Saramago scriva in quel modo. In questi passaggi si capirà quanto la figura della morte sia simile a Saramago, nel modo di ragionare e di porsi, ovviamente.
Nella spedizione di queste lettere vi sarà un intoppo, e da questo imprevisto si sviluppa la seconda parte del romanzo.
Noi siamo abituati a vedere la morte umanizzata, sebbene rappresentata solo da uno scheletro, in veste nera e falce in mano e Saramago rispetta questa immagine. Ma mai abbiamo visto la morte completata, nella sua rappresentazione, dai tratti caratteriali tipici dell’essere umano, dai tratti che potremmo, quasi, definire nobili. Ebbene la morte finirà per apprezzare quei piccoli particolari della vita quotidiana che dovrebbero farci apprezzare la vita. Non so voi che impressione ne riceverete, a me, quest’ultima parte, ha riportato alla mente il film di Wenders, Il cielo sopra Berlino.

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ferrucciodemagistris Opinione inserita da ferrucciodemagistris    24 Mag, 2015
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Angosciante attesa per la lettera viola

Tra le innumerevoli domande che si pone l’essere umano sin dai tempi remoti, emerge in maniera mastodontica il perché del senso della vita; una miriade di filosofi, religiosi e, attualmente, opinionisti, nell’accezione più vasta, si sono avvicendati nell’esprimere il proprio pensiero in proposito inducendo, e spesso convincendo, la popolazione sulle risultanze delle proprie personali convinzioni frutto di mero ragionamento su tale massimo sistema altrimenti difficilmente comprensibile.

José Saramago ci mette di fronte a una utopistica possibilità di vita eterna; in un Paese, non meglio identificato, al rintocco della mezzanotte di un qualsiasi giorno non si muore più; gli esseri umani rimangono nel loro stato senza aver alcun miglioramento o peggioramento della propria condizione di vita, per cui gli invalidi rimangono tali, i moribondi sono sospesi in una situazione di sopravvivenza, gli incidenti di qualsivoglia natura non provocano nessuna vittima. Sembrerebbe, di primo acchito, il sogno che tutti, indistintamente, hanno sempre bramato e che si avvera; l’euforia è dilagante, la felicità è ai massi mi livelli , tutto appare roseo con un futuro in cui non ci saranno più lutti che è ammantato da un inimmaginabile splendore…ma non si è tenuto conto degli effetti collaterali: nel tempo le strutture assistenziali non riescono a sopportare e a gestire il continuo arrivo di persone non più autosufficienti che non moriranno più, il sistema pensionistico arriva ben presto al collasso, la popolazione aumenta in maniera spropositata e non si è in grado di trovare adeguata sistemazione per tutti, la chiesa perde il suo carisma in quanto sprofonda il suo principale pilastro della sua dottrina basato sulla resurrezione; anche le agenzie di pompe funebri sono destinate al fallimento. Insomma un vero e proprio caos! Il governo pro-tempore cerca rimedi per arginare l’enorme marasma fino a quando, “per fortuna”, la morte riprende il suo lavoro consueto.

Un romanzo che, al di là del suo stile, invita il lettore a riflettere sulla necessaria dualità vita-morte che è sempre stata presente sul nostro pianeta sin dall’apparizione/creazione dell’essere vivente; osservando attentamente la natura e l’immanente è facile rendersi conto che tutto è in continua trasformazione ancorchè in modo impercettibile; il ciclo nascita-vita-morte è precipuo per l’equilibrio del mondo. Nel sistema a noi conosciuto sarebbe assurdo non morire in quanto provocherebbe un complesso di circostanze che porterebbe alla follia più sfrenata e a un capovolgimento del futuro di non prevedibile catastrofe. E’ vero che tendiamo a non accettare la morte; speriamo che il nostro turno arrivi il più tardi possibile, a meno di eccezionali casi di sofferenza estrema, e per nostra fortuna non conosciamo il nostro destino pur nella consapevolezza della fine del nostro essere.

Quindi la morte è una normalità che è parte della vita; è questo il messaggio che José Saramago vuol indirizzare ai suoi lettori; le nostre elucubrazioni su cosa potrebbe succedere dopo rimangono genuine ipotesi per placare l’angoscia del vivere in attesa di una prossima fine la cui data è, per il singolo, sconosciuta.

Un eccellente scrittore che riesce a scrutare le profondità del nostro animo. Sicuramente da leggere.

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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    09 Febbraio, 2015
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Le due facce della stessa medaglia

Surreale, satirico, brillante ed innovativo grazie ad una prosa originale in cui i dialoghi risultano privi della classica punteggiatura, Saramago ci proietta in una Nazione dove la morte ha deciso di porre fine alla propria attività regalando alla popolazione la vita eterna. Se egoisticamente la cosa viene accolta come un dono di inestimabile valore, a livello collettivo si rivela invece una brutta gatta da pelare. Non morire, infatti, non significa certo non ammalarsi o non invecchiare. Ecco quindi che ospedali ed ospizi vanno in tilt, il sistema pensionistico collassa, quello assicurativo fallisce, le imprese funerarie sono costrette a rivolgere altrove i loro servizi. Le istituzioni religiose, senza la morte, non hanno ormai ragione di esistere. In questa baraonda, a prendere il toro per le corna speculando sui problemi è ovviamente la criminalità organizzata, la Maphia. Divertente e interessante, amaro ed ironico, il racconto di Saramago esprime una forte critica verso la società, vista sia dal punto di vista economico, sia politico, che umano e religioso. L’autore inoltre mette in evidenza la sordida doppiezza dell'animo umano troppo spesso incline a giudicare diversamente un evento a seconda che gli effetti si ripercuotano su di sé o sugli altri. Nauseata dal modo in cui gli uomini affrontano l’immortalità, la morte ritorna sui suoi passi e dissotterra la tanto odiata e temuta falce. Si ricomincia perciò a morire, ma la nera signora fa un'altra concessione ai mortali, cioè un preavviso di otto giorni, tramite lettera rigorosamente viola, per consentire ai condannati di mettere a posto le loro pendenze prima di lasciare la vita terrena. Anche questa volta però la reazione degli uomini sarà sconfortante. Per la morte comunque, stanca, triste e delusa, ci sarà un altro problema da affrontare: una delle sue amare missive non vuol saperne di raggiungere il destinatario. Per risolvere la questione la nostra protagonista si vede costretta ad assumere sembianze umane e infiltrarsi nel mondo dei vivi, regalandoci un epilogo poetico ed emozionante per un’opera bella e consigliata che, con stile ed intelligenza, ironizza sui difetti della natura umana e sottolinea come la vita e la morte siano le due facce della stessa medaglia.

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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    08 Febbraio, 2015
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Quel che la morte invidia della vita

Ci sono parole che sentiamo nostre nel preciso istante in cui le ascoltiamo o le leggiamo. Tra le pagine de “Le intermittenze della morte” Saramago ci mostra buona parte delle parole che ormai aveva fatto sue, inglobandole nelle sue convinzioni, idee, speranze e paure. E non è difficile da credere che in un uomo che purtroppo sarebbe morto cinque anni dopo la pubblicazione di quest’opera, i pensieri siano attanagliati dall’idea della morte in tutte le sue sfaccettature. In uno stile semplice, efficace e pregno di sarcasmo e ironia, ci rende note le sue paure con una storia piacevole e surreale, paure che in fin dei conti sono quelle di tutti gli esseri umani.

La morte aveva smesso di arrivare, così, all’improvviso. Inutile dire che nemmeno la prospettiva dell’eternità cancella i difetti dell’uomo; questi sono qualcosa che ci tiriamo addosso da tempo indefinibile. Alla scomparsa della morte c’è chi se ne lamenta, come se lamentarsi sia un dovere inderogabile dell’uomo di fronte a qualsivoglia cambiamento, anche positivo. C’è chi se ne dispera perché della morte, come quasi ogni cosa, se ne era fatto un business, ignorando come la sua scomparsa sia in realtà la cosa che più desideriamo da quando siamo al mondo. C’è chi impara a lucrare anche sulla scomparsa della morte e c’è chi pensa alle conseguenze. Paradossalmente pare che nessuno gioisca della sua dipartita, nessuno si accorge della bellezza di vivere per sempre se non quando questa gli viene portata via nuovamente. Certe cose si apprezzano soltanto quando le si perde. La morte torna al suo lavoro di sempre ma stavolta, non busserà alla porta di ogni uomo che è giunto al capolinea senza aver spedito una lettera di preavviso sette giorni prima della morte effettiva. C’è un uomo però che rappresenta un po’ la voglia globale e stranamente celata di non voler morire. Inconsciamente rispedisce la sua lettera di morte al mittente, non si sa come, e lo fa una, due, tre, quattro volte, tanto da spingere la morte a bussare alla sua porta. Probabilmente è proprio il desiderio di continuare a vivere a respingere la lettera, senza che il suo proprietario se ne accorga. Siamo attaccati tantissimo alla vita ed è oltremodo evidente che lo era anche Saramago. Lo si capisce da ogni parola scritta in queste pagine, pregne di una disperata voglia di vivere, di sopravvivere alla morte. La speranza che ci accomuna tutti e che conserviamo gelosamente seppur siamo consapevoli sia impossibile, quella speranza che la morte si dimentichi di noi o ci ritenga meritevoli di non abbandonare questa vita che spesso disprezziamo, ma che in realtà amiamo profondamente, come la amava Saramago.

“[…] signor direttore della televisione nazionale, non mi resta che chiederle di fare giungere oggi stesso a tutte le case del paese questo mio messaggio autografo, che firmo con il nome con cui generalmente mi si conosce, morte.”

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Opinione inserita da elena    25 Dicembre, 2014

toglie il fiato

Siamo in un paese sconosciuto, 31dicembre: nessuno muore. La morte sxompare totalmente dalle aspettative umane e le reazioni sono varie: gioia, euforia, ma anche sgomento e inquietudine e soprattutto nuovi problemi da affrontare, come il problema di tutte quelle persone intrappolate sul confine fra vita e morte ma incapaci ad oltrepassarlo, tema che occupa gran parte del romanzo. La situazione subisce una svolta dopo 7mesi, con il recapito di una lettera scritta dalla morte in persona, che si svela e si spiega alle persone. D'ora in poi si ricomincerà a morire come prima ma la morte avvisera una settimana prima gli uomini della loro morte imminente.
Ma i colpi di scena non finiscono, regalando uno splendido finale che a mio parere avrebbe dovuto avere piu spazio allinterno della storia, togliendolo cosi alle pagine iniziali e centrali, destinate alle descrizioni dei problemi sociali causati dallassenza della morte.
Lo stile impareggiabile di Saramago, unico e particolare, caratterizzato da lunghi periodi con un uso della punteggiatura che mira piu alla resa sonora e realistica delle espressioni rispetto alla correttezza grammaticale, in pratica assente. Le tematiche e il punto di vista utilizzato riflettono il tipicp atteggiamento dell'autore, riscoontrabile in altri suoi capolavori come "cecità", con la duferenza che qui saramago esce molto pii spesso dalla finzione di narratore per interagire direttamente col lettore, rivolgendosi a lui in prima persona.
Insomma un romanzo in piena linea con quello che è il lavoro dell'autore, un romanzo che ha la capacita di alternare ritmi piu lenti e riflessivi con momenti frenetici e ricchi di suspense, un romanzo che toglie il fiato e che fa di certo riflettere su quanto la nostra concezione della vita spesso si dimentichi della sua reale e finita natura.

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Monika Opinione inserita da Monika    14 Marzo, 2014
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Prendere fiato all'inizio di ogni frase

Prendere fiato all'inizio di ogni frase.
Non è stato facile! Nessun libro di Saramago lo è. Ma credo sia proprio il suo stile a rendere le sue opere 'faticose' e indimenticabili! Non ci sono vie di mezzo: Saramago o si ama o si odia. Ogni singola frase richiede un alto livello di concentrazione, per non rischiare alla fine di non capirci nulla. Se non avessi letto 'Cecità', 'Le Intermittenze Della morte' meriterebbe 5 stelle. 'Cecità' è un gradino più in alto.

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marte_ Opinione inserita da marte_    10 Agosto, 2013
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è una morte viva

Un paese,la morte (rigorosamente scritto in minuscolo come vuole lei), i cittadini divisi fra l'angoscia dell'eternità e l'euforia di non morire, lo Stato incapace di fronteggiare la novita' ... questo e molto altro è questo libro.
Saramago si cimenta nel prevedere le reazioni della gente e della Chiesa. Non è forse vero che senza morte le religioni perdono il valore che avevano? Cioè quello di dare rifugio

Come immaginiamo la morte? come l'hanno immaginata i nostri predecessori? e come la immagina Saramago? Di certo in un modo tutto suo

L'autore ci mostra il lato più umano della morte (potrebbe sembrare un ossimoro)

consigliato anche a chi si avvicina per la prima volta a questo scrittore così originale e con uno stile di scrittura del tutto personale (l'uso della punteggiature ad esempio)

buona lettura

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Saramago, in particolare Cecita'
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whasting Opinione inserita da whasting    25 Aprile, 2013
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COME TRATTARE UN LETTORE

La morte decide per qualche tempo di giocare.
Chiude tutto, e va in vacanza.
Che bello, vita eterna, direte voi.
No, chi è malato e in fin di vita non muore, la maphia (scritta col ph) riduce in fin di vita uomini che cercano di proteggere l'immortalità. Solo una linea immaginaria divide la vita eterna da quella mortale.
La gente è stanca di vivere per sempre. Non ne può più.
Così la morte ritorna, però con un'idea geniale, buste viola.
La prima parte del racconto è parecchio monotona, personaggi non fissi, dialoghi senza un nesso logico, punteggiatura errata (suppongo scelta accuratamente dall'autore), gli scherzetti che l'autore faceva. Dieci pagine a spiegare una cosa, per poi scusarsi, perché quella parte non serviva niente col racconto, ma doveva essere detta. Perché si doveva fare onore ai personaggi.
L'autore tratta il lettore in un modo mai visto prima. Parla direttamente con chi legge, chiede scusa, dà spiegazioni, da del lei, non osa dare del tu. Pone al lettore delle domande e poi lui stesso risponde. Mi piace essere stata trattata in questo modo, è stato educato. Un libro educato.
La storia è scritta bene, forse in certi punti, a mio parere, un po' provocatoria. Volontariamente provocava il lettore per poi scusarsi.
La fine ancora meglio. Nelle ultime pagine ci sono personaggi fissi, dialoghi che ora prendono un senso.
All'inizio ho detto che la morte va via per dare una lezione alla gente?
Alla fine rimarrete sorpresi, nel sapere il vero motivo per cui la morte scompare.
Il libro inizia e finisce allo stesso modo. Se dalla fine, lo si rilegge da capo si ha una nuova storia.
Complimenti ancora per l'educazione dell'autore.

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verri Opinione inserita da verri    10 Marzo, 2013
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criptico

Cambiando le regole del mondo come reagiscono le persone? il lato umano la fà da padrone, e non da intendersi come sinonimo di buonismo o pietà , ma come sinonimo di tutte le sfaccettature di cui la nostra personalità può fregiarsi.
L' idea della trama è molto buona, e questo è anche il suo tallone d' achille, perchè, questa stessa idea geniale di eliminare le morti umane in un determinato paese e da un determinato periodo di tempo in poi, apre uno scenario di aspettative paragonabile a pochi altri e per questo difficilmente colmabile . Il lettore potrebbe rimanere deluso quindi dalle decisioni dell autore di trattare dei temi che a lui sono sembrati di importanza o interesse valido tralasciando altri, l esempio dei suicidi è lampante, infatti l autore non ne parla e non spiega come vengano trattati. Questa sensazione però non sarà intrinseca del lettore in generale o nello specifico, ma sarà una naturale conseguenza della quasi ossessiva ricerca del dettaglio nella spiegazione di molteplici fenomeni eletti, di grande e piccola scala ,accaduti alla nazione protagonista.
La vera forza del libro a mio parere è la capacità titanica dell autore di rendere il testo fluido divertente e soprattutto intelligente . Tutta la narrazione , che si tratti di un elenco di nomi o date oppure di un dialogo , è piena zeppa di riferimenti assai poco scontati e sempre ben pescati e in primo luogo di idee semplici o ingegnose che siano , questo è per mè indice di gradevolezza stilistica e di impegno professionale che sono caratteristici di un autore come il suddetto.
La tecnica usata nella costruzione del periodo è ai limiti dei canoni della scrittura, da considerare come un fuoriclasse , ogni suo periodo è carico e veloce allo stesso tempo, scorrevole. Nei dialoghi la difficoltà è quella di trovare la rotta tra chi domanda e chi risponde, talvolta infatti l autore è costretto ad inserire nel dialogo un chiaro indicatore di chi stia parlando . Trovo questa tecnica molto simile a quella di un funambolo per via della pericolosità e dalla capacità di rimanere in equilibrio sul filo del dialogo .
5 punti allo stile del libro, intelligente ,barocco in certi casi e sicuramente audace.
3 punti al contenuto , umanità e accettazione della morte sono dei temi che non passeranno mai di moda.
4 punti alla piacevolezza, sicuramente migliore nella parte finale dove abbiamo dei protagonisti fissi per più di un capitolo
Essendo la banalità la chiave di volta della letteratura odierna , consiglio questo bel libro a chi ne volesse uscire, di leggere per il piacere di leggere!

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DanySanny Opinione inserita da DanySanny    22 Luglio, 2012
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"La morte è chiusa per ferie"

La morte è un'ombra silenziosa che ci pedina fin dalla nascita. Spesso ce ne dimentichiamo perchè come tutte le ombre è un riflesso, la cui vividità dipende dal sole. Quando l'astro è luminoso, quando la felicità ci pervade, la morte si dissolve, ma soltanto nella mente.
Si teme questa compagna di vita, si cerca di sfuggirle, ma ad un certo punto, prima o poi, si arriva faccia a faccia con essa e a quel punto tutte le certezze cadono, tutta la vita, nelle sue convinzioni, si sgretola. Tutti torniamo polvere, polvere di stelle, polvere di vita.

Il libro di Saramago parte da uno dei desideri più frequenti e pressanti nell'uomo, un desiderio che è insito nella natura umana: vivere per sempre. E allora immaginate che la morte decida di affiggere il cartello "chiuso per ferie" davanti alla sua spelonca e il libro è iniziato. Un romanzo dominato non dall'assurdo, ma dal paradossale. Il paradosso, giocando con sottigliezza nell'ambiente sfumato dell'ambiguo, diviene, con mirabile abilità, un elemento fondamentale per cogliere le contraddizioni della realtà, un mezzo che grazie alla sua ampia gamma di interpretazioni è lo strumento di una ilare critica alla società.
Perchè la vita dell'uomo è connaturata alla morte: ospedali, assicurazioni, ospizi e becchini si basano, senza che nessuno se ne accorga, su quel ciclico cambio di vite che l'uomo aborrisce. Per non parlare delle religioni che in perenne contrasto tra di loro si uniscono per fronteggiare la scomparsa della morte. Perchè in fondo le religioni si basano sul concetto di Giudizio Universale, dopo la morte. E senza di essa tutto crolla.
Il paradosso è spietato, ironico, sarcastico e non risparmia il potere, i mezzi d'informazioni, che si lanciano su una notizia cercando più della notizia, il titolo più affascinante. IL paradosso della morte in vacanza non risparmi i filosofi che si lanciano in dispute infinite su tutte le questioni che ne concernono.
Poi la morte ritorna. Implacabile. La falce miete vittime una dopo l'altra (certo, in sette mesi di ferie, o meglio, sciopero, ce n'è di lavoro arretrato), ma anche lei si rende conto che le sue ossa gelide, la sua falce arrugginita dal lavoro di secoli, devono qualcosa agli uomini, non solo sofferenze. Così partono le lettere, viola scuro, annuncianti la morte dopo una settimana. Figuratevi il caos.
E mentre la morte è indecisa se continuare a scrivere la posta per mano, o sulla "hotmail" (sì, anche la morte di modernizza), una lettera torn sempre indietro, quella di un violincellista, come se la morte fosse cacciata dalla musica, dall'arte. Allora la morte prenderà provvedimenti e..... .

E' un liro unico sotto molteplici aspetti. Lo stile è fuori dal comune: ci sono frasi lunghe intere pagine, a volte anche 2, senza punti, due punti, punti e virgola, soltanto virgole. Anche le virgolette e i trattini scompaiono. IL disorientamento è inevitabile. Ma tutto si accorda con l'indefinito del romanzo, con i luoghi e i nomi celati. Perchè la grammatica è una sottigliezza, la storia è universale.
Perchè in fondo Le intermittenze della morte non è una riflessione sul senso della vita o quello della morte, ma semplicemente uno studio dell'animo umano, delle dinamiche sociail, una critica alla società. L'unica riflesisone sulla vita e la morte è che tutto finirà, anche la morte stessa sarà vittima di una Morte, più grande e definitiva. Alla fine del romanzo la vita non vince la morte, anche se così può sembrare: la vita e la morte si uniscono, perchè senza l'una l'altra scomparirebbe, perchè sonole due facce di una stessa medaglia, una medaglia che racchiude in sè le aspirazioni, le emozioni e i sentimenti di tutta la società.

Forse è meglio che la morte esista, perchè senza la vita erompe, e la bassezza dell'animo umano, senza i freni del peccato, si espande in tutta la sua controversa natura. E in fondo, anche quando la malignità si manifesta in tutta se stessa, quando l'illegalità e la corruzione dilagano, quando i valori si annichiliscono per l'utile, in fondo, rimane sempre la speranza, quel filo sottilissimo che ci si avvinghia alla vita e che conduce verso il futuro. A volte si strappa, a volte, invece, è il più bel gesto di vita.

In realtà la morte è il motore della vita, e non può essere altrimenti. Quando morirà la morte, non non esisteremo più.

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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    21 Giugno, 2012
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La morte va in vacanza

Mi considero pienamente soddisfatto anche questa volta. L’ennesima lettura di Saramago non delude le mie aspettative: libro piacevole, scorrevole, divertente ed intelligente. Cosa potrebbe diventare la vita degli uomini se un bel giorno la morte (con la m minuscola, come scritto e precisato nel libro) decidesse di prendersi un periodo sabbatico e non fare morire più nessuno? Apparentemente si può essere tentati di dire che le conseguenze sono solo positive ma …..ragionando meglio si capisce che è l’esatto contrario ! Provate a pensare infatti: enormi costi previdenziali a carico dello Stato, che si troverebbe obbligato a dovere pagare per sempre le pensioni a sempre un maggior numero di persone (all’Inps si metterebbero le mani nei capelli !!!), inoltre sarebbe un disastro economico per alcune categorie imprenditoriali. Le imprese di pompe funebri infatti fallirebbero senza persone morte, mentre le compagnie d’assicurazione non riscuoterebbero più polizze sulla vita….che senso avrebbe pagare se nessuno muore più? E ancora, gli ospedali e le case di riposo avrebbero enormi problemi logistici in quanto in poco tempo non saprebbero più dove infilare anziani ed ammalati (badate bene che non morire non vuol dire non invecchiare e non ammalarsi !). Anche per la Chiesa sarebbe un autentico disastro considerato che nessuno si preoccuperebbe più di credere in una vita oltre la morte. Pertanto la fede delle persone, ed il ruolo della Chiesa, sarebbero messi a dura prova.
Nuove opportunità invece si dischiuderebbero per la maphia (rigorosamente col ph) che potrebbe, in maniera del tutto clandestina ed irregolare, trasportare vecchi decrepiti e malati oltre frontiera, in un altro Stato, dove invece la gente continua regolarmente a morire.

Cosa succederebbe inoltre se, al termine del periodo sabbatico, la morte decidesse di riprendere la sua consueta attività, ma, con l’inattesa ed imprevedibile novità di informare preventivamente i futuri defunti mediante lettera? (Sono spiacente di avvisarla che il giorno tal dei tali Lei morirà). Il caos ed il panico si diffonderebbero inevitabilmente tra la popolazione, anche se in compenso Stato, Chiesa, ospedali, case di riposo, imprese di pompe funebri e compagnie d’assicurazione tirerebbero un sospiro di sollievo.

Ed infine cosa succederebbe se la morte, per qualche misterioso motivo, non riuscisse a recapitare la lettera informativa ad una determinata persona e la stessa fosse rispedita più volte al mittente ? Per la prima volta nella storia si troverebbe in grossa difficoltà dovendo decidere di agire diversamente per risolvere questo spiacevole grattacapo. E dall’incontro tra potenziale vittima e morte possono scaturire situazioni imprevedibili…..

Tutto questo (e tanto altro) è contenuto nelle Intermittenze della morte di Saramago. Consigliatissimo insomma !

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Marghe Cri Opinione inserita da Marghe Cri    21 Settembre, 2011
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Fantasia + ironia = divertimento!

Un’alta eccentrica favola di Josè Saramago.
Questa volta il personaggio principale è la morte.
Nelle prime pagine vengono dettate le regole del gioco, accettiamole con un sorriso e poi lasciamoci trascinare dalle parole scelte con maestria, dalla fantasia, dall’ironia, dalla capacità di Saramago di sedersi accanto al lettore e seguire insieme a lui l’evolversi del racconto.
In un clima veramente surreale Saramago ci trascina in un fantastico mondo di “invenzioni”. Seguiamo il Maestro e pian piano la realtà che conosciamo cesserà di esistere, sostituita da quella che prende vita dalla sua penna.
Protagonista del romanzo è la morte che, forse un po’ stanca di millenni di routine, decide di apportare qualche cambiamento al normale metodo di intervento presso gli umani: in un primo momento dichiara uno sciopero e non uccide più nessuno, poi, spinta dalla protesta per i problemi di sovraffollamento che la sua decisione va creando, inventa un sistema di morte su appuntamento. Invia una lettera a ciascuno una settimana prima della data fissata per la fine della vita, in modo che si possano sistemare le ultime cose senza sentirsi presi a tradimento. Ma, come si sa, non siamo mai contenti e la protesta cresce: sembra che nessuna soluzione venga giudicata soddisfacente.
E poi… e poi c’è un tizio che a quanto pare non si riesce a far morire, uno che la morte non riesce a catturare, uno che forse, chissà, sarà proprio lui a catturare la morte… leggere per credere!!!
Insomma c’è da divertirsi con le invenzioni del grande Josè, che non delude mai.

[...]Quel diavolo di violoncellista, che fin dal giorno della sua nascita era indicato per morire giovane, con quarantanove primavere appena, aveva finito per compiere sfacciatamente i cinquanta, screditando così il destino, la fatalità, la sorte, l’oroscopo, il fato e tutte quelle altre potenze che si dedicano a contrastare con tutti i mezzi degni e indegni la nostra umanissima voglia di vivere. Era davvero un dscredito totale. E ora come faccio a correggere uno sviamento che non sarebbe potuto succedere, se un caso del genere non ha precedenti, se nei regolamenti non è previsto niente di simile, si domandava la morte, soprattutto perché quel tipo sarebbe dovuto morire ai quarantanove anni e non ai cinquanta che ha già. Si vedeva che la povera morte era perplessa, sconcertata, che per poco non si metteva a sbattere la testa contro la parete dal dolore. [...]

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Mara Opinione inserita da Mara    16 Febbraio, 2009
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Una straordinaria avventura

"Il giorno seguente non morì nessuno". Con queste parole inizia e finisce il romanzo di Josè Saramago. A dispetto del titolo, la storia è tutt'altro che cupa, pur non mancando in essa elementi di drammaticità, comunque sempre smussati da un linguaggio vivace e ironico.
In un Paese non indentificato, nessuno muore più perché, semplicemente, la Morte ha smesso di fare il suo lavoro. Invece, appena fuori dal confine, il ciclo procede normalmente.
Superato il momento d'euforia, si manifestano i primi problemi: nelle agenzie di pompe funebri e nelle compagnie d'assicurazione restano senza lavoro migliaia di lavoratori e di imprenditori; alle case di riposo si continuerà a badare ad anziani sempre più vecchi ed in quantità sempre maggiori, nelle case e negli ospedali ci saranno persone in condizioni terribili, incapaci di guarire ma ora anche di morire. Perfino le comunità religiose, fra cui la Chiesa, sono seriamente preoccupate per l'assenza della morte: infatti, senza lei non ci può essere resurrezione e senza resurrezione è difficile mantenere vivo il messaggio di salvezza eterna dell'anima.
Quando la morte si rifà viva, dopo i suoi sette mesi di latitanza, torna a colpire le sue vittime facendosi precedere di qualche giorno da una lettera di colore viola che annuncia l’evento. Sennonché anche la morte, detentrice assoluta del potere (“io sono la morte, il resto è nulla”), può incappare in un imprevisto, che qui prende le sembianze di un violoncellista: un incidente dai risvolti imponderabili.
La morte si fa vulnerabile e donna e, con la complicità di un semplice brano musicale, compie un’azione che credeva impossibile portandoci a un finale travolgente.
"Le intermittenze della morte" è una straordinaria avventura che, attraverso la celebrazione dell'importanza della morte, si rivela essere un inno alla vita, con tutti i suoi dolori e le sue contraddizioni. La critica feroce alle istituzioni politiche, sociali, religiose, è smussata dallo stile incalzante e ironico che non cade mai nella retorica, né nell'iperbole del grottesco.
Ho apprezzato poco i periodi eccessivamente lunghi e l'uso personalissimo della punteggiatura.
Buona lettura:)

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Arcangela Cammalleri Opinione inserita da Arcangela Cammalleri    08 Gennaio, 2009
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Josè Saramago

Come ci ha abituato Saramago le sue storie hanno sempre coordinate sfumate e indefinite: il tempo, lo spazio, i nomi propri dei personaggi, spesso, non si rivelano, tutto ruota intorno alle parole, ai fatti, come se le connotazioni della realtà nella quale ci muoviamo fossero mere categorie della mente. Cosa c’è di più sfuggente e impenetrabile del tempo? Lo spazio è quello fisico o quello mentale? I nomi sono rivelatori d’identità o suoni privi di significato? Saramago in queste elucubrazioni escatologiche ci restituisce una materia narrativa dove conta scandagliare l’animo umano nelle sue molteplici sfumature. L’autore aduso ad un linguaggio tecnico, a volte, anche, fastidiosamente burocratico, raffredda la tensione del lettore teso nella trama dello script e più che a riverberargli emozioni e ad avvilupparlo in queste sue intricate trame, lo trascina in questa sua scrittura maniacalmente ininterrotta, dove l’uso della punteggiatura è così inusuale e del tutto personale, dove la dovizia dei particolari è soltanto stupefacente e regna una profusione lessicale dotta. La trattazione critica della lingua ingegnata dallo scrittore, le sue immaginifiche architetture terminologiche costituiscono di per sé una fenomenologia, un trattato a parte, ma non è questo il momento propizio perché si rischierebbe la noia e ci si allontanerebbe dall’intento iniziale. Già il titolo dell’opera rimanda a delle frequenze fisiche, elettriche, ma riferite non ad un fenomeno solo meccanico, bensì ad una condizione che racchiude il mistero del destino umano. Ironico e paradossale l’incipit, come se l’autore volesse prendersi gioco dei suoi potenziali lettori, proprio alla mezzanotte di un 31 dicembre, in un territorio circoscritto, la morte come un qualsiasi lavoratore, decide di scioperare! Dall’ora zero di questo primo gennaio di un imprecisato anno, non avvenne nessun decesso, si creò una situazione esistenziale privilegiata, proprio dall’assenza di morte; l’entusiasmo popolare raggiunse le stelle, il tam tam dei mass media divenne una frenesia investigativa per tutti. Nel comunicato ufficiale, il capo del governo ratificava che, dall’inizio dell’anno, non si erano registrati decessi e invitava alla moderazione nella congeria di valutazioni ed interpretazioni che venivano elaborate dello strano fatto: una casualità fortuita, un’alterazione cosmica …vacuità pseudoscientifiche. Nel trambusto generale, cominciò a serpeggiare un sotterraneo allarme: dal governo alle compagnie di assicurazione, dalle agenzie di pompe funebri alle case di riposo e alla Chiesa che nel gestire ciò che sta in alto, governa ciò che sta in basso; se fosse finita la morte non ci sarebbe potuta essere resurrezione, e che se non ci fosse stata resurrezione, allora non avrebbe avuto senso che ci fosse la chiesa. Perché ogni attesa ha la sua fine infelice o felice che sia, nel paese in cui non si muore, gli infermi diventarono persone in condizione di morte sospesa: la speranza di vivere sempre diventò il timore di non morire mai. Mentre anche i filosofi filosofavano sul bisogno della morte “Perché se filosofiamo è perché sappiamo che moriremo”, anche De Montaigne aveva detto che “Filosofare è imparare a morire”, un espediente fu utilizzato non tanto per imparare a morire, quanto ad ingannare la morte altrui, aiutandola. Una famiglia con due parenti in stato di morte ferma, portarono i due infermi al di là della frontiera, laddove, la morte, ancora in vigore in quel paese, l’avrebbe accettati. Da quella notte in poi quei macabri trasporti si moltiplicarono, i paesi limitrofi si irritarono per la continua invasione dei loro territori… Quando la situazione stava degenerando , ecco che con una missiva autografata dalla morte, ella annunciò, dopo sette mesi di sciopero, di riprendere la sua normale attività. Con questa prova d’attrice, con questo inusitato esperimento fallito dall’atropo ( il nome della Parca che recideva il filo che teneva in vita) si poteva concludere la storia, ma ecco il colpo d’ala di fantasia dell’autore; s’inventa una morte riveduta e corretta: una morte con preavviso. Cambia il suo modus operandi: avrebbe continuato a strappare la vita agli uomini, ma non a tradimento. Una settimana prima dell’infausto evento, una busta color viola arrivava al designato destinatario perché avesse il tempo di sistemare i suoi conti con questa vita terrena. Anche così il paese viveva nell’angoscia! Un giorno l’automatismo delle missive s’inceppò, per ben tre volte una lettera ritornò al mittente con gran disappunto della morte che sotto le sembianze di una giovane donna dalla bellezza inquietante vorrà conoscere il predestinato che è sfuggito al suo destino (senza saperlo), un violoncellista la cui vita solitaria era rischiarata dalla musica…La morte, quando, per la prima volta, ascoltò di soppiatto, il violoncellista suonare la suite numero sei di Bach, in quella musica sentì una trasposizione melodica e ritmica d’ogni vita umana anonima o straordinaria, per la sua tragica brevità e disperata intensità, e anche per quell’accordo finale come un punto di sospensione lasciato nell’aria, nel vago incompiuto. Lo sviluppo della vicenda e il suo epilogo saranno imprevedibili.

Le chiavi di lettura di questo romanzo sono tante quante le contraddizioni dell’animo umano, sciorinarne tutto il mazzo non è possibile perché lo spazio concessomi non me lo permetterebbe, quindi affermerei che l’unica certezza dell’uomo pur nella sua incontrovertibile consapevolezza che la morte nientifica l’esistenza è la Speranza, l’ultima dea, e mi piace chiudere, cari lettori, con una similitudine di Saramago: “Le speranze fiorirono come aiuole di giardino”.

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E si è appassionato alle storie "Particolari" di Saramago e al suo stile personale ed insolito.
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Opinione inserita da maria domenica mangialavo    08 Gennaio, 2009

le intermittenze della morte

Esiste un luogo, lontano e indefinito, in cui la signora morte si adopera a pianificare la fine dell’esistenza delle sue vittime.
Esiste anche un luogo dove la morte decide di non agire e di assistere, impassibile e crucciata, al dipanarsi del destino degli uomini tra le pieghe della loro inaspettata vita eterna. Come se lei, forza incontrastabile e imprevedibile, potesse anche non arrivare, per un po’, per nessuno.
È questo lo scenario che si presenta agli occhi del lettore di Le intermittenze della morte di José Saramago, un romanzo che è nello stesso tempo una storia di vita e di morte, di determinazione e di umanità.
La vita eterna che la morte regala agli uomini getta nello sconforto chi, in quel paese non identificato di una regione sconosciuta, si vede costretto a prendersi cura dei propri cari, malati terminali, sul punto di morire, che però la morte non vuole più accogliere nel suo regno. I vari tentativi di varcare i confini del paese e seppellire i morti illegalmente sono scoperti da un’organizzazione criminale che, attorno al dolore e alla disperazione di tante famiglie, crea un business milionario con il tacito consenso di un governo che altrimenti non saprebbe come far fronte all’emergenza.
Poi, improvvisamente, la morte decide di tornare e dare notizia del suo imminente arrivo: “Cara signora, le auguro di approfittare al meglio del tempo che le resta, sua attenta servitrice, morte”. Il destino di tutti è dunque segnato. Di tutti tranne che di lui, un violoncellista che, con la forza e il potere della musica, in una scena tanto surreale quanto inquietante, seduce la padrona del destino rendendo più umana la sua determinazione.
Così, con uno stile rapido che mima il flusso inarrestabile della vita, Saramago regala al lettore una storia meravigliosa, un po’ horror e un po’ commedia, intrisa di speranza, perché l’amore alla fine, come sempre, su tutto trionfa.

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