Le correzioni
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Sogni, desideri, paure, egoismi in una famiglia am
Il titolo del romanzo di Franzen ha diversi rimandi che tornano continuamente durante la narrazione. Ancorché ambientato a New Prospect, (Chicago), nel nord degli Stati Uniti il titolo rimanda anche al profondo sud. Come ben sanno gli appassionati di blues e R&B Crossroad, infatti, è il mitico incrocio tra la 49 ? e la 61 ?highway, contrassegnato da due grandi chitarre di colore azzurro, che segnala l’ingresso alla cittadina di Clarksdale in Mississippi. È a quest’incrocio che la leggenda vuole che il vagabondo di colore Robert Johnson abbia stretto un patto con il diavolo per suonare la chitarra come nessun altro; uno dei brani che ci ha lasciato Johnson è, appunto, Cross Road Blues diventato poi un classico riproposto da tutti i più grandi interpreti della musica blues e rock. E il brano ritorna spesso nel romanzo come cavallo di battaglia di Tanner Evans uno dei coprotagonisti del libro, valente ma poco ambizioso chitarrista, tra i primi a portare capelli lunghi e pantaloni a zampa di elefante. La storia, siamo nei giorni dell’Avvento del 1971, si impernia sulla famiglia Hildebrant. Le vicende vedono coinvolti Russ, il capofamiglia, pastore di una locale chiesa, sua moglie Marion, con un passato inconfessato e inconfessabile che continua a tormentarla tra rimpianti e sensi di colpa e i 4 figli Clem, Becky, Perry e Judson. Snodandosi attraverso le vicende dei diversi componenti Franzen racconta da par suo i sogni e le frustrazioni, le paure e le angosce, le gelosie, gli egoismi e i sensi di colpa che si generano all’interno del nucleo familiare e tra ognuno di loro e la comunità in cui vivono. Gli Hildebrant, infatti, non sono altro che il microcosmo dove nascono e proliferano sentimenti universali di un paese in cui ancora non si è spento il ricordo dell’ultimo conflitto mondiale e già si trova immerso nel dramma della guerra con il Vietnam. Ma il titolo del romanzo richiama innanzitutto l’omonimo gruppo spirituale, rivolto ai giovani, in cui si affrontano prove volte al sostegno reciproco, in cui si cerca di fortificare l’emotività di ognuno insegnando il rispetto per l’altro e dedicando tempo alla solidarietà verso chi più ne ha bisogno. Il gruppo è guidato da un altro pastore, Rick Ambrose, più carismatico e più giovane di Russ ma piuttosto ambiguo che, almeno inizialmente, è a lui subordinato. Ma ben presto tra i due si arriva ad una sorta di resa dei conti che porta i due a dividersi: da un lato Rick con la comunità giovanile di Crossroads e dall’altro Russ con la First Reformed rivolta agli adulti. In un continuo rimbalzo narrativo tra i diversi protagonisti, che raccontano in prima persona le loro vicende passate e presenti nonché i loro sogni, desideri e speranze, il romanzo delinea la personalità di ognuno e pone in luce l’ipocrisia tipica di un mondo piccolo borghese dove nulla è come appare. Contrariamente a ciò che il gruppo giovanile di Crossroads si propone, infatti, ognuno dei componenti vive in maniera più o meno drammatica la frattura tra i dogmi della religione (non importa quale) da un lato o, se si preferisce, la comune morale, e le umane, terrene passioni che vivono gli esseri umani dall’altro. Ci sono tanti spunti narrativi che possono svolgere la funzione di filo conduttore del romanzo. Uno di questi è, a mio avviso, il cambio di prospettiva e, con essa, il cambio nei rapporti umani che genera in ognuno l’incedere del tempo. È questo un elemento che attraversa tutte le età ed è con grande maestria che l’autore evidenzia le screpolature che si affastellano nella personalità di ognuno. Non a caso cambiando le proprie prospettive e i loro obiettivi nel passaggio dall’adolescenza alla gioventù Clem e Becky mettono in crisi il loro fortissimo rapporto fraterno; non da meno l’avvicinarsi dell’età matura fa nascere pruriginose voglie verso la bella e avvenente “parrocchiana” Frances in Russ e risveglia la nostalgia del primo amore in Marion che finora si era appiattita, fino a rendersi invisibile, ad annullarsi nel ruolo di moglie/madre. Franzen, riprendendo le tematiche interne alla famiglia già sviscerati ne “Le Correzioni” sembra dirci che ogni età ha i suoi “spettri”, i suoi fantasmi, le sue problematiche. La paura o la voglia di bruciare le tappe che porta Perry nel tunnel della droga non è diversa dalla paura di invecchiare di Russ o di Marion; la paura di essere assimilato ad un comune borghese che porta Clem, pacifista convinto, a cercare di arruolarsi per il Vietnam non è diversa dalla fuga dalla propria famiglia di Becky. Ma Franzen non da giudizi, non ci sono buoni o cattivi, non c’è chi ha ragione o torto; ognuno ha le proprie ragioni, ognuno ha i suoi torti esattamente come in una normale famiglia borghese di ogni angolo della terra. Ma, soprattutto, ognuno ha le sue umane debolezze e i suoi momenti di “eroismo”. Un romanzo lungo (oltre 600 pag.), complesso per le articolazioni anche psicologiche tra i vari protagonisti ma che proprio per questo vive di grande intensità rendendo la lettura sicuramente impegnativa ma estremamente piacevole e avvincente. Dopo la (personale) delusione di Purity, mi sembra che Franzen sia tornato alle altissime vette narrative de “Le Correzioni” e poiché Crossroads è il primo di una trilogia attendo con giuste aspettative l’arrivo degli altri due romanzi.
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Nel cuore dell'America di fine millennio
Un romanzo che ha quasi vent'anni quest'opera di Franzen ma che ....non li dimostra affatto. Perchè la fotografia della società americana immortalata nel proprio orgoglio borghese, nelle proprie ipocrisie quotidiane condite da uno stato di apparente felicità e spensieratezza che sembra veleggiare sull'immaginaria cittadina di St. Jude nel Midwest, è assolutamente realistica ed ancora attuale ("Gli abitanti di St. Jude fanno finta di essere tutti uguali....Ma le persone non sono tutte uguali. Niente affatto. Ci sono differenze di classe, di razza, differenze economiche enormi e decisive, eppure in questo caso nessuno è sincero. Tutti fingono!"). E perché "il profeta" Franzen sembra in qualche modo avere colto proprio quegli ultimi momenti di ottimismo sul futuro e di ricerca di un consumismo sfrenato e scellerato che ammorbavano gli americani di fine XX° secolo -epoca di ambientazione del libro-, prima delle varie crisi economico-finanziarie, politiche del nuovo millennio.
La famiglia Lambert, protagonista del romanzo è composta da 5 elementi di cui Franzen ci parla copiosamente, illustrandone al lettore passato e presente, punti di forza (pochi) e debolezze (tante). Il capo famiglia Alfred, ingegnere ferroviario in pensione con l'hobby della chimica, uomo rigido e tutto d'un pezzo, pregno di quell'abnegazione tipicamente americana che vede nel sacrificio la strada maestra per il successo, ma che ora nella vecchiaia, risulta affetto dal morbo di parkinson ed in preda a pesanti allucinazioni causate dai medicinali assunti. La moglie Enid, malata di quel perbenismo tipicamente "made Usa" ("Tutti i suoi amici erano persone perbene e avevano amici perbene, e dato che di solito le persone perbene allevavano figli perbene, il mondo di Enid assomigliava a un prato in cui l'erba cresceva così folta da soffocare il male") che per annacquare la sofferenza causata dalla malattia del marito si crogiola nell'organizzazione di un pranzo di Natale-evento in cui desidera mettere attorno al tavolo tutta la propria famiglia riunita. Enid è l'emblema di quella fiducia nel futuro, fedele adepta "della religione del consumismo", alla disperata ricerca di un'ultima oasi di felicità che trova partecipando ad una crociera per anziani pensionati benestanti. Infine Gary, Chip, Denise, i tre figli che hanno cercato di realizzarsi rispettivamente nel mondo della finanza, della docenza universitaria e nell'arte culinaria migrando chi a Philadelphia, chi a New York. Tutti e tre a modo loro travolti da eventi imprevedibili che hanno provocato il fallimento della loro vita privata e professionale, rimanendo così nudi di fronte al proprio io più nascosto ed imparando a doversi confrontare con le proprie depressioni, bassezze, istinti.
Franzen che già nell'incipit lascia intravvedere il tenore della sua opera ("Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell'aria. Il sole era basso nel cielo, una stella minore, un astro morente. Raffiche su raffiche di entropia. Alberi irrequieti, temperature in diminuzione, l'intera religione settentrionale delle cose era giunta al termine..."), conduce un'analisi spietata dell'America contemporanea nella quale i suoi protagonisti si muovono storditi da meccanismi più grandi di loro ed impossibili da governare. In questo quadro emergono prepotentemente la spietatezza del libero mercato e la centralità della finanza, con la ricerca del profitto a tutti i costi da parte delle grandi multinazionali, pronte ad es. a sfruttare un brevetto ancora in stato embrionale pur di vincere la competizione nel mercato delle biotecnologie, oppure ad acquisire un'impresa florida senza guardare in faccia ai dipendenti, per poi smembrarla pur di fare cassa. L'America di Franzen, che poi è l'America di Roth, di Yates e di tanti altri mostri sacri a stelle e strisce, è un paese in perpetuo adattamento, che fonda la propria sopravvivenza sul meccanismo delle "Correzioni" che danno il titolo a questo romanzo: che si tratti delle correzioni al proprio portafoglio titoli in base all'andamento del mercato, oppure che si tratti di correzioni intese come azioni correttive e comportamentali da parte dei componenti della famiglia Lambert poco importa.
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Correggere l'incorreggibile
Che nessuno può cambiare lo sapevo già. Quando si fa un errore si promette di agire diversamente la prossima volta e spesso lo si fa anche, ma a volte è solo un'illusione, i tratti fondamentali di una persona rimangono sempre quelli e prima li accettiamo reciprocamente, meglio è. E nemmeno la parentela aiuta a mitigare la situazione, anzi, ne rappresenta spesso un fattore esponenziale alle distanze che la diversità caratteriale implica. Sono cose che le sappiamo un po' tutti, quindi "Le correzioni" non mi dicono nulla di nuovo sotto quest'aspetto, dato che parla fondamentalmente di legami interpersonali soprattutto all'interno della stessa famiglia. Ma è un libro che mi ha fatto vedere, che mi ha rapita nel suo mondo facendomi sentire parte della famiglia Lambert oppure i Lambert parte della mia famiglia. L'ho trovato abbastanza imperfetto come libro dal punto di vista della forma ma perfetto a livello emotivo in quanto mi ha letteralmente rapita con semplicità e ironia, e nonostante la mole è stato quindi molto scorrevole e leggerlo in questo periodo di quarantena è stato come bere un bicchiere di acqua fresca in una sera di calda estate.
Non bisogna aspettarsi tuffi di profondità o indagine psicologica perché non ci sono, la storia scorre in superficie, ma la trama fitta e dinamica sorretta da una prosa essenziale e ironica con personaggi ben delineati che man mano sembrano diventare sempre più "reali" per il lettore, fanno di questo un libro davvero una lettura godibile in cui magari capita di rispecchiarci in alcune scene oppure di intravedere dei nostri parenti, insomma la famiglia del Mulino Bianco è davvero rara e i Lambert certamente non lo sono, seppur mamma Enid faccia di tutto per esserlo:
"Ogni giorno si sforzava di ripulire la dizione, lisciare le maniere e sbiancare i principi dei bambini, e tutti i giorni affrontava un'altra pila di biancheria sporca e sgualcita."
Un libro quindi sulle imperfezioni, in cui scomode verità escono a galla, oltre che un bel ritratto dell'America degli anni passati in cui fare soldi era un gioco da ragazzi, bastava investire bene in azioni e il gioco era fatto, un periodo di alto consumismo e spreco che perdura tutt'oggi, e che anziché assicurare una certa felicità, paradossalmente, assicura solo depressione e problemi personali. In questo senso non posso non nominare Furore di Steinbeck: ho provato lo stesso piacere nel leggere quest'altro grande romanzo americano, un classico ormai, dove mi ha colpito moltissimo l'unione della famiglia, che in condizioni di estrema povertà e disperazione trovano consolazione nel stare insieme e nel sostenere l'un l'altra. Ricchezza dispersione e contrasti in "Le Correzioni" contro povertà, unità e amore in "Furore"... si vede evidentemente che i soldi non fanno la felicità.
Passando alle cose che non mi hanno convinta inizio dal dire che ho trovato molta carne sulla brace seppur Franzen riesce benissimo a non annoiarti, certe scene le ho viste inutili e noiose (come ad esempio la parentesi sulla Lituania), altre accennate ma non sviluppate a sufficienza (la storia del licenziamento di Chip e il guaio con Melissa) anche la struttura del romanzo suddiviso in cinque parti ognuna dedicata ad un personaggio non mi ha convinta, l'ho trovata "facile", anche se mi ha ricordato la struttura di 2666 di Bolano. Una nota negativa anche per il finale, considerato l'incipit angosciante e anche l'andamento del romanzo mi aspettavo un finale un po' più forte invece no. Anzi, a tratti mi è sembrato patetico, come ad esempio la scena del Natale in cui Gary, prima della partenza, vuole imporsi sulla famiglia e fare come dice lui- gli altri accettano ma peccato perché era una decisione e una presa di coscienza già avvenuta in precedenza tra Denise ed Enid. Pertanto il finale è stato più un rallentamento naturale della storia piuttosto che uno sprint inaspettato, della morale che "nessuno può cambiare", una volta formatosi il carattere, rimarrà quello. Più che correggere bisognerebbe venirsi incontro e accettarsi.
Per concludere un libro davvero incantevole e al quale perdono piccoli nei e che mi ha fatto una bella compagnia, leggerò sicuramente altro di Franzen.
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ANGOSCE ESISTENZIALI DI UNA FAMIGLIA AMERICANA
Le correzioni che danno il titolo al bel romanzo di Jonathan Franzen sono ironicamente disseminate ovunque: sono le correzioni apportate da Chip alla sceneggiatura cinematografica che egli, un po’ velleitariamente, va scrivendo da anni; le correzioni degli indici della borsa in cui Gary, operatore professionale, investe buona parte dei propri risparmi; le correzioni alle abitudini sessuali di Denise, che un bel giorno scopre inopinatamente di essere lesbica; e soprattutto le correzioni di Enid, la quale, pervicacemente e noncurante dell’inanità dei suoi sforzi, cerca per tutta la vita di indirizzare e dirigere la vita dei suoi tre figli. Franzen guarda ai suoi fragili, stressati, disorientati eppur umanissimi personaggi con una sorta di affettuoso disincanto e, con uno stile estremamente libero e sciolto, non esita a metterli di fronte alle situazioni più disparate, che vanno dalla tragedia shakespeariana (la riabilitazione finale dell’”irresponsabile” Chip agli occhi del padre ricorda alla lontana il “Re Lear” del Bardo) alla farsa (Chip che incontra un amico al supermercato con un salmone infilato nei calzoni), passando per il thriller psicologico (quel fucile che Alfred conserva nel seminterrato per un suicidio che non si realizzerà mai), per il vaudeville (Denise va a letto contemporaneamente con Robin e con Brian, marito della ragazza nonché suo datore di lavoro), per il romanzo avventuroso (la fuga di Chip dalla Lituania) e per il dramma familiare. In mezzo a questa congerie di elementi disomogenei, va dato atto al “cuoco” Franzen (mi si passi la metafora culinaria, in quanto uno dei protagonisti è un famoso chef) di essere riuscito nel difficile intento di non fare “impazzire” la maionese. Infatti a tenere insieme il tutto c’è una serie di fili conduttori i quali toccano temi fondamentali della società contemporanea, quali la vecchiaia, la malattia, il rapporto tra genitori e figli, il dissidio tra responsabilità e libertà o quello tra etica e successo. E’ qui che si vede di che tempra è fatto lo scrittore americano, il quale, con un procedimento minuziosamente analitico e nel contempo potentemente allegorico, fa della famiglia Lambert, con uno spirito provocatorio e iconoclasta, lo specchio, la metafora di un’intera civiltà.
Ma procediamo con ordine. Innanzitutto, l’anno in cui si svolgono gli avvenimenti è quello di fine millennio, alla vigilia dello scoppio della “bolla” tecnologica nelle borse mondiali (il quale sta per mettere in discussione, insieme al quasi contemporaneo crollo delle Torri Gemelle, la sicurezza dell’America in una crescita infinita della ricchezza e del tenore di vita e in una totale invulnerabilità da minacce esterne). In questo contesto, Franzen mette inesorabilmente a nudo uno stile di vita senza più freni inibitori ed autentici valori morali. In un mondo in cui tutto deve essere rigorosamente cool, in cui il benessere economico è visto illusoriamente come unica garanzia di felicità, vera e propria religione terrena che ha reso obsoleti e inservibili gli insegnamenti etici della tradizione, in cui il dolore e la malattia sono nascosti e occultati, e in cui la globalizzazione e la diffusione dell’informatica minacciano di portare a una pericolosa confusione su ciò che è vero, attendibile e degno di fiducia e ciò che invece non lo è (la truffa della Lituania.com), gli individui vedono sovvertiti i propri punti di riferimento e perfino la propria individualità. Da qui il desiderio morboso di sfuggire ai connotati di un io debole e disgregato per rifugiarsi nelle insidiose braccia di una scienza che promette la liberazione artificiale da tutte le angosce senza dover far ricorso a doveri, sacrifici e obblighi morali (la droga di Chip, la notizia letta dall’amico Doug sul giornale che è possibile riprogrammare il proprio hardware mentale, la terapia della Axon, le pastiglie prescritte dal medico della nave come ottimizzatori della personalità). Emblematici rappresentanti di questo universo, i cinque componenti della famiglia Lambert si agitano, come grottesche marionette, per sfuggire alla crisi incipiente, ognuno con i propri problemi e le proprie nevrosi: Gary, il figlio maggiore, succube di una moglie che usa spregiudicatamente i figli in una sorta di gioco di potere per la supremazia coniugale, con la sua depressione strisciante, la sua anedonia (ossia la perdita di interesse per le cose che dovrebbero procurare piacere) e la sua insofferenza per il mondo che lo circonda (verso i suoi genitori che hanno bisogno di aiuto e verso cui si sente inconsciamente in colpa, verso le classi subalterne che minacciano col loro cattivo gusto il suo elitario stile di vita, verso l’umanità in genere, così invadente ed opprimente); Chip, l’intellettuale dotato ma votato al fallimento, sempre in fuga dall’assunzione di impegni e responsabilità durature, che soffre della mancanza di punti di riferimento stabili e della precarietà esistenziale in cui versa e che pure irrazionalmente coltiva; Denise, la figlia minore la quale, per sfuggire alle imposizioni familiari, si è messa in situazioni imbarazzanti e indesiderate e che, pur autonoma e benestante, si ritrova senza più niente in mano (senza marito, senza figli, senza lavoro), insoddisfatta e in preda a travolgenti sensi di colpa; il capofamiglia Alfred, in passato padre autoritario e alieno da ogni tenerezza nei confronti di moglie e figli, ed ora tristemente malato di Parkinson, costretto ad assistere al crollo rovinoso del suo fisico e all’inesorabile avanzare di una vecchiaia infernale, fatta di pannoloni, allucinazioni e dipendenza dagli altri per ogni più banale bisogno fisico (quasi una punizione, secondo la legge del contrappasso, per la sua orgogliosa e pervicace indipendenza affettiva e per la sua misantropica difesa dell’intimità); e infine Enid, la classica moglie piccolo-borghese del Midwest, legata a tradizioni e modelli di vita conformistici e stereotipati, la quale ha investito tutta la sua vita sui tre figli, ricavandone però solo delusioni e frustrazioni, alternate irrazionalmente ad accessi di risorgente ottimismo. Il leit-motiv del lunghissimo romanzo (seicento pagine) è l’organizzazione del Natale nella vecchia casa di St. Jude, a cui Enid si dedica con tutte le sue forze per riunire un’ultima volta tutta la famiglia, come se questa ricorrenza potesse essere una miracolosa panacea che risolverà tutti i problemi e restituirà la tranquillità perduta. Il desiderio della donna verrà esaudito, tutti e tre i figli si siederanno infine intorno a un tavolo con i loro anziani genitori, ma le tensioni e i conflitti latenti non potranno fare a meno di deflagrare e di far crollare anche quel precario equilibrio che ancora resisteva. Franzen non intende certo offrire al lettore facili e consolatorie illusioni, ma non è neppure un autore che voglia distruggere per un puro gusto nichilista. Dalle ceneri dell’incendio familiare un nuovo equilibrio verrà faticosamente costruito e, paradossalmente, sarà proprio l’”irresponsabile” Chip a rimboccarsi le maniche e farsi carico della ricostruzione, dalla quale la speranza tornerà faticosamente (e un po’ beffardamente) a riemergere nella forma dell’antiquato, kitsch, eppure inossidabile e inaffondabile ottimismo di Enid.
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Letto da Vinicio Marchioni
In LE CORREZIONI, Jonathan Franzen dà il meglio di sé. Mette a fuoco i tratti essenziali della crisi dell’istituzione familiare nella società odierna. Il suo modello è la tipica famiglia americana. La descrive nelle sue abitudini essenziali, approfondisce quelli che sono i segreti e tutti i non detto dei personaggi: padre, madre e tre figli, due maschi e una femmina, Gary, Chip e Denise. Quello che caratterizza i personaggi è soprattutto il divario ideologico tra le generazioni, ma anche tra i sessi. Spesso sono lontani anche fratello e sorella.
Le vicende della famiglia Lambert mi hanno molto coinvolta, le ho trovate avvincenti e mi hanno appassionata nel loro evolversi e dipanarsi. Mi sono ritrovata nelle ansie dei personaggi, nei loro sogni e nelle loro aspettative per il futuro.
La rigidità dei genitori è quella propria anche delle famiglie italiane di una volta. I genitori, americani come italiani, hanno la pretesa di impartire insegnamenti ai figli, attraverso la "correzione", quella del titolo. Correggendo gli errori, i genitori pensano di poter realizzare attraverso i figli, ciò che non hanno raggiunto nella loro giovinezza professionale. Alfred e Enid, padre e madre, hanno preteso di orientare la vita dei loro figli, correggendo, di volta in volta, ogni possibile deviazione da quella che loro ritengono sia la retta via, il modo giusto di vivere e raggiungere la realizzazione, attraverso un ottimo posto di lavoro ed un importante ruolo sociale che li collochi su un gradino più alto degli altri.
Il sogno di Enid, la madre, è riunire la famiglia per un ultimo Natale, tutti insieme, consapevole che le condizioni di Alfred, malato di Parkinson, si stiano progressivamente aggravando.
È un romanzo che parla di libertà e felicità. L'uomo si affanna per raggiungere entrambe e, troppo spesso, si illude di averle raggiunte, ma deve sempre fare i conti con tutto il resto, tutto il contorno della vita di ognuno di noi.
È un romanzo che ti prende, ti entra dentro la mente e nell'anima, ti impone di riflettere su tutti i dettagli e le componenti della tua esistenza, della tua quotidianità, confrontandola con quella dei personaggi.
Per questo romanzo, Jonathan Franzen utilizza uno stile ricercato, dettagliato, approfondito con rigido rigore critico, ma che risulta anche scorrevole ed avvincente.
La mia scelta per LE CORREZIONI è stata non la semplice lettura, ma l'ascolto, intrapreso grazie alla voce, profondamente coinvolgente, di Vinicio Marchioni. Ottima esperienza letteraria!
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La naturalezza di correggere e correggersi
Le Correzioni - J. Franzen 2001
Una volta deciso e convinto di intraprendere un lungo viaggio nella grande narrativa americana ho iniziato a leggere questo famoso romanzo di cui tantissimo si è parlato e al quale ci si continua a riferire quando si parla di GRA (Grandi Romanzi Americano).
Franzen non ha bisogno di presentazioni, dopo l'hype creato dal suo ultimo Purity la mia curiosità è aumentata a dismisura perché volevo capire cosa avesse di speciale, se fosse vera la sua capacità di rappresentare la famiglia moderna con i suoi lati bui e i suoi lati luminosi.
Le Correzioni, tradotto dall'ormai famosa Silvia Pareschi voce italiana di Franzen, è letteralmente il ritratto di una famiglia borghese degli Stati Uniti con dei valori e dei principi ancorati in un passato lontano e che si rispecchia nei tre figli che vivono invece un presente molto diverso.
A fronte della coppia di genitori Alfred e Enid, sposati da sempre, convinti conservatori, discretamente bigotti, invidiosi e palesemente frustrati da quello che gli altri hanno e loro no, abbiamo i tre figli ormai adulti ognuno con la sua vita fatta di successi e insuccessi. Il romanzo è la scoperta delle vite di questi personaggi, le loro manie, le loro paure e i loro sogni sempre e comunque accompagnati dall’ombra dei genitori e delle loro correzioni. Si perché nonostante siano ormai adulti e vaccinati, continuano a risentire della rigida educazione e dei valori impartitegli da bambini e da ciò ne scaturisce una combinazione di azioni e reazioni che forma l’anima del libro. In particolare il personaggio di Denise spicca come il più umano e normale dei tre figli i quali ognuno a suo modo ha delle particolari manie che ne caratterizzano bene le personalità. Un ritratto dove in molti potranno riconoscersi o riconoscere scenari simili alle proprie esperienze dirette.
Uno stile veloce, moderno, con ritmo conferisce alla lettura facilità e divertimento, i capitoli dedicati a ciascun personaggio, i pensieri contorti figli di allucinazioni da farmaci o dovute a depressioni latenti, un’incredibile battaglia con un escremento che dura 10 pagine sono state apprezzatissimi esempi di buona scrittura.
In definitiva un bellissimo libro, che raccoglie appieno le caratteristiche di un grande romanzo e che giustifica la sua fama.
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La famiglia in tutto il suo "non-splendore"
Se dicessi che Franzen non scrive benissimo, mentirei.
Se dicessi che questo romanzo non è in grado di sviscerare tutto ciò che c'è di disfunzionale nella "famiglia americana", rappresentata in tutto il suo "non-splendore", mentirei.
Se dicessi che i rapporti interpersonali e l'introspezione psicologica di ogni personaggio non sono affrontati con la profondità di una trivella e la precisione di un certosino, mentirei ancora.
Ma se dicessi che questo libro mi è piaciuto, mi ha emozionato, mi ha coinvolto e rapito nel suo incedere letterario...direi una grande bugia.
La fatica che ho fatto per concludere questo romanzo probabilmente è pari all' impegno che Franzen ha messo per scriverlo.(Ho temuto quasi di impiegarci anche lo stesso tempo!)
Lo ammetto, ho trovato dei passaggi fenomenali...soltanto un "grande" può scrivere intere pagine su un uomo che lotta contro le sue allucinazioni sotto forma di "prodotto fecale" e fare comunque altissima letteratura!!!
Però divaga, divaga, divaga moltissimo...ed io finisco per pensare ad altro.
Credo che il mio problema con lui in questo romanzo sia stato di tipo "emozionale"...la sua scrittura non mi è arrivata nella pancia, è stata bella da ammirare, ma non "l'ho sentita".
Lui stava lì ed io qui. Amen.
Ovviamente tutto questo non toglie nulla al valore letterario dell'opera, che riconosco e apprezzo, ma ha tolto a me il gusto di tuffarmi tra le sue pagine.
Le uniche parti in cui ho percepito delle vibrazioni sono state quelle in cui trattava la malattia di Alfred (il padre), buone le ultime 100 pagine...per il resto...il pugno nello stomaco che mi aspettavo di ricevere, non è mai arrivato.
"Purity" (che ho letto poco prima di questo), a confronto, è molto più dinamico, più agile, più intrigante...forse un po' meno profondo, ma molto più digeribile.
Confido in una rivalutazione finale, a posteriori: ci sono libri che iniziano a parlarti davvero solo molto dopo averli letti.
Magari, per me, è uno di quelli.
Comunque sono contenta di averlo letto.
E leggerò anche "Libertà"...fra una decina d'anni, ma lo farò!!!
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I LAMBERT IN CASA
Non è facile condensare in poche righe l’universo di sentimenti che questo romanzo riesce a contenere, né raccontare le storie che si srotolano tra le pagine, e neppure spiegare il senso delle “correzioni”, perché puoi correggere un errore solo se lo hai capito fino in fondo, ma a quel punto non è già più un errore.
I Lambert, una coppia di anziani genitori con due figli e una figlia adulti e lontani, sono una famiglia tragicamente normale: il loro mondo è così vero che ti sembra di muoverti nella loro casa, il loro sentire così vivo che ti sembra di non poter chiudere il libro e metterti a fare altro, senza avere l’impressione di abbandonarli.
Stare nella famiglia Lambert significa fare i conti con una realtà difficile, accorgerti che spesso sono le persone che hai più vicine che fanno più fatica a capire di cosa hai bisogno, forse perché semplicemente non se lo chiedono, o almeno non se lo chiedono più.
“E come ci si poteva permettere di respirare, per non parlare di ridere o dormire o mangiare bene, se non si era neppure in grado di immaginare quanto fosse difficile la vita di qualcun altro?”.
La famiglia è anche il problema senza soluzione delle aspettative dei genitori verso i figli, dei figli verso i genitori, dei mariti verso le mogli e delle mogli verso i mariti, un labirinto claustrofobico di grandi amori e di rancori e di ricatti affettivi più o meno espliciti, dal quale non sembra esserci un’uscita indolore.
L’ultimo Natale che riunisce i Lambert (e solo i 5 Lambert) infrange il sogno impossibile di rimettere insieme qualcosa che non c’è più, ma la malattia spietata che lo ha distrutto è anche la chiave di volta per capire gli errori e correggerli.
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Enormi distanze...
…separano i membri di questa famiglia, madre, padre e tre figli. Il romanzo, che personalmente ho trovato illeggibile, è incentrato sulle relazioni umane ed è un lungo, troppo lungo, racconto infarcito di tanti, troppi, particolari; ruota attorno ai cinque componenti della famiglia Lambert, tessendo una fittissima ragnatela di relazioni, caratterizzate da errori, che ciascuno dovrebbe correggere per raggiungere il comportamento ideale, il giusto, il vero. Ma è poi così vero e giusto se non rispecchia come siamo? Domina quindi sempre questa tensione soffocante e palpabile, destinata ad esplodere, tra il come ci si deve comportare e quello che si vuole fare. Ma è proprio lo stile che fa perdere secondo me di vista l’essenza del romanzo. L’ho sentito mio solo perché ognuno di noi ha nella propria vita qualcuno che ci chiede di essere perfetti. Ed ognuno di noi sa che nessuno lo è. Nemmeno colui che chiede a noi di essere così. Buttiamo quindi via le matite blu e rosse e sentiamoci un po’ più liberi di essere così come siamo...
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Aberrazioni?
Un giovane professore universitario dal promettente futuro che si rovina non riuscendo arginare l'istinto sessuale e la sua voglia di ribellione, una bella ragazza che rischia di mandare all'aria una carriera da chef per un non esattamente latente lesbismo nei confronti della moglie del proprio capo e il fratello dei due, già perché loro sono fratelli, quello più maturo, quello con la testa sulle spalle, l'uomo di successo che dovrebbe essere d’esempio per gli altri due ma che in realtà, con il suo complesso di inferiorità e la sudditanza psicologica nei confronti della moglie, lotta quotidianamente con il rancore e la depressione fino a sfiorare l'autolesionismo. E sullo sfondo i genitori, artefici e colpevoli del modo d'essere dei tre fratelli, di come affrontano le difficoltà, di come "s'incasinano" la vita: il padre un uomo un tempo tutto d'un pezzo che viveva di lavoro e di principi talmente rigidi da sfiorare l'estremismo ma che ormai l'età, e una malattia incurabile, hanno rabbonito (e forse rinsavito); e la madre, la figura più antipatica (e per questo forse meglio riuscita), colei ovvero che, costretta a vedersela con le tare del marito, diventa una rancorosa repressa e depressa (proprio come il fratello più grande dei tre) che fa ricadere il proprio mortificato impulso ad essere un individuo compiuto, equilibrato e libero, sui figli durante tutto il loro percorso di maturazione dalla gioventù all'età adulta, con le sue regole, con le sue cervellotiche macchinazione ed infine con le tanto famigerate, squilibrate temute eppure dovute Correzioni, quelle con la C maiuscola, quelle del titolo del libro, quelle che fanno da leitmotiv a tutta la narrazione e conducono il lettore attraverso quell’interessante spaccato di una famiglia, e per estensione di tutta la middleclass americana, che è in realtà il romanzo di Franzen.
Con quest’opera l’autore infatti ci illustra in maniera curiosa e approfondita come un termine così banale e sfruttato di questi tempi quale quello di middleclass, il nostro “benestante”, per intenderci, racchiuda in sé molteplici realtà, che possono andare dal radical/urban/social/chic, il progredito, aggiornato cittadino della metropoli, che malgrado gli agi si sente a suo modo una vittima di un sistema ipocrita che sfrutta le sue debolezze e per questo scelglie di condurre una vita “al di fuori” e ideologicamente (ma solo ideologicamente) assimilabile a quella di un anarchico nulla tenente; fino al Redneck del midwest, il rigido ultraconservatore dell'aperta campagna che per ambiente, collocazione geografica, e talvolta arretratezza culturale non può assolutamente concepire e tanto meno accettare la dissolutezza morale di chi non va alla funzione religiosa ogni domenica, di chi non ha quei "sani" principi capitalistici che lo spingono dopo la funzione ad organizzare sfarzosi ricevimenti nella sua tenuta per scatenare invidia di amici e conoscenti e di chi in buona sostanza non condivide la sua visione del mondo.
Un romanzo dunque interessante che facendo incontrare questi due estremi dello stesso segmento sociale sotto il tetto della famiglia dei protagonisti, dipinge in maniera precisa quali possano essere pregi e difetti di ogni corrente, di ogni filosofia, restituendoci prospetticamente quella che oggi per buona misura è la nostra realtà.
Ma la prospettiva di Franzen è davvero così corretta oppure è anch'essa il risultato di una distorsione, di una aberrazione, di una sua forzata "correzione"?
Sì, certo, a metterla su questo piano, penserete voi, a qualunque opera, persino alla più illuminata, si può trovare qualche difetto, ovvio, ma qui le critiche non sono tanto legate alla visione che l'autore ha del mondo o alla sua maniera di spiegarcela, e neppure a quell' auto compiaciuta pedanteria del suo descrivere i comportamenti umani in alcuni capitoli, ma alla fondamentale mancanza di equilibrio e a tratti addirittura di consequenzialità logica della sua storia, del giudizio che lui ha di essa, e in definitiva delle conclusioni che trae. Franzen nella sua denuncia dello stato attuale delle cose (poiché di denuncia per forza si deve trattare altrimenti il suo stile sarebbe veramente troppo pedante e pretenzioso) indugia particolarmente sul concetto del peccato come sfogo di una correzione, come bisogno di ribellione, di fuga, di un individuo da un ingiusto ordine precostituito vuoi da una società fondamentalmente cinica e spietata, vuoi da dei genitori rigidi e spesso non all'altezza della situazione e, indugiando in questo suo modo di vedere le cose, perde di vista il sopracitato equilibrio prospettico: ma che errori compiono esattamente i tre giovani protagonisti? Quali tremendi peccati? Sì, vero, qualche cavolata la fanno, qualche peccatuccio lo commettono, ma sono tutte cose più o meno veniali che, salvo eccezioni, potrebbero commettere tutti quanti, e in compenso loro ne vengono fuori sempre abbastanza bene, e se non proprio puliti per lo meno maturati, più esperti ed equilibrati, dunque quali sono le loro grandi colpe, e quali sono quelle dei genitori con le loro tanto odiate correzioni? Quali infine quelle della società, che a sua volta, anche se in altri modi, talvolta più brutali, redarguisce e corregge anche lei? O meglio ancora di cosa si lamenta esattamente l'autore se alla fine nel mondo che ha creato tutti pressappoco se la cavano? Non è forse il compito ultimo di un genitore educare il figlio perché alla fine possa cavarsela da solo? Non è forse la più importante prerogativa di una società permettere una degna sopravvivenza a chiunque ne faccia parte? I tre - cinque protagonisti nel mondo creato dall'autore ci riescono a sopravvivere, e tutto sommato come si diceva ci riescono anche bene, e allora di che si lamenta esattamente? Qual' è la sua denuncia? Poiché, come si diceva, se lo sforzo dell’autore fosse rivolto solo al fine di riportare un quadro del vivere moderno vorrebbe dire che il suo stile iper – realista, sottilmente umoristico, e acidamente sarcastico sarebbe fine a se stesso, buono solo a mascherare una vicenda alla Much Ado About Nothing sotto le mentite spoglie di letteratura impeganata... Ma non può essere così, dunque cosa vuole dirci esattamente, cosa vuole spiegarci col suo romanzo se tutto alla fine va pressappoco bene?
Se si vuole fare un romanzo di sfogo occorre un fatto eclatante, un qualcosa che permetta ai lettori quanto a lui scrittore, di indignarsi (sì veda per esempio Pastorale Americana) se invece si parla, si parla e si parla e poi alla fine non accade nulla a cosa servono tutti quegli sforzi, cosa serve tutto quello scrivere? Senza contare che così facendo si corre il rischio che tutto il pensiero dell'autore venga inteso solo come un lungo e, ripeto, auto compiaciuto viaggio mentale (il termine corretto sarebbe un altro ma onde evitare che taluni storcano il naso tralascerò…).
Questa dunque la principale critica che si può rivolgere al romanzo, ma criticandolo non bisogna scordare che nonstante le falle di logica, e qualche caduta di stile eccessiva, la resa finale è comunque, buona, anzi più che buona, è la resa insomma che ci si può aspettare da un autore di razza che grazie ad una grande conoscenza della storia recente e della psicologia umana, riesce malgrado tutto a regalarci un libro di grande appeal, un libro che in confronto a certa altra letteratura, se non si è troppo rigorosi, non può essere definito nient’altro che curioso, sorprendente e intellettualmente rinfrescante.
Ps.
A giudizio di chi scrive, resta comunque ancora troppo azzardato, almeno in quest'opera, il paragone tra Franzen e David Foster Wallace, se il primo infatti a livello di tematiche rimane più legato alla realtà e per questo risulta forse più appetibile, il secondo vanta uno stile per scorrevolezza e cinico umorismo che il caro Franzen per ora non è neppure in grado di imitare. E il sottoscritto, tengo a precisare, non è un fanatico ammiratore di Wallace.
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I Lambert siamo tutti noi
*** Attenzione, la recensione contiene spoiler ***
E' molto difficile per me recensire Le correzioni, romanzo letto circa un anno fa, ed entrato a pieno titolo tra i miei libri preferiti di sempre. Le correzioni è un romanzo, forse, prima di tutto, sulla famiglia. La famiglia di cui seguiamo le vicende è quella dei Lambert: Enid e Alfred, che ci vengono presentati all'inizio del romanzo, anziani, malati e pieni di piccole manie, e che poi ritroveremo nel corso della narrazione, sia soli che insieme ai loro figli;e i figli, appunto: Chip, Gary e Denise, profondamente diversi l'uno dall'altro, ciascuno con la propria storia costellata di fallimenti e fragilità, conformismo e ribellione. Quella dei Lambert è la storia di una famiglia come tante; una famiglia della medio-borghesia del Midwest, schiacciata e plasmata dai valori, dalle ipocrisie e dalla mentalità di quel piccolo mondo, cieca forse, incapace di comprendere le pulsioni e le infelicità che si celano dietro le consolidate e rassicuranti apparenze. Sono proprio le pulsioni ad allontanare e a rendere infelici i tre figli dei Lambert, che cercano di fuggire da quella gabbia dorata nella quale i genitori avevano tentato di imprigionarli, correggendo, appunto, qualunque comportamento potesse deviare da quella che secondo loro rappresentava la norma, la buona regola. E quindi eccoli, personaggi di un libro ma così veri e sinceri e vicini a noi da sembrare nostri amici di sempre: Gary, buon padre di famiglia intrappolato in un matrimonio infelice; Chip, professore anticonformista schiavo della passione per una ragazza molto più giovane di lui; Denise, donna dalla carriera affermata, che manda tutto all'aria per essere andata a letto con la moglie del suo capo. Ma riusciamo a sentire vicini anche Enid e Lambert, che impariamo a conoscere nel corso della narrazione, ed anche un po' ad odiare per come si sono comportati coi propri figli, per come hanno impostato le loro relazioni familiari, ma verso i quali alla fine non riusciamo a non nutrire tenerezza, affetto e comprensione, come ad un anziano genitore a cui si riescono a perdonare tante cose. Franzen ci trasporta, attraverso 500 e più pagine, e con uno stile superbo, in un vortice di storie e sentimenti forti, scava nell'animo dei personaggi ed è come se scavasse un po' anche nel nostro. Perché ci sono pezzi di noi nelle storie che Franzen racconta. Perché ci sembra di comprendere la tristezza di Gary, la passione di Denise, la disperazione di Chip; ma anche l'amarezza di Enid, la compostezza di Alfred, il loro aver fatto tutto in buona fede. Perché, in fondo, i Lambert siamo tutti noi.
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Le correzioni
Enid Lambert vuole riunire per un "ultimo" grande Natale tutta la famiglia. Questo desiderio si trasforma ben presto in un'ossessione, perché Enid, non può esimersi dall'applicare delle "correzioni": correggere le cose, illudendosi di aver capito "cosa non funziona", in sé e negli altri mentre suo marito Alfred, introverso e dispotico ingegnere di una compagnia ferroviaria in pensione è gravemente malato di Parkinson e sprofonda ogni giorno di più nella demenza, visitato dalle allucinazioni e dagli incubi.
Il figlio Gary è sposato con una donna infantile ed egoista che lo ha fatto cadere in depressione, egli cerca di convincersi che tutto sia a posto, nonostante chiari segni del contrario.
Per non parlare della figlia Denise, chef di successo con tendenze lesbiche, invischiata in relazioni travagliate, O come il secondogenito Chip, beniamino di papà Alfred, intellettuale cacciato dal college dove insegnava per aver sedotto un'allieva, intento a riscrivere e "correggere" per l'ennesima volta la stessa sceneggiatura.
Impossibile non capire che i veri attori di questo romanzo siamo noi, genitori e figli di questa società, Jonathan Franzen ci prende per mano e ci accompagna con ironia e sarcasmo in un dissacrante viaggio nella nostra cultura.
A mio avviso questo libro è un vero capolavoro, scritto in modo magistrale , chiaramente se cercate un libro semplice, Le correzioni non è per voi richiede impegno e tempo ma credete ne varrà la pena.
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Le correzioni di Jonathan Franzen
Bellissimo e lacerante. Un romanzo che analizza spietatamente i rapporti individuo-famiglia e individuo- società: una visione del mondo lucida e dissacrante per chi rimane ancorato ai vecchi rassicuranti principi borghesi.
La famiglia qui descritta non è il punto di riferimento per i suoi componenti, non la sede degli affetti sinceri e disinteressati, così come si pretenderebbe ancora di credere. Essa è il luogo in cui la coppia a poco a poco sostituisce l’amore con la prevaricazione e la prepotenza e trova faticosamente un accordo sui metodi e i principi con cui educare i figli.
Franzen segue la trasformazione dei sentimenti di Alfred e Enid, in quarant’anni di matrimonio, descrive le piccole e grandi correzioni che essi infliggono ai figli da bambini, a cui però si ribelleranno da adulti, racconta l’inevitabile indebolimento del fisico e della mente per la vecchiaia incipiente con la conseguente insofferenza dei figli di fronte ai problemi che ne derivano.
Ogni personaggio sembra preoccupato di affermare solo il proprio ego, calpestando spesso i sentimenti o i desideri degli altri componenti della famiglia. Piccoli e grandi rancori trovano ampio spazio nelle mura domestiche. Homo homini lupus.
La vita personale dei figli è vista nella sua problematicità. Matrimoni falliti, speculazioni economiche disastrose, rapporti sessuali trasgressivi, lavoro e successo raggiunti e persi agitano gli animi dei protagonisti che si trovano a tradire tutti quei valori che erano stati alla base della loro educazione. Enid, la madre, è la più sensibile alla morale puritana della società in cui è inserita: sempre preoccupata dell’opinione della gente, ne è condizionata. La reazione di fronte alla malattia del marito, un Parkinson accompagnato da un Alzheimer avanzato, è di mal celata insofferenza. Essa sente di essere la vittima della famiglia alla quale ha dedicato la vita prima impegnata nell’educazione dei figli, poi a curare il marito. Il leit motiv del romanzo è il suo desiderio di trascorrere un ultimo Natale tutti insieme nella casa dove sono cresciuti i suoi ragazzi, che, riuniti per l’occasione, si mostreranno nella loro vera dimensione. Gary, giunto solo, per il rifiuto del resto della sua famiglia di accompagnarlo, è e rimane il meno disponibile nei confronti dei genitori. Denise, maturata attraverso le sue esperienze sentimentali fallimentari, un divorzio, un amore omosessuale, e l’umiliazione della perdita d’un lavoro che amava, sembra essere più disposta a comprendere le difficoltà del padre e in parte anche quelle della madre. Chip dopo una relazione con un’allieva che gli costa una cattedra al college, si dà a speculazioni finanziarie disastrose. Egli si mostra però più disponibile del fratello ad assistere, sia pure parzialmente, i genitori.
Ciò che viene decritto con un realismo agghiacciante è la malattia di Alfred e la sua progressiva perdita di memoria che lo relega in un mondo popolato di mostri. Il suo fisico forte e giovane si trasforma negli anni in un corpo debole e vulnerabile, curvo e tremante, che perde il controllo di se stesso.
Le correzioni, dunque, quelle che ciascun individuo vorrebbe imporre agli altri e alla realtà che lo circonda, divengono, in questa prospettiva, un inutile e frustrante affanno: solo la consapevolezza di non poter modificare il mondo in senso totale ed assoluto , potrà rendere la vita accettabile.
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Le correzioni: l'affresco della modernità
Dare un’opinione almeno apparentemente esaustiva a proposito dei romanzi di Franzen, o anche solo di uno di essi, mi sembra un compito piuttosto arduo. Il primo aggettivo che mi viene in mente per definire “Le correzioni”, come poi anche i successivi e i precedenti libri scritti dall’autore, è anche quello che mi sembra più calzante. Ovvero, lo definirei un libro “denso”. Sia, di primo acchitto, dall’edizione fisica delle sue opere, sia dal lessico e dalla struttura scelti per scriverle. “Le correzioni” è il primo libro di Franzen che ho avuto il piacere di leggere e confesso di esserne rimasto perdutamente ammaliato. La prima caratteristica rilevante che salta alla mente del lettore che si approccia all’autore in questione è sicuramente, come già detto, la scelta del lessico, che denota un dizionario personale veramente di ampie proporzioni. A questa già apprezzabile caratteristica si aggiunge poi la capacità straordinaria di conciliare in ogni periodo, in ogni frase o affermazione, un linguaggio estremamente diretto, conciso, immediato, ma allo stesso tempo, miracolosamente forbito, ricco, che denota sullo sfondo una presenza intellettuale non indifferente. Un linguaggio che fa trasparire con chiarezza la sfavillante cultura di base dell’autore e che evidenzia con quanta dedizione esso si dedichi ad un importante lavoro di documentazione prima di trattare qualsiasi argomento. La scrittura di Franzen, non solo, quindi, si trova ad essere un connubio di semplicità e complessità verbale, ma mette in evidenza ulteriori virtuosismi narrativo-lessicali nella straordinaria musicalità che assume il testo. Non so con esattezza se ci sia uno studio preciso e premeditato dietro tale caratteristica, soprattutto alla luce del fatto che, in fin dei conti, si stia leggendo una traduzione. Non sono nemmeno al corrente se altri abbiano notato tale particolarità, o se l’abbiano notata addirittura nel testo in lingua originale. Il fatto però resta. Leggere un romanzo di Franzen comporta assolutamente una sorta di magnetismo intellettuale reso affine da un uso del linguaggio sopraffino.
Oltre alle digressioni più meramente tecniche, personalissime, è inevitabile accordare molti altri punti a favore dell’autore per la meravigliosa compiutezza delle trama, di questo ed altri romanzi. Franzen, scrittore newyorkese, fondamentalmente predilige vicende ambientate nel nordamerica, tra territori natii, ben conosciuti, senza troppe pretese di ambientazioni esotiche che rischiano, nella maggior parte dei casi, di rivelarsi delle pallide scenografie. Nel caso de “Le correzioni”, il filo della trama si svolge principalmente nei territori del Midwest, dove incontriamo una famiglia americana qualsiasi. Una specie si stereotipo, di modellino dai tratti deprimenti e satirici della tipica famiglia americana dove troviamo i genitori, Alfred ed Enid, anziani, che conducono una vita immersa nei ricordi, negli oggetti di un tempo, nella vuota banalità di giornate sempre uguali a se stesse. A volo di uccello vediamo le vite diametralmente opposte che conducono i tre figli della anziana coppia, Gary, Chip e Denise. Tutti cresciuti, che fanno i conti con le conseguenze delle proprie scelte, con le proprie famiglie, con il proprio lavoro insoddisfacente, con le proprie relazioni. È il desiderio impellente e irrinunciabile dell’anziana Enid di riunire per l’ultima volta la famiglia per Natale che segna l’apparente ricongiungimento di una famiglia frammentata da decenni, a causa della mediocrità e dell’ipocrita perbenismo che segnava lo standard di vita degli anni ’60.
Una trama ricca di spunti, di vita vissuta, di verità spicciole e quotidiane che porta a incoronare Franzen, almeno ai miei occhi, come uno dei più grandi narratori contemporanei della quotidianità, vissuta nei suoi oggetti più consumistici e inutili e nelle sue situazioni più vivide e reali. Vite raccontate con un realismo impressionante da ogni punto di vista, da ogni particolare, che ci fanno vivere i momeni salienti di questi cinque personaggi come se fossimo noi stessi a trovarci alle prese con responsabilità, gravosi impegni, speranze, perdite e perdoni. “Le correzioni” è in definitiva un modernissimo affresco che parla di noi, dell’esistenza della corrente generazione e dei frutti che raccoglie dopo aver seminato.
Un romanzo affascinante, con una morale che lascia un gusto un po’ amaro in bocca. Che è, però, ainoi, il gusto amaro della verità.
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L'istinto o la regola?
In natura l'animale nasce dotato di un istinto che lo guida a compiere, gia' appena nato, quei passi fondamentali e non cosi' scontati che si rivelano indispensabili per la sopravvivenza.
L'uomo invece - razza assai strana - per sopravvivere nella giungla metropolitana da lui stesso creata - sopprime l'istinto di sopravvivenza con regole e convenzioni maturate nel tempo, che si ispirano a principi ritenuti necessari e doverosi per una sana e corretta convivenza, e che - una volta seguiti e rispettati - dovrebbero facilitare l'individuo a "vivere la comunita'".
"Le correzioni" dei coniugi borghesi americani Alfred ed Enid Lambert, apportate con scrupolosa attenzione nella vita e negli atteggiamenti dei loro tre figli Gary, Chip e Denise, sono tutti accorgimenti presi per poter assicurare loro un futuro migliore e una vita di successo. Il problema e' pero' che nessuno dei tre puo' definirsi felice e realizzato: ne' Gary, il maggiore, ottima carriera come dirigente di banca ma con giganteschi problemi familiari riconducibili ad una moglie terribilmente viziata ed infantile, immatura e ricattatrice che lo conduce ad uno stato depressivo/ossessivo irrecuperabile. Ne' Chip, secondogenito problematico, professore disoccupato in quanto licenziato con l'accusa di molestie sessuali ai danni di un'alunna e - se non bastasse - impegnato in loschi traffici in un paese dell'Est europeo. Ne' infine Denise, cuoca affermata, ma con evidenti problemi di identita' sessuale, incapace fra l'altro di coltivare e mantenere una relazione sentimentale con uomo o donna con cui si relazioni.
Ma "correzioni" sono anche quelle che tre figli ormai adulti vogliono imporre ai loro anziani genitori, nell'illusione di poter garantire loro una vecchiaia meno problematica e piu' longeva, ma anche per risparmiarsi un bel po' di problemi. Gary, il piu' affarista, desidera che i vecchi vendano la casa che hanno sempre abitato per trasferirsi in un posto piu' comodo ed accessibile, e specula su alcuni brevetti sottovalutati creati dal padre; Denise vuole persuadere la madre a sottoporre il marito malato di Alzheimer ad una cura sperimentale non ancora testata a sufficienza, che possa ritardare gli effetti drammatici e inesorabili legati alla malattia. Chip illude i genitori inscenando una carriera giornalistica che non esiste ne' mai sara' in grado di intraprendere.
La famiglia Lambert e' insomma il prototipo del sogno infranto americano, e Franzen mai come in questo intenso e composito romanzo riesce a disegnarci cinque ipocriti, disperati ma a tratti anche commoventi e umanissimi personaggi che insieme appunto costituiscono "L'America Oggi", cioe' la societa' che si riterrebbe "civilizzata", ma che in relta' si riduce ad una rappresentazione di una deliberata autodistruzione, di una ossessione irrefrenabile, di una incontenibile maniacalita'.
La festa di Natale tanto desiderata dalla anziana Enid riesce miracolosamente a radunare, almeno per pochi istanti, tutti assieme questi cinque individui: in quei pochi istanti tutto quello che da anni ribolliva dentro ogni animo viene fuori, e la verita' tenuta nascosta o i sentimenti repressi, una volta a galla, fanno molto male e lacerano il cuore e l'animo, pur disilluso, di ognuno di loro.
Come spesso capita tuttavia la vita va avanti comunque, anche se come nel caso del vecchio Alfred, egli non vuole piu' continuare a vivere cosi: l'andare avanti per inerzia non e' nelle intenzioni del malato, ma la correzione finale che il padre chiedera' al figlio prediletto Chip non sara' accolta in quanto inammissibile, e dunque non verra' esaudita.
Franzen scrive con quest'opera il suo capolavoro, e una sorta di "grande freddo" familiare tra i piu' sofferti, penosi e alla fine commoventi degli ultimi decenni, evitando anche il minimo accenno al melodramma e ricorrendo ad una narrazione scandita per personaggi e non per avvenimenti, in modo da percorrere tempi e situazioni secondo diverse angolature che rispecchiano il carattere dei cinque memorabili e complessi personaggi della variegata famglia Lambert.
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Misera nobile
Questo libro l'ho molto amato ed anche consigliato e regalato, per condividerlo con chi pensavo lo potesse capire.
La lettura non è sempre semplice ed agevole e dunque il romanzo non può essere per tutti.
Il racconto, che tratta le vicende misere, penose, tragiche e anche ridicole di una famiglia borghese americana, risulta piuttosto coinvolgente, anche in assenza di storie mirabolanti e originali.
A mio parere la grandezza di Franzen sta nell'essere riuscito a penetrare senza schermi nel profondo delle miserie e delle pene dei suoi personaggi. Sotto questo aspetto si potrebbe senz'altro definirlo un romanzo psicologico.
Uno sguardo disincantato sulla società americana. Ma quelle miserie e quelle debolezze umane sono descritte in modo tanto disarmante e limpido che davvero tutti potrebbero riconoscere in esse qualcosa di sè o di chi gli sta vicino.
Dunque, oltre che sulla società americana, un romanzo sulla desolazione, la miseria, l'ipocrisia e la debolezza dell'uomo a tutte le latitudini.
Tuttavia, una miseria descritta in maniera assai nobile!
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