Le ceneri di Angela
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Che bella infanzia!
Frank ci racconta la sua infanzia fino alla partenza per l'America a 18 anni circa. La famiglia di Frank è bellissima, piena di difetti e piena di vita. Il cuore della famiglia è la madre Angela, ma anche il padre è un uomo debole ma pieno di fantasia. Nonostante l'alcolismo e la incapacità a mantenere un lavoro, Frank lo descrive come un uomo meraviglioso e capace di raccontare storie e dare un esempio ai figli, anche se solo un paio di volte riesce a portare uno stipendio a casa. Il libro è pieno di affetto per la madre e per i fratelli. Certo, le figure che girano intorno alla famiglia, nonna, zii e parenti vari non sono altrettanto luminosi. A Frank manca cibo quasi per tutto il libro ma mai l'affetto, e sembra che lui e i suoi fratelli crescano con tutto il necessario per affrontare la vita nel modo migliore e per raccontarla agli altri facendola sembrare meravigliosa.
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Un'Irlanda che non ti aspetteresti.....
Con un linguaggio semplice, essenziale e privo di orpelli stilistici, Frank McCourt
con i suoi occhi da bambino ci trasporta nell'Irlanda tra le due Guerre e attraverso
la narrazione delle vicende sue e della sua numerosa famiglia, ci fa capire a fondo
la condizione irlandese di quegli anni.
Frank ci dona il racconto della sua vita, facendoci toccare con mano l'estrema miseria,
il freddo e la fame ( quasi ce li sentiamo addosso), il tutto aggravato dalle convinzioni
cattoliche, che invece di dare sostegno e conforto mettono ancora più fuori gioco
le persone e le abbrutiscono;
un'ignoranza medioevale, l'alcolismo onnipresente come fuga dalla realtà, che
affossa ogni sprazzo e movimento di riscossa;
il degrado dei luoghi, l'odio viscerale per gli inglesi e per gli irlandesi del Nord:
un documento che insegna più di un libro di storia e ci fa comprendere nel profondo
quel che doveva essere e il perchè di come poi le due Irlande non hanno avuto mai
pace: la lotta agli inglesi, l'Ira e tutto il resto.
C'è chi lo giudica troppo "crudo", ma d'altronde se si vuole fare sapere la Verità,
questo doveva fare McCourt.
C'è chi si lamenta della condizione italiana nei soliti anni con l'avvento del Regime,
ma non sembra che altrove le condizioni dell'essere umano fossero migliori....
....anzi....
Un libro, una storia, che hanno solo da insegnare, specialmente al giorno d'oggi,
dove il troppo benessere, di contrario, impigrisce ed infiacchisce il corpo e la mente.
Sicuramente non è noioso... e Lui con l'ironia e la curiosità di fanciullo tratteggia
gli episodi durissimi facendoci perfino sorridere e la voglia di riscatto, di riuscire
e del sogno americano fa comprendere quante risorse nascoste ed inaspettate
abbia l'essere umano per poter risalire la china e superare anche le peggiori
disgrazie....sperare e credere in una felicità che prima o poi arriverà.
Consigliatissimo a certe radical-chic di buona famiglia, che si apprestano ad andare
in Irlanda perchè va di moda: l'Irlanda non è una terra magica di gnomi e folletti...
.....è stata anche questo!
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STORIA TRAGICOMICA DI UN'INFANZIA INFELICE
“Ripensando alla mia infanzia, mi chiedo come sono riuscito a sopravvivere. Naturalmente è stata un’infanzia infelice, sennò non ci sarebbe gusto. Ma un’infanzia infelice irlandese è peggio di un’infanzia infelice qualunque, e un’infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora.”
Quello che più colpisce di “Le ceneri di Angela” è la riuscitissima compenetrazione dell’elemento comico in quello tragico. Nel romanzo di McCourt, infatti, morti, disgrazie e disavventure varie si susseguono con implacabile sistematicità, senza peraltro che venga mai meno il tono fondamentalmente umoristico della narrazione. Non si ha – si badi bene – una deformazione grottesca della sofferenza, come potrebbe esserci in un Celine. L’effetto è ottenuto soprattutto grazie alla prospettiva con cui è raccontata la storia, che è quella di un bambino per il quale, ad esempio, il dolore per la morte di una sorella è in qualche modo risarcito dai dolci che può avere l’occasione di mangiare dopo il funerale. Quello che in un adulto sarebbe fastidioso cinismo, in un bimbo appare invece naturale, in quanto il mondo reale convive con la fantasia, l’immaginazione (le visite dell’angelo del settimo scalino in occasione della nascita di un fratellino) e la limitata comprensione della realtà - accentuata dal fatto che gli adulti sono evasivi su ogni argomento e non danno mai risposte – che caratterizza l’infanzia. C’è in McCourt, forse per la natura autobiografica del romanzo, quella abilità mimetica di immedesimarsi alla perfezione con il piccolo protagonista che avevamo già ammirata in “Chiamalo sonno” di Henry Roth. Come in “Chiamalo sonno”, “Le ceneri di Angela” riesce a seguire con credibile precisione psicologica e ricchezza di colore ambientale la crescita del narratore, dalla primissima infanzia a New York all’adolescenza irlandese. L’andamento è prevalentemente aneddotico (nascite, morti, malattie, comunioni, cresime, esperienze scolastiche prima e lavorative poi, ecc.), ma l’effetto generale è estremamente unitario, perché a cementare tutto ci sono degli azzeccati leit motiv, il più importante dei quali sono le peregrinazioni di Angela e dei bambini alla ricerca del padre ubriaco nelle sordide bettole di Limerick, dove l’uomo va a bersi i soldi del sussidio di disoccupazione o della paga. La piaga dell’alcolismo affiora nel romanzo con un taglio volutamente non polemico, eppure esso – come altri fenomeni di profondo disagio sociale (la povertà estrema di chi spesso non ha i soldi per mangiare nulla al di là di un pezzo di pane e di una tazza di tè, eppure è meno povero di chi va a scuola senza scarpe e dorme in tuguri fatiscenti e pericolanti; la tisi, la difterite, il tifo e le altre malattie che decimano la popolazione infantile) – fa da sfondo ineludibile alla rappresentazione cruda e impietosa di un mondo essenzialmente tragico, pur se affrontato senza vittimismi di sorta.
Alla luce di quanto detto sopra, non può meravigliare che la parte più bella del romanzo sia la prima, mentre man mano che il protagonista cresce la narrazione diventa, dal punto di vista temporale, più ellittica e diluita (con l’aumento dell’indipendenza del ragazzo che si accompagna alla graduale perdita di importanza delle figure dei familiari), mentre da quello sentimentale, assistiamo a una minore ingenuità e a una minore naïveté del suo punto di vista. Il tono scivola progressivamente dall’umoristico al patetico (si veda ad esempio la scena in cui Frank va a cercare il padre in tutti i pub della città, ma quando lo trova e scorge il suo sguardo perso in un abisso di dolore non se la sente di riportarlo a casa; o quella in cui la madre andata a chiedere l’assistenza sociale viene crudelmente umiliata davanti a tutti; o ancora quella in cui Frank scopre la madre ridotta a mendicare per strada). Per fortuna McCourt è sufficientemente saggio per resistere alla tentazione di sfruttare il coté lacrimevole e dickensiano della storia, limitandosi ad una umanistica adesione alla sorte di tante vittime della vita. Anzi, in una fase apparentemente interlocutoria del libro, egli riesce a disegnare due indiscutibili capolavori di asciutta e per nulla retorica commozione. Il primo è l’ultimo Natale che il padre passa in famiglia, quel povero pranzo silenzioso alla fine del quale l’uomo si congeda per sempre dai suoi, senza saluti o gesti di commiato; il secondo è la cocente umiliazione subita da Frank ad opera del cugino che ospita in casa la famiglia McCourt, di fronte alla quale la madre sottomessa gira la testa per rimestare le ceneri del caminetto. E’ davvero duro raggiungere la maggiore età per il protagonista, con tutti quei bocconi duri da digerire, quell’alone di povertà ineluttabilmente appiccicato addosso e la solidarietà umana più rara di un miracolo. Il finale aperto alla speranza, con la tanto agognata partenza di Frank per l’America, e l’orgoglio (sia pur segnato da rimorsi e sensi di colpa, amplificati dalla repressiva educazione religiosa ricevuta) di essere sopravvissuto a tutte le terribili avversità occorsegli, sembra legittimare la lettura di “Le ceneri di Angela” anche alla stregua di un racconto di formazione sui generis, a cui McCourt quattro anni dopo ha voluto dare un seguito (“Che paese, l’America”), sfruttando il successo commerciale di un libro meritatamente diventato uno dei maggiori successi editoriali a livello mondiale degli anni novanta.
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La miseria raccontata da un bambino
Il libro Le ceneri di Angela di Frank McCourt è la storia autobiografica di una gioventù trascorsa in Irlanda tra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso, nella poverissima e umida cittadina di Limerick, dove anche un uovo sodo è un lusso e l’unico modo che tanti disgraziati trovano per evadere dalla propria miseria è tracannare birre al pub, bevendosi la paga dell’intera settimana.
Parliamo di un romanzo che oltre ad aver vinto il premio Pulitzer 1997 ed ispirato l’omonimo e fortunato film di Alan Parker (1999) ha anche appassionato milioni di lettori in tutto il mondo, e questo essenzialmente per l’abilità dell’autore a trattare con levità temi gravi come la fame e la miseria, senza cedere mai al pietismo o all’autocommiserazione. L’espediente scelto da McCourt per evitare queste facili trappole è presto detto: una narrazione in prima persona filtrata attraverso gli occhi di un bambino. Questa scelta espositiva, volgendo a proprio vantaggio quell’approccio al mondo tipicamente infantile misto di ingenuità ed ottimismo che, qualunque cosa accada, tende sempre a vedere la vita come un gioco e a ritagliare anche dalla situazione più difficile un angolo di beata spensieratezza, permette infatti alla storia di svelarsi in maniera dolce e gradevole, anche grazie a una scrittura fluida, molto incentrata sui dialoghi, che contribuisce a rendere la lettura meno faticosa. Il frequente ricorso all’arma dell’ironia fa il resto.
Naturalmente, al di là del modo leggero con cui la storia viene raccontata, restano i duri fatti che la compongono e che inevitabilmente imprimono l’immagine di una vita trascorsa tra stenti e privazioni: una testa di maiale come pranzo di Natale o una buccia di mela messa in palio dal maestro per chi risponderà correttamente alle sue domande sono solo un paio di esempi.
Purtroppo la storia perde il suo mordente al termine dell’infanzia del protagonista e con la quasi contemporanea scomparsa di un personaggio particolarmente significativo e ben riuscito. Ad ogni modo, è una lettura che consiglio. Non solo vi farà guardare un semplice tozzo di pane con occhi diversi ma soprattutto vi lascerà un gran desiderio di visitare l’Irlanda.
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Il ragazzo dei vicoli che vinse il premio Pulitzer
Il racconto disperato di un’infanzia infelice? Assolutamente no. Una storia vera raccontata per bocca del bambino che l’ha vissuta, dove il senso dell’umorismo e la schiettezza rapiscono il lettore, portandolo già dalla prima pagina (cosa rara e inaspettata) al fianco del protagonista, dietro i suoi occhi, fino quasi a fargli perdere la cognizione della realtà.
Quando la famiglia McCourt lascia l’America per tornare in Irlanda, Frankie è un bambino ignaro di cosa lo attende aldilà del mare.
E’ una terra fredda l’Irlanda, l’umidità si annida nelle ossa e la pioggia è un rumore a cui si finisce per fare l’abitudine, negli squallidi vicoli di Limerick.
Frankie sa come nascono i bambini: è l’angelo del settimo scalino che li consegna ai genitori. Sa anche che a volte l’umidità se li viene a portar via, questo però accade per davvero.
Poi ci sono i maestri che non perdono un’occasione per picchiarti di brutto, i preti che ti chiudono le porte in faccia perché sei povero e hai tutte le ginocchia sbucciate, la nonna che non finisce di insultarti per quella zazzera da irlandese del nord e quello sguardo strano che ti è toccato in sorte perché sei figlio di tuo padre.
E poi c’è la fame. Una delle più vive sensazioni evocate dal libro, è quella della fame: l’improvvisa scoperta da parte del lettore di essere una creatura fortunata, solo per la grazia di potersi nutrire ogni giorno a sazietà.
Entrati nell’ottica del romanzo, si vive al fianco di Frankie, quando ancora piccolo spinge la carrozzina dei gemelli piangenti per la fame, con i poppatoi pieni di acqua e zucchero e il barista impietosito li rimbocca di latte. Quando Michael, il penultimo dei fratelli, porta a casa un segugio più grande di lui e informa la madre di voler cedere la cena al cane e la mamma risponde: “Ma quale cena?”.
La vita di Frank cresce nella povertà, nel continuo terrore di sentirsi inadeguato, con un contorno onnipresente di sensi di colpa. La vita a Limerick lo soffoca, la miseria lo svilisce.
C’è solo un modo per salvarsi: fuggire, fuggire in America. Anche a costo di lavorare per la strozzina del posto, scrivendo lettere minatorie destinate a clienti inadempienti.
O magari, di tanto in tanto, rubacchiare una boccia di latte e una pagnotta consegnati dal fattorino sulle porte dei ricchi, perché: “mi dispiace per i ricchi che la mattina si alzano , aprono la porta e il pane è sparito ma io mica posso morire di fame.”
Frank Mccourt partì per l’America, ma le vicissitudini della sua vita non finirono qui.
Sta di fatto che il ragazzo povero dei vicoli di Limerick fece strada, divenne insegnante, un brillante insegnante con tutte le insicurezze che quella maledetta infanzia gli lasciò d’eredità. L’autore di un romanzo amato da milioni di lettori in tutto il mondo.
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AMERICA-IRLANDA:ANDATA E RITORNO
Racconto autobiografico di un'infanzia infelice e povera in una terra schiacciata da un contesto storico che neanche il moto indipendentista riesce a riscattare.
America e Irlanda: andata e ritorno.
Una famiglia fa la spola tra due continenti, due storie, due miti di libertà, in un destino di povertà e miseria comune a tanti nel secolo scorso.
La narrazione è affidata al punto di vista di un bambino, il piccolo Francis - Frank, tradito dal più maturo e ironico McCourt.
Vita e morte, fame e assistenzialismo, nord e sud, America e Irlanda, carbone, patate, pulci e birra. La foce dello Shannon, culla di Limerick, con il suo fardello di capro espiatorio per un padre alcolizzato purtroppo mitizzato dal narratore. Un bambino pesantemente colpevolizzato da un errare vagabondo, straniero nella patria che gli dà i natali, straniero nell'Irlanda- patria dei genitori, colpevolizzato dalla somiglianza fisica col padre, poiché foriera di somiglianze altre che, fin da piccolo, si profetizzano per lui, colpevole infine di esistere e di chiedere: cibo, casa, famiglia, conoscenza. Una sete di sapere che il mondo adulto, imbruttito dalla lotta contro la vita, non sa soddisfare.
Un'esistenza che, nei momenti di lucidità, un padre sa arricchire con un'intimità fatta di essenziali attenzioni e mitici racconti per dissolversi in amaro disincanto.
Una lettura lenta e amara che un'altra penna avrebbe potuto, sicuramente snaturandola, rendere a me più gradevole.
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Acronimo
La storia di una famiglia irlandese tra le due guerre: poverissima
E funestata dalle morti di tre figli,
Con un padre sempre ebbro, il presbiteriano Malachy,
E la madre Angela, che combatte anche per lui.
Nella patria irlandese, a Limerick, ove la famiglia ritorna
E riceve il misero sussidio dilapidato dal padre, i
Ricordi del giovane Frank conferiscono al romanzo
Ironia e sapore di narrazione spietatamente filtrata
Dalla prospettiva infantile: malattie terribili, lutti, stenti
In un tugurio infestato dalle pulci, la strozzina Finucane che Frank
Aiuta nel redigere lettere ai debitori. Lì troverà il denaro per tornare
Nell’America dalla quale la sua famiglia era partita, per affermarsi.
Grande successo editoriale, premio Pulitzer nel 1997
E trasposto al cinema nel 1999 da Alan Parker,
L’autobiografia romanzata e deformata di McCourt offre
Al lettore una sensazione mista di ilarità e orrore…
Bruno Elpis
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Anche per chi non ama il genere narrativo puro
Il libro mi è stato regalato in vista del mio viaggio estivo in Irlanda, per tanto, pur non essendo il mio genere, ho cominciato la lettura con un certo scetticismo. All'inizio la narrazione è difficoltosa, lo stile dell'autore "confonde" la narrazione con i dialoghi, proprio come se il nostro protagonista, il piccolo Frank, raccontasse tutto d'un fiato ciò che gli succede ( e che succede alla sua poverissima famiglia), giorno dopo giorno, dall'America all'Irlanda.
La narrazione poi vira verso uno stile un po' più classico e Frank cresce con noi raccontandoci di un'Irlanda non proprio magica come è nell'immaginario comune, ma la rende più vera, concreta, come se volesse togliere quella patina di mistero, che oggi giorno, caratterizza l'immaginario dei più.
Toccante, duro, diretto e anche divertente, assolutamente da leggere.
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Il dolore, il colore e la dignità dell'Irlanda
Ho acquistato il romanzo dopo essermi ricordato di aver visto il film che ne è stato tratto alcuni anni prima. La versione cinematografica mi aveva molto colpito a suo tempo, sia per l'ambientazione piovosa e tetra di una Irlanda in miseria che per la sottile drammaticità che la pervadeva.
Tutte queste impressioni le ho ritrovate, ancora più intense e vivide nelle pagine del libro.
Il racconto narra le vicende di una squattrinata famiglia irlandese dei primi del 900, alle prese con violenze, malattie e qualche fugace scampolo di felicità .
Sono gli occhi del protagonista, un bambino che a poco a poco si fa uomo, a descrivere il tutto con sorprendente originalità, con intelligenza e sagacia, facendo si che diventi quasi possibile toccare con mano l'umidità di una baracca nella quale entra la pioggia, i volti segnati dalla fame di un popolo senza speranze, il bigottismo serpeggiante.
Tra i vari personaggi che animano il racconto spicca senza dubbio la madre del ragazzo, Angela, che oltre dare nome all'opera si fa espressione di una umanità coraggiosa e duramente provata, quantomai reale.
La parte più misera dell'Irlanda è tratteggiata con estrema accuratezza e veridicità, tanto che è impossibile non provare compassione per le povere anime in pena che hanno vissuto quegli anni.
Lo stile scorrevole e toccante di Frank McCourt accompagnano con delicatezza il lettore all'interno di questo romanzo, che , pur intrecciando storie e momenti spesso tristi e commoventi, conserva fino all'ultima riga un'insopprimibile speranza verso una felicità che prima o poi arriverà.
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Come un pugno nello stomaco
Un libro che ti prende come pochi.
Ogni pagina trasuda sventura, dolore, fame, povertà, così tanta povertà che non penseresti possibile potesse esistere nell'Irlanda di solo qualche decennio fa, in una terra arida non in grado di offrire alcunché ai suoi abitanti.
E poi, accanto a questo, una quantità incredibile di ironia, ironia a tonnellate, che riesce a rendere ogni dramma sopportabile, e a volte addirittura ridicolo.
Ecco, questo è un pregio davvero incredibile, un dono che lo scrittore mette a disposizione del suo racconto (il racconto della sua vita), un dono che rende disponibile a chiunque legga le sue pagine.
E grazie a questa ironia, magicamente, il lettore riesce a sopportare il dolore, la sfortuna, le ingiustizie, le tragedie che qui vengono raccontate, e si vuole procedere con il racconto, si vuole sapere cosa succederà, cosa potrà mai succedere ancora.
Uno spaccato di vita messo a nudo con una forza e un ironico disincanto che lascia senza parole e che ti colpisce come un pugno nello stomaco.
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Una lettura sofferta, ma intensa...
Essere Frank non deve essere stato facile. Non è stato facile nemmeno per me a volte confrontarmi con la povertà, la miseria e la tragicità che alcune pagine emanano. Ma crescere con Frank e con i suoi problemi "irlandesi" è stato davvero un bel viaggio. Sicuramente più toccante ed inteso rispetto a "Che paese L'america" questo libro è davvero un capolavoro. Tutti potremmo essere capaci di scrivere il nostro passato. Ma nn tutti ne possiedono uno come quello McCourt e tantomeno il suo stile.
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Strepitoso
Se sapendo di naufragare su un'isola deserta mi facessero scegliere tre libri da portare... questo sarebbe uno!
La vita della poverissima famiglia Mc Court raccontata con gli occhi di un bambino (il piccolo Frank appunto) ma soprattutto con uno stile e considerazioni di un candore straordinario , quasi il libro lo avesse scritto proprio un ragazzino.
Un padre ubriacone, patriota e sognatore, una madre fatalista ma mai doma , una famiglia numerosa con personaggi indimenticabili.
Vita difficile , tragedie umane ma mai una parola di vittimismo, sempre tanta ironia e speranza in un domani migliore.
Dall'America all'Irlanda con il sogno di poter un giorno tornare, il piccolo Frank Mc Court ci racconta la sua vita da quando ha il primo ricordo fino alla tarda adolescenza.
In questo libro c'è tutta l'Irlanda, il suo cielo carico di pioggia , le sue strade di acciottolato su cui si affacciano case con quattro mobili quattro e fredde come cantine perchè non ci sono soldi per comprare il carbone ,ma piene di dignità e di calore umano. E poi gli irlandesi con tutti i loro vizi e le loro virtù, l'amore per il pub e la bottiglia, il romantico patriottismo, la famiglia, la generosità d'animo e un senso della vita pratico ed esilarante.
Difficile trovare un libro che riesca , nella stessa pagina, a strapparvi una lacrima e poi un sorriso (o viceversa): commovente, divertente, trascinante , imprevedibile come la vita .
Tutte le persone a cui l'ho consigliato o prestato l'hanno trovato bellissimo.
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Profonda Irlanda
La poverissima famiglia McCourt lascia l' America per cercare di risollevare le proprie sorti nella natia Irlanda, ma la situazione non migliora, anzi... L' autore rivive la sua travagliata infanzia regalandoci uno spaccato di vita vera e sofferta, facendoci commuovere e ridere al tempo stesso, raccontando la vera miseria senza mai cadere in vittimismo o retorica... Assolutamente consigliato
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