La ballata di Adam Henry
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Quanto sono schierata? Ammetto il contraddittorio?
E’ giugno e siamo a Londra.
McEwan ci introduce senza preamboli nel racconto, nella vita del giudice dell’Alta Corte britannica Fiona Maye, cinquantanove anni. Sposata con Jack. Una vita di coppia al capolinea.
I piccoli dettagli che sembrano detti per caso, aiutano ad inquadrare perfettamente l’ambientazione e i protagonisti della storia.
Fiona, “una chaise longue a fissare in fondo alla stanza, oltre i propri piedi scalzi, lo scorcio di una libreria a incasso accanto al camino…”
E’ coinvolgente il lavoro di Fiona presso la Sezione Famiglia dell’Alta Corte britannica.
Le piomba, improvvisamente addosso, il caso di Adam Henry, diciassette anni, malato di leucemia. Necessita urgentemente di una trasfusione, ma sia il ragazzo che i genitori, in quanto Testimoni di Geova, rifiutano categoricamente. L’ospedale chiede l’autorizzazione a procedere, anche contro la loro volontà. Il compito di Fiona non è salvarlo, ma stabilire cosa sia logico e legale. E’ la difficoltà di giungere a una conclusione attraverso la legge.
E’ impossibile non ragionare, non pensare, non schierarsi. Forse è proprio ciò che l’autore vuol fare, portare al centro del dibattito un argomento così divisivo.
Una morte lenta e orribile, la libertà di rifiutare una terapia medica come diritto fondamentale di ogni cittadino adulto. Sottoporre un paziente a una terapia, senza il suo consenso, costituirebbe un reato contro la persona. Il rifiuto a essere trasfuso è un diritto. Non schierarmi uno sforzo destinato a fallire. C’è la possibilità di infezioni a seguito delle terapie trasfusionali, certo, ma cosa c’è di più certo della morte? L’autore riesce a guardare e farci guardare entrambi i punti di vista, le tesi sono suggestive e sembra quasi che riescano a farmi cambiare idea. La religione diventa elemento divisivo e potentissimo.
Il mio pensiero si sposa perfettamente con quello esattamente all’opposto dal mio.
McEwan infonde dubbi, la materia è tanto delicata quanto politicamente s-corretta. La certezza che una possibilità di salvezza esista. La certezza che tale possibilità venga giustamente rifiutata. Mi fermo. Non colgo le ragioni. Perché non le condivido? Sono capace di vedere oltre ciò che ritengo giusto?
E’ strano, quello che è partito come un romanzo per far compagnia, mi spiazza mettendomi di fronte ai miei limiti, alle mie chiusure mentali che forse ignoravo. Cado nuovamente e nuovamente in errore. Continuare a ragionarci non mi aiuta.
“Perché esattamente non vuoi una trasfusione?”
Poi osservo la copertina e una volta tanto le do’ un significato. Non succede sempre. E non perché non le guardi con la giusta attenzione.
La lettura procede speditamente, rallenta solo verso il finale, come se in fondo il finale non sia l’elemento più importante del racconto. Conta ciò che è stato detto, ciò che è successo fin qui. Nulla potrebbe togliere o aggiungere, dunque non mi delude né mi appaga. E la sensazione di frettolosità che nel finire del racconto percepisco questa volta non mi delude.
Buone prossime letture.
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Scelte e colpe, vivere o morire
«Chi prende in mano un violino, o qualunque altro strumento musicale, compie un gesto di speranza che comporta il desiderio di un futuro»
Fiona Maye è giudice presso l’Alta Corte britannica sezione famiglia. È una donna metodica, decisa, devota, devota al suo lavoro e alla legge perché è sempre stata convinta di «poter restituire ragionevolezza a situazioni senza speranza», perché ha sempre creduto in quei dogmi, in quelle leggi, in quelle sentenze che hanno sancito i principi dei bisogni del figlio sui genitori, dei coniugi e di ogni altro rapporto insito in questo ambito. Tuttavia, proprio quando è così rapita dal caso di due giovani bambine, ecco che il marito, all’età di cinquantanove anni le confessa di aver bisogno di un’amante perché il loro rapporto è venuto meno, è scemato, è caduto nell’oblio, è stato offuscato e sostituito da altro. I loro contatti fisici e mentali sono ridotti al nulla, non vi è più scambio e interazione nel loro legame talché ha bisogno di qualcosa di più, di emozione e sentimento. Ma come può Fiona comprendere davvero quel che il marito cerca di dirle? Come può far proprio il pensiero di un uomo che, a suo giudizio, non si rende conto di quei sacrifici che lei ha fatto per arrivare dove è arrivata e che hanno significato perfino il rinunciare a un figlio? Senza contare che Jack è stato il primo a non mettere in primo piano il suo di lavoro. Perché dunque, adesso, questa richiesta così assurda e improponibile? Ed è proprio mentre la donna è costretta ad affrontare questo tsunami pur mantenendo una facciata salda, ecco che arriva Adam. Adam Henry e il suo credo in Geova, Adam Henry e il suo bisogno di una trasfusione a causa di quella malattia chiamata leucemia, Adam Henry i suoi diciassette anni e nove mesi, Adam Henry e tutta la sua innocenza, intelligenza e passione, Adam Henry e le sue poesie, Adam Henry e il suo violino, Adam Henry che le si affida e che cerca in lei quelle risposte perché alla fine tutti ne siamo alla ricerca. Ma può un essere umano essere detentore di ciò? Può un uomo, può una donna poter rispondere a tutti quei quesiti che attanagliano la nostra esistenza?
«Quante pagine di quante sentenze aveva dedicato a quel concetto? Il benessere, il, bene, si misurava nel sociale. Un bambino non è mai un’isola. Aveva pensato che le sue responsabilità non andassero oltre le mura dell’aula. Ma che assurdità era mai questa? Adam era venuto a cercarla, chiedendo quello che volevano tutti e che soltanto l’umana libertà di pensiero e non il soprannaturale aveva da offrire. Un senso.»
Fiona è chiamata a decidere sul se autorizzare o meno l’ospedale al procedere con le cure necessarie ma è anche chiamata a far i conti con se stessa. Perché Fiona deciderà, emetterà il suo verdetto ma dopo sarà costretta a far fronte a conseguenze ben maggiori e ben diverse a quelle che qualsiasi altro caso le ha mai posto davanti.
«Le religioni, i sistemi morali, ivi compreso il suo, erano come cime di una fitta catena montuosa osservate da una grande lontananza: non ne spiccava una sull’altra né per altezza, né per verità o rilevanza. A chi spettava il giudizio?»
Con “La ballata di Adam Henry” Ian McEwan invita il lettore ad affrontare molteplici tematiche di grande attualità e affatto irrisolte. Tra queste spiccano senza ombra di dubbio la problematica della legge medica in relazione alla legge dello Stato, al diritto al sottoporsi a prestazioni sanitarie così come diritto di sottrarsene laddove queste non siano condivise (seppur con tutte le scriminanti del caso che nel nostro ordinamento sono state costituzionalizzate), alla religione, al lavoro, ai rapporti umani, ai sistemi di common law. In particolare, nel mio percorso di studi, più volte mi sono ritrovata a leggere, a studiare e ad affrontare il problema del rifiuto delle trasfusioni di sangue nonché di altre procedure terapeutiche a causa del credo religioso e sempre, immancabilmente, lo studioso di turno si trova innanzi ad un dilemma aperto perché tante sono le variabili, i fattori morali, filosofici, giuridici, culturali, medici, etici e quant’altro che subentrano nella riflessione. Nel caso di specie lo scrittore intesse un intreccio narrativo solido, non si sottrae all’esposizione di ogni punto di vista, sceglie una strada e la percorre con motivata fondatezza tanto che per le prime tre sezioni dell’opera il lettore è rapito e catturato da ogni passaggio intrinseco. A riprova inoltre del grande lavoro di approfondimento svolto vi è il fatto che per stendere la storia egli si sia ispirato a due casi, uno dell’Alta Corte del 1990 e un altro della Corte d’Appello del 2000, di Sir Alan Ward, un magistrato di grande umanità che lo ha aiutato anche negli aspetti giuridici più tecnici.
Superata ad ogni modo la terza sezione e iniziata la quarta ecco che però qualcosa viene meno. L’attenzione del narratore e del conoscitore si sposta, muove il suo baricentro. È come se chiudesse un capitolo per aprirne un altro in cui protagonista è sempre Fiona con, a far da coprotagonista, il ragazzo. Da qui si apre una parte dell’opera destinata a mettere la donna spalle al muro, a fronteggiare il suo vissuto, il suo essere sempre controllata e fredda, il suo tenere a debita distanza ogni rapporto che non sia la legge scritta. E nonostante sia percepibile la ragione di siffatta scelta, questo improvviso cambio di rotta destabilizza e ha quale naturale conseguenza quello di far scemare parte dell’interesse o comunque di far perdere all’avventuriero conoscitore le coordinate della sua avventura. È un qualcosa in più che è funzionale ma che poteva essere omesso perché allo stesso risultato si sarebbe comunque potuti arrivare semplicemente continuando la storia dal dove si era interrotta.
Al tutto si somma uno stile minuzioso, preciso, dettagliato che per quanto pregiato può risultare un po’ prolisso e rallentare lo scorrimento.
In conclusione, “La ballata di Adam Henry” è un libro di grande empatia, di gran contenuto, di gran riflessione, fortemente attuale e che merita di essere letto ma con le dovute accortezze sull’epilogo e sull’impostazione narrativa lautamente descrittiva.
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Il tormento del cut-off
In medicina il cut-off è il limite oltre il quale un’azione clinica ha senso, perché quel valore sancisce, o prova almeno a sancire, il confine tra quello che è fisiologico e quello che invece è patologico. Il cut-off è una decisione perché la realtà richiede di scegliere e ogni scelta, affermando una possibilità, ne cancella infinite altre. Perché si possono fare tutte le considerazioni, tutti i distinguo, tutte le premesse, ma alla fine un farmaco sì dà o non si dà e non sempre si può avere la sicurezza che sia la scelta giusta, perché i cut-off sono questione di probabilità. Un cut-off è anche la maggiore età, 18 anni, come se da un giorno all’altro una persona cambiasse perché ha spento una candeline in più. Non cambia nulla, ma la legge sceglie, lo Stato sceglie, perché prima o poi tutti devono diventare legalmente grandi. Un cut-off è anche il verdetto che un giudice proclama in tribunale, condanna o assoluzione, carcere o libertà. Perché nonostante tutte le precauzioni, non si può scegliere il bianco e il nero e purtroppo neanche il grigio, ma solo o il bianco o il nero.
Fiona, giudice dell’Alta Corte, preda di una crisi coniugale, si trova a dover scegliere se costringere un diciassettenne testimone di Geova a fare la trasfusione che lo salverà dalla leucemia o se ascoltare la sua volontà e lasciarlo morire. Chi ha ragione? Lo Stato che persegue il benessere del minore, o l’individuo, che ha l’inderogabile diritto di rifiutare una cura? Chi decide, forse le ragioni che determinano una scelta, la fede in un Dio, un principio culturale? Chi può scegliere quello che è giusto o quello che è sbagliato? Eppure Fiona deve scegliere un cut-off, Adam, il ragazzo, deve scegliere un cut-off, i medici che lo curano devono scegliere un cut-off e tutti sanno che non bastano le azioni a rendere buona una scelta, perché dopo che la realtà è accaduta, l’istante precipita.
McEwan affronta un problema vertiginoso. Lo stesso problema di Antigone, che sceglie di seppellire il fratello seguendo la legge degli dèi nonostante Creonte, colui che comanda, ha imposto una legge severa. Lo stesso problema che tormenta Hegel quando alla ricerca di una realtà equilibrata, quadrata, senza contraddizioni, risolve l’antitesi tra morale (del soggetto) ed etica (del pubblico) nello Stato, come sintesi delle spinte centrifughe che dilaniano la realtà. Il grosso problema, il peccato originale del libro, è che McEwan trascura il nucleo incandescente del romanzo e lo diluisce e sfianca con una scrittura quasi fiacca, che galleggia su una superficie distantissima dal cuore del dilemma. Fiona lo affronta, ma non si sente il personaggio palpitare, non si avverte una reale partecipazione alla storia, come se la scrittura indugiasse sul resoconto e descrivesse i personaggi da un altro mondo, appena lambito dal turbinio della realtà. A questo sensazione di freddezza, contribuisce la scrittura, piana, a volte pleonasticamente descrittiva, una trama inutilmente artefatta che svilisce quanto di buono invece l’idea centrale era riuscita a costruire. Una scrittura precisissima, di chi conosce il mestiere, compiaciuta, ma senza mordente.
Sarà forse una mia personale insofferenza oramai per tutte quelle scritture inutilmente lunghe, ma credo davvero McEwan non conduca il libro da nessuna parte, troppo lontano dalle radici inconciliabili del reale. Perché alla fine scegliere è creare un mondo, un mondo che senza quella scelta non esisterebbe: l’uomo è creatore e come ogni creatore deve portare il peso delle responsabilità e delle conseguenze che ne derivano. Pur con tutte le cautele, un cut-off, e con esso ogni decisione presa, non rende conto di tutta la nostra incertezza. Semplicemente, è. Peccato McEwan non ne parli, peccato sia perso tra le musiche di Schubert e i finanziamenti del governo Blair, peccato, perché il problema è davvero capitale.
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Quando il troppo stroppia
Diciamocela tutta: Ian McEwan scrive bene. Forse troppo bene. In una maniera minuziosa e quasi maniacale, oserei dire. E questo romanzo ne è una prova lampante.
Si vede quando l’autore ci ha messo cura e dedizione nel raccogliere e narrare particolari legati a processi e vicende giudiziarie, cardine di gran parte della vicenda raccontata. Tanto di cappello, non c’è che dire.
Il problema è che questa perfezione, quasi immediatamente dopo poche parole, stanca. Annoia. Irrita, perfino.
Lascia da parte una premessa (il rapporto fra una donna giudice e un ragazzo Testimone di Geova che rifiuta una trasfusione di sangue che potrebbe salvarlo dalla leucemia) che di primo acchito sembrava molto profonda. Non vedevo l’ora di assaporare tutto e ciò e di lasciarmi coinvolgere.
E invece mi tocca leggere 199 pagine (faticosamente finite in tre mesi, ci tengo a sottolineare) di processi, sentenze, accuse e verdetti totalmente a caso e spesso non attinenti allo svolgimento della trama, che mi hanno seccata, tediata e stancata parecchio.
Oltretutto coadiuvati da un linguaggio utilizzato dall’autore molto tecnico, arzigogolato, complesso e densissimo di metafore che tante volte ho faticato a comprendere, dovendo rileggere le stesse frasi più di una volta.
McEwan caro, volevi far vedere quanto sei figo nello scrivere e nel riportare fedelmente la vita reale, in questo caso nel contesto giuridico? Bravissimo, ci sei riuscito.
Ma non aspettarti che certe persone semplici come me, che amano le narrazioni fluide e senza troppe descrizioni, riescano ad apprezzarti.
Volevi parlare di processi su processi per caratterizzare al meglio il personaggio di Fiona, il giudice protagonista, mostrando quanto fosse coinvolta e integerrima nel suo lavoro e quanto questo incidesse sulla sua vita privata rendendola una donna severa, quasi fredda e scostante?
Obiettivo centrato, complimenti.
Ma che nella quarta di copertina non mi si venga a dire che la vicenda ruota attorno al caso di Adam Henry che, secondo me, meritava maggior attenzione e approfondimento, essendo appunto il
motivo per cui ho tentato di leggere questo mattoncino.
Per farla breve: da leggere solo se siete fan sfegatati di McEwan o dei processi giudiziari.
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Bisogno di assoluto
La ballata di Adam Henry è la storia di un giudice che deve decidere su alcuni casi che coinvolgono principi morali. Per esempio, la separazione di gemelli siamesi che implicherebbe la morte di uno dei bambini o di entrambi, la trasfusione a un minore (17 anni) testimone di Geova contro il parere della famiglia per salvargli la vita. In queste questioni non è mai chiaro dove stia il bene o il male, nel senso che la linea di confine presenta ambiguità e contraddizioni. Il giudice poi sbaglia inevitabilmente, nel senso che non è onnisciente e comunque non può avere grandezza d’animo o empatia o intelligenza necessari per poter discernere perfettamente. Il giudice non è Dio, occupa impropriamente un ruolo che non gli compete. E quando sbaglia-vengono raccontati casi emblematici- la vita dell’imputato può essere distrutta o compromessa tragicamente. Nel caso in questione, quello del testimone di Geova, la giudice si pronuncia a favore della trasfusione facendo contenti tutti, genitori e ragazzo, mettendo in luce i limiti della fede di quella famiglia e le debolezze della comunità. Ma poi rifiuta il ruolo che si è in un certo senso assunta di vice di Dio perchè non ha la capacità di amore di cui il ragazzo avrebbe bisogno, che è proprio quella assoluta di Dio. Perciò la sua mano tesa risulta una mano atrofica. Atrofico è anche il rapporto della giudice con il marito. Questa insufficienza nei rapporti umani (di Fiona rispetto al ragazzo e del marito rispetto a Fiona) è percepita dall’altro come un tradimento e accostata al bacio di Giuda. Nel senso che la mano tesa è il bacio, il bacio contiene una promessa, ma la incapacità umana a far fede alla promessa è in sé un tradimento della promessa fatta. Al bisogno di assoluto altrui l’uomo non può che dare una risposta imperfetta creando vane aspettative e illusioni, prendendo dunque il ruolo di Satana e non di Dio. Dunque, l’uomo non può dare all’uomo che una calda ipocrisia come un rapporto matrimoniale sicuro e affettuoso ma poco intenso o una partecipazione gentile ma distaccata e mancante di comprensione. Il finale resta aperto sulla prospettiva di vita nuova aperta dal giudice al ragazzo con la sua sentenza e la incapacità effettiva di sostituire la religione con qualcosa di umanamente altrettanto assoluto e bello. “Tutta la vita e l’amore che il ragazzo ha davanti” citati nella sentenza si riducono a poca cosa se questo amore non è totale e totalizzante e non comporta un rischio da correre per l’altro. Io ho trovato l’argomento del libro molto interessante.
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questioni etiche
Protagonista del romanzo è Fiona, Giudice non più giovanissima dell'alta corte di Londra, specializzata in diritto di famiglia. Questa figura viene tratteggiata dall'Autore in modo approfondito sia nella sua vita privata che in quella professionale; per entrambi questi ambiti vengono suggeriti importanti spunti di riflessione. Intanto, come si fa ad operare una scissione netta fra queste parti? Alcuni aspetti di noi si travasano dall'una all'altra dimensione e non è scontato riuscire a coniugare opportunamente l'agire professionale con i vissuti personali. Conosciamo Fiona in un momento di crisi coniugale, perché l'ancora attraente marito le confessa interesse sessuale per una giovane donna.
Parallelamente Fiona lavora in maniera intensa ed appassionata a situazioni drammatiche che arrivano in Tribunale, situazioni che pongono anche questioni etiche legate al diritto (o meno) dell'essere umano di decidere per la vita degli altri, che riguardano la responsabilità in capo ad un soggetto nel trattare questioni che toccano la vita altrui e l'impatto che tali decisioni hanno sull'altro: fino a che punto, e legittimati da chi o da che cosa, possiamo entrare, giudicare, intrometterci nella sfera altrui e decidere per essi? E nella vita privata, ha diritto Fiona a trattenere il marito che con la massima onestà le confessa attrazione per un'altra, argomentando tale attrazione con elementi oggettivi? (il loro distacco emotivo come coppia, distacco che tra l'altro Fiona non nega, ammettendo di essere stata assorbita dal lavoro).
Il nocciolo del romanzo sta nella vicenda di Adam Henry, un ragazzo alla soglia dei 18 anni, testimone di Geova, in punto di morte perché rifiuta una trasfusione. Fiona con una sentenza permette ai medici di procedere con la trasfusione anche se rifiutata dal ragazzo e dai familiari. In questa situazione la "nostra" Giudice protagonista, che si può ipotizzare abbia sofferto per la mancata maternità, vedendo forse in Adam il figlio non avuto, lascia emergere un'importante dimensione emotiva ed umana, avvicinandosi al ragazzo, ma "abbandonandolo" poco dopo, nascondendosi dietro il ruolo professionale e innalzando difese. Adam si ritrova disorientato, senza un punto di riferimento, immaginava che colei che gli aveva ri-concesso la vita, la potesse anche riempire di "qualcosa". Adam sperimenta così una sensazione di tradimento e lascia infine Fiona piena di sensi di colpa.
La vicenda è servita a Fiona anche per dare a se stessa una rappresentazione più umana: prima risoluta nel non cedere alla richiesta del marito che di fatto le chiede di avallare le sue scappatelle, si scopre poi lei stessa debole e "umana" e la coppia infine si riavvicina.
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Ad una certa età ...
Mc Ewan non è fra i miei scrittori preferiti. I pochi romanzi che ho letto, fra cui "Espiazione", mi lasciano una punta d'insoddisfazione. Struttura convincente, leggibilità scorrevole, non banalità del racconto paiono non bastarmi del tutto.
Forse vi colgo un ingrediente di artificiosità. Mi pare che vi sia però qualcosa di più, anzi di meno. Che si percepisca in essi un fondo di aridità, o meglio un'aridità di fondo ?
Fra le ultime opere dell'autore c'è "La ballata di Adam Henry".
Il romanzo si svolge su due piani solo parzialmente paralleli, perché di fatto le vicende presentano vari punti di contatto, con reciproche influenze.
Una coppia di sessantenni senza figli. Lei con un ruolo di alto prestigio in Magistratura ; lui, docente universitario. Dopo molti anni di serena convivenza, il marito le esplicita: "Voglio farmi un ultimo giro", chiedendo alla consorte di consentirgli una relazione con una ricercatrice ventottenne.
Al culmine della crisi coniugale, la delicata attività lavorativa della donna presso il Tribunale Minorile la conduce di fronte a un caso di coscienza : un ragazzo quasi maggiorenne, dunque ancora minorenne, affetto da malattia gravissima, non accetta di sottoporsi a trasfusione di sangue perché Testimone di Geova, con pieno appoggio dei genitori.
Gli sviluppi si presentano interessanti e si rivelano piuttosto imprevedibili, su entrambi i fronti.
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letteratura contemporanea
Il senso della vita
La vita di Fiona May, giudice dell' Alta Corte britannica, ormai sessantenne, per anni moglie devota, irreprensibile lavoratrice e stimata professionista, puntigliosa nell'applicazione della legge, si trascina un po' stancamente nella routine e nei propri molteplici impegni quotidiani, quando, improvvisamente, è' travolta e stravolta da vicende personali e lavorative che ne segneranno i contenuti in profondità'.
Da una parte il fallimento del proprio matrimonio a causa del marito Jack, docente universitario in cerca di nuove '' emozioni'' sentimentali, dall' altra un tormentato caso legale che è' chiamata a risolvere riguardante un diciassettenne gravemente malato ( Adam Henry ) e bisognoso di urgenti cure mediche salvavita contrarie al proprio e famigliare precetto religioso.
La giusta decisione '' legale'' definira' rapporti umani ex novo, speranze per il futuro, sensi di colpa, così' come la propria vita famigliare verrà' sciolta e riannodata in una ridefinizione complessa.
L' ultimo McEwan affronta un tema delicato e controverso, ovvero quel confine sottile tra soggettivita' ed oggettivita', libero arbitrio e legalità', auto-determinazione e diritto alla vita, eta' e capacità' decisionale, religione ed etica.
Lo fa in uno psico-dramma che è' perfetta alternanza di vicende personali e riflessioni sul senso della vita, calma apparente e turbinio emozionale, proprio ed altrui, sullo sfondo di una Londra al solito grigia e piovosa.
E la pioggia continua a cadere, tra le pagine, incessante, lenta, penetra i corpi e cosparge le membra, accarezza il pallore di Adam, definendone i tratti, scavati, quegli occhi così' scuri e penetranti, il viso segnato dalla sofferenza, e bagna il tormento di Fiona, segnando il rumore del silenzio e la solitudine di quella casa fredda, svuotata dal proprio fallimento matrimoniale, da un amore spento e sepolto sotto la grigia quotidianità'.
La compostezza, l' estrema ratio, la decisione corretta, un mondo di leggi, ordinanze, responsabilità' morali e civili, contrapposto al proprio passato, al proprio reale sentire, a quell' enorme vuoto generato dalla necessità' di indirizzare la vita degli altri sempre con la scelta più' giusta.
Fiona ricerca un senso che forse non c'e', scavalcando un dogma religioso obsoleto ed incongruo in nome di qualcosa di più' grande, quella legge naturale e morale che privilegia e protegge l' individuo ed il proprio essere nel mondo, espressione del proprio io più profondo e di un giusto fine insito in noi.
McEwan bilancia ed alterna racconto e desiderio, realta' ed emozione, oggettivita' e spiritualita', vivendoli intensamente nei due protagonisti, Adam e Fiona, solo apparentemente antitetici per eta', esperienza, inclinazioni, emozioni, ma talmente vicini da vivere ed assaporare la ricerca interiore che cosi' espressamente rincorrono, ovvero il senso, il gusto e la passione per la vita e l' amore.
Li unisce la ricerca del bello, la poesia, la musica, i misteri dell' universo, lei un giudice intransigente, lui un geniale, giovane poeta, aspirante violinista, ed entrambi sanno e percepiscono, sfiorandosi, che quel legame è espressione di profondita' totalizzante.
Il loro incontro segna la fine di un' epoca ed una fenice, uno stravolgimento emotivo ed esistenziale nella essenza di vita, e la certezza che tutto è' cambiato.
Adam deve vivere, perché' ogni dogma, amore genitoriale stupidamente votato ad un precetto religioso, ad un Dio cosmogenico totalizzante, ad osservanze nebulose, astruse o cervellotiche , non giustificherebbe la sua morte, così' come il desiderio di indirizzarne e prevaricarne la vita e tutto quell' amore, talento, passione e forza che egli possiede, esprime in ogni singolo respiro e porterà' con se' in un futuro prossimo.
E' quello stesso amore di cui Adam si nutre, viscerale, romantico, adolescenziale, estremo, totalizzante, a determinarne l' inizio e la fine, ad indirizzarne l' esistenza, a segnarne la strada.
I temi toccati sono molteplici e di somma importanza, concernono la religione, l' etica, il buon senso, la morale comune, la legge, lo stato, la responsabilità' genitoriale, medica, i protocolli di cura, tutti elementi oggettivamente presenti e fonte di acerrima discussione legale.
Ma vi è' un altro tema, altrettanto importante, spesso sottovalutato, sfuggente, ma determinante per indirizzare una vita, ed è' il significato di una esistenza che sia reale ed autentica espressione di noi, ragione quotidiana, che segua passioni ed inclinazioni individuali, che spinga la mente all' eterno ed alla autorealizzazione, che oltrepassi la semplice oggettività' ed il bene legale o voluto da altri, accecati da ragioni invadenti e che sottendono incomprensibili ed asfittiche questioni prettamente burocratiche.
Perché' e' giusto che Adam continui a vivere, al di là' di cervellotiche dissertazioni e guerre intestine genitoriali o precetti religiosi astrusi ed invadenti?
E Fiona, ritroverà' se stessa, scossa da una decisione tanto importante, da un amore finito ed un altro negato, solo sfiorato ed immaginato, da un senso di smarrimento, da un nuovo se' per anni sopito, dimenticato, indirizzato nella certezza del legiferare?
Ed il nuovo equilibrio segnera' un inizio diverso o il semplice retaggio di un passato irrisolto?
E che cosa succederà' quando la forza dell' amore libererà' il desiderio dell' altro ed una nuova visione del mondo?
Al termine della lettura sono molti gli interrogativi irrisolti, ma non è' confusione narrativa, è' solo abbondanza di temi, ed è' voluta.
McEwan ha affollato e accatastato un locale disadorno di una moltitudine di tracce e di storie che sta a noi scoprire, riflettere, collegare, approfondire, sviscerare.
Una risposta c'è', tra le righe, potrebbe essere un sunto o solo un' altra fonte di riflessione, ovvero: " Adam era venuto a cercarla, chiedendo quello che volevano tutti e che soltanto l' umana liberta' di pensiero e non il soprannaturale aveva da offrire'. Un senso".
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Alla ricerca dell'imprevedibile
Mi avvicino a questo McEwan con il carico e l'aspettativa di recensioni e opinioni che partono dall'entusiasmo sfrenato in su. Il rischio è grande. La delusione può essere dietro l'angolo.
Invece, niente. Il romanzo funziona. Funziona alla grande. In pratica lo ho divorato in un fine settimana. Scivolando da una pagina all'altra con la leggerezza che si deve ad una scrittura tanto affascinante quanto cristallina e a una storia semplice che semplicemente racconta l'imprevedibilità del nostro cuore e delle nostre anime.
La storia del giudice Fiona Maye e del giovane Adam Henry non è una cosa che si dimentica facilmente. Il loro incontro è una parentesi che si apre in due mondi, in due storie tanto diverse quanto accomunate da una medesima traiettoria di vita: pianificata, costretta entro margini che ci diamo nel timore di non sbandare, di non perdere il filo della matassa nel caos di questa marmellata di atomi impazziti che è l'esistenza.
McEwan racconta così la piccola guerra quotidiana che con la musica, la poesia, il cuore, il coraggio combattiamo ogni giorno per svincolarci dalle convenzioni e dalle convinzioni che ci vengono cucite addosso dalle nostre società, dai nostri "credo" religiosi, politici e famigliari.
E spesso è una battaglia persa che, comunque, vale la pena di combattere.
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Quando i sentimenti prevalgono sul cinismo
Fiona Maye, giudice dell’Alta Corte britannica, vede la sua vita composta, imbrigliata da regole, abitudinaria e disciplinata, sconvolta dall’incontro con Adam, giovane quasi maggiorenne, malato di leucemia che, in forza del suo credo religioso – è Testimone di Geova – rifiuta le trasfusioni che potrebbero salvargli la vita. Fiona, prima di emettere la sentenza, incontra Adam all’ospedale e rimane contagiata dalla voglia di vivere del ragazzo, dalla sua ingenuità nell’affrontare la inevitabile morte, dalla sua profondità, così rara in ragazzo tanto giovane. Il rigido giudice si ritrova a cantare con Adam che strimpella il violino. Naturalmente emette la sentenza a favore delle trasfusioni e Adam, senza saperlo, e forse senza volerlo, rinasce e insegue Fiona fino nel Newcastle, adorante, per stare con lei, per ringraziarla per il dono che gli ha fatto. Nel trambusto dei saluti – Fiona lo manda via – un bacio destinato alla guancia si appoggia sulle labbra. Il giudice che sa sempre come comportarsi, che sa analizzare i casi ed emettere sentenze equanimi, non sa spiegarsi l’eco che quel bacio ha scatenato in lei.
Mc Ewan riesce ad analizzare le due personalità principali con la stessa capacità con cui Fiona studia i suoi casi ed emette le sentenze, con una prosa incalzante che rivela, dietro a un suo svolgimento apparentemente formale, la forza dei sentimenti che li agitano.
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Diritto e coscienza
Spesso scegliere non è facile. Specialmente quando la scelta investe la sfera morale, coinvolge la coscienza, mette in gioco la vita degli altri. Avere ruoli e responsabilità importanti è altrettanto difficile. Non è un luogo comune affermare che il successo si paga e che a farne le spese il più delle volte sono la famiglia, gli amici, gli affetti.
Il giudice Fiona Maye, la protagonista dell’ultimo romanzo di Ian McEwan, La ballata di Adam Henry, ha sacrificato se stessa e la sua vita privata per realizzare un fine di perfezione professionale e di successo personale. Alla soglia dei sessant’anni, stimata, rispettata e ossequiata, si trova di fronte a una crisi coniugale che le riesce difficile gestire e che le impone di rimettere in discussione tutte le scelte fatte fino a quel momento. Contemporaneamente le si presenta un caso molto difficile da giudicare, al quale dovrà dedicare tutta se stessa per procedere nel massimo rispetto della deontologia professionale e della propria coscienza.
Il giovane Adam Henry, quasi maggiorenne, è gravemente ammalato di leucemia e rifiuta ogni intervento trasfusionale, come gli impone la sua religione che lo vuole, insieme ai genitori, ortodosso testimone di Geova.
La decisione del giudice sarà una sentenza di vita o di morte. Qui dunque si pone il primo quesito morale: fin dove è lecito decidere di lasciar morire un individuo per rispettare la sua fede religiosa o viceversa fin dove può spingersi l’autonomia del giudice nell’ignorare questa fede per salvare una vita.
Il discorso potrebbe riguardare ogni integralismo religioso, ogni fede che non consideri la vita come l’evento più importante, nella sua unicità, nell’esistenza dell’uomo. La paura della morte è talmente innata nell’individuo, che ogni forma di fanatismo che ne sottovaluti la drammaticità diviene innaturale. D’altra parte il progresso scientifico stesso è inteso e volto al miglioramento delle condizioni di vita e al suo prolungamento.
La decisione del giudice, dunque, valuterà l’importanza del punto di vista religioso, ma non ne sarà condizionata. Fiona Maye deciderà a favore della vita di Adam, sollevando, paradossalmente, gli stessi genitori di ogni responsabilità.
Ciò che si può scatenare nella psiche di un giovane restituito alla vita appartiene all’imponderabile. Un senso di ribellione nei confronti di un credo estremamente rigoroso, che nega la possibilità di godere di tutte le opportunità che offre la vita, può a volte scatenare uno squilibrio momentaneo o duraturo. Le certezze del giudice Maye vengono sconvolte dal giovane Adam che a lei si era rivolto in cerca di aiuto. Un appello rimasto incompreso e dunque non raccolto. Qui si palesa ancora una volta l’abilità dell’autore nel creare un gioco di metafore contenute nella ballata che Adam scrive e invia a Fiona. La drammaticità del finale del romanzo è accentuata da una sorta di crescendo musicale che accompagna i pensieri della protagonista.
Ciò su cui ci si interroga, in ultima analisi, è fino a che punto si abbia il diritto di sostituirsi agli altri, imponendo, sia pure in buona fede, il proprio punto di vista o se invece, non sia più giusto lasciare a ciascun individuo la libertà di decidere della propria vita e della propria morte. E soprattutto quali e quanti rischi si corrono nello scardinare principi basilari di ideologie, culture, religioni e tradizioni diverse senza avere alcunchè di valido da sostituire ad esse?
Il romanzo di McEwan pone questi interrogativi, senza avere la pretesa di dare una risposta, anche perché una risposta non esiste. Sta alla coscienza individuale trovare una soluzione per ogni caso, senza l’arroganza di credere che essa sia l’unica giusta in assoluto.
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