Infinite Jest
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Uno dei libri che vanno letti almeno una volta nel
Parlare di Infinite Jest senza ripetere cose già dette nei vent'anni e più di vita del romanzo è davvero difficile, inoltre parlare in poche righe di un libro con una trama non lineare e più di 1200 pagine (note comprese) risulta davvero una impresa.
Ma...cos'è Infinite Jest? Di cosa parla?
Infinite Jest è un lunghissimo romanzo (ma, non spaventatevi, scorrevole al punto giusto se lo si affronta giudiziosamente) composto da numerosi sotto-racconti, ambientati in un'America futuristica, distopica, disperata, dove le dipendenze dalla droga, dai divertimenti e altre sostanze la fa da padrona.
In questo futuro distopico vivono i principali protagonisti: la famiglia Incandenza, di cui il padre di famiglia James è stato un registra che ha girato l'Infinite Jest, un film le cui scene ipnotizzano e inchiodano alla sedia fino alla morte per fame sete e inedia, Hal, il primo personaggio che si incontra, campione del tennis ma dipendente dalle Sostanze (cosi come raccontate nel libro), Orin, donnaiolo che non bada a limitarsi nelle proprie passioni, Mario, il piccolo fratello deforme in quanto "nato fuori tempo", la Mami, la mamma, che gestisce l'ETA, ovvero l'accademia del tennis dove si sviluppa una delle trame principali.
Nei dintorni dell'ETA è presente una casa di recupero per tossicodipendenti e alcolisti, anch'essa piena zeppa di personaggi incredibili, grotteschi, affascinanti e meravigliosi, di cui leggeremo uno scioccante e complicato passato.
La forza di questo romanzo sta nello stupire continuamente il lettore con la descrizione-fiume di situazioni, equivochi, rapporti umani e di un futuro non troppo diverso dal nostro dove le persone sono alla continua ricerca di una soddisfazione e di un appagamento, dove il tennis e un hobby può essere un dipendenza, dove la famiglia può ancora giocare un ruolo e dove l'affetto delle persone può ancora essere un traino, ma dove purtroppo alcune scelte politiche folli hanno portato l'umanità in un mondo che è andato fin troppo avanti nella propria pazzia fatta di discariche grandi come intere regioni e anni che vengono venduti per la sponsorizzazione al primo offerente.
In tutto questo, l'Infinite Jest può essere la chiave di volta della vicenda, il piede di porco che un gruppo di separatisti (il Canada è stato infatto unito agli USA in una grande Nazione chiamata ONAN) può usare per sovvertire lo status quo. Ma dov'è la copia master dell'Infinite Jest?
Ma Infinite Jest è solo questo? No, è un racconto che inizia nel futuro per poi tornare indietro, è una storia che vi farà innamorare cosi tanto dei personaggi che la compongono (e sono parecchi) che alla fine della lettura non vorrete piu abbandonarli, è un finale che vi lascerà interdetti e vi spingerà a rileggerlo ancora e ancora per cercare di capire ogni volta qualche piccolo tassello in più.
Infinite Jest è il libro che va assolutamente letto almeno una volta, fatevi questo regalo senza farvi spaventare dalla sua mole.
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se amate il genere distopico lo adorerete
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Vertigine
Sei in un labirinto buio, non vedi neanche te stesso
sbatti la testa nelle curve a gomito, misuri ogni passo,
ogni tanto un profumo, ogni tanto un suono.
Poi a volte, a cercare bene, trovi una maniglia,
apri la porta titubante e vedi il paesaggio più bello che tu abbia mai visto,
altre volte una discarica a cielo aperto.
Dopo mesi perso nel buio vedi una luce, esci e sei in un cortile,
con due cani, il vicino taglia il prato, uno steccato bianco, il sole e una leggera brezza.
Sei a casa, e ti chiedi: ma dov'ero? Cos'è successo?
E vai avanti...
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Si ma con molte riserve
Archiviato, ed in modo abbastanza deludente. Era un po’ che me lo trascinavo dietro e non vi nascondo che alcune parti finali li ho semplicemente sfogliate e non lette: tipo i sogni di Don G. e alcuni suoi ricordi, elenchi di droghe e le loro denominazioni chimiche e relative formule. So che tutti voi reputate questo libro un capolavoro, per molti versi lo è. Descrive la depressione e l’indipendenza in un modo eccezionale, puro, viste attraverso i proprio occhi; parla della dipendenza dell’intrattenimento di oggi, tema sempre più preoccupante; suicidio; ci sono pagine davvero belle sullo sport, in questo caso il tennis, che viene descritto spesso in modo molto poetico evidenziando quindi più lo sport-arte, non nascondendo però i duri sacrifici che ci sono dietro. Per non parlare dello stile particolare di Wallace, che arriva persino ad usare disegni geometrici, che inizialmente ti prende perché bello ed intelligente, spontaneo, innovativo per certi versi tipo “24/7/365” anziché “continuamente” e tante altri modi di dire scritti in maniera originale.
Però, per me c’è un grosso PERO’: se una persona mi dovesse chiedere se il libro mi è piaciuto, nel suo complesso, nella sua interezza, non ho dubbi: no! E assolutamente non lo rileggerei. Perché è bello sì, ci sono pagine e pagine incantevoli, pagine vere, crudelmente vere e tristi, con una narrazione che scorre velocemente come quelle immagini presenti sulle cartucce, che ti prende e ti trascina come un’onda potente PERO’, ci sono anche altrettanto tante pagine per me assurde, piene di dettagli insignificanti, di note a volte altrettanto inutili, pagine e pagine in cui gli stessi concetti vengono continuamente ripetuti, soprattutto per quanto riguarda la dipendenza, come un pensiero compulsivo scritto, magari era voluta come cosa per dare maggior enfasi all’idea descritta ma dopo un po’, io lettore mi stanco tremendamente a stare dietro a tutto ciò e non credo di essere disposto a sentire tutte queste paranoie solo per godermi quei frammenti davvero interessanti, farò a meno! Mi comprerò quella edizione Einaudi che contiene una sorta di “best-of” dell’intera opera dell’autore. E’ un libro che mi ha fisicamente stancato, e credo fortemente che sarebbero bastate metà di quelle 12xy pagine per trasmettere la stessa idea, magari in un modo più forte e concreto al lettore, senza allungarsi così tanto e “senza profitto”. Credo che il suo ultimo libro incompiuto, “Il re pallido” sarebbe stata un’opera colossale se fosse stata finita, in quantità magari avrebbe persino superata la Recherche, ma in quanto al contenuto, credo che sarebbe stata davvero ossessiva, oserei dire tossica per un lettore.
So che in tantissimi non sarete d’accordo con me, ci sta. Ma ci sta anche che io non sia d’accordo con voi. Con Wallace invece, continuerò ad avere un rapporto amore-odio, a rispettarlo per la sua intelligenza e grandezza che non nego, ma anche a rimproverarli tante altre cose. Sicuramente, tra alti e bassi, la nostra conoscenza proseguirà.
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UN ROMANZO PREPOTENTE
Chiamatelo come più vi aggrada: romanzo-monumentale, romanzo-mondo, colossal editoriale, opera torrenziale, etc. frutto della penna di un autore che è diventato un’icona, come spesso succede ai grandi artisti che si suicidano e lasciano quella dolente nostalgia subito dopo il clamore. Un libro che ha segnato un’epoca, tornato di gran voga qualche anno fa per festeggiarne il ventennio dalla prima uscita. Per me Infinite Jest è, e lo ricorderò tale, ne sono sicura, un romanzo prepotente, ma proprio prepotente sotto ogni aspetto.
Elenco le difficoltà che ho riscontrato, ma non lasciatevi scoraggiare, darò spazio anche ai motivi per cui Infinite Jest merita di essere letto.
Vissuto (è il caso di dirlo, ci ho impiegato mesi) in formato cartaceo.
Prepotente la mole: più di 1200 pagine (note ed errata corrige comprese) quasi proibitiva da portare dietro negli spostamenti. Font delle note lillipuziano, da talpizzare la vista. Prepotente la trama ricca, ricchissima e intricata con tanti personaggi disseminati tra le pagine, che, una volta nominati per nome e cognome, spariscono per poi essere indicati con sigle o anche con soprannomi a distanza di trecento pagine . Struttura prepotente, perché per me non è stato minimamente pensabile interrompere la lettura per più giorni, senza dover rileggere le pagine precedenti pena perdere la bussola della storia. Il libro impone concentrazione, se siete distratti, dovete tornare indietro. All’inizio sentirete la necessità di chiedervi: ma dove vuole portarmi questo libro? E avrete un gran da fare a chiedervelo, la risposta non arriva subito, bisogna superare quasi la metà del libro.
Ah, ma io non rivelo niente.
Non voglio parlare della trama, non riuscirei ad essere sintetica e poi la trovate ovunque. Voglio scrivere pochissimi tratti, limitandomi ad accennare le tematiche più interessanti.
L’amore per il tennis a livello agonistico, la competizione e l’ottimizzazione delle energie, la rigida disciplina degli orari, della dieta e degli allenamenti, la droga e la dipendenza, il disagio giovanile, le violenze domestiche, la solitudine, la società consumistica delle immagini e ... un pizzico di spionaggio.
Si cerca disperatamente la copia di una cartuccia filmica di intrattenimento creata dall’Auteur James O. Incandenza capace di imprigionare chi la guarda in una fissità vegetale: tale cartuccia potrebbe essere usata come arma di distruzione di massa.
Metafora dello strapotere dei media, capaci di farci il lavaggio del cervello e annichilire le nostre coscienze e la nostra volontà, generando dipendenza come le droghe.
Lo stile è un mondo di termini ipertecnici dalla correzione maniacale riferiti alla tecnologia, allo sport, alle droghe, al disagio psico-emozionale. Tantissime occasioni per riflettere e commuovervi, ma anche per ridere per le situazioni grottesche e surreali, per le parole usate nel momento giusto.
David Forster Wallace ha avuto genialità e creatività, amici stretti, quasi gemelli direi, della follia. Incredibile come sia riuscito a inventare tecnologie che sono apparse dopo la pubblicazione del suo libro, o che ancora devono essere immesse sul mercato; pazzesca la struttura di un gioco da campo con palline da tennis malmesse, chiamato Eschaton, che simula addirittura una guerra multinazionale con armi nucleari, con tanto di colori e divise ad hoc delle squadre. Originale la trovata degli anni sponsorizzati, ogni anno un marchio diverso. Geniale la guerra tra gli estremisti sulla sedia a rotelle (Afr) che vogliono separarsi dagli USA diventati la grande Concavità, una discarica di scorie radioattive annesse al Quebec.
Per me le pagine più belle sono quelle dedicate alla riflessione sulla libertà, sulla manipolazione delle coscienze “È sulle teste che stanno lavorando. Giorno dopo giorno, anno dopo anno. Un intero programma. (...) Ci danno sempre qualcosa da odiare, odiare davvero tutti insieme (...)”. Profetiche le parole dedicate alle chiamate, alle videochiamate che, con la possibilità di usare maschere per rendersi esteticamente più gradevoli, anticipano i moderni falsi e/o ritoccati profili dei social network e la paura di mostrarsi nella vita reale senza trucchi.
Spiazzante la profondità e la conoscenza del grande male della depressione, o la Cosa, detta anche anedonia, o melanconia semplice “è una specie di novocaina emotiva, questa forma di depressione, e anche se non è dolorosa la sua vacuità è sconcertante e...ecco, deprimente”. Chi ne è affetto considera l’amore, la gioia di vivere, la felicità dei termini astratti, senza riscontri reali.
Un libro che pretende motivazione, concentrazione, tempo, ma sa ricambiare benissimo. Non do il massimo della valutazione, perché mi ha procurato anche momenti di stanchezza, ho trovato passaggi inutilmente lunghi ed evitabili. Interessante il fare delle note non un’appendice, ma un micro testo integrante, necessario per capire la storia e lo stile dell’autore, ma alcune erano superflue e il font microscopico.
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Rimando alle altre recensioni dei Qamici
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Espressionismo astratto
Avete presente un romanzo brillante o d’azione con una trama ben articolata, personaggi descritti in maniera dettagliata e ambientazioni allo stesso tempo misteriose e affascinanti? Oppure un bel thriller con scenari oscuri e pieno di intrighi il cui finale è al di là della nostra prima impressione? Ecco “Infinite jest” non appartiene minimamente a questi due generi.
Immaginate ora di trovarvi davanti a un labirinto; pareti alte di gomma grigio zermat, terreno scosceso, cielo visibile a tratti con colori cangianti dal rosso cupo al piombo, una sola entrata apparente che si dirama in altre innumerevoli sentieri angusti senza percezione di via d’uscita; ecco, questo può dare una certa idea nell’approccio e nella successiva lettura del mastodontico, massimalista e surreale “Infinite jest”.
Nell’affrontare la lettura la prima impressione è lo stile sui generis, l’impossibilità di avere una cronologia, il susseguirsi di storie e accadimenti che appaiono non correlati tra loro come in un coacervo in cui tutto è mescolato in maniera casuale con un lessico fuori dalle righe, una non narrazione che sfugge ai normali stereotipi, dove si deve avere un po’ di coraggio intellettuale e una forte fiducia nell’autore affinché si continui la lettura. Percorrendo i vari sentieri del labirinto, a volte si rimane senza fiato perché è come se si volesse trovare un altro ramo di sentiero che possa in qualche modo ricollegarsi a tutta la struttura; poi con determinazione si va avanti, niente panico, e si riesce a intravvedere un barlume che conduce a un significato meramente soggettivo di ciò che Wallace vuole che il lettore possa recepire.
Le argomentazioni, in un clima surreale e parossistico, sono molteplici: dai vari tipi di dipendenza dell’essere umano da tutto ciò che poi diventa routine, dall’abuso di sostanze psicoattive alla dipendenza dall’alcool, dall’abuso sessuale in varie accezioni alla competizione estrema. Un timballo ben amalgamato di situazioni che sconfinano in mondi paralleli dove il modo di pensare e le attività sono oltre l’orizzonte della nostra immaginazione.
Un romanzo che si insinua in maniera subdola nel nostro Es rendendo la piacevolezza inferiore alla curiosità innovativa e allo stile che sconvolge. D’altro canto la trama, qualora possibile chiamarla così e della quale non accenno minimamente poiché facilmente reperibile sul web, nel suo complesso ha una direzione ma non propone un finale certo, sicuro, senza fronzoli; lascia il lettore con forti dubbi su cosa possa aver provocato certe situazioni irreversibili.
Come già detto, sia i molteplici personaggi protagonisti sia le variegate situazioni temporali si possono considerare come una sfida alla nostra pazienza al fine di ottenere una soggettiva risultanza.
Ho voluto con questa mia opinione descrivere le sensazioni interiori che il romanzo ha prodotto in me e per le quali mi sento soddisfatto e contento di aver avuto pazienza e determinazione che mi hanno consentito di non abbandonarlo.
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Infinite Jest
Ci sono mementi nella vita in cui la confusione si annuncia con delle turbolenze fatte di sbalzi d'umore, fitte allo stomaco che si trasformano in lacrime, sensazioni che portano a credere che una catstrofe imminente sia dietro l'angolo, ma in realtà sono solo intuizioni di presente mal celato che si nsconde agli occhi, ma non al cervello e si percepisce, si assapora e si ha paura di quello che già sappiamo, presto o tardi accadrà.
In un momento come questo ho deciso di tuffarmi in una lettura che avevo sempre rimandato, perché, pensavo, troppo difficile per me.
Mi ci sono immersa e come per magia da quel liquido sono rinata, mi ha protetta per almeno un paio di mesi, risucchiandomi, mio malgrado in una realtà distopica, in cui le sensazioni si sono fatte liquide; ho sentito fisicamente le emozioni descritte, gli stati d'animo, ho capito le cause che hanno portato a certe conseguenze.
Infinite Jest è molto più di un romanzo, è una esperienza di vita, è la prima vera esperienza con la realtà vituale che abbia mai provato.
Mentre lo leggevo non ero sul mio letto, nella mia casa ero là in quelle strade, in quei luoghi e per la prima volta nella mia vita, davvero mi sono drogata e ho sentito la crisi d'astinenza, ma anche la disperazione di giorni uno uguale all'altro, la dipendenza che va a braccetto della disperazione, la sostanza che si fa farmaco, per curare un bisogno disperato di felicità.
L'ho sentito attraverso i personaggi.
Ci sono domande e risposte che pongono altre domande e così per mille e passa pagine, mai una parola di troppo, lo stile perfetto, che non ho trovato in "Interviste a uomini schifosi" si fa qui mezzo per dividere in due il mondo quello reale, che pagina dopo pagina si smaterializza e quello raccontato che diventa il Mondo e ti ingloba, tanto da farti sentire impotente di fronte a tutti: tutta quella miriade di personaggi le cui vite si intreciano, si sfiorano, si distruggono, ma ti arricchiscono.
Sono tante pagine, ma sono poche...
Inifinte Jest, l'intrattenimento ricercato nel racconto, film capace di essere la droga definitiva è in realtà anche il titolo del libro e davvero l'azzurro della quarta di copertina lascia un infinito vuoto per qualcosa che esiste, ma che non potrà essere replicato e che personalmente ho trovato solo nell' Ulisse di Joyce.
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UN LIBRO-MONDO DI SMISURATA BELLEZZA
Voglio iniziare questa recensione con un paradosso: nonostante le sue millequattrocento pagine e le sue dimensioni enciclopediche, "Infinite jest" è un romanzo quasi troppo corto. Troppo corto, ovviamente, considerate le sue smisurate e titaniche ambizioni, quelle cioè di proporsi come opera totale, ritratto a 360° di un’epoca, vero e proprio libro-mondo, e come tale pertanto non esauribile, senza limiti, infinito appunto. Le centinaia di personaggi inventati da Wallace e le loro traiettorie esistenziali si intrecciano, si ramificano, moltiplicano i piani temporali del racconto, eppure si vorrebbe, proprio come in una tele-novela senza fine, continuare a seguirli anche al di là dell’orizzonte temporale loro concesso dall’autore, tanta è l’originalità e la forza psicologica che sprigionano, magari nelle poche righe a loro riservate; ma tirare le fila del titanico intreccio è impossibile, e la storia è destinata a rimanere necessariamente aperta, non conclusa. Attraverso questa allucinante “commedia umana”, a "Infinite jest" è concesso soltanto di scandagliare gli oscuri meandri di alcune micro-società (l’accademia di tennis, la casa di recupero dalle tossicodipendenze, l’organizzazione terroristica degli Assassins des Fauteuils Rollents), immaginati come sineddoche dell’intera società americana: da qui deriva l’impressione della sua prodigiosa onnicomprensività, che lo rende un oggetto letterario assai difficile da affrontare in poche parole.
Cominciamo innanzitutto dal coté (pseudo) fantascientifico di "Infinite jest". L’epoca in cui si svolgono gli avvenimenti descritti nel romanzo è spostata solo di pochi anni in avanti rispetto alla data in cui esso è stato scritto: di qui l’effetto angosciante che provoca nel lettore, dal momento che il mondo di Wallace risulta essere una verosimile proiezione dell’oggi (assai più e meglio, ad esempio, del 1984 di Orwell). Wallace non stravolge (come 1984) il mondo come siamo abituati a conoscerlo, però apporta piccole, ingegnose e credibili modifiche alla geopolitica mondiale, così come alle abitudini e agli stili di vita delle persone: l’experialismo e la Grande Concavità, la sponsorizzazione degli anni del calendario, la fine delle major televisive e l’avvento delle cartucce Interlace, non sono “innovazioni” futuristiche gettate lì dall’autore senza spiegazioni, ma sono il logico punto di arrivo di dinamiche storiche, scientifiche e sociali perfettamente credibili, che l’autore si preoccupa di descrivere con precisione e minuziosità, senza peraltro mai cadere in pedanterie didascaliche (vedi ad esempio le vicende politiche che hanno portato alla nascita dell’O.N.A.N., l’Organization od North American Nations, parodiate da un film di Mario Incandenza nel corso della Festa dell’Interdipendenza). L’originalità di Wallace è strabiliante: da una parte lo scrittore americano correda "Infinite jest" di un ricchissimo apparato di note in calce (una sorta di libro nel libro), che cita con piglio enciclopedico e pseudo-scientifico prodotti commerciali, film, personaggi e avvenimenti storici, come se fossero realmente esistiti, aumentando così il tasso di credibilità del romanzo; dall’altra crea una serie impressionate di neologismi ed altre “invenzioni”, da Eschaton (un complicatissimo gioco di ruolo che riproduce un verosimile conflitto nucleare) e ai teleputer (una sorta di proiezione dei nostri computer e televisori) fino all’experialismo (ossia quel processo storico in cui una grande potenza, anziché annettere territori, cede ad altri stati le sue aree ecologicamente più problematiche), al tempo sponsorizzato (il sistema in base al quale lo stato cede a un’industria dietro lauto compenso il diritto di dare il suo nome a un anno del calendario), all’energia anulare, e a tante altre cose ancora.
Wallace è un demiurgo straordinariamente bravo nel costruire la cornice del suo romanzo, ma è altrettanto abile nel dipingere il quadro che quella cornice è destinata a contenere. "Infinite jest" è, come detto, un romanzo dai molteplici personaggi: giocatori di tennis e di football professionistico, tossicodipendenti, travestiti, terroristi, registi cinematografici, alcolisti anonimi, donne bellissime misteriosamente velate, e tanti altri ancora, che occupano un po’ tutte le fasce d’età e i gradini della scala sociale. Eppure, nonostante questa variegata e sterminata umanità, "Infinite jest" parla ossessivamente, compulsivamente, di una cosa sola: la dipendenza. Dipendenza dalla droga, in tutte le sue tipologie e declinazioni (eroina, marijuana, cocaina, droghe sintetiche autentiche o inventate per l’occasione, come il potentissimo DMZ che fa regredire Hal Incandenza ad uno stato sub-umano), dipendenza dall’intrattenimento (dagli schermi permanentemente accesi in tutte le abitazioni fino ad arrivare a quello che dà il titolo al romanzo, un misterioso film la cui visione provoca una letale catatonia nei suoi ignari spettatori e che pertanto diviene l’oggetto di una spasmodica ricerca da parte di terroristi canadesi senza scrupoli), dipendenza dal consumismo (la tragicomica evoluzione della videofonia, gli anni sponsorizzati, ecc.). In fondo a tutto c’è l’orrore, un orrore totale e senza via di scampo, che sembra prefigurare la condizione esistenziale alienata che ha portato Wallace qualche anno dopo al suicidio. Lo scrittore americano dà sempre infatti l’impressione di sapere molto bene quello di cui sta parlando, come se le crisi di astinenza o le depressioni dei suoi personaggi fossero davvero state provate sulla propria pelle. Tutto è troppo terribile e insopportabile, eppure il tono del romanzo, lungi dall’essere tragico, è al contrario percorso da una irresistibile vena umoristica (il modo in cui il teoretico gioco di Eschaton viene condotto verso un apocalittico epilogo per nulla astratto), se non in qualche caso addirittura grottescamente comica (gli incidenti sul lavoro di Doony Glynn), la quale è padroneggiata con somma disinvoltura.
Il vero rischio che correva "Infinite jest" era la dispersione, l’approssimazione: troppi personaggi, troppi andirivieni temporali, troppi punti di vista, troppo di tutto. Eppure, miracolosamente, la costruzione non si incrina, non dà segni di cedimento, ma regge a meraviglia, tenuta insieme da uno stile che spazia da un maniacale enciclopedismo di stampo greenawayano (ad esempio, l’interminabile filmografia di James O. Incandenza riportata nelle note in appendice) a una sfrenata fantasia in grado di creare scene assolutamente fantastiche e surreali (la visita del fantasma di Incandenza senior al capezzale di Don Gately, gli oggetti che all’E.T.A. vengono ritrovati appesi alle pareti o ai soffitti), con in più un’incredibile capacità di coinvolgere emotivamente il lettore. Wallace racconta infatti il vuoto esistenziale della nostra epoca, rispetto al quale la droga, i consumi e lo sport agonistico sembrano rappresentare altrettanti modi per cercare di superarlo e produrre una qualche reazione (sia essa competitiva, ricreativa, o perfino autodistruttiva). Anedonia, amoralità, assenza di sentimenti (il personaggio più “morale” del romanzo è il deforme Mario Incandenza, una sorta di “idiota” con un grande senso di compassione cristiana) e spersonalizzazione dei rapporti umani (ad esempio, Orin parla delle donne che lui seduce quasi compulsivamente chiamandole “soggetti”, i passanti si fanno sempre i fatti propri e dribblano qualsiasi fastidio con maestria “perché ci sono abituati e fanno molta pratica”) creano un mondo agghiacciante, però si respira sempre (a differenza – che so – di un romanzo di Bret Easton Ellis) una straordinaria empatia tra autore e lettore. Hal e Gately, Pemulis e Madame Psychosis, Povero Tony e Marate, e i tanti altri personaggi di "Infinite jest" ce li porteremo dentro di noi a lungo, come gli eroi di una Divina Commedia infima e degradata, eppure terribilmente, irresistibilmente affascinante.
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Uno scrittore brillantissimo e super onesto, ma...
Cerco di essere breve, anche se questo libro, e le impressioni da esso provocate, non si possono riassumere con efficacia in alcun modo. In primis, preciso che l'ho letto in originale, e che stento a credere che in traduzione si possa mantenere lo stesso livello stilistico. Naturalmente la lettura in originale e' molto difficile.
Il libro e' scritto in modo eccezionalmente brillante, come tutti i prodotti di Wallace. Il libro tenta a mio parere di affrontare un tema che Wallace ritiene universale e comunque rappresentativo del suo paese natale nel suo proprio tempo, e direi che ci riesce benissimo. Chi e' stato negli USA per un periodo prolungato, a scopo di studio o di lavoro, non per solo turismo, non fatichera' a riconoscere tante delle paranoie descritte nel libro. In questo Wallace e' bravo come (se non piu'), per esempio, Bukowski. Il libro sembra "sincero", "onesto", senza trucchi ne' tentativi di nascondere il pensiero dell'autore, in modo quasi imbarazzante: ma questa mi sembra una caratteristica (positivissima) di tutto quanto Wallace ha scritto. Il libro e' fortemente evocativo: lo inizi, e ci rimani dentro, in un mondo diverso dal tuo - in genere, almeno - senza poterne uscire, vedendotelo sempre tutto intorno, fino alla fine (o alla mancanza di essa).
A fronte di questi pregi, non da poco, c'e' pero' (a) la completa mancanza di una trama svolta dal principio alla fine, che, dopo quasi 1000 pagine, puo' lasciare qualche lettore, come me, un tantino frustrato; (b) la presenza di decine di personaggi in apparenza senza relazioni fra loro, e che solo ben avanti nella lettura diventano interdipendenti, il che rende la lettura difficile; (c) la tendenza - anzi la fredda determinazione – a saltare continuamente da luogo a luogo e da tempo a tempo, che aggrava la difficolta' di lettura (almeno per me); (d) la mole inquietante, e di cui fatico a capire la ragione, visto che gli stessi temi potevano probabilmente essere affrontati con uguale profondita' in meta' spazio, secondo me; (e) il ricorso a 380 note, per oltre 100 pagine, che fanno parte integrante del testo, in modo che se si decide di non leggerle, o di leggerle solo alla fine, si perdono vari pezzi del puzzle (scusate); (f) la tendenza a iniziare capitoli e paragrafi lasciando del tutto nel vago chi stia parlando, e di chi o di cosa, delle decine in ballo, si stia parlando. Insomma: e' scritto "difficile", e, data l'abilita' di Wallace, non se ne capisce il perche'. Avesse voluto, sono certo che Wallace sarebbe stato capacissimo di parlare delle stesse cose, con la stessa profondita' ed evocativita', in modo molto piu' accessibile.
Infine, l'aspetto che meno mi soddisfa, di questo libro, e' l'apparente distacco emotivo dell'autore dai suoi contenuti, il che quasi certamente e' costruito, visto che in realta' Wallace, nei temi che affronta, ci e' annegato. Sembra un esercizio di stile, invece che un tentativo di comunicare al lettore qualche cosa di molto importante per l'autore; e questo per me e' un difetto grave. E' un libro spesso troppo "freddo", insomma, almeno in apparenza. Perche'?
Alla fine io sono comunque stato felice di aver letto questo libro, per due volte in realta', ma non entusiasmato. Ero rimasto entusiasmato invece dai saggi di Wallace, e particolarmente da quelli sul tennis. Io normalmente non leggo volentieri saggistica - preferisco i romanzi -, ma Wallace e' cosi' lucido, cosi' sincero, e cosi' bravo a scrivere, che quasi tutti i suoi saggi mi hanno proprio entusiasmato. La narrativa, invece, mi e' sempre parsa meno efficace, e sempre per le stesse ragioni: freddezza, eccesso di formalismo, complicazione e lunghezza non indispensabili.
Tuttavia Wallace scrive cosi' bene che si riesce a superare quasi ogni difficolta', in tutto cio' che ha prodotto. Per questo consiglio caldamente la lettura di questo volumone: note comprese!
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Una grande Commedia Umana dei nostri tempi
Quando penso a David Foster Wallace, e ai suoi libri, mi viene in mente un grande genio della musica: Keith Jarrett (che tra l'altro Wallace menziona nel primo racconto de La Ragazza dai Capelli Strani). Così come il grande genio delle sette note non può essere considerato solo un musicista o un semplice pianista, né tanto meno essere inquadrato in un unico genere musicale - in quanto la sua opere è un qualcosa che trascende le note, un qualcosa che ti eleva (e ti estranea) e ti porta un una dimensione "altra", fino a straniarti tramite i mille colori, rivoli e generi delle sue note.
Allo stesso modo Wallace, a mio avviso, non può essere considerato solo un romanziere o uno scrittore o un saggista, in quanto la sua opera letteraria è un qualcosa che, in primis, tocca vari aspetti, usando vari linguaggi (ora Pop, ora cosiddetti "accademici" o "alti") della nostra società, permettendo riflessioni filosofiche, sociologiche, psicologiche e anche di satira. Insomma, così come Jarrett, ritengo che Wallace sia stato un grande pensatore e filosofo del nostro tempo.
E così come Jarrett, attraverso la sua musica, esplora, tocca e reinventa(a modo suo) i vari generi musicali, passando dalla Classica, al Blues, al Country, sino ad arrivare a un certo tipo di Pop Music contemporanea, il tutto però – così come dice il critico musicale Franco Fayenz – attualizzandolo in un presente che non c’è, in un presente del tutto personale dell’artista; allo stesso modo gli scritti di Wallace sono un caleidoscopio di generi letterari e di vari linguaggi e stili narrativi – passando da una scrittura ora ironica, ora classica, ora moderna, ora sperimentale.
Per stare nell’ambito letterario, se pensiamo ai grandi scrittori emersi negli ultimi venti-venticinque anni, i nomi di punta, tra coloro che si inseriscono nel sorco di quel postmodernismo segnato da autori come Pynchon, DeLillo e Roth, le penne più rappresentative e talentuose sono quelle di tre grandi scrittori americani: Dave Eggers, Jonathan Franzen e David Foster Wallace. Se Eggers può essere considerato il grande innovatore, per quanto riguarda la narrativa delle ultime due decadi, e Franzen il grande romanziere nel senso classico del termine (la definizione di Tolstoj moderno, a mio avviso è del tutto calzante); Wallace si inserisce, a volte sì e volte no, in entrambi i filoni: sia in quello che va verso una tradizione classica, sia nel realismo isterico, che è una delle grandi chiavi della letteratura postmoderna. Ma gli scritti che Wallace ci ha lasciato in eredità sono un qualcosa che si inseriscono sì nel postmoderno, ma sono essenzialmente un qualcosa che trascende e, nello stesso tempo mischia e sintetizza, una visione sia classica che postmoderna.
Ecco, il monumentale Infinite Jest è la summa di tutto ciò che è stato David Foster Wallace: un narratore, un innovatore/restauratore, un accademico/anti-accademico, uno scrittore che con la sua visione sarcastica ma mai cattiva del mondo è stato in grado, nelle sue pagine, di raccontare le mille sfaccettature del genere umano...una vera e propria Grande Commedia Umana dei Nostri Giorni.
Scrivere una recensione di Infinite Jest è cosa che potrebbe sembrare titanica e complicata, in quanto il libro è assente di una vera e propria trama. Il volume di 1179 pagine, con ulteriori 100 pagine di note (vero marchio di fabbrica di Wallace) ha come tema la dipendenza sotto le sue varie forme e sfaccettature (dalla droga a l’alcool, dalla tv allo bellezza, dallo sport al cibo); con l’azione che si svolge in un futuro prossimo (rispetto a quando fu scritto il libro nel 1996) che è molto simile al nostro presente
La dipendenza, sotto tutte le sue forme, diviene un palliativo, nonché un’esemplificazione di “antidoto” contro l'ineluttabile solitudine e sofferenza dell’individuo secolarizzato. Quindi, abbiamo giovani promesse di tennis, i quali vivono la competizione (che qui si fa anche metafora della competizione sfrenata e senza scrupoli e regole della società contemporanea) come una droga autoindotta da genitori che vedono nei loro figli un antidoto contro i propri fallimenti e le proprie angosce; giovani promesse che, presi da una competitività sfrenata e malata, e da un qualcosa che gli viene imposto e non vissuto con gioia e divertimento, cadono nella spirale della dipendenza di droga e alcool visti come unica possibilità – così come succede anche per molti dei loro genitori – di stemperare solitudine e dolore. Ma la dipendenza è anche la tv, guardata in modo compulsivo da tossici, i quali vivono la propria tossicodipendenza come dipendenza nella dipendenza.
Così come la pubblicità, la quale arriva a pervadere a tal punto la società che gli anni verranno non più chiamati numericamente, ma con i nomi di marchi pubblicitari (Anno del Pannolone per Adulti Depend, solo per citarne uno). Ma la solitudine a la sofferenza vengono anche narrate tramite chi cerca di mollare le droghe (le Sostanze); allora assistiamo ai vari travagli e rimpianti del povero Don Gately, il quale rimpiange una probabile carriera nel football professionistico in nome del suo primo e vero grande amore, la Sostanza. In tutto questo scenario ci sono terroristi indipendentisti spietati su delle sedia a rotelle, ex comici che diventano presidente dell’Onan (nato dalla unificazione di Canada con Stati Uniti e Messico), persone dall’aspetto mostruoso (che poi tanto mostruosi in realtà non sono, ma che forse rappresentano una delle poche possibilità di umanità e, quindi di salvezza). Fin che non compare una misteriosa cartuccia di un film che si pensava perduto, Infinite Jst, il quale è il non plus ultra di tutte le dipendenza per chiunque lo veda, tanto da ridurre il potenziale spettatore in uno stato catatonico che alla fine lo porta alla morte. Quindi il lettore si trova catapultato in una lettura che è un vero e proprio caleidoscopio di personaggi, stili e digressioni (realismo isterico).
Ma la il libro di Wallace vuole dirci che la nostra natura, la nostra società, la nostra natura è qualcosa di irrimediabilmente perso nella solitudine e nel dolore, e che siamo costretti ad oscillare, come il pendolo di Schopenhauer, tra il dolore e una distrazione da tale dolore tramite la dipendenza? In realtà no, lo scrittore americano ci lascia con una nascosta e velata (velata come una delle protagoniste del libro) possibilità di “salvezza” interiore e sociale, a patto che si accettino le nostre , e quelle degli altri, debolezze e deformità (esteriori e interiori), che si accetti la sconfitta e che non la si viva come tale. Il compianto genio di Wallace crea un surreale iperuranio sociale, il quale – nella suo essere surreale – diviene il manifesto di ciò che la nostra epoca vive, e in modo sarcastico e ironico ci vuole mettere in guardia e indicarci una possibile via di fuga e/o di salvezza.
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Quel poco che ho da dire su Infinite Jest.
Scrivere una breve recensione su Infinite Jest è molto complicato, soprattutto data la vastità di informazioni ricavabili in quelle 1179 pagine più 100 di sole note. Però, nulla mi vieta di stare fermo e smettere di pigiare, con le dita, la tastiera della mia postazione PC.
Parto dall’idea, oramai consolidata nella mentalità letteraria, che Infinite Jest è il capolavoro che ha consacrato David Foster Wallace in quello scenario complesso che è la letteratura postmoderna. Infinite Jest è un mix di personaggi, vicende e lessici, (i quali il più delle volte propriamente wallaciani), che si mescolano in un vortice di idee che fanno leva sulla complessa realtà che David Foster Wallace crea in quelle numerose pagine. Il tutto va a confluire e concretizzarsi con la trama, molto articolata per un buon numero di 300 pagine, che, in seguito, si scoglie fino ad arrivare al nocciolo della questione. David Foster Wallace cerca di comunicare un tema fondamentale, nonché, a mio avviso, elemento essenziale per comprendere il libro: la Dipendenza. Dipendenza da droghe, alcool, successo, ma soprattutto dalla TV. Attraverso le parole e le vicende, a tratte bizzarre, dei singoli protagonisti e personaggi, il lettore viene catturato in un mondo fuori dal comune (per esempio, primo elemento che balza all’occhio è l’anno sponsorizzato), da chiedersi costantemente “lo scrittore dove vuole arrivare?”, e quando lo si fa proprio, quando finalmente si capisce la meccanica della trama, si viene catapultati in un mondo da cui uscirne non è un’impresa facile. Un po’ perché la curiosità diventa padrona nel lettore e un po’ perché staccare gli occhi da quelle bellissime pagine è difficile. È come se lo stesso libro diventasse uno Scherzo Infinito (traduzione consolidata nell’ottica italiana) e lo stesso Infinite Jest non diviene più un mero titolo, ma il libro stesso. La creazione di quel genio letterario diviene indipendente nel corso della lettura, e il lettore Dipendente dal libro stesso.
David Foster Wallace vuole arrivare a qualsiasi tipologia di lettore. Vuole comunicare, con un linguaggio che rimbalza dal semplice al complicato e dal comico al triste, la sua visione della realtà. A mio avviso, molte di queste meritano un’attenzione e analisi particolare, ma per motivi logistici non riporto. Anzi, invito al lettore, che sta leggendo questa recensione, di sottolineare, cerchiare, lavorare su quel libro, e magari, a conclusione dell’impresa, ritornare a leggere quei passi, perché David Foster Wallace ha la capacità di entrare (a volte in maniera viscerale) nelle coscienze di ogni individuo e farci sentire colpevoli di un qualcosa che magari non abbiamo fatto.
Ma, allo stesso tempo, David Foster Wallace (e Infinite Jest) ci sa sentire meno soli, come se la sua enorme presenza, che ahimè manca nello scenario letterario da ben otto anni, stesse al nostro fianco, pronto a sostenerci e a donarci, complessivamente, 1281 pagine di lezione di vita.
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Lo scherzo infinito lo ha fatto lui a noi
Viste le sensazioni contrastanti lasciate dalla fine libro, forse il modo migliore per descriverlo è anche il più asettico. Ecco a voi l'elenco di ciò che penso ora, una volta girata pagina numero1434. L'ultima
- La sensazione vincitrice è: "sorpresa mista a rabbia". Tradotto: come passare settimane/mesi con i vari protagonisti invischiati in intrecci di storie complicatissimi e nel subconscio pensare per tutto il tempo "resisti, tanto alla fine sarà tutto chiaro", e poi finisce il libro e di chiaro non c'è niente
- Non si può leggere il libro con un grado di attenzione/impegno normale. Bisogna prestare MOLTA attenzione. Anche alle note. Dettagli importanti per capire la trama sono lasciati come sassolini di Pollicino qua e là, persi nel mezzo di descrizioni quasi surreali lunghissime, in singole parole quasi casuali di testo. Addirittura in note a fondo libro. E non sono messi in rilievo
- Andando contro il punto precedente e prestando un grado di attenzione/impegno medio (e quindi non sufficiente) molte parti risulteranno oscure, popolate di personaggi che non si sa chi siano né cosa facciano o vogliano e avvenimenti strampalati, come se il libro fosse stato rilegato mettendo per errore pagine di altri libri nel mezzo
- Pur ostinandosi ad andare avanti così (con il solito grado di attenzione/impegno medio non sufficiente), trattando il tomo come fosse un normale libro da sotto l'ombrellone, non mancheranno illuminazioni improvvise di incastri di storia che finalmente prendono forma propria, una loro organicità. Questo avverrà solo per i macro intrecci di storia. I più evidenti
- Con i macro intrecci non si arriva a capire come finisce il libro, né cosa sia realmente successo in buona parte di esso
- Solo i micro intrecci e uno studio a tavolino di questi, abbinati ad una buona immaginazione possono fornire un epilogo alla storia nel suo insieme
- Pur accontentandosi dei soli macro intrecci (e quindi di non capirci una fava di grossa parte di libro) si arriva dentro parti che racchiudono pensieri incredibilmente profondi. Queste parti sono accessibili pur non capendo sostanzialmente il libro nel suo insieme
- L'immagine con cui descriverei il libro per un lettore di attenzione/impegno medio (e quindi, come già detto, non sufficiente. Devo scriverlo ancora?) è di una scalata a mani nude su per un monte, dove la salita è fatta di pareti ripide e poi altopiani con sbocchi su paesaggi fantastici e nubi a pecorelle e poi ancora piccole discese verso laghi semi calmi ma bui di montagna. Seguiti poi da crepacci, ghiacciai, slavine e cinghiali che ti corrono addosso incazzati perdendo bava e sempre non una, ma varie vette più o meno visibili all'orizzonte. Alla fine dell'ultima pagina si scopre di non essere però arrivati in cima a nessuna di queste, ma di essere finiti in una nube d'alta quota, senza più traccia di quello che si vedeva durante la scalata. Il sentiero però è ora finito, non si esce più da qui e pace a voi tutti
- Solo chi studia il libro può forse avere accesso a uno scenario differente che non sia quello della nube d'alta quota
- Io sono finito nella nube
- Anche perdendosi nella nube seguendo il percorso del lettore con attenzione/impegno medio (non ho più voglia di scrivere il dentro parentesi, fate da soli), finito poi il libro si può cercare la spiegazione di chi lo ha studiato. Questo grazie a internet
- Questo spiegazione non mi ha granché soddisfatto. Un po' sì però
- Il libro non solo è immenso, ma probabilmente andrebbe riletto. Sono praticamente sicuro che nel farlo si avrebbe davanti un libro completamente nuovo
- Non mi sono affezionato a nessun personaggio in particolare. Ugualmente mi manca non potere leggere altre decine di pagine zeppe di storie e personaggi pazzi alla deriva o in rientro dalla deriva, come ormai ero abituato a fare ogni giorno
- È una sensazione strana
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Proprio un "Infinite Jest"
Capolavoro della letteratura o stralunato viaggio mentale di un folle? Opera universale o prolisso scherzo letterario? Da un punto di vista “tecnico” il differente, singolare, stile di Wallace a seconda del personaggio trattato, l'alternare una narrazione in prima persona con una in terza, l'entrare nell'ottica dei protagonisti con divagazioni da narratore assoluto, per poi fuoriuscirne con vivide ed introspettive occhiate personali sul mondo da lui creato, rendono Infinite Jest senza dubbio un’ opera unica, innovativa e accattivante. Però come in un film se si cambia velocemente inquadratura lo spettatore poi si sente spaesato, allo stesso modo qui, il lettore, con le continue trasformazioni stilistiche del romanzo, si sente disorientato fino a supporre (forse dedurre) di trovarsi in presenza di un’ opera sì grandiosa ma irrimediabilmente sfuocata. Questo disorientamento non consente di creare quel processo empatico che generalmente lega il lettore ai protagonisti della vicenda, ne nasce così un senso di distacco nei confronti del libro.
Contenutisticamente fa piacere trovare in un romanzo moderno tanta introspezione psicologica e tanta profondità strutturale tuttavia se queste non sono supportate da fatti e azioni, almeno in minima parte, la narrazione perde di ritmo, diventa ridondante e si affloscia su se stessa contribuendo a cementare il sopraccitato distacco. Dal titolo un profano potrebbe immaginare si tratti di un'opera intrisa di ironia, ma considerato che sono rese molto meglio le parti tristi/violente (in queste l'autore è ineccepibile e raggiunge vette mai riscontrate in altre opere) rispetto a quelle ironiche, viene da pensare che il "jest" del titolo non sia un elemento della trama ma una sarcastica rivincita dell'autore che condanna il lettore, come campione ideale della società che lui pare disprezzare, a leggere per mesi le gesta disorientate e le divagazioni (talvolta fuori luogo) dei suoi personaggi. In sostanza Infinite Jest è un' opera che si ricorderà più per l'impegno che per il piacere di leggerla, più per l'allucinata cerebralità dell'autore che per la sua (talvolta mordente) ironia. Lettura enciclopedica, impegnata, complessa e innovativa… Non sempre però conoscenza e impegno dettano i canoni di un capolavoro letterario, non sempre complessità (specie se è auto compiaciuta) è sinonimo di grandiosità, non sempre innovazione è sinonimo di bellezza.
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Un difficile e affascinante capolavoro
So bene che si tratta di un romanzo di più di mille pagine, cui vanno aggiunte le foltissime note, che , a loro volta, costituiscono un secondo romanzo. La lettura di "Infinite jest" si prospetta dunque come una impresa veramente impegnativa , destinata a durare per un lungo lasso di tempo, ma ne vale assolutamente la pena: è un tempo che non potrebbe essere speso meglio, perché i veri capolavori sono quanto mai rari.
Con autentica amarezza e pungente ironia Wallace traccia un ritratto veritiero quanto impietoso della crisi che ha investito la società contemporanea in ogni suo aspetto.All'inizio le varie storie paiono legate da un filo sottile o irrelate, poi, col prosieguo della narrazione risulta evidente che Wallace , padrone assoluto dei molteplici e proteiformi contenuti e delle tante vicende narrate , traccia, con mano sicura e geniale, un lucido e amplissimo disegno in cui ogni pezzo del complesso mosaico narrativo, trova la sua perfetta collocazione .
Dalla metà circa del romanzo avviene una vera e propria coazione a continuare nella lettura. E a questo risultato porta non solo il magnifico dominio della macchina narrativa , ma anche lo stile personalissimo di Wallace: uno stile capace di svariare dal gergo alle parole più rare e difficili, ma sempre con un tono di assoluta sincerità: la sincerità di chi ha percorso sulla sua pelle tutti i sentieri del dolore psichico e cerca nella scrittura la sua liberazione dalla sofferenbza , che , nel caso di Walace non è purtroppo avvenuta , come tutti sappiamo.
Consiglio quindi la lettura di questo romanzo: una esperienza che per me è stata veramente coinvolgente.
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