Il senso di una fine Il senso di una fine

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Emilio Berra  TO Opinione inserita da Emilio Berra TO    04 Settembre, 2023
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Un percorso

"Quel che si finisce per ricordare non sempre corrisponde a ciò di cui siamo stati testimoni" .
Frase piuttosto condivisibile.

L'Io-narrante ripercorre con la memoria il tempo in cui a scuola il suo gruppetto di amici incluse un nuovo arrivato, Adrian alto e timido, parecchio diverso da loro, molto più intelligente e profondo.
La madre successivamente ebbe a dire : "Chi è troppo intelligente riesce a convincersi di qualunque cosa. Perde di vista il buonsenso".
E' proprio su Adrian che il narratore presta la maggiore attenzione, per giungere a un finale inatteso.

Dopo aver letto il bellissimo "Il rumore del tempo" , su Barnes avevo alte aspettative.
La delusione è giunta quindi più forte, con la sensazione di aver letto un libro 'costruito' , poco verosimile, con quei colpi di scena che hanno contribuito a non rendermi apprezzabile questa lettura.

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    12 Novembre, 2020
#1 recensione  -   Guarda tutte le mie opinioni

Accumulo, nostalgia, ricordi, senso del vivere.

«La storia è quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della documentazione.»

Primi anni ’60, Inghilterra. Una classe di studenti, tre amici che poi divengono quattro con l’arrivo di Adrian Finn, la figura più erudita, riflessiva, controversa, affascinante e dall’intelligenza non comune che permea con la sua presenza l’intero componimento.
A narrare le vicende è Tony Webster che tra quei banchi, tra filosofia e letteratura, ha instaurato un rapporto profondo con il compagno di studi. Due i fattori che rompono, nel tempo, gli equilibri del gruppo: la relazione amorosa del protagonista con Vanessa che di poi si innamora di Adrian e il terminare della scuola stessa che catapulta le varie voci delineate in una realtà adulta e diversa da quella che precedentemente li caratterizzava e accomunava. Le vite intraprendono il loro corso, passano gli anni, ciascuno si costruisce la propria realtà con tutti gli errori e le cadute e il rialzarsi del caso. Ed è proprio quarant’anni dopo che Tony apprende di essere il destinatario di uno strano lascito; il diario di Adrian, il giovane brillante che pone fine inspiegabilmente alla sua presenza terrena da suicida. Il diario e la piccola eredità inerente porteranno il protagonista a rincontrare Veronica e da questo momento dubbi, ipotesi, incertezze del tempo trascorso torneranno a riaffiorare alla ricerca di quelle risposte alle tante domande lasciate in sospeso.

«Con quale frequenza raccontiamo la storia della nostra vita? Aggiustandola, migliorandola, applicandovi tagli strategici? E più si va avanti negli anni, meno corriamo il rischio che qualcuno intorno a noi ci possa contestare quella versione dei fatti, ricordandoci che la nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato. Agli altri, ma soprattutto a noi stessi.»

La memoria è fallace, la memoria è vacua, la memoria non sa più cosa sia certezza e cosa finzione. È preda di silenzi ma anche del tempo trascorso inesorabile. Tony è preda dei ricordi, è intrappolato in un flusso che lo porta a rivivere con nostalgia gli anni passati, è chiamato a tornare a vivere emozioni che credeva di aver dimenticato. Ma è davvero la sua vita? Oppure quella che ha vissuto fino ad adesso non è altro che la somma, la sottrazione e la moltiplicazione di tutti quei fatti e quei fallimenti che si sono susseguiti?

«Viviamo nel tempo, il tempo ci definisce e ci vincola e dovrebbe anche essere misura della storia, no? Ma sr non riusciamo a comprenderlo, se non afferriamo il mistero in termini di andamento e decorso, che speranze possiamo avere con la storia, perfino con il marginale frammento della nostra personale, peraltro assai poco documentata?»

Un romanzo breve quello di Julian Barnes ma che tocca corde profonde senza paura e che si sviluppa come un saggio che al suo interno affronta tematiche che vanno dalla vita alla morte passando per i legami affettivi, i dubbi, le separazioni, la filosofia e la psicologia, sino a quello che è un epilogo che lascia il lettore con un enigma da interpretare e risolvere. Una risoluzione che forse esula dalle tante e molteplici interpretazioni o soluzioni finali, un epilogo che forse volutamente è lasciato in sospeso perché il suo scopo è nel non rispondere.

«C’è l’accumulo. C’è la responsabilità. E al di là di questo, c’è il tempo inquieto. Il tempo molto inquieto.»

«Procediamo a casaccio, prendiamo la vita come viene, ci costruiamo a poco a poco una riserva di ricordi. Ecco il problema dell’accumulo, e non nel senso inteso da Adrian, bensì nel semplice significato di vita che si aggiunge a vita. E, come ricorda il poeta, c’è differenza tra addizione e crescita.
La mia esistenza si era sviluppata, o solo accumulata?»

«Non è affatto vero che la storia è fatta delle menzogne dei vincitori, come sostenni una volta; adesso lo so.È fatta più dei ricordi dei sopravvissuti, la maggior parte dei quali non appartiene né alla schiera dei vincitori né a quella dei vinti.»

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    09 Marzo, 2018
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L'accumulo...



Ero ancora alle prime pagine di questo libro quando ha preso forma nella mia mente il primo aggettivo per definirlo: denso.
E non mi ero sbagliata.
Nel procedere con la lettura ho avuto la sensazione di avere i piedi affondati in un terreno fatto di pasta lievitata, era difficile andare avanti...ma non potevo comunque staccarmene. Ci affondavo dentro. 
Mi sentivo rallentata, appesantita...senza riuscire a capirne il motivo.
Poi è stato lo stesso Barnes a spiegarmi il perché.
Sono in un'età della vita in cui il tempo comincia ad avere un suo peso, in cui inizio a chiedermi se la storia della mia vita sia davvero quella che mi sono raccontata finora, in cui inizia il lento processo "dell'accumulo"...in cui realizzi che l'esistenza "non è fatta solo di somme e sottrazioni, ma c'è anche l'accumulo, la moltiplicazione delle perdite, dei fallimenti".
Mi sono chiesta quanto io sia diversa da Tony Webster, da quel suo lasciarsi vivere, procedere a casaccio, prendere le cose così come vengono, costruendo una rete di ricordi, e aggiungendo vita alla vita...per poi magari, un giorno, scoprire la differenza tra addizione e crescita.
Mi sono specchiata dentro la vita di un uomo "medio" che, lungi dall'essere un eroe, deve fare i conti con i rimpianti ed i rimorsi, gestire i sensi di colpa cercando di non soccombere e rispondere a diverse domande cruciali.
Quanto ci si può fidare dei propri ricordi?
Quanto vengono smussati dalla nostra mente per aderire all'idea che, nel frattempo, ci siamo fatti di noi?
E qual è, alla fine, il senso di tutto?

"Si arriva alla fine della vita, no, non della vita in sé, ma di qualcos'altro: alla fine di ogni probabilità che qualcosa cambi.
Ci viene concesso un lungo momento di pausa, quanto basta a rivolgerci la domanda: che altro ho sbagliato?"

Un libro non facile...profondo, disincantato, amarissimo, per certi versi illuminante.
Non è un romanzo emozionale, niente sussulti o fiati trattenuti, no...Barnes qui è cerebrale, trasuda filosofia...e una grande malinconia per il tempo (inquieto, molto inquieto) che passa, la memoria, i ricordi e i loro inganni.
150 pagine ben cesellate (io ho apprezzato anche il finale criticato dai più).
La prosa è alta, elegante, sottilmente ironica...e subdolamente ti si insinua nella testa.


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68 Opinione inserita da 68    04 Mag, 2017
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Analisi della memoria e del tempo....

Inghilterra, primi anni '60, quattro liceali, 4 amici, una storia solo agli inizi, una avventura destinata a cambiare le loro vite per sempre.
Tutto è cominciato a scuola, tra filosofia e letteratura, e con quella paura che la vita potesse rivelarsi diversa dalla letteratura stessa.
Tony Webster, la voce narrante, si è legato fortemente ad Adrian Finn, figura eccentrica, controversa, ammagliante, di una intelligenza non comune, ma ha amato anche Veronica, il primo vero amore, controversa, enigmatica, con una famiglia profondamente borghese, elitaria ed una madre che lo ha accolto e trattato da subito con benevolenza.
Poi una serie di tumultuosi accadimenti, la fine della relazione con Veronica, l' amore inatteso tra lei ed Adrian, una lettera piena di rabbia con un augurio nefasto, fino all' improvviso e del tutto inaspettato suicidio di Adrian accompagnato da dolore, incredulità, ed una vita tornata faticosamente ad una quiete protratta.
Dopo quarant'anni di silenzio un lascito improvviso, un misterioso diario, la possibile rinascita di un legame spezzato ( con Veronica ), la ricerca della verità. Nel frattempo un matrimonio sepolto da anni ( con Margaret ), una figlia, una vita costruita a casaccio, semplicemente successa, accumulando una riserva di ricordi.
Ecco riemergere possibili risposte non date, ipotesi plausibili ed una sola certezza. Gli accadimenti hanno determinato solo la verità delle impressioni ed i nostri ricordi non sempre corrispondono alla verità di cui siamo stati testimoni.
La memoria si copre di debolezza, e' ondivaga, varia con il tempo e con esso svanisce, perché esiste un tempo oggettivo, conteggiabile, ed uno interiore ( quello che conta ), insondabile, mutevole, schiavo di soggettività e sensazioni.
Ed allora qualsiasi tentativo di indagine di un passato nebuloso si scontra con la storia che...." e' quella certezza che prende consistenza là dove le imperfezioni della memoria incontrano le inadeguatezze della documentazione "... E la storia, forse, non è costruita sulle parole dei vincitori, ma sui ricordi dei sopravvissuti, ne' vincitori né vinti.
Tony cerca di interrompere il vano ripetersi dei ricordi, si chiede che cosa nasconda il misterioso suicidio di Adrian, di chi le colpe, sue, di Veronica, della famiglia, di nessuno...
Il nastro della memoria, e degli accadimenti, sovente nebuloso, riemerge con particolari diversi, nuovi, dimenticati, accantonati, rimossi, ma non sappiamo quale sia la verità, emerge solo quella profonda differenza tra gioventù e vecchiaia e quella inventiva che da giovani ci faceva immaginare un futuro diverso per noi stessi e da vecchi un passato diverso per gli altri.
Egli vive la nostalgia del ricordo di emozioni forti ed il rimpianto di sensazioni svanite, lentamente fa emergere una vita della quale non sapeva nulla, in cui non aveva mai vinto ne' perso, aveva lasciato semplicemente che le cose accadessero, così piena di ricordi accumulati, con una maturità raggiunta che non era senso di responsabilità, ma solo vigliaccheria.
Una vita che non era la sua, ma solo la storia che aveva raccontato agli altri ed a se stesso. Perché ogni vita non è solo somma o sottrazione, ma anche moltiplicazione, a cominciare dalle perdite e dai fallimenti.
Ed allora, la ricerca della verità e del senso di una fine diviene scoperta di un senso primario, o forse di un fallimento primario, la propria esistenza.
Nessuna certezza, solo insondabilita', ed il finale, sorprendente, complesso, enigmatico, ridiscute i termini della vicenda e pone il lettore di fronte ad una possibile scelta. Quale la verità?
Come i ricordi e la soggettività cambiano ed indirizzano la storia in cui siamo inseriti, e la documentazione e' deficitaria, e dopo tanti anni e' difficile affidarsi ai semplici fatti ed a prove tangibili, così l' imprevedibile epilogo si abbandona a svariate interpretazioni, capovolgimenti, risposte o semplicemente a nessuna certezza, neanche la propria.
Oggi ogni possibile risposta è scritta in ciò che siamo e siamo stati, nella nostra storia e nella singola percezione e lettura dei fatti.
..." C' e' L' accumulo. C'è la responsabilità. Ed al di là di questo, c' è il tempo inquieto. Il tempo molto inquieto "....
Un romanzo breve che nasce e si sviluppa come un saggio ( forma così cara all' autore ), che discerne di vita, di morte, di tempo, con tratti filosofici e psicologici che virano sul finale in un thriller psico-emotivo che aggioga il lettore. È stato vincitore del Booker Prize ( 2011) ed oggetto di molteplici dissertazioni e dispute sul senso che il finale gli attribuisce costruendone una nuova forma ed essenza.
La mia chiave di lettura si astiene dal dare una risposta e da qualsiasi ( possibile) interpretazione, mi fermo alla semplice analisi del testo, alla forma ed ai contenuti da esso espressi, e qui, pur considerandolo un buon romanzo, non mi pare ci troviamo di fronte ad un capolavoro.

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Dod Opinione inserita da Dod    06 Ottobre, 2016
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L'accumulo del tempo e il suo senso

La recensione contiene qualche spoiler.

Ognuno di noi vorrebbe essere il proprietario esclusivo del proprio tempo; un tempo in cui gesti, eventi e persone riflettono l'immagine che vogliamo trovare di noi stessi. Julian Barnes ci affascina con una storia particolarmente profonda e introspettiva, mettendo il lettore dinanzi alla difficile comprensione del senso del proprio esistere e che porta ogni uomo a riconoscersi “soggetto”, cioè artefice e al tempo stesso vittima, della storia che vive.
A offrire la base di una simile riflessione troviamo la storia di un uomo qualunque. Tony Webster è una persona non più giovane, appartenente al ceto medio, con alle spalle un matrimonio fallito dal quale ne è uscito senza grandi sconvolgimenti interiori e che si è ritrovato a vivere in una generale tranquillità priva di entusiasmo e passione. È un uomo – come sottolineato da lui stesso – senza qualità che si ritrova a subire lo scorrere del tempo senza essere arrivato a concludere e far memoria di alcunché di particolarmente significativo, tranquillo nella sua “attitudine all’autoconservazione”.
È questo uomo mediocre a trovarsi inaspettatamente a riflettere sul senso del suo tempo e del tempo in generale. Una lettera in cui gli viene annunciato il lascito di cinquecento sterline e del diario di un compagno di classe portano Tony – e il lettore con lui – a scavare nella memoria, riportandolo ai febbrili anni dell’adolescenza con il loro desiderio di libertà, di cambiamento e di passionale amore. Barnes, tramite la memoria del Tony adulto, tratteggia rapidamente e con sorprendente efficacia l’animo del Tony giovane, le sue ambizioni, i suoi desideri sessuali e la sua forte infatuazione (potremmo osare e chiamarlo amore) per una ragazza, Veronica, mentre i febbrili anni Settanta si affacciano sulla sua vita senza intaccare pienamente il sistema in cui vive.
L’attenzione si sposta ora su Tony, ora su Veronica, ora su Adrian, il nuovo, brillante studente a cui viene permesso di entrare nel terzetto di cui fa parte il protagonista.
A guidare questa prima appassionante parte del libro rimane sempre il tempo e la riflessone sulla capacità che l’uomo ha di individuarne un senso e di comprendere gli eventi del mondo e delle persone che li vivono e li subiscono. Seguendo le disquisizioni scolastiche di Adrian, il lettore di interroga sull’irrisolvibile conflitto tra l’interpretazione oggettiva e soggettiva della storia, tra la comprensione obbiettiva, puntuale, scientifica di quello che accade e la necessità di passare tramite molteplici mediazioni umane che reinterpretano continuamente e dimenticano l’accaduto: “Dobbiamo conoscere la storia di chi scrive la storia, se vogliamo comprendere la versione degli eventi che ci viene proposta”. In questo gioco sta tutto il libro di Barnes.
L’inspiegabile suicidio di Adrian, “tragica scomparsa di una Giovane Promessa”, e la lettera dell’avvocato in cui si comunica il lascito del diario segnano lo spartiacque tra la prima e la seconda parte del libro. Da questo punto, la storia, precedentemente “raccontata dal testimone che è sopravvissuto”, crolla sotto i colpi di una nuova narrazione, presentata sempre dallo stesso Tony, ripresa e smascherata come il tentativo fatto dal protagonista di considerarsi innocente e privo di responsabilità per quanto è accaduto.
Lo svelamento degli eventi del passato ha l’effetto di un lento e progressivo shock (di Tony e del lettore con lui). Il ritrovo di Veronica, dopo quarant’anni di silenzio, rompe il filo di perle con cui Adrian ha rinchiuso la sua identità, il suo amore per Veronica, il suoi rapporti con la madre di lei, i rapporti con Adrian e il suo suicidio si sfilacciano.
Il tentativo di padroneggiare il tempo e di nasconderlo, simboleggiato dall’immagine dell’ “orologio con il quadrante sull’interno del polso”, fallisce.
A rimanere, soprattutto dopo l’imprevista (forse un po’ azzardata) fine del libro, rimangono i frammenti della propria identità, ma anche la domanda sulle nuove responsabilità che si sono dimenticate, “la fine di ogni probabilità che qualcosa nella vita cambi” e l’accumulo del tempo che si apre all’inquietudine.

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martaquick Opinione inserita da martaquick    19 Novembre, 2015
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La vita e i nostri ricordi

Leggere questo romanzo è come ripercorrere la vita del protagonista e contemporaneamente la nostra.
è impossibile non riflettere sugli episodi della nostra esistenza, l'autore ci invita alla riflessione e il risultato è un libro che non è un libro qualunque, è quasi poetico e quasi un saggio. La trama, la vera storia in sè non è che il contorno, è piacevole leggere la vita di Tony dalla giovinezza alla vecchiaia ma quello che arriva veramente al lettore sono più le frasi riflessive e i brani pieni di contenuti profondi. Ho letto questo libro volentieri e credo che sia uno di quelli che ti lasciano davvero qualcosa dentro. Ed è uno di quelli da leggere e rileggere traendone insegnamento. Viviamo veramente la nostra vita? O potremmo impegnarci di più? I nostri ricordi e le nostre memorie sono veritiere o sono solo il nostro punto di vista? una serie di domande che ci poniamo insieme all'autore ma trattate in modo semplice e chiaro.
La conclusione mi ha spiazzato, non ci ero arrivata nemmeno io insieme a Tony, ma non è forse perfetta per questo saggio libro? Io credo di si.
Lo consiglio a tutti davanti ad una bella tazza di the fumante, è un romanzo rilassante e arricchisce lo spirito.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    10 Febbraio, 2015
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Un accumulo di eventi

L’evoluzione di una vita, dalla spavalderia di una gioventù senza qualità e con pochi valori, farcita solo di grandi teorie filosofiche e parole ricercate, all'età adulta, dove le teorie lasciano il tempo che trovano. Rimane solo quello che è stato, quello che la vita ci ha consegnato senza troppe domande, senza troppe regole certe, senza chiedere permesso è entrata dentro di noi e ha fatto di noi quello che siamo oggi.

“Con quale frequenza raccontiamo la storia della nostra vita? Aggiustandola, migliorandola, applicandovi tagli strategici? E più avanti si va negli anni, meno corriamo il rischio che qualcuno intorno a noi ci possa contestare quella versione dei fatti , ricordandoci che la nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato. Agli altri, ma soprattutto a noi stessi.”

Ecco il resoconto di una vita, il “segreto” svelato, dopo tante convinzioni arrivano eventi che cambiano tutto, avvenimenti che con il tempo vengono riletti sotto un’altra luce e ci fanno forse smettere di raccontare quella storia che pensiamo essere la nostra vita, ci aprono gli occhi e sono li a svegliarci.
Un romanzo che tratta i grandi significati di una vita, l’importanza del tempo, del suo passare, della concezione che noi abbiamo della nostra esistenza. Una riflessione in età adulta su quello che è stato, una discussione sulla maturità, un piccolo trattato filosofico sull'esistenza umana spesso troppo condizionata da quello che pensiamo di noi stessi o dall'idea che ci facciamo degli altri.
Crediamo di aver capito tutto, pensiamo che le parole dette o scritte non siano nulla, riteniamo che le nostre azioni siano fini a se stesse, non ci rendiamo conto che non solo decidono della nostra vita, ma spesso indirizzano anche quella degli altri. Insomma spesso siamo certi di aver capito tutto, ma in realtà non abbiamo capito proprio niente.
Un bel romanzo ricco di contenuti che appaiono evidenti se si presta meno attenzione alla trama e più alle riflessioni, la storia vuole quasi essere un pretesto “filosoficamente tautologico” al fine di farci aprire gli occhi sulla nostra esistenza: Forse un accumulo di eventi?

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ferrucciodemagistris Opinione inserita da ferrucciodemagistris    17 Settembre, 2014
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Insidie dal passato

La maggior parte delle esistenze umane si svolge in maniera normale, stereotipata, senza lode e senza infamia; tutto scorre secondo particolari "dettami" della cosiddetta routine che comporta la nascita, la copula e la morte. Può accadere, però, che alcuni avvenimenti del passato, ormai archiviato, in cui sono presenti sia i rimorsi che i rimpianti, si ripresentino in maniera inaspettata, forse insidiosa, con caratteristiche che inducono a ripensare tal passato non più come lo abbiamo immagazzinato nei nostri ricordi, bensì con tutt'altre argomentazioni a tinte forti e di pesante rilievo. Un romanzo, quasi saggio, da leggere e rileggere con attenzione e matura riflessione.

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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    16 Novembre, 2013
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Il senso di una fine di Julian Barnes

Leggere “Il senso di una fine” di Julian Barnes e fermarsi alla trama del romanzo è assolutamente riduttivo e può indurre a un giudizio se non negativo certamente deludente sull’opera. Si tratta infatti di una sottile disquisizione a carattere filosofico sul rapporto uomo-tempo e sulla funzione della memoria nella crescita spirituale e intellettuale di ogni individuo. Non a caso il protagonista è un “uomo senza qualità” , un mediocre per eccellenza, e perciò stesso diverso dal personaggio dell’omonimo romanzo di Musil, con il quale pure ha qualche affinità. Tony rappresenta il “common man” in senso lato, la massa dell’umanità che non brilla per doti particolari. Ciò su cui, a mio parere, ha messo l’accento l’autore, non è tanto la vicenda amorosa con la detestabile Veronica, né il suicidio dell’amico Adrian, l’intellettuale del gruppo di studenti di cui fa parte, né il mistero trascinato fino alle due ultime pagine con magistrale suspense che si rivela infine un po’ deludente, ma è piuttosto il suo concetto di tempo. Attraverso una ricercata formula matematica, Barnes spiega la sua teoria dell’accumulo, con un implicito riferimento alle teoria aristotelica e a quella successiva di Bergson, secondo le quali il tempo non è altro che un accumulo generato dal movimento, di prima e dopo e la memoria e la coscienza compiono l’azione di contare gli eventi appartenuti al passato remoto e a quello recente, che alla fine vengono a sovrapporsi in un “continuum”.
Non si tratta certo di un romanzo ameno relativamente al suo contenuto, esso è infatti quasi un piccolo saggio che assume la forma di romanzo breve. La prosa, in alcuni tratti, è veramente stupenda. L’analisi dei personaggi è accurata.
Bellissime le due ultime righe esplicative del suo pensiero: “C’è l’accumulo. C’è la responsabilità. E al di là di questo, c’è il tempo inquieto. Il tempo molto inquieto.”

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world Opinione inserita da world    28 Ottobre, 2013
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epilogo dell'uomo comune

Come nasce la nostalgia? E quanto riusciamo davvero a ricordare della nostra vita?
Tony Webster uomo mediocre che si "accontenta " del suo piccolo lavoro, che si trova una moglie dalla quale divorzia che comunque gli rimane legata ed amica, che ha una figlia in salute che tutto sommato gli vuole bene, è lui il protagonista del romanzo.
L'arrivo inaspettato del lascito di 500 sterline della mamma della sua storica ex Veronica assieme al quaderno del suo amico Adrian, morto suicida quarant'anni prima, lo costringono per la prima volta nella vita a fare i conti con il passato , a rievocare fatti che egli stesso ha vissuto senza neanche redensene conto.
Molto buona la prima parte del romanzo in cui rievoca i ricordi dell'universita' le amicizie ed il suo primo amore.
Anche io come altri lettori, ho avuto la senzazione che con la seconda parte il romanzo , peraltro molto breve, rimanga un po' troppo "sospesa".
Non solo per la fine tremendamente triste alla quale il lettore gia' strizza un'occhio dalle prime pagine ma proprio per il senso di vuoto che comunica almeno a me "il non avere vissuto abbastanza".
Forse è quello che l'autore voleva trasmettere? Perche' suicidarsi? Perche' lasciarsi trasportare dalla corrente della vita ed accontetarsi del " poco"?
A partire da meta' libro l'ho letto due volte per rifletterci un po' su ed apprezzarlo fino in fondo.


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catcarlo Opinione inserita da catcarlo    11 Giugno, 2013
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Premesse non sviluppate

‘Proprio non ci arrivi’ continua a ripetere e a scrivere Veronica a Tony nella seconda parte del libro. Beh, non ha tutti i torti il protagonista maschile e voce narrante del romanzo. E’ vero, è un uomo qualsiasi (non ‘qualunque’), un vero ‘common man’ che, come la maggior parte degli esseri umani, ha barattato i sogni di gioventù per una lunga vita tranquilla ed è diventato un vecchio brontolone incapace di apprezzare quanto l'esistenza ha saputo regalargli, come un buon lavoro, una bella moglie che rimane amica anche da ex, una figlia senza particolari problemi. In più non è un mostro di simpatia, con quel suo egocentrismo che lo aiuta a rimbalzare i momenti di difficoltà, ma che lo porta a mettere sempre se stesso al centro della scena dimenticandosi del prossimo – i contraccolpi stanno nella mancanza di amicizie e in rapporti familiari comunque labili - tanto da ingigantire anche le conseguenze di una cattiveria perpetrata quarant'anni prima, atto odioso ma certo non un crimine contro l'umanità. Questo però non significa che Tony possa arrivare in qualche modo a dedurre l’astruso susseguirsi di eventi, descritto nelle ultime pagine del romanzo, che finisce per suggellare un finale in calando. Molto più efficace la prima parte, quella ambientata ai tempi di scuola e università, con una bella descrizione dei meccanismi mentali dell'adolescenza maschile in cui Tony si dibatte tra la passione per la più benestante Veronica e il fascino esercitato su di lui dall'intelligenza acuta dell'amico Adrian. Il buon passo si mantiene anche quando, oramai in pensione, il narratore viene di nuovo raggiunto da un passato che rimette in movimento i ricordi impolverati: col passare delle pagine, però, la storia inizia ad annodarsi su se stessa, creando più di una perplessità pressappoco da quando Tony prende a baloccarsi con il concetto di rimorso. E questo malgrado la scrittura continui a scorrere come sempre, brillante e venata da un sottile e ben dosato senso dell’umorismo, grazie anche alla traduzione accurata di Susanna Basso: l'alternanza tra toni alti e momenti più colloquiali funziona (se l'insistenza sulla ‘violazione’ pare un po’ campata in aria, il ritornello del ‘filosoficamente tautologico’ è assai efficace) e al ritmo contribuisce la capacità di inserire a tempo nella narrazione lettere, e-mail e altri sistemi di comunicazione a distanza. Così, alla fine di queste centocinquanta pagine – sì, malgrado tutto quanto descritto sopra il libro è smilzo – il lettore resta un po’ deluso per le premesse tradite e si domanda se il Man Booker Prize vinto da Barnes per questo volume non sia stato dato un po’ anche alla carriera: è come se lo scrittore inglese, partito dalla riflessione sul tempo che passa e, soprattutto, sulla capacità della mente di falsare i ricordi (considerazione sottolineata più volte nella prima parte), non sia poi riuscito a costruirvi intorno una storia all'altezza dell'affascinante spunto di partenza.

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giuse 1754 Opinione inserita da giuse 1754    01 Ottobre, 2012
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Il senso di una fine è sempre opinabile

Le aspettative troppo alte portano inevitabilmente a una delusione.
Questa riflessione non è pertinente rispetto al contenuto del libro, ma è ciò che ho pensato dopo averlo letto, visto che mi era stato entusiasticamente consigliato da un’amica, grande lettrice.
E' effettivamente un buon libro (vincitore del Man Booker Prize 2011), ma a mio parere gli manca quella stelletta in più per essere un capolavoro.
Il romanzo di Barnes si snoda intorno a due grandi questioni:
1) “Il ricordo è ciò che pensavamo di aver dimenticato. Inoltre dovrebbe apparirci ovvio come il tempo non agisca affatto da fissativo, quanto piuttosto da solvente”. Verissimo, e l’ho verificato spesso di persona.
2) Spesso le persone e la realtà non sono come noi le vediamo, ma pur avendo una loro oggettività questa il più delle volte ci sfugge. (Questo concetto non mi è nuovo, vedi Pirandello)
Il romanzo è scritto bene ma un tantino noioso, “filosoficamente tautologico”, come ripete una ventina di volte l’autore per spiegare bene i suoi concetti di fondo. La trama è quasi inesistente, e dove la vicenda vorrebbe riservarci un colpo di scena, questo è abbastanza inverosimile.
Mi fa sorridere e ho amato con tenerezza Tony, il protagonista sessantenne che è costretto a rivedere il se stesso di quarant’anni prima alla luce di una sua lettera, dalla quale probabilmente sono scaturiti tutti gli avvenimenti futuri degli altri protagonisti.
Tony, invece, si è lasciato scorrere addosso la vita così come gli è capitata, ma tutto sommato gli sta bene proprio così: marito divorziato da una moglie-amica, padre di una brava figliola, rassegnato a vivere come se fosse nell’anticamera della morte senza farsene un dramma.
D’altronde, gli è andata decisamente meglio che al vecchio Adrian, sulla cui fine Tony si interroga.
Suicida non per ineccepibile conclusione di un ragionamento filosofico sull’esistenza, è solo probabilmente fuggito dalle responsabilità della vita reale.
Anche all’ex fidanzata Veronica, a cui si rivolgerà per avere il diario di Adrian che gli spetta per volontà testamentaria della madre di lei, non è poi andata così bene.
L’autore si vendica appioppandole antiestetici baffetti senili e peli che spuntano dai nei e ce la descrive supponente e stronzetta.
Tutto sommato, e credo anche all’insaputa dell’autore, mi pare che non esca così sconfitto dalla vita quest’uomo senza grandi facoltà intellettive, forse solo dispiaciuto per non aver afferrato il senso delle cose successe tanti anni prima.

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