Il giardino di cemento
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Agghiacciante
“Non ho ucciso mio padre, ma certe volte mi sembra quasi di avervi dato una mano a morire.”
La voce narrante è Jack, quattordici anni.
Con lui la sorella maggiore Julie diciotto anni, Sue dodici, Tom sei.
Tutto comincia con quindici sacchi di cemento che servono a costruire un alto muro intorno al loro mondo per circondare la casa, davanti e dietro, con una spianata liscia di cemento.
“Mio padre steso per terra a faccia in giù, con la testa appoggiata al cemento appena steso. Mi avvicinai lentamente, sapendo che dovevo correre a chiedere aiuto. Per parecchi secondi non riuscì ad allontanarmi… quando l’ambulanza se ne fu andata, uscì a guardare il nostro vialetto. Nessun pensiero mi attraversava la mente mentre raccoglievo la tavola e con ogni cura cancellavo l’impronta di mio padre dal cemento fresco, soffice. ”
Questi accadimenti non sono un segreto, che tutto ciò succederà lo sappiamo a priori. Dalla quarta di copertina.
Quattro fratelli, una madre debole e malata. Un padre assente, ora per sempre. Una casa.
La narrazione è fredda, spigolosa, spietata, nessun aggettivo che ci faccia pensare all’affetto familiare. Sono tutti come fantasmi nei sentimenti.
E poi Jack, diabolico, ne starei certamente alla larga.
Quattro ragazzi che resteranno soli.
Le risa di fronte al corpo inerme della madre. I ragazzi che discutono sul da farsi. Come se la situazione fosse estranea da loro. Per un attimo mi viene in mente la stupidità, ma solo per un attimo.
Il racconto è talmente una narrazione lontana che quasi non mi impressiona. Ciò che destabilizza è l’inutilità di questi figli che tali non sono, la loro vuotezza d’animo, il loro pensare a soddisfare gli istinti animaleschi beandosi delle situazioni più dolorose.
La loro ignoranza di sentimenti ci viene spiattellata dall’autore subito.
I loro gesti fastidiosi che avrei volentieri evitato di leggere.
La sensazione di una prosa praticamente perfetta per ciò che racconta mal si sposa con i pensieri che suscita in me che leggo. McEwan non si smentisce mai, ti fa ruzzolare giù con lui a velocità vorticosa, nonostante la narrazione sia frenata, lenta, affinché il dolore emerga piano e coinvolga chi legge. Io non vorrei farmi trascinare ma l’unico modo per resistere e interrompere la lettura. Questo è McEwan. Non te le manda a dire.
Sarò una voce fuori dal coro ma questo romanzo non mi è piaciuto, non mi sento di consigliarlo e tornando indietro non lo leggerei. Ma se non lo avessi letto non potrei esprimere questo parere. Sembra contraddittorio ma è proprio questo che provo.
L’autore mi piace tanto, ho letto diversi suoi scritti tutti più o meno gradevoli e molto interessanti.
Chissà se con questo romanzo non volesse ottenere proprio questo risultato.
Forse la risposta è tutta nel titolo.
Buone prossime letture.
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Per sempre adolescenza
E' una delle mie prime letture. Avevo circa venti anni e come il protagonista non potei che innamorarmi della meravigliosa sorella e della sua bellezza senza paragoni.
I protagonisti nascondendosi dal mondo esterno vogliono in una qualche maniera salvarsi dalla cattiveria e falsità che vi è fuori.
Il loro voler rinchiudersi in casa è anche una sorta di voler preservare per sempre la propria giovinezza e i proprio sogni dall'inesorabile fluire del tempo.
E' un libro lineare, semplice nella struttura della storia, non particolarmente lungo, ma molto complesso e ricco di significati per quanto riguarda i vari aspetti psicologici dei due protagonisti.
Il tema può essere disturbante, ambiguo, morboso. Ma poi ci si accorge che sono dei ragazzi che all'improvviso debbono affrontare la spietatezza della vita degli adulti.
L'ambientazione è claustrofobica, tenebrosa, negativa. I sentimenti sono palesemente condizionati dalla paura dell'ambiente circostante. Dal timore che la propria famiglia venga fatta a pezzi a causa del lutto.
E poi questa figura magnifica della sorella del protagonista. Come non poter essere attratti dalla bellezza conturbante di questa giovane, che viene cosi ben descritta, da quel volpone di McEwan, che mi ci gioco una Chinotto, sicuramente quando era giovane ed adolescente sarà stato follemente innamorato di una qualche giovincella che corrispondeva alle leggiadre fattezze di Julie la meravigliosa protagonista del romanzo, che con la sua bellezza è destinata a procurare gioia e dolore in tutti coloro che la osservano e la bramano.
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INVISCHIAMENTO FAMILIARE
SPOILER Breve romanzo crudo d' introspezione psicologica. Prosa scorrevole, narra le vicende di una famiglia isolata dal mondo (solitudine, degrado, e ambientazione in zona desolata), unita da un legame gravemente patologico che scaturisce in maltrattamenti verso il figlio minore, in un incesto, nel terrore dei fratelli di poter essere divisi e nel non essere in grado di separarsi dal cadavere della madre. Su questo riflette il secondogenito Jacke - voce narrante - che motiva a posteriori la decisione di seppellirla in cantina "per tenere unita la famiglia", esplicitando "avrebbe potuto essere più interessante dividerci". Ben tratteggiata la gelosia che prova Jacke verso il ragazzo della splendida sorella maggiore, Derek. Derek è l'unico "esterno" che prova a inserirsi in questo sistema familiare tutto avvolto su se stesso, ma ne verrà "espulso", anche se sarà colui che indirettamente permetterà lo svelarsi del dramma familiare. Il finale è molto sfumato, il seguito può essere quindi immaginato a proprio gusto. Consigliato a chi è appassionato di addentrarsi nell'intricata e a volte sconvolgente mente umana.
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L’adolescenza e le sue deviazioni
“Non ho ucciso mio padre, ma certe volte mi sembra di avergli dato una mano a morire. E se non fosse capitata in coincidenza con una pietra miliare nel mio sviluppo fisico, la sua morte sembrerebbe un fatto insignificante in confronto a quello che è successo dopo.”
Nel titolo e nell’incipit è anticipato uno dei temi fondamentali di questo romanzo di Ian McEwan del 1978, “Il giardino di cemento” il primo scritto dal romanziere inglese dopo una serie di racconti.
Sin dall’inizio, infatti, la narrazione fa uso di immagini che evocano concetti contrastanti sui quali si basa la dinamica del racconto.
Se nel nostro immaginario al termine “giardino” associamo l’idea di profumi, colori, oggetti armoniosamente distribuiti nello spazio, al termine “cemento” attribuiamo un significato di staticità e immobilità che è proprio della morte. La contrapposizione vita/morte contenuta nel titolo “Il giardino di cemento” viene ribadita nell’incipit, in cui il narratore protagonista accenna al decesso del padre avvenuto in concomitanza con la sua prima eiaculazione.
Il romanzo, complesso e torbido per alcuni degli argomenti trattati, affronta sostanzialmente il tema dell’adolescenza abbandonando gli schemi perbenisti e ipocriti e facendo emergere realtà spesso nascoste e represse per un senso di vergogna o di paura.
Ciò che accade ai fratelli Jack, Julie, Sue e Tom dopo la perdita di entrambi i genitori è esemplare di come un nucleo familiare, rimasto privo di guida, possa chiudersi pericolosamente in sé, lasciando che ogni fobia, ogni psicosi prenda il sopravvento sul normale sviluppo del fisico e della mente.
Seppellire la mamma deceduta in una cassa sigillata col cemento è la soluzione che ai ragazzi appare più semplice per evitare di essere separati e affidati alle autorità preposte alla cura dei minori. Gestire la libertà non è tuttavia così facile come può sembrare. La narrazione di McEwan si fa dunque via via più cruda. Egli sottolinea lo squallore e il degrado in cui piomba la casa e la sporcizia che regna nella cucina, che fanno da contraltare a una realtà esterna di un quartiere degradato e quasi abbandonato, una periferia specchio dell’anima di chi vi è rimasto. “Le altre case erano state abbattute per far posto a un’autostrada mai costruita.[......] La nostra casa era grande e vecchia. L’avevano costruita in modo che sembrasse un po' un castello, con mura spesse, finestre tozze e smerlature sopra la porta di ingresso.” Una descrizione da romanzo gotico, che fa pensare al dipinto di Edward Hopper “House by the railroad” del 1925 dal quale Alfred Hitchcock trasse ispirazione per il suo “Psycho”.
L’atmosfera all’interno della casa si fa claustrofobica e offre terreno fertile per le manie di autoerotismo di Jack e per il travestitismo di Tom, ormai regredito all’epoca della prima infanzia, che Julie e Sue favoriscono e agevolano. Anche qui la contrapposizione tra i sessi è evidente: se per una donna indossare i pantaloni non è scandaloso, ma anzi, è indice di emancipazione, per un maschio indossare una gonna è degradante e segno di perversione.
Jack, il narratore autodiegetico, e Julie, la sorella verso la la quale egli nutre un’attrazione morbosamente crescente, fino a un incestuoso rapporto, sono l’evidenza di come rimuovendo le figure genitoriali e dunque eliminando le barriere culturali, il nucleo familiare possa ritornare alle origini, con un superficiale senso di colpa, ultimo residuo della consapevolezza di aver trasgredito a quel codice che regola la civile convivenza. Un libro duro, che può turbare per gli argomenti trattati, ma che esamina la natura umana, senza indulgenza e con imparzialità.
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Marcio
Un misto di sensazioni alquanto sgradevoli. Ecco ciò che accompagna il lettore nel percorso durante la lettura di questo libro.
L'abile scrittura di McEwan ci guida attraverso una storia "oscura", che ha inizio a causa di un padre di famiglia. Il seme dell'odio che si va a piantare nel giovane protagonista, inizia a crescere per poi diramarsi in altre direzioni che porteranno a successive evoluzioni.
L'immagine di un rigoglioso giardino viene mano a mano inghiottita con lo scorrere delle pagine dal grigio colore del cemento. Questo processo si può notare anche immaginando la mente dei vari personaggi, che viene mano a mano corrosa.
Partendo da una situazione in precario equilibrio si sfocia in qualcosa di quasi "assurdo", perverso e malsano (di ciò non parlerò per evitare spoiler e poi perchè penso valga la pena leggere questo libro per la sua particolarità), ma che rispecchia pienamente il libro.
Le sensazioni trasmesse sono molto forti, a mio avviso è proprio qua che emerge la grande abilità dello scrittore. Un libro che ti lascia con il fiato sospeso, ma che allo stesso tempo lascia un malessere interno al lettore che almeno nel mio caso non è indifferente. Vorresti staccarti da queste pagine, chiudere il libro e buttarlo in un angolo a prendere polvere...ma semplicemente non ci riesci.
In conclusione quindi consiglio la lettura di questo libro, molto particolare ed oscuro...ma che può dare molti spunti di riflessione interessanti.
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MALESSERE
Mi dispiace essere severa con questo autore che mi piace molto, ma questo suo romanzo mi ha lasciato il malessere addosso.
Non mi ha preso, non mi ha entusiasmato, anzi in alcune parti mi faceva un po' senso leggerlo. Una sensazione di sporco e di cattivo odore tra le pagine.
I disagi di figli abbandonati a sè stessi che non sanno rapportarsi tra loro e con la società, un isolamento che crea degli scompensi nelle menti dei protagonisti e una indolenza che ti mette addosso la pigrizia.
Magari è per questo che è un libro scritto bene, perchè ti lascia addosso quello di cui parla ma rimane il fatto che non mi è piaciuto leggerlo.
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Cemento ovunque
Il giardino di cemento costituisce di per sé una visione algida e grigia per un luogo che dovrebbe essere il trionfo dei colori e della vita.
Il titolo rappresenta alla perfezione tutto ciò che McEwan ha voluto infondere alla storia narrata in un pugno di pagine; impossibile per il lettore non trovarsi invischiato in un dedalo di immagini e di vicissitudini dal sapore amaro, al limite della follia e della immoralità.
McEwan si dimostra ancora una volta un autore capace di mettere in scena le sfumature più velate e borderline dell'animo umano, utilizzando la sua penna nitida e affilata per andare sotto la superficie, per portare alla luce dinamiche personali e familiari malate.
Una famiglia disgregata, figli divenuti frutto di deviazioni e ossessioni radicate, infanzia e adolescenza minate da un clima familiare opprimente e contorto.
Tutti argomenti spinosi che confluiscono in un'apoteosi di dolore, in un rincorrersi di immagini sempre più nere e scariche di speranza.
Il grigiore del cemento non si è fermato a coprire gli esili fili d'erba del giardino, ma ha soffocato le stanze della casa ed i loro abitanti.
Una storia triste, dai tratti crudi, orchestrata da un mano ferma che non concede sconti alle ipocrisie di certi ambienti sociali.
Lettura avvolgente senza spazi per prendere fiato; unica pecca una velocità eccessiva nella conclusione, quasi una mozzatura che lascia in sospensione con un pizzico di amaro in bocca.
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Mum
Il romanzo è attraversato da un filo psicologico dalle sfumature horror, avvolgente e mefitico, che la penna di McEwan regge magistralmente, tenendo sempre alta l'attenzione con una trama disseminata di “segni”, gesti e parole carichi, a ben guardare, di un germe patologico.
Già dalle prime, raggelanti battute si percepisce l'odio sommerso dell'adolescente Jack, il protagonista, nei confronti del padre, e il suo desiderio di vederlo morto, desiderio che verrà presto esaudito con modalità emblematiche (uno muore e l'altro, con le urgenze onanistiche della sua età, diventa “uomo”).
Arido ed ottuso, è proprio lui, il padre, la mela marcia, la causa prima dell'isolamento della famiglia che ha finito per ripiegarsi in se stessa trasformandosi in una cellula sociale impazzita.
Entriamo nella loro casa (genitori in conflitto e quattro figli), circondata da costruzioni in rovina e da uno squallido giardino, dove regna un'atmosfera malsana di violenza implosa.
Così sarà, infatti, pagina dopo pagina, a cominciare dall'attrazione amorosa di Jack per Julie, la sorella maggiore, che farà la sua parte nel torbido rituale di corteggiamento con civetterie sempre più esplicite.
Ad unire ancora di più i due, complice l'altra sorella, sarà il segreto della tumulazione fai-da-te in cantina di “Mum”, la madre malata che lancerà più accuse da morta che da viva.
Il decesso è accolto con abbracci intrisi di lacrime tra le sorelle e un certo ridacchiare sempre sinistramente presente nei momenti più drammatici, a sottolineare un'inquietante verità parallela.
All'indifferenza di Jack, che decide il da farsi pregustando un possibile ruolo di maschio-alfa, fanno da contrasto i suoi sogni impastati di paura e, forse, scrupolo, mentre la realtà perde sempre più consistenza e si vivacchia nell'inerzia di un'estate eccezionalmente calda.
Quando un giorno, in un sussulto di buonsenso, si decide di ripulire casa e di mettere sul fuoco uno stufato, la ritrovata, apparente normalità ha l'effetto di rendere il lettore partecipe del nuovo focolare, facendogli percepire tutta la portata ambigua dell'affetto che lega i quattro orfani e che sfocia, tra le altre cose, nelle attenzioni da brava mammina di Julie nei confronti del fratello di sei anni, bambino fragile fatto regredire allo stato di poppante.
La tavola apparecchiata per come si deve (“come se fossimo persone vere”), l'odore del cibo che comincia a confondersi con quello dolciastro della decomposizione del corpo occultato, le effusioni sempre meno fraterne tra Jack e Julie e l'entrata in scena del ragazzo di quest'ultima, che romperà i morbosi equilibri, sono pagine dense, avvincenti, imperdibili, forse la migliore prova di bravura dello scrittore britannico.
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Campo libero
Il senso del limite (cultura e civilizzazione) è connesso a un'abitudine di regole e codici morali condivisi, più o meno avvertito nella misura in cui si partecipa alla vita sociale. In un contesto di desolazione suburbana, fra rioni demoliti in attesa che vengano su nuovi grattacieli, quattro fratelli restano soli: prima muore il padre, per un infarto; poi la madre, che passa dal lutto a una malattia di giornate a letto e interminabili dormite con i farmaci sul comodino.
Questa agonia è una sorta di preparazione allo sbando completo che vivranno i figli: Julie, diciassette anni e naturale mamma vicaria; l'io-narrante Jack, torvo quindicenne devastato dall'acne; Sue, tredicenne cavia introversa della curiosità sessuale dei primi due; Tom, il più piccolo, già vittima di bullismo a scuola, che alterna il desiderio di travestirsi da ragazza a quello di tornare neonato accudito.
L'estinzione dell'autorità è campo libero: la macabra euforia per una simile conquista, inattesa, altera il sentimento dei ragazzi persino rispetto alla scomparsa dei genitori: la gerarchia tra fratelli è più blanda, talvolta si dissolve in aperta complicità, ambigue effusioni, "esperimenti" e sfoghi - come quando mamma e papà si assentavano e loro potevano giocare senza più regole. La fine del controllo è l'inizio di un graduale regresso, imbarbarimento che trascura l'igiene della casa, anarchia alimentare, nottambulismo.
Il decesso della madre, peraltro, coincide con lo scoppio di un'estate impietosa e con la chiusura delle scuole. L'incertezza, il timore che i servizi sociali intervengano, e che la casa finisca rasa al suolo, come inghiottita dalle macerie tutt'intorno, induce i ragazzi a nascondere il cadavere materno in un baule e a riempirlo di cemento.
Tutto il romanzo verte sui simbolismi psicologici - Jack sogna spesso una scatola di cui non osa verificare il contenuto; e gli impulsi a trasgredire la legge, già presenti quando il padre era in vita, dilagano. Julie e Sue assecondano Tom, ne fanno una grottesca bambola con tanto di parrucca; Jack è ogni giorno più geloso della sorella maggiore che, in modo più o meno esplicito, sembra incoraggiare il suo desiderio. L'isolamento degenera in una autarchia famigliare, in un volontario ritiro che soffoca angosciato e, al tempo stesso, si crogiola nella propria emarginazione. Lo sviluppo dell'adolescenza di Jack, tra brufoli e cattivi odori, va in parallelo con la putrefazione che spacca il cemento, apre una fessura nel sepolcro. Questo sogno maleodorante, percorso da ostilità, tensioni, erotismo, culmina nell'incesto, che segna anche il brutale ritorno alla realtà.
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Splendidamente torbido...
E adesso?
Come si fa a commentare questo romanzo?
L' unica cosa che ho voglia di fare è stare in silenzio, cercare di trattenere ancora per un po' dentro di me tutta la desolazione, il degrado, il dolore taciuto, il caldo soffocante, il cattivo odore...e cercare le mie risposte.
Che non ho.
Un libro difficilissimo. Claustrofobico. Crudo. Torbido.
Un libro che narra di quattro solitudini assolute, eppure inscindibili, incollate, fuse.
Forse, se dovessi cercare una parola che rappresenti il senso del tutto, sceglierei "decomposizione"...in senso ampio, letterale e metaforico.
Qui tutto si decompone, famiglia, corpi, sentimenti, realtà...tutto sembra perdere significato, anche la vita e la morte.
Ho ritrovato le stesse atmosfere cupe, morbose, afose, che mi avevano gia conquistato in "Cortesie per gli ospiti", ma se lì riesci in qualche modo a circoscrivere il male, il guasto, il marcio...qui fai fatica...
Sicuramente una lettura che ti rimane "appiccicata" addosso, proprio come il cattivo odore che non vuole andar via dalla pelle del protagonista.
Non è un libro per tutti, no.
Un romanzo che può disturbare, creare disgusto, che non giudica e non spiega niente, ma niente chiede...sta fermo lì a tormentarti, perché non puoi fare a meno di porti delle domande.
Ma io, alla fine, questo voglio dalla letteratura: cerco domande, non risposte...piano, lentamente, col tempo, quelle le troverò da sola.
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Ai confini della realtà
Devo confermare la stessa impressione che ho avuto leggendo 'Cortesie per gli ospiti': questi romanzi sembrano episodi di 'Ai confini della realtà', una serie televisiva di qualche anno fa caratterizzata da storie che nascono nel mondo reale, in un contesto del tutto normale e quotidiano, per poi subire un'evoluzione progressiva verso una condizione al limite della follia, dell'orrore.
E la similitudine è ancor più evidente considerando la brevità di questo romanzo: così come quegli episodi riuscivano a concentrare in 30 minuti la potenza espressiva di un intero film, così Mc Ewan in poco più di cento pagine riesce a condensare in modo mirabile una storia ai 'confini della decenza', depurandola da inutili fronzoli ed incanalando una sensazione di crescente depravazione e morbosità nei gesti quotidiani e nei dialoghi asciutti ma efficaci tra i protagonisti di questa torbida vicenda.
Ecco.. torbido è l'aggettivo giusto per definire questo romanzo, torbida come diventerebbe l'acqua di un acquario se da un giorno all'altro nessuno si prendesse più cura dei pesci all'interno.
Una famiglia, come tante altre, un padre, una madre e quattro figli: Tom, il più piccolo, Sue, Jack e Julie, la figlia maggiore ormai adolescente.
Ma già dalle prime pagine si percepisce qualcosa di strano, di anormale nei loro atteggiamenti.. sensazioni che l'autore lascia solo intuire, volutamente non dettaglia oltre, non approfondisce.. ed il mondo esterno fa solo da cornice, un panorama desolato e triste con edifici crollati, rovine disabitate quasi a preannunciare il destino di quella che sembra l'ultima famiglia superstite sulla faccia della terra.
La morte di entrambi i genitori per malattia è l'evento che trasforma l'esistenza dei quattro ragazzi rimasti orfani in un'inesorabile discesa verso l'abiezione, la perversione, il sudiciume fisico e morale.
Come quattro pesciolini abbandonati in un acquario.
E l'autore accresce questa sensazione creando un'atmosfera claustrofobica, fetida e nauseabonda che avvolge i protagonisti e la casa in cui vivono.
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Bella l'idea, meno tutto il resto.
Ne avevo sentito parlare tanto di questo libro, ma non avevo mai letto nulla di McEwan, così l’altra volta tra le offerte della libreria trovo questo libricino di 150 pagine e decido di acquistarlo. Beh, onestamente, non mi ha convinto per niente. Fin dalle prime pagine la storia (che trasuda tristezza da tutti i pori) sembra originale, e poi effettivamente andando avanti con la lettura quest’idea viene confermata, ma a mio avviso è sviluppata poco e male. Il romanzo parla della storia di 4 bambini che, a distanza di poco tempo, perdono per malattia sia il papà che la mamma, così per evitare di finirre in mano ai servizi sociali, decidono di nascondere il cadavere della mamma in un baule in cantina e di coprirlo con una colata di cemento. Subito dopo iniziano a vivere come una vera famiglia, con i due ragazzi più grandi (poco più che adolescenti) che fanno le veci della mamma e del papà, e i due fratellini più piccoli vengono invece trattati come dei figli da accudire. Finchè una terza persona, Derek, il neo fidanzato della “mamma” non arriverà a turbare la quiete familiare, e ad interrompere la sintonia “mamma”/sorella – “papà”/fratello che iniziava a farsi sempre più incestuosa. La storia, come già detto, è molto originale e intrigante, ma molti aspetti vengono toccati di sfuggita e non approfonditi (come ad esempio la chiusura in se stessa della sorella piccola e la voglia di diventare una bambina da parte del fratellino), e alla fine del libro lasciano un po’ l’amaro in bocca di quello che, magari con un po’ più di pagine poteva diventare un gran bel libro, ed invece resta un libro carino, ma nulla più. La scrittura è abbastanza lineare e fluida, i personaggi vengono descritti spesso in maniera cupa e triste, soprattutto quando il protagonista ci racconta dei suoi sogni. Diciamo che il soprannome che gli viene affibbiato di Ian “Macabre” (per via della scrittura cupa, appunto) non è campato in aria, e lo si deduce subito dopo poche pagine. In conclusione un libro che si legge, ma che onestamente almeno a me, non ha lasciato nulla.
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Pesantezza di cemento
Mi dispiace davvero dover ammettere che non consiglio questo libro. L'intento era buono, se ci affidiamo a quello che ci dice il retro copertina: "Ciò che mi colpisce di più è che tante cose terribili vengono commesse da persone che non sono affatto terribili", peccato che questa volta l'autore non sia riuscito a far arrivare al lettore i personaggi, che rimangono figurine grige e deformi. Ho avuto l'impressione di "soffrire" inutilmente, visto che la trama alla fine non mi ha lasciato niente, se non appunto, una brutta sensazione.
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Un romanzo sporco
L'approccio con questo libro è stato piuttosto blando. Non mi ha mai suscitato, nel corso della lettura sentimenti particolarmente spiccati: nè entusiasmo nè noia. E' un libro che scorre sulla scia della trama: lascia una sensazione di sporco, come una patina di grasso, come l'odore di cui si parla nel romanzo. Penso che sia un libro senza alcuna pretesa, e forse per questo alla fine mi ha lasciato più di quanto immaginassi, non tanto per l'originalità della trama, un noir senza sforzo, ma per l'ordinarietà dei personaggi che si dimostra essere tutt'altro che normale. Come dice l'autore nel retro-copertina di quest'edizione: "Ciò che mi colpisce di più è che tante cose terribili vengono commesse da persone che non sono affatto terribili".
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Terribile
Ammetto di non avere un ottimo rapporto con l'autore, credo di apprezzare pienamente solo due dei suoi libri, ma questo è veramente il peggiore.
La perversione e il sudiciume di questa breve storia ti rimangono attaccati addosso per troppo tempo.
Lo stile è troppo,esageratamente diretto con descrizione che in realtà nessuno vorrebbe veramente sentire,il tutto per raccontare cosa? Una storia che ha come unico scopo quello di farvi angosciare inutilmente!
La storia non è veramente nulla di che, insisto, se ci sono dei significati profondi e nascosti questi vengono nascosti dalle inutili perversioni descritte nel romanzo.
No proprio NO!
Non consiglio questo libro proprio a nessuno!
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Un giardino ai margini della città
"Il Giardino Di Cemento" è un breve racconto diviso in due parti (collegate tra di loro cronologicamente) dove viene narrato un breve ma intenso spaccato di vita del protagonista adolescente Jack. Lo stile di vita di Jack è particolare, il suo modo di affrontare la vita è apatico (se dovessi definire la lettura in una sola parola direi per l'appunto "apatica", ma non in maniera negativa) e menefreghista, la numerosa famiglia di Jack ha dei problemi (come le hanno tutte in fin dei conti), problemi difficili, problemi che finiranno tutti sulle sue spalle e su quelle delle sue due sorelle (una più grande di lui) e del piccolo Tom.
Ogni personalità è ben delineata e Ian McEwan si dimostra un abile scrittore, uno scrittore che a questo giro "bada al sodo" facendo intendere tutto fin da subito, usando un linguaggio semplice e fluente. "Il Giardino Di Cemento" è una storia scritta facile ma estremamente drammatica, una storia che getta ombre e luci sui rapporti più stretti tra fratelli e fratelli e figli e genitori. Caratteri ben definiti dunque, ma a svettare in maniera particolare è la psicologia del fratellino più piccolo, non è il personaggio principale ma i momenti che lo vedono protagonista sono quelli più esasperanti ed impegnativi.
Ad emergere è un clima claustrofobico generale, particolarmente fetido ed opprimente, la storia si evolve su continue vicissitudini precarie e ha un finale magari banale ma dall'effetto assicurato (perfetto esempio su come decidere quando è il momento per far calare il sipario e tranciare di netto la narrazione).
"Il Giardino Di Cemento" non è di certo da considerarsi come un capolavoro, però le particolari sensazioni che riesce a trasmettere si meritano una rapida e a suo modo follemente terapeutica lettura.
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