Fight Club
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Io che ero una così brava persona
Hai una vita soddisfacente, un lavoro rispettabile, un bell'appartamento arredato con mobili ricercati, una bella automobile, un frigo senza cibo ma ricco dei più sofisticati condimenti. Eppure senti che nella tua vita continua a mancare qualcosa e questa lacuna ti toglie il sonno. L'insonnia incessante ti mette in una condizione in cui non sei mai veramente addormentato ma, di contro, non sei mai completamente sveglio. Il medico ti dice che d'insonnia non è mai morto nessuno, che se vuoi vedere gente che sta veramente male dovresti andare al gruppo di sostegno per uomini operati di cancro ai testicoli, piuttosto che di malati di tubercolosi o di leucemia. Tu lo prendi in parola e ci vai e in effetti ne trai giovamento. Quei racconti, quel dolore, quelle lacrime, ti aiutano. Nel buio della sala, abbracciato ad uno sconosciuto, ti rendi conto che tutto ciò che hai fatto o farai non ti porterà a niente, che ciò che hai è solo inutile spazzatura, materia inerte che non riesce a riempire nessun vuoto. Quando rientri a casa non dormi ma ci sei molto vicino, è ciò che di più simile al sonno ti possa capitare. Poi arriva lei, Maria Singer, anche lei sana, anche lei imbrogliona, abusiva in questi gruppi di sostegno. Ricomincia l'insonnia, la sua presenza ti destabilizza. Poi arriva Tyler Durden. Per fortuna arriva Tyler Durden. Purtroppo arriva Tyler Durden. Tyler Durden, il proiezionista iscritto al sindacato, che infila fotogrammi pornografici nelle bobine dei film per famiglie. Il cameriere guerrigliero che condisce i raffinati cibi delle persone benestanti con urina, flautolenze, starnuti. Il produttore di saponette che usa come materia prima il grasso estratto dalle liposuzioni, rivendendo alle signore ricche ciò che hanno pagato per farsi togliere. È Tayler Durden che ti ospita nella sua casa sgangherata quando il tuo appartamento esplode. È lui che ti apre gli occhi, che fomenta il tuo odio di classe, che ti libera dall'inutile legame con i beni materiali, che ti aiuta a distruggerti per elevare il tuo spirito, che ti insegna a costruire una bomba con benzina, succo d'arancia e segatura. Tyler Durden è pieno di informazioni utili, molte delle cose che sai le conosci perché le conosce lui. È lui ad insegnarti che la risposta ai tuoi dubbi, alle tue insicurezze, alle tue domande non sta nell'automiglioramento ma nell'autodistruzione. Siete ormai culo e camicia. Insieme fondate il primo fight club. "Prima regola del fight club: non si parla mai del fight club. Seconda regola del fight club: non si parla mai del fight club. Terza regola del fight club: quando qualcuno dice basta o non reagisce più, anche se sta solo facendo finta, il combattimento è finito. Solo due per ogni combattimento. Un combattimento per volta. Si combatte senza camicia e senza scarpe. Il combattimento dura per il tempo che stabiliscono loro. Queste sono le altre regole del fight club". Uomini frustrati che si riuniscono nello scantinato di un bar per lottare. Ma non si lotta contro l'avversario che si ha di fronte. Si lotta contro il proprio lavoro, contro la società, contro un padre che ogni sei anni cambia famiglia ed apre una nuova filiale. Si lotta, soprattutto contro se stessi. Quando si entra nel fight club non si è più la stessa persona. Il mondo reale viene chiuso fuori. Non importa vincere. Non importa perdere. Sei vivo solo quando combatti. Continui a sentirti vivo solo quando passi la lingua sui tagli del tuo labbro, la mano sulle ferite del tuo volto, quando riesci a far dondolare i denti nella tua bocca, quando senti le tue nocche tutte indolenzite e screpolate. Quando neanche questo ti basta più, crei il tuo esercito di scimmie spaziali, crei il Comitato Scherzi, il Comitato Incendiario, il Progetto Caos. Semini il panico in città, destabilizzi, guasti. Vuoi bruciare il Louvre. Vuoi spaccare gli Elgin Marbles a colpi di martello. Vuoi pulirti il culo con la Gioconda. Ogni giorno ti avvicini di più al fondo, perché solo dopo aver toccato il fondo puoi essere redento, solo se precipiti completamente puoi essere salvato. Perché attirare l'attenzione di Dio per essere stato cattivo è sempre meglio che non fare male a nessuno e restargli del tutto indifferente. Allucinato come Burroughs, anticonformista come Miller, cupo come Celine, sprezzante come Bukowski, Chuk Palahniuk ci trascina con la forza di un vortice nella delirante deriva di un uomo comune alle prese con una quotidianità in cui il conformismo, la banalità, l'attaccamento ai beni materiali vengono percepiti come il rimedio al malessere interiore che ognuno di noi si porta dentro, essendone invece la causa. Privi della forza di riscattarci da soli dal nauseabondo olezzo della società in cui ci troviamo a sguazzare, cerchiamo tutti, chi più chi meno, chi in un modo chi nell'altro, il nostro Tyler Durden, quella figura capace di tirarci fuori dal senso di frustrazione, di disagio, di disadattamento che aumenta di giorno in giorno, l'alter ego capace di fare ciò che non abbiamo la forza di fare, dire ciò che non abbiamo il coraggio di dire, vivere quella vita che vorremmo vivere ma che non viviamo perché siamo intrappolati dai doveri, dalle convenzioni, dal desiderio di possedere inutili cianfrusaglie di cui non abbiamo alcun bisogno, perché ci sentiamo in dovere di essere delle così brave persone. “Tu non sei i soldi che hai in banca. Non sei il tuo lavoro. Non sei la tua famiglia e non sei quello che dici di essere a te stesso. Tu non sei il tuo nome. Tu non sei i tuoi problemi. Tu non sei la tua età. Tu non sei le tue speranze. Tu non sarai salvato. Tutti noi moriremo, un giorno o l'altro.”
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Tutti parlano del Fight Club
Dopo ben due anni mi sono approcciata nuovamente a Chuck Palahniuk con il suo romanzo d’esordio (nonché la sua opera più celebre), ossia “Fight Club”.
La trama viene illustrata in modo parecchio frammentario, con diversi salti sia in avanti sia in dietro nel tempo fra una scena e l’altra: il nostro anonimo protagonista soffre di insonnia e -su consiglio del suo medico- inizia a frequentare dei gruppi di ascolto per diverse patologie molto gravi, dove trova una valvola di sfogo alla propria situazione; la riacquistata serenità viene però distrutta dalla comparsa di Marla Singer che come lui partecipa a questi incontri senza essere realmente una malata terminale. È a questo punto che fa la sua comparsa il terzo protagonista della storia, l’enigmatico Tyler Durden con cui il protagonista fa presto amicizia, tanto che assieme fonderanno il Fight Club, circolo di lottatori clandestini che da il nome al romanzo.
A partire da questo incipit, prende il via una storia densa di eventi all’apparenza scollegati tra di loro ma che pian piano acquistano un senso, e portano il protagonista e Tyler a creare una sorta di squadra paramilitare determinata a scardinare ogni struttura sociale del passato.
Devo ammettere di non ricordare nel dettaglio tutti gli avvenimenti di “Invisible Monsters”, ma riconosco comunque la presenza di molti elementi in comune come il primo capitolo che anticipa quanto avverrà nell’epilogo o il personaggio principale che narra le vicende nascondendo volontariamente al lettore alcuni elementi della storia per poi stupirlo con rivelazioni inaspettate. Lo stile di Palahniuk continua però a non convincermi del tutto e lo trovo estremamente difficoltoso da leggere, se non si presta molta attenzione.
Il libro presenta una struttura molto cinematografica, che sicuramente ha determinato il successo del film, ma anche questa può creare un po’ di confusione nel lettore alla minima distrazione. Quindi nel complesso è un romanzo dagli spunti molto interessanti, ma probabilmente non è una lettura che appassionerà tutti.
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Sporco, scorretto, ma potente. Non per tutti.
Comincio facendo una premessa fondamentale: "Fight Club" non è un libro per tutti.
È quasi paradossale trovarsi a non sapere se consigliare o meno un libro che ci è piaciuto (mi capita spesso anche coi libri di Cormac McCarthy), ma proverò a scrivere una recensione che possa esservi d'aiuto a riguardo.
Cominciamo con lo specificare chi NON dovrebbe leggere Fight Club: chi è debole di stomaco o ipersensibile, sia riguardo ai contenuti sia riguardo al linguaggio, deve tenersene alla larga.
Per chi è indeciso (anche sulla propria sensibilità) ho un consiglio spassionato che normalmente non darei mai. Tuttavia, considerato che Fight Club è un'opera fuori dal comune, eccolo a voi: per capire se la lettura può piacervi o meno guardate prima il film tratto dal libro, un capolavoro di David Fincher che ha come protagonisti Brad Pitt ed Edward Norton; se riuscite a reggerlo e vi piace, allora tentate con la lettura altrimenti, come diceva Totò, "desisti". Credo che questo sia uno dei pochi casi in cui il film supera il libro, anche se quest'ultimo mi è comunque piaciuto.
Lo stile di Palahniuk secondo me è tra quelli che si riconoscono tra mille, e per quanto mi riguarda è un grosso punto a favore. A volte tende a ripetersi, ma è ovviamente una cosa voluta per dare risalto a determinati concetti o atteggiamenti. Si legge in maniera scorrevole nonostante le cose scritte spesso non siano facili da digerire.
Da come avrete capito, accostarsi a Palahniuk richiede quasi una preparazione psicologica; devo dire che nel mio caso l'approccio è stato positivo e leggerò dell'altro. Nel libro, inoltre, c'è un colpo di scena tra i più belli che ho mai incontrato (che però forse rende meglio nel film).
Ma di cosa parla Fight Club? Bella domanda. Partiamo dal parlare del protagonista: un uomo senza nome che soffre di forte stress e di insonnia, che frequenta gruppi di sostegno per malati terminali, pur non essendo un malato terminale. Lo fa perché è l'unica cosa che lo aiuta a dormire.
Ma la vera svolta arriva non tanto nell'incontro con la figura femminile del romanzo (Marla Singer), quanto con il controverso e anarchico Tyler Durden, uno dei personaggi meglio riusciti del panorama letterario e cinematografico, nel film interpretato da un Brad Pitt davvero all'apice. I due stringono un'amicizia e ben presto si trovano ad aprire il Fight Club, una sorta di circolo i cui partecipanti, per sfogare le ansie, le preoccupazioni e le insoddisfazioni della vita quotidiana si cimentano in combattimenti corpo a corpo senza esclusione di colpi. I membri del Fight Club aumentano di giorno in giorno, nonostante la prima regola e la seconda regola del Fight Club siano che non si deve MAI parlare del Fight Club. Ben presto tuttavia, non sarà difficile imbattersi in un cameriere, un tassista o un commesso che svolga il suo lavoro con un occhio pesto o la faccia lacerata dai tagli.
Ben presto, il Fight Club si evolverà in qualcosa di più spaventoso, un movimento anarchico nettamente contrapposto alla società consumistica moderna, che vuole annientarla per ricominciare da zero e che ha come unico capostipite il nostro caro Tyler Durden.
Cupo, scorretto, senza filtri, ma con un messaggio forte che, tuttavia, può essere o meno condivisibile.
"Poi sei intrappolato nel tuo bel nido e le cose che una volta possedevi, adesso possiedono te."
"È solo dopo che hai perso tutto, che sei libero di fare qualunque cosa."
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- no
“Che cos'è peggio, l'inferno o niente?”
"Voglio che mi tiri un cazzotto più forte che puoi”.
E' l'inizio di un'amicizia (se così vogliamo chiamarla senza spoilerare) e di una sorta di furia anarchica e autolesionista che si espande a macchia d'olio e tutto annienta per tutto ricostruire, fomentata da odio di classe, assenza di figure genitoriali, ingiustizie sociali, consumismo.
Colpisce il ritmo della narrazione, sonoro e rockeggiante, con frasi a cadenza martellante che trascinano il lettore quasi suo malgrado, e colpisce quel gusto per lo splatter tipico di Palahniuk, tra facce gonfie di botte e appagate, denti che saltano e sangue che sprizza catarticamente fuori nei momenti più improbabili, perché “forse l'automiglioramento non è la risposta... forse la risposta è l'autodistruzione”.
Toccare il fondo per risalire, attirare l'attenzione di Dio per essere puniti e salvati (“che cos'è peggio, l'inferno o niente?”) e nel frattempo pestare il prossimo tuo come te stesso, o meglio ancora, farsi pestare secondo regole prestabilite, in un combattimento dove alla fine senti che niente è risolto ma poco importa, perché niente conta.
Le ferite diventano stimmate laiche da sfoggiare con orgoglio, segni attraverso cui gli appartenenti al Fight Club si riconoscono strizzandosi a vicenda l’occhio tumefatto, mentre le pagine più cruente o demenziali sono talmente sopra le righe da sembrare quasi fumettistiche.
Il punto più alto del romanzo, che potrebbe persino costituire un racconto a sé, è il capitolo venti, asciutto (se si escludono le copiose lacrime di uno dei personaggi) e senza eccessi: solo una pistola contro la tempia pronta e sparare e uno scambio di battute - più vicino, in effetti, ad un monologo - che scuote ed emoziona.
Al lettore attento non sfuggirà che trattasi di nichilismo per molti versi moderato, dove la si butta in cagnara e si sbandiera la dissacrazione di concetti come bellezza e amore senza peraltro perderli mai di vista.
E’ uno spirito da figliol prodigo che scaglia la prima pietra e si crogiola nel peccato:
“Brucia il Louvre e pulisciti il culo con la Gioconda. Almeno così Dio saprà come ci chiamiamo”.
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Generazione X
“Non importa che se ne parli bene o male, purché se ne parli”. Pochi romanzi si accostano alla famosa affermazione di Oscar Wilde più di “Fight Club”. È quasi impossibile restare indifferenti di fronte ad una lettura così particolare. Il giudizio, sia esso positivo o negativo, passa in secondo piano, tale è la capacità di Palahniuk di incuriosire il lettore con un prodotto unico, apparentemente non accostabile ad alcun genere.
La storia ha come protagonista un anonimo trentenne. Nonostante disponga di un buon lavoro, è sfiduciato nei confronti del genere umano, oltre a soffrire di una tremenda insonnia che lo costringe a partecipare a numerosi gruppi di sostegno per malati terminali, dove trova un conforto che non riesce ad avere nella vita di tutti i giorni.
L’incontro con Tyler Durden cambia la sua vita dopo anni di torpore e passività. Il bizzarro personaggio si presenta come una sorta di guru, demolitore del moderno capitalismo e di una società votata ad un consumismo sfrenato, indotto e non necessario, a difesa della repressa classe media.
I due trovano conforto per se stessi e per molti altri uomini in incontri clandestini di lotta libera tenuti nei sotterranei di bar, cantine, garage, dove sfogare le proprie frustrazioni. Nasce il “Fight Club”, il primo passo di un surreale disegno più ampio che mira alla distruzione della società.
Il libro è un provocatorio simbolo della Generazione X che in chiave puramente concettuale, e per mezzo di molti stereotipi, mira a rappresentare i nati tra il 1965 e il 1980 come un gruppo di individui mediamente caratterizzati da uno scarso sentimento di appartenenza alla società e al valore delle istituzioni, e da un forte scetticismo verso un futuro percepito come vuoto.
Palahniuk utilizza un vocabolario nichilistico, sincopato, ossessivo. Indicative sono le continue ripetizioni di parole e concetti evidentemente volti a fissare un’immagine precisa nella mente del lettore, affascinato e allo stesso tempo smarrito nel continuo cambio di prospettiva della trama, dal momento che già dopo poche pagine si perdono il conto dei flashback e dei salti temporali ideati dall’autore.
Per quanto lo stile sia frammentato, la provocazione è precisa e cristallina. Un messaggio di critica nei confronti del consumismo, dell’arrivismo sfrenato della civiltà moderna, dell'omologazione, della pubblicità che diffonde modelli impossibili da seguire e da imitare, della massa che si lascia imbrigliare da una rete di menzogne. Ma è una provocazione che non risparmia critiche anche alla presunta ideologia sovversiva.
Pur riconoscendo l’indubbia originalità dei contenuti, del linguaggio e delle metafore disseminate per tutto il romanzo, “Fight Club” non mi ha propriamente turbato o sconvolto. Né tantomeno mi sono riconosciuto nel protagonista. Però mi ha senz’altro incuriosito. E vagamente pungolato. E non è poco.
Inizialmente il libro, datato 1996, ebbe scarso successo commerciale, ma divenne un oggetto di culto dopo l’omonimo e brillante film di David Fincher del 1999, con protagonisti Edward Norton e Brad Pitt.
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Un pezzo di carne sanguinolente... IL MIO.
Questo libro è una prostituta bruttissima e piena di malattie ma che ti sa dar piacere più di ogni altra.
Leggerlo quando avevo 25 anni è stato come essere preso, scuoiato e messo a nudo fino alle interiora.
Il mio io è stato sviscerato e messo in mostra in tutta la sua lucida mostruosità rossa.
La rabbia, la sensazione di totale impotenza di fronte ad una società che non ci rappresenta, ad una politica così inesistente, frustrati da una realtà così poco reale fatta di mobili IKEA di Idoli perfettamente impossibili, di ore spese in lavori che odiamo per comprarci puttanate che non ci servono... ....
La vita è un luogo pieno di orrori interiori e di amori rimossi e dimenticati.
La prosa è un coltello arrugginito con il filo finito e scheggiato orribilmente che ci apre la pelle lentamente partendo dall'inteno della gamba all'eltezza delle caviglie e piano piano taglia e lacera la nostra realtà fino allo strappo finale in cui tutta la nostra superficie viene rivoltata orribilmente nel finale inaspettato... Anche se sospettato in ogni pagina...
Trovo che sia difficile giudicare lucidamente questo libro, per cui ho aspettato questa sera in cui sono gravemente ubriaco per scrivere queste righe... Si capisce vero???
Io l'ho trovato semplicemente ILLUMINANTE. SPIAZZANTE. RIVOLUZIONANTE. ALLUCINANTE. GRANDIOSO. REALE. SI REALE. DURO? NO DOLCE MOLTO DOLCE.
Chuck Palahniuk è un amico che non ho mai conosciuto ma che troppe volte mi ha capito davvero troppo.
Troppe volte a scoperchiato le mie falsità ed i miei bluff.
Ho letto tutti i suoi libri ma questo è senza dubbio il suo vero capolavoro.
Non scrivo niente della trama o dei personaggi e parlo solo tramite metafore perchè non ho le capacità mentali per scrivere in parole la LUCE che questo libro porta.
Credo che per il bene di questa società nessun altro dovrebbe leggerlo... e quindi... Consiglio a tutti la sua lettura...
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Un normale psicopatico
È il primo romanzo che leggo di Palahniuk e devo dire che la sua metrica ed il suo linguaggio mi hanno molto affascinato, oltre alla trama del libro. Userei due parole per descrivere il metodo di scrittura Fight Club: tagliente e martellante. Con frasi corte, decise e scandite esclusivamente da punti l'autore trasforma l'ambiente in una frenesia continua ed inarrestabile, un caos indiretto che non può essere controllato.
Il personaggio che ad una prima vista non può sembrare altro che uno psicopatico schizofrenico, se lo si identifica fino in fondo, può diventare una persona comune che ha scovato i problemi che la società odierna ci palesa ogni istante nella quotidianità di tutti i giorni e cerca di risolverli poichè non crede sia giusto convivere con essi ( come credo che nessuno lo voglia). Quindi, estremizzando, Palahniuk ci fa capire quali sono le piaghe del nostro mondo è come cercare di superarle. La perfezione, il possesso, il potere, non so il punto di arrivo dell'essere umano anche se è questo che la società ci porta a credere, il Fight club aiuta così i suoi soci a diventare imperfetti a perdere qualsiasi così per poi rielevarsi e dare un valore allo spirito e non solo allo scatolone ornato di vestiti firmati che lo contiene. È questo il concetto che più mi è piaciuto leggendo questo libro che va un po' oltre la trama e il tipo di lessico usato dell'autore. Un altro spunto affascinante è sicuramente il valore dato al dolore, sicuramente diverso dal comune punto di vista.
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istigazione a delinquere
Scritto superbamente e ricco di vocaboli insoliti, è un piacere leggere questo autore, ma dubito che leggerò dell'altro. E non tanto per la volgarità o le schifezze che sa descrivere benissimo, ma per la violenza nuda e cruda esaltata all'estremo.
La trama è centrata su un tizio psicopatico che soffre d'insonnia e sfoga tutto il proprio malessere attraverso la violenza e il male fisico istigando altre persone che piano piano lo vedono come punto di riferimento assumendo le sue regole come un nuovo comandamento. Quando finalmente si rende conto di cosa è capace nei momenti di trance è ormai troppo tardi, innescando un giro di violenza che richiama violenza. Vorrebbe tornare indietro, ma spetta agli altri rimediare al male che ha fatto, lui non ne sarà mai in grado.
E' un libro molto forte, lo potrei anche definire un'istigazione a delinquere.
Spero non lo leggeranno mai persone che già inclini a stile di vita violento poiché potrebbero prenderne molti nuovi spunti.
Però....Non ho mai trovato una definizione migliore: la scriminatura al centro dei capelli è una folgore storta di cute bianca....Grande!
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Tyler, Tyler...
Non ho mai amato David Fincher ma confesso che è riuscito a trarre un bel film dal romanzo di Chuck Palahniuk. Il romanzo è stupendo. Ironico, pungente, doloroso, liberatorio. Le regole, lo sdoppiamento, il sapone... Il sonno, la veglia. Il combattimento. Un ritorno ad un "primitivismo" dell'essere umano (chi ha letto alcuni libri di Ballard sa che Palahniuk ne prende a piene mani), l'autolesismo rituale (di natura non psicanalitica o depressiva) portano il lettore tra ironia e crudeltà verso una nuova consapevolezza, lo costringono a chiudere il catalogo ikea, lasciare la macchina in garage e andare in mezzo ai campi ad urlare e reclamare la propria esistenza. Tyler nuovo messia, figura ricorrente nei libri di Palahniuk, Marla psicotica e ipocondriaca, figlia della nostra società, sono personaggi crudelmente e fedelmente reali, impossibile non rimanerne affascinati e coinvolti. A mio avviso il capitolo finale (che è bene precisare non è presente nel film) è un vero capolavoro.
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Fight Club - Commento di Bruno Elpis
Dal romanzo David Fincher ha tratto un film di grande successo. Molti critici hanno salutato Palahniuk come campione di sperimentalismo e di innovazione letteraria. Io ho letto questo romanzo con un enorme senso di inquietudine. E di ansia.
Tyler Durden è il messia nichilista che ha inventato il Fight Club. “… Fa il cameriere di banchetti, serve ai tavoli di un albergo … e fa il proiezionista …”
Da bravo nichilista, Tyler sabota i film perché li proietta “con sparsi qua e là singoli fotogrammi di pornografia”.
Sempre da bravo nichilista, anche gli altri lavori li svolge in modo sovversivo: “Cameriere in preda al rimorso ammette di aver contaminato pietanze”. Per realizzare “la nouvelle cuisine dell’anarchia”?
L’inventiva del messia del nulla si realizza in un’iniziativa violenta: la realizzazione dei fight club.
“Dopo che sei stato al fight club, guardare football in tv è come guardare pornografia quando potresti fare ottimo sesso di persona”.
“E il combattimento va avanti perché io voglio essere morto. Perché solo nella morte abbiamo un nome. Solo nella morte non facciamo più parte del Progetto Caos”.
Difficile capire se i fight club siano una valvola di sfogo o qualcos’altro. Certo è che lo strazio comincia con la partecipazione ai gruppi di sostegno ove “dare un’occhiata a come tirano avanti i malati di cancro” e ove “tutti sorridono con quell’invisibile pistola puntata alla testa”.
A parer mio, due sono gli spunti interessanti che il romanzo offre.
Il primo è il disagio che si respira. In ogni pagina. Perfino in ogni parola.
“Niente è statico. Tutto va a pezzi”.
“Questo era lo scopo del Progetto caos … la completa e immediata distruzione della civiltà”.
“Noi siamo i figli di mezzo della storia, cresciuti dalla televisione a credere che un giorno saremo milionari e divi del cinema e rockstar, ma non andrà così”.
Il secondo è una trovata nella dialettica tra narratore e Tyler. Una trovata che lascia un dubbio nel lettore e lo spiazza: “Questo è un sogno, Tyler è un proiezionista. E’ un disturbo dissociativo della personalità. Uno stato psicogeno di fuga. Tyler Durden è la mia allucinazione”.
Tra frasi tormentone, declinazioni violente e squarci allucinati, la mia mente è corsa più volte al filosofo del nichilismo. Chissà se Nietzsche si sta rivoltando nella tomba.
Bruno Elpis
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Una generazione di uomini cresciuti dalle donne
Premessa: ho visto prima il film e poi ho letto il libro.
Purtroppo è forte ed evidente come il film sia molto più bello del libro che non può con le sue 224 pagine spingersi oltre a quei confini illimitati di una visione con un'ottima scenografia e prestazione di Pitt e Norton.
Ritornando al libro
Palahniuk si affaccia al pubblico ed usa un tema forte degli anni 90' : il contrasto con la società e il forte senso di rabbia repressa derivante alla caduta del forte ottimismo dominante dalle rivolte sociali degli anni 80. Ora (ovvero negli anni 90) c'è l'uomo che apparentemente ha tutto ma che in realtà sente l'esigenza di qualcosa non visibile ai suoi occhi ma che necessita la sua anima: la sensazione di far parte di qualcosa e di liberarsi dal semplice numero di matricola che tutti considerano.. in poche parole cercar di spingersi oltre quei limiti in cui in passato è stato facile trovarsi un cartello su cui scritto: "Questo non si fa!" (Siamo una generazione di uomini cresciuti dalle donne)
C'è l'idea, c'è la rabbia, c'è la volontà manca la scintilla, quella scintilla che porta alla lotta sociale, lotta contro se stessi, conto i conflitti interiori, lotta contro l'altro sesso, lotta fisica, lotta esistenziale, lotta contro le multinazionali e il capitalismo, ... la lotta che si concretizza nel Fight Club che non è niente altro che il caos della mente e dell' esistenzialismo umano: costruire per poi distruggere.
E' facile far breccia sul pubblico con queste idee, quello che è difficile amalgamare il tutto e Palahniuk è riuscito nel suo intento.
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In paradiso si dorme
"Quando stai per morire la gente ti ascolta invece di aspettare il suo turno per parlare. E quando qualcuno ti parla, non ti sta cacciando balle. Quando chiacchierate, costruite qualcosa e dopo siete tutt'e due diversi da prima".
"Una mattina galleggia nel water la medusa morta di un preservativo usato. E' così che Tyler conosce Maria. Mi alzo per andare a pisciare e lì contro quella sorta di affreschi preistorici di sudiciume nella tazza del water lo trovi. Ti viene da chiederti che cosa pensa lo sperma. Questa?
Questa sarebbe la cavità vaginale?? che succede quì?"
"Noi non abbiamo una grande guerra nella nostra generazione, o una grande depressione, e invece sì, abbiamo una grande guerra dello spirito. Abbiamo una grande rivoluzione contro la cultura. La grande depressione è quella delle nostre vite. Abbiamo una depressione spirituale."
"maria: non è amore o niente del genere, ma credo di volerti bene anch'io.
Un minuto.
Maria vuole bene a Tyler.
maria: No, voglio bene a te, so la differenza."
Ognuna di queste citazioni rappresenta una diversa anima di questo testo.
Pazzia, senso della realtà, violenza, amore, sesso, crimine, omicidi, disgusto, ognuno di queste cose viene rappresentata in Fight Club con uno stile compositivo veramente originale, non sempre scorrevole, ma son dettagli, di fondo, è lo stile giusto per questa storia.
Il lettore viene immerso nella realtà sociale, in diverse versioni della realtà in effetti, tutte lette secondo prospettive diverse ma con un unico denominatore comune che esplode verso la fine del testo, i sentimenti per una persona molto importante. La lettura è consigliatissima, non è un testo per deboli di stomaco, alcune parti possono risultare disgustose.
Per chi è interessato ad affrontarlo, non consiglio di continuare a leggere la mia recensione, in quanto farò un'analisi personale del contenuto svelandone alcune parti che il lettore farebbe bene a scoprire da solo durante la lettura.
Palahniuk rappresenta le due personalità (personalità duale o doppia personalità) differenti del protagonista che possono anche essere ricondotte al nostro essere conscio e subconscio.
Infatti una opera di giorno e l'altra di notte.
Il subconscio non lo vediamo mai quando vorremmo e solo lui conosce la verità sul nostro io, viaggia in mondi che noi non possiamo controllare e se per caso ce ne ricordiamo, ci sembra veramente di essere stati lì. Ma questo avviene solo dopo, quando ci siamo risvegliati.
L'autore si concentra sulla superficialità di ciò che la società fa di noi, ovvero, dei consumatori:
"le cose che possiedi, alla fine ti possiedono"
Ed è vero, lo abbiamo sempre saputo, ma non ce ne rendiamo mai veramente conto.
C'è chi cura particolarmente la sua moto, la sua auto, chi impazzisce per un profumo particolare o dei gioielli particolari, una casa super accessoriata o altre cose. Che valore hanno veramente? Nessuno!
E la convizione di ciò la realizzi nel momento in cui hai perduto tutto ed hai toccato veramente il fondo.
E' quì che entra in gioco Maria, l'artefice di tutta la storia, una donna naturalmente, come poteva essere diversamente?
L'unico essere in grado di generare caos nella mente di un uomo. E' un suo diritto innegabile.
Gli affetti sono il vero valore per cui vale la pena toccare il fondo, l'affetto per una persona a cui vuoi bene, non il bene che si vuole ad un amico, parlo di quella forma di bene che vuoi solo ad una persona e di cui ne sei geloso. Il protagonista, che nella storia non rivela mai il suo vero nome, è geloso di Tyler Durden la sua seconda personalità, perchè convinto che è solo Tyler ad aver conquistato il cuore di Maria, anche dopo aver scoperto che Tyler è solo un frutto distruttivo della sua insonnia.
E' interessante come tutta questa montatura di come riuscire in qualche modo a toccare il fondo in se stessi, sia la via corretta per il protagonista di scoprire che ama Maria. Nonostante ci sia riuscito, non lo ammetterà mai, nè lui, nè lei, è quasi un offesa alla dignità, uno scoprirsi di lati deboli.
Come toccare il fondo, ecco la nascita del FightClub!
Consiste in una serie di combattimenti svolti uno per volta a mani nude dove ogni partecipante si spoglia del proprio ruolo sociale e lascia che sia l'istinto alla violenza a predominare. Una volta al tappeto si realizza di aver toccato un fondo e rialzarsi ti farà sentir meglio oltre che vedere la realtà sotto un altro punto di vista.
buona lettura!!!
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Combattere, combattere, combattere!
“Questa è la tua vita e va finendo un minuto alla volta”.
Palahniuk centellina frasi del genere praticamente in ogni pagina del libro. Ed è questa la filosofia di vita dei protagonisti: il carpe diem latino in confronto non è niente. Lottare, farsi del male, gustare il sapore del sangue, è questo che serve per arrivare in basso. Non per soldi (“Non tutto ha a che fare con i soldi”), non per gloria o fama, ma per la salvezza dell’anima: l’unico scopo del fare del male e farsi fare male è quello di toccare il fondo per poi riemergere vittoriosamente. Un appunto va fatto senza dubbio su uno dei personaggi più riusciti, Maria, la femme fatale della situazione; autodistruttiva, caparbia e allo stesso tempo dolce, supplichevole e fragile ma testarda: una donna sicuramente a tutto tondo.
Probabilmente Palahniuk ha inaugurato un nuovo stile di scrittura, la cui definizione migliore credo sia “suburbana”: ripetizioni, frasi brevi ma dure come pugni, filosofia psicanalizzata e ambienti lugubremente “pulp”.
Ma c’è qualcosa di inquietante in questo libro, qualcosa che non è la violenza, lo stile a tratti claustrofobico o il meschino sdoppiamento di personalità, no: è qualcosa di più grande, qualcosa di cui non riesco a trovare traccia. In ogni caso è un libro che consiglio di leggere.
Un’esperienza da fare.
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Carta vetrata e fight club....uguale!
"Contenuti pulp e crudi"...questo l’ho capito!
“La prima regola del fight club è che non si parla del fight club” ed anche la seconda regola è uguale… ed anche questa l’ho capita!.
“Gente che conosco, che una volta andava a sedersi in bagno con una rivista pornografica, adesso va a sedersi in bagno con un catalogo dell’Ikea”….mh divertente
“Volevo respirare scarichi”
“volevamo liberare il mondo dalla storia”
“La prima regola del Progetto Caos è che non si fanno domande sul Progetto Caos”…..non l’ho capita proprio ….ed anche l’altra frase…no…meglio che fermi a queste!
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Il mio nome è Tyler Durden
Con in bocca la canna della pistola impugnata da Tyler Durden, prima che l’esplosione tra dieci minuti butterà giù il Parker-Morris Building e tutti i suoi centonovantuno piani.
E’ così che si ritrova l’anonimo protagonista, mentre inizia a raccontare la sua storia, quella di Tyler, quella di Marla e dei Fight Club, e delle scimmie spaziali del Comitato Scherzi del Progetto Caos.
La voce narrante è quella di un impiegato, di cui non conosciamo il nome, insoddisfatto e sempre più a disagio in una società anaffettiva e spietata. Insonne e disperato cerca rifugio nei gruppi di supporto, spacciandosi come malato terminale di cancro. L’incontro casuale con Tyler, cameriere e proiezionista notturno, ma anche esperto in armi ed esplosivi fatti in casa, è per entrambi una rivelazione. Tyler, fino a quel momento sabotatore di pellicole e creme al pomodoro, costituisce il primo Fight Club.
Il Fight Club è violenza circoscritta, che si realizza in club esclusivi e anonimi, ma nello stesso tempo crudele e liberatoria. Violenza che catalizza però energia sempre più nichilista ed autodistruttiva.
Neanche la presenza, apparentemente consolatoria di Marla, imbucata in uno dei gruppi di supporto frequentato dall’anonimo, e presto vertice di un triangolo amoroso, basta per fermare la corsa. Con i proventi ottenuti dal sapone fatto in casa (credetemi prepararlo è molto più semplice di come s'immagini), Tyler e l’anonimo narratore arrivano presto al passo successivo: il reclutamento delle scimmie spaziali per il Progetto Caos.
Scritto con uno stile superbo, che rimanda immediatamente ai grandi scrittori statunitensi del dopoguerra (e ci metto pure Brett Easton Ellis), Fight Club ti bombarda con l’ossessività delle sue parole, mentre ti spiazza con frasi esplosive ed urticanti. Eleggendosi a libro seminale ed anticipatorio nella sua acuta e amara riflessione sul non significato della vita e sulle paure della società postmoderna, alle soglie del nuovo millennio e qualche anno prima dell’attentato alle torri gemelle.
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Prima regola
Bisogna portare pazienza, e arrivare fino alla fine. E' li che si rivela per quel che è: un libro complesso, letterariamente affascinante, pluritematico: l’insofferenza verso il mondo contemporaneo, l’inadattabilità e le spinte eversive, l’amore che distrugge e salva, il tema del doppio. Tutto “bollito e schiumato” in uno stile febbricitante e alienato.
Il fight club è oltrepassare i limiti del dolore come catarsi. Purificazione.
Ma questo è solo il primo livello di consapevolezza a cui giunge il protagonista.
Distruggere tutto, anche se stessi,per rigenerare il mondo.
“Distruggeremo la civiltà per poter cavare qualcosa di meglio dal mondo”.
Il secondo è la consapevolezza del limite.
Lo scopo del Progetto Caos è la completa e immediata distruzione della civiltà.
Che cosa viene dopo nel Progetto Caos nessuno lo sa salvo Tyler. La seconda regola è che non si fanno domande.
I seguaci di Tyler sono scimmie spaziali. Non fanno domande e obbediscono.
L’alter ego di Tyler viola la regola. Domanda, chiede. Parla del fight club. Lascia le tracce nella fotocopiatrice dell’ufficio.
La terza consapevolezza è quella dell’umanità che salva e viene salvata, attraverso ciò che si ama.
E, nello specifico, è Marla.. La voce narrante incontra Marla e poi Tyler. Marla non ha la vita perfetta come quella della voce narrante. Marla è il disordine che genera Tyler.
"Io voglio Tyler. Tyler vuole Marla. Marla vuole me. Io non voglio Marla e Tyler non mi vuole per le palle, non più. … Senza Marla, Tyler non avrebbe niente."
L’alter ego di Tyler deve uccidere Tyler perché deve proteggere Marla. Deve salvarla.
“Dico che no, non so dirle che cosa deve succedere. E spingo l’uno, i due, i tre molari nella terra e i capelli e lo sterco e il sangue e le ossa per non lasciarli vedere a Marla”.
Così come Tyler deve far toccare il fondo alla voce narrante per salvarlo dal conformismo e lasciarlo amare Marla.
“Quel vecchio detto secondo cui uccidi sempre ciò che ami, oh bè, funziona in un senso e nell’altro”.
E, ovviamente, coloro che si soffermano sul carattere militaresco del fight club, che esiste nella testa e non nella realtà del protagonista, possono appropriarsi dei modi e dei simboli dello squadrismo anarcoide o di destra. Ma è cogliere solo l’olio galleggiare sulla superficie dell’acqua e non spingere la testa sotto.
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Prima regola del Fight Club:mai parlare del Fight
un libro che colpisce come un pugno dritto in faccia. ..Cattivo, delirante, un vero cult generazionale.Una critica alla società di oggi, dove per sentirsi vivi bisogna colpire ,essre colpiti,dove l'unico modo per ribellarsi al mal di vivere è andare alle riunioni dei malati terminali anche se non si ha nulla...anarchia... e Tyler Durden è l'anima del malessere che ci attanaglia tutti. Chi non vorrebbe ribellarsi alle imposizioni della società civile? Ma non si può, e l'unica soluzione è organizzarsi in maniera segreta, in umidi e bui scantinati.. e picchiare e incassare e sputare sangue e denti rotti.Memorabile la scena del furto di grasso delle liposuzioni per fare le saponette marchiate Fight Club.
Per chi non ha visto il film, colpo finale che lascia a bocca aperta.
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contorto e affascinante
dopo aver visto il film capolavoro di fincher mi sono apprestata a leggere il libro di palahniuk.
stile inconfondibile dell'autore americano
storia ai limiti dell'assurdo, da brividi, con aspetti grotteschi che allo stesso tempo però ti fanno riflettere sull'uomo nei nostri giorni.
un impiegato qualunque, con una vita qualunque che vedrà se stesso e la sua vita cambiare radicalmente
e sfido che leggendo questo libro, a nessuno di voi sia venuta voglia di trasformarsi in tyler durden e spaccare il mondo e la sua civiltà ipocrita.
c'è da dire che chuck palahniuk confonde e incasina ulteriormente, una storia già di per sè sconvolgente
da leggere!
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Meglio il film...
Consiglio vivamente di vedere il film (che è uno dei miei preferiti!) e faccio i miei complimenti al regista David Fincher e allo sceneggiatore che sono riusciti a ricavare un film così ben fatto da un romanzo così confusionario.
Colpita come da un pugno nello stomaco dal film, decisi di leggere anche il libro... per rimanerne profondamente delusa! Sicuramente le idee di Palahniuk sono grandiose, ma a parer mio mal realizzate. Si fa veramente fatica a seguire il concatenarsi degli eventi e i personaggi sono troppo sfuggenti e poco caratterizzati.. non lo consiglio.
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