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Vorrei ma non posso
Dopo tante opinioni positive lette su questo lavoro di Emmanuel Carrère, finalmente mi decido di provare anche io la prosa di questo autore francese contemporaneo. Fortunatamente è stato un incontro breve e probabilmente l'unico.
Una cosa che mi infastidisce in uno scrittore è la sua presunzione dichiarata, il suo narcisismo e quando esso è anche immotivato e i nobili intenti vengono meno, allora il fastidio si trasforma in una pessima opinione. E' questo che mi è capitato con Carrère. Da lettore ti senti un po' anche preso in giro. Dopo una bella introduzione in cui l'autore, dichiara senza mezzi termini che il suo intento non è quello di analizzare i fatti che hanno portato alla tragedia familiare in cui Jean-Claude Romand stermina la sua famiglia, quello essendo il compito delle indagini e che usciranno inevitabilmente fuori, ma il suo vero intento, da scrittore, è quello di inseguire i pensieri dell'assassino durante questo periodo, di calarsi nella sua mente mentre errava in questa sua vita di menzogne e inseguilo nella sua solitudine, contando anche (e soprattutto) sull'aiuto di Romand stesso, il lettore si aspetta una determinata piega del discorso. Il risultato è piuttosto deludente: il libro è un mero riepilogo dei fatti, un assistere al suo processo in aula e dove lo spazio dedicato all'introspezione è totalmente assente, sostituito solo da domande sciocche, da bar, che non portano a nulla, nemmeno alla riflessione. A questo punto mi chiedo: perché questo libro? Che senso ha visto che l'autore manca l'ambizioso intento? Probabilmente ha giovato solo a Jean-Claude Romand e alle tasche di Carrère, tant'è che Catherine Erhel, giornalista, gli da a Emmanuel Carrère dell'"imbecille" (sue testuali parole) per scrivere una storia simile:
"Chissà com'è contento che tu scriva un libro su di lui. Non ha sognato altro per tutta la vita. In fondo ha fatto bene a uccidere la sua famiglia, finalmente tutti i suoi desideri si realizzano. La gente parla di lui, appare in televisione, uscirà la sua biografia, e per la pratica di canonizzazione è sulla buona strada. E' quel che si dice venirne fuori alla grande. Percorso netto. Tanto di cappello."
Quindi non riuscendo a capire il perché e nemmeno l'utilità di questo libro né a livello letterale in quanto non ha uno stile particolare e la prosa è semplice, e nemmeno a livello psicologico del personaggio perché privo di introspezione, nel complesso per me è stata una esperienza deludente. Probabilmente nel suo narcisismo avrà voluto descrivere un Humbert Humbert o un Raskolnikov ma il suo Avversario è solo un lungo articolo di cronaca nera.
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