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Allucinante realtà tra morte e rovine
Frastornato! Sì, è proprio questa la sensazione che ho avuto durante la lettura ed è rimasta anche alla fine del romanzo; nello stesso tempo ho acquisito notevole consapevolezza su ciò, anche se in maniera remota, potrebbe realmente accadere al nostro mondo. La narrazione è del genere post-apocalittico; due persone, padre e figlio i cui nomi non è dato sapere, camminano lungo un percorso fatto di estremo degrado ambientale, scheletri di città, rovine e morte. Altre persone, molto poche, sopravvissute a una catastrofe termo-nucleare, si aggirano tra la cenere, la nebbia, una natura composta di alberi abbattuti, secchi, anneriti, campi che non producono nulla, strade, sentieri e abitazioni invase da ciò che rimane dopo una distruzione collettiva che, oltre a generare morte, ha cambiato drasticamente la civiltà fino a una immane regressione che ha trasformato i superstiti in fantasmi senza meta, alla ricerca di cibo e di riparo necessari alla sopravvivenza.
Tutto ciò che l’uomo ha costruito negli scorsi millenni, non esiste più; la tecnologia, che ha tanto contribuito al benessere della società, è ormai ridotta a sterili detriti di ferro arrugginito, di chiazze scure a macchia di leopardo, di spunzoni di materiale vario che si ergono verso un cielo plumbeo a similitudine delle dita di innumerevoli mani che cercano un aiuto da qualche superiore entità che non esiste più. I colori sono spettrali e si fondono in un atipico alone di foschia.
In questo cammino di profonda desolazione, padre e figlio cercano di raggiungere una meta che possa dar loro l’esile di speranza di poter ricominciare anche partendo da un nuovo stato primitivo, preistorico; ma devono affrontare l’orrore e le miserie cui gli altri esseri rimasti sono impregnati a causa di una sub-umanità che ha connotazioni più basse e terribili di un animale senza freni inibitori per i quali l’arcano cervello rettiliano ha preso totale possesso.
Il romanzo segue queste grandi linee in un allucinante lotta per la sopravvivenza in luoghi dove la vita ha cessato la sua attività ed è stata sostituita da un vuoto lacerante.
La riflessione è la seguente: ci vuole più coraggio a farla finita con il suicidio oppure continuare a nutrire un barlume di speranza che va conquistato ora dopo ora in situazioni di estrema difficoltà e barbarie?
L’epilogo è un connubio tra una forte tristezza e la possibilità, ancorché teorica, di provare a ricostruire cominciando dall’età della pietra.
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Commenti
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Libri dalla tematica fortissima e aimè molto attuale.
La speranza è sempre l'ultima a morire e io voglio crederci...ma associata ad un gran sentimento come l' amore autentico può sfociare in bene...altrimenti...chi vivrà...vedrà!
Sempre un piacere leggerti.
Pia
Ferruccio
Ferruccio
Ferruccio, mi ha fatto piacere sentirti dire "ciò, anche in maniera remota, potrebbe accadere al nostro mondo". Ho scritto la medesima cosa nel mio commento a questo libro e sono convinto che indurre questa sensazione in chi legge è il vero colpo di bravura di quest'opera di McCarthy: è riuscito a convincere della possibilità di una cosa infinitamente lontana.
Sulla valutazione di piacevolezza a un libro del genere, credo che tutto dipenda da come si intenda questo parametro: se la piacevolezza vale quale capacità di emozionare, allora un libro come questo può prendere il massimo; se invece vale quale capacità di emozionare in positivo, allora "La strada", "Arancia meccanica" (per citare un altro libro recensito da poco), "Lolita" e tanti altri libri famosi non potranno mai ambire al voto massimo. Io, personalmente, propendo per la prima tesi: non a caso ho attribuito a "La strada" un cinque pieno.
Pia, apprezzo moltissimo il tuo accostamento a "Cecità". Sono del tutto d'accordo: i due libri hanno in comune il fatto di colpire durissimo.
Ferruccio
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Complimenti Ferruccio!
Federica