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Il treno
 
Il treno 2008-02-18 05:26:26 vitosantoro
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4.8
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
5.0
vitosantoro Opinione inserita da vitosantoro    18 Febbraio, 2008
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il romanzo della zona grigia

Nella sterminata produzione di Georges Simenon - oltre 400 titoli - Il treno, scritto nell’arco di pochi giorni, dal 18 al 25 marzo del 1961, secondo i consueti ritmi frenetici dello scrittore belga, ora riproposto da Adelphi, che lo riporta nelle librerie italiane dopo una lunghissima assenza (risale infatti, al 1966 la precedente edizione mondadoriana), è l’unico libro - insieme al giallo Il clan degli Ostendesi - a raccontare una vicenda completamente calata nello scenario della Seconda Guerra mondiale. Furono dunque, necessari più di venti anni al creatore di Maigret, accusato di collaborazionismo e responsabile nel 1940 di un campo profughi a La Rochelle, per fissare sulla pagina i suoi ricordi di guerra, argomento per lui «terribile e magnifico».
La vicenda è ambientata proprio nel maggio ’40. Il treno del titolo è un lungo convoglio che trasporta profughi attraverso la Francia, dalle Ardenne evacuate davanti all’avanzare implacabile delle armate tedesche fino a La Rochelle: i vecchi, le donne incinte, i bambini piccoli e malati nelle carrozze viaggiatori, tutti gi altri in quelle destinate al trasporto del bestiame. Tra gli sfollati troviamo Marcel Féron, piccolo commerciante di apparecchi radiofonici di Fermay, uomo senza qualità, pesantemente miope e dalla salute cagionevole. Una gioventù la sua, trascorsa - negli anni della Grande Guerra - in sanatorio a causa della tubercolosi e segnata dal trauma familiare rappresentato dal ritorno a casa una sera della madre, nuda e con i capelli rapati a zero, punizione destinata alle donne collaborazioniste.
L’uomo è serenamente sposato con Jeanne, che sta per dargli un altro figlio, dopo la piccola Sophie. Serenamente ma non si sa a che punto felicemente sposato, perché quella di Marcel è un’esistenza mediocre, totalmente priva di sussulti.
Questo tran tran quotidiano è travolto dalla guerra che lo strappa dalla sua casa e dalle sue abitudini e lo costringe a compiere un vero e proprio salto nel vuoto.
Separato dalla moglie e dalla figlia, Marcel incontra nel treno Anna, una ebrea praghese, dal passato misterioso e segnato dal carcere, da cui è appena uscita. Nel corso del lungo viaggio - caratterizzato dalle mitragliate degli aerei tedeschi, da soste dalla durata imprecisata fino alla definitiva sistemazione nel campo di raccolta - i due iniziano ad attrarsi l’uno all’altra sempre più fino a diventare inseparabili e ad amarsi di una passione tanto irresistibile quanto destinata fin dal principio alla caducità, all’essere senza futuro: «Né passato, né avvenire. Solo un fragile presente, che dirovamo e assaporavamo al tempo stesso»; «Non ci pensavo mai, non solo perché mi rifiutavo di pensarci, ma perché non mi veniva in mente: la nostra vita in comune non aveva futuro».
È una vitalità disperata, una furiosa smania di sesso quella che la guerra offre a Marcel e ad Anna, nonché ai numerosi uomini e alle numerose donne stipate nel tendone da circo del campo. Una vitalità disperata che, tuttavia, non investe la sfera ideale, che non determina alcuna presa di coscienza politica, che non ha alcuna proiezione nel futuro, cristallizzata com'è in una sorta di eterno presente.
Non a caso, dopo l’armistizio con i tedeschi firmato dal governo Pétain, la vita riprende subito normale in tutto tranne che «per la presenza dei tedeschi e per l’approvigionamento di viveri che diventava sempre più difficile». Marcel ritrova la moglie, che nel frattempo ha partorito Jean François, e la figlia, perse nello sfollamento, «quasi deluso che tutto si sistemasse così facilmente» e torna alla sua grigia esistenza. Così, anni dopo, non gli resta che scrivere un memoriale per lasciare al figlio una immagine diversa di sé, quella di un uomo che «per alcune settimane è stato capace di provare una passione». Passione che si è presto consumata con la stabilizzazione dell’occupazione tedesca, il ritorno alla routine quotidiana e alla tutela del proprio particulare. «Ripresi la mia vita dal punto in cui l’avevo lasciata, com’era destino, perché non avevo mai pensato che ce ne potesse essere un altro».
Ne è prova il fatto che Marcel non darà alcun aiuto ad Anna, mentre scappa da una retata della Gestapo, scortando da partigiana un pilota inglese, e si renderà così complice, a tutti gli effetti, della sua fucilazione.
Romanzo terribile e crudele, capace di ricostruire con una scrittura geometrica ed essenziale quello che era lo stato psicologico di quella maggioritaria zona grigia che era scesa a patti durante la guerra, con l’invasore. Zona grigia che è anche e soprattutto, condizione eterna dell’umana natura; stato dell’anima, che non può essere, secondo Simenon , in alcun modo modificato, tranne che in situazioni tanto brevi quanto eccezionali.
È questo il peccato originario che rende tragica la condizione dell’uomo; peccato che, magari attraverso la scrittura, deve essere svelato, quanto meno per per essere onesti con se stessi e con il mondo.
Vito Santoro

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