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La macchia umana
 
La macchia umana 2025-04-09 10:31:51 topodibiblioteca
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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    09 Aprile, 2025
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La traccia sporca del proprio passaggio

“Noi lasciamo una macchia, lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c’è altro mezzo per essere qui”.

Citazione simbolo di questo romanzo di P. Roth, forse il migliore tra tutti quelli scritti dal grande autore americano, così capace di rappresentare le contraddizioni e le peculiarità della società americana. Nella “Macchia Umana” la storia personale di Coleman Silk, la sua decisione di secretare al mondo intero, moglie compresa, il fatto di essere una persona di colore (scelta possibile proprio grazie alla sua carnagione bianca), la spietatezza di interrompere ogni rapporto con la famiglia proprio per non lasciare testimonianza e traccia delle sue origini, svelano in realtà la denuncia del razzismo latente nella società a stelle e strisce, tale da condizionare la vita di una persona portandola a compiere una scelta così ardita.
Siamo nel secondo dopoguerra ed un giovane Coleman si dichiara bianco per potere accedere a quella vita a cui altrimenti avrebbe dovuto rinunciare e diventare così uno stimato professore dell’Athena College, New Jersey (dove Roth è di casa fondamentalmente), vedendo dischiudersi gratificazioni ed opportunità di carriera. Eppure la teoria del contrappasso sembra in qualche modo condannarlo quando viene ingiustamente messo sotto accusa dal personale docente del college per avere usato un termine ambiguo, che sembra avere una valenza razzista (in italiano tradotto con “spettri”) nei confronti di alcuni studenti di colore del suo corso di studi, mai presenti a lezione. In questa spietatezza della vita, si delineano le debolezze di una “middle class” borghese che volta le spalle a Coleman. Colleghi ed amici dentro la struttura universitaria per tornaconto personale, per invidia, per rivalsa e risentimento non ci pensano due volte infatti a rovinargli vita e carriera additandolo come colpevole per l'uso di quella parola (“La semplice accusa è già una prova… Basta l’etichetta. L’etichetta è il movente. L’etichetta è la prova”).

Dietro ad una facciata di falso perbenismo, lo stesso falso perbenismo usato nei confronti dell’affare Clinton-Lewinsky (il romanzo è infatti ambientato nel 1998, all’epoca del celebre scandalo presidenziale), si tratteggia l’ipocrisia del “politically correct” che porta Coleman e le poche persone che gli sono rimaste accanto alla sconfitta, alla resa. Per meglio definire questa rappresentazione umana si assiste alla critica di Roth che può definirsi totale: non manca infatti un’incursione nella tragedia della guerra del Vietnam e del problema dei reduci al ritorno, spesso abbandonati al loro destino, alle loro fragilità psicologiche.

Attraverso una narrazione lasciata alla penna di Zuckerman (noto alter ego di Roth incaricato di scrivere la storia di Coleman Silk proprio dallo stesso protagonista), il messaggio feroce che lentamente viene evidenziato sta proprio in quelle riflessioni inizialmente riportate: non esistono individui completamente innocenti, ci sono zone di luci ed ombre, ognuno lascia un segno nella propria vita, una “traccia sporca” ma necessaria del proprio passaggio.

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