Dettagli Recensione
Punte spuntate
Con “Tatà” torna in libreria Valérie Perrin, autrice già nota al grande pubblico per i suoi “Cambiare l’acqua ai fiori”, “Tre”, “Il quaderno dell’amore perduto”.
Fondamentale una precisazione stilistica della traduzione: il titolo ha un accento in più per distinguere il nomignolo affettuoso che in Francia viene usato per indicare “zietta” e che in Italia corrisponde a governante. In questo scritto, infatti, protagonista è una zia che dopo essere morta, ri-muore rivelando di non essere deceduta davvero la prima volta.
Ancora una volta ci ritroviamo il cimitero, un luogo che nei romanzi dell’autrice viene vissuto con dolcezza, con il rispetto del silenzio che lo caratterizza e delle anime che lo abitano in virtù di quei legami generazionali che si susseguono. Non mancano poi i legami quali l’amicizia, la musica popolare, la pedofilia, la musica classica, l’amore in tutte le sue forme, dalla nascita a tutte le forme che assume nel tempo, il legame genitoriale, la perdita e la mancanza. I fantasmi sono tanti e ogni giorno ci legano l’un l’altro.
«[…] Ho la sensazione di non avere più desideri, di aver amato troppo e male, di aver consumato il mio capitale sentimentale, sento che il mio cuore è logoro e bucato come un vecchio paio di jeans su un banco del mercato delle pulci di Saint-Ouen, che aspiro soltanto a stare da sola, a parlare con un cane di passaggio, con un gatto randagio, con gli uccelli nel cielo o con una coccinella che mi si posa per caso sul maglione.»
Non mancano, ancora, i rimandi incrociati tra pellicola cinematografica e canzoni e per riuscirci ci regala anche spaccati di vero e proprio cinema con tanto di sceneggiature. L’impostazione di “Tatà” ricorda molto quella di un fotoromanzo che viene descritto in ogni pagina con una foto diversa. Ogni personaggio è raccontato nel dettaglio e con molta attenzione a quelli che sono gli aspetti più particolari della narrazione.
Conosciamo Colette, la zia (tatà), conosciamo Agnes, la nipote da cui passano i fili della trama stratificata che andiamo leggendo, conosciamo Hanna, la madre di Agnes e cognata di Colette, conosciamo Blanche che è avvolta nel misterio, conosciamo lei, la Vita, quell’esistere che si apre al mondo in tutte le sue complicate e disordinate relazioni e che ci portano a incrociare ogni singola dimensione. C’è anche il nostro desiderio di sapere e sapere ancora anche se sapere tutto è impossibile, c’è ancora la sincerità che è alla base delle emozioni, c’è il racconto di un vivere e di un esistere.
«Non mi scuotete, sono pieno di lacrime.»
La Perrin sa sempre come emozionare il suo lettore grazie a quei nodi emozionali che sa toccare. Tuttavia, in “Tatà” la sensazione è che abbia voluto fare troppo. Per quanto l’idea sia piacevole, per quanto sia mantenuta l’atmosfera che normalmente ricrea, per quanto la trama sia sviluppata nel canonico mezzo narrativo, tra queste pagine la sensazione è quella di un costante “troppo”. Troppe pagine, troppi incastri, troppi personaggi, troppe voci, troppi snodi che appesantiscono una narrazione che avrebbe ugualmente reso con molto meno. Il romanzo di suo non brilla di originalità, la storia talvolta è anche ai limiti del blasfemo e se ci si aggiunge questo aspetto descrittivo e prosaico, diventa ancora più complessa da “digerire” e apprezzare.
Nel complesso un libro dalle buone intenzioni ma dalle punte spuntate.
Indicazioni utili
- sì
- no
Commenti
1 risultati - visualizzati 1 - 1 |
Ordina
|
1 risultati - visualizzati 1 - 1 |