Dettagli Recensione
Sarebbe finita la disperazione
«Sarebbe finita la disperazione.» Max Porter, Grief is the thing with feathers
Martha, che ha appena compiuto 40 anni, viene lasciata dal marito Patrick. Siamo nel Regno Unito, la vicenda si svolge tra Londra e Oxford, dove Martha e Patrick erano andati a vivere qualche anno dopo il matrimonio in una Prestigiosa Villetta che fa parte di un Elegante Contesto Abitativo.
Leggendo queste prime frasi introduttive potrebbe sembrare l’ennesimo romanzo sulla crisi di una coppia che apparentemente ha avuto tutto dalla vita. Invece no. Questo è un romanzo sull’enorme disagio che è provocato, in una normale esistenza, dalla malattia mentale. Quando infatti Martha aveva soltanto 17 anni è esplosa una malattia nel suo cervello, che ha influenzato enormemente, in maniera negativa, le sue scelte di vita, le sue relazioni personali, la possibilità di essere autentica e felice. Il racconto si dipana dalla stessa voce di Martha, una voce sì piena di dolore ma anche colorata di ironia e sarcasmo, che, attraverso analessi, ripercorre tutta la sua storia, fino a tornare al punto di partenza della narrazione, ossia la separazione dal marito Patrick.
Si tratta di un romanzo che affronta il tema della malattia mentale in modo diverso rispetto ad altri che ho letto in passato, ben più drammatici e intrisi, spesso, di disperazione. Qui possiamo percepire la sofferenza di Martha, la sua difficoltà nell’affrontare la vita, ma è una sofferenza che ci sembra familiare, è un disagio che riconosciamo come prossimo, vicino. La malattia mentale specifica non viene mai nominata, forse per lasciarla volutamente nell’indeterminatezza. Invece i problemi di Martha sono abbastanza comuni: il fallimento nelle relazioni di coppia, l’inadeguatezza che percepiamo, a una certa età, sentendo di non aver realizzato le proprie aspirazioni, la difficoltà nel rapportarsi con i familiari, che pure amiamo.
Chi è che non ha mai provato almeno uno, se non tutti, questi fallimenti? Chi è che non si è sentito, almeno una volta, inadeguato e incapace di aver vissuto con efficacia la propria vita?
“L’opposto di me stessa” è un romanzo intenso e doloroso, introspettivo e triste, coinvolgente grazie alla prosa brillante, ironica e ricca di citazioni della sua autrice.
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Commenti
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Assai utile quanto hai scritto di questo libro, soprattutto per chi come me non conosce assolutamente l'autrice.
Gli aggettivi "doloroso", "triste" mi fanno capire che forse non è la lettura che cerco in questo periodo.