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L'imprevedibile Arturo Bandini !
Cronologicamente parlando questo libro sarebbe il secondo nella serie dedicata ad Arturo Bandini, alter ego di J. Fante, venendo subito dopo di “Aspetta primavera, Bandini” (rappresenta la genesi del personaggio, nel quale si racconta l’adolescenza trascorsa in Colorado all’ombra della figura paterna) e prima del più celebre “Chiedi alla polvere” (dove si trova un Bandini adulto a Los Angeles in cerca dell’affermazione definitiva come scrittore). Eppure questo romanzo ha avuto una storia travagliata in quanto sarebbe il primo scritto da Fante ma l’ultimo a venire pubblicato negli anni ‘80 del secolo scorso perché rifiutato in serie dalle case editrici.
Scritto negli anni ‘30 e dal contenuto fortemente autobiografico, il Bandini protagonista si delinea per il suo narcisismo esasperato: ancora lontano dal successo e costretto a svolgere lavori umilianti per sbarcare il lunario (uno su tutti operaio nella fabbrica di inscatolamento sgombri), Arturo Bandini si costruisce una realtà alternativa nella quale rifugiarsi, vedendosi già come un grande scrittore conosciuto e glorificato dai media, oggetto di culto, una sorta di superuomo come descritto in “Cosi parlò Zarathustra” dal filosofo Nietsche, uno degli autori preferiti da Arturo (“L’immortale Bandini, lo scrittore, ed eccolo disteso laggiù senza dubbio stava componendo qualcosa per la posterità”).
Bandini l’orgoglioso (“Il mio primo e ultimo verbo si leva dal cuore di quello strato profondo chiamato Orgoglio”), Bandini perennemente litigioso che inveisce contro la sorella che apostrofa in malo modo, accusandola di essere una bigotta schiava della chiesa di Roma, totalmente incapace di comprendere il suo talento letterario.
Ed ancora Bandini che vuole mostrarsi latin lover, sprezzante nei confronti delle donne ma al tempo stesso incapace di resistere al fascino femminile, con un debole verso le foto delle pin-up dei giornalini illustrati che ritaglia e conserva gelosamente per poi inventarsi storie di fantasia con loro. Bandini arrabbiato col mondo intero che si comporta come i bambini e scarica la propria frustrazione su animali indifesi come i granchi, che poi stermina sprezzantemente cullandosi nell’idea di potere essere rispettato e temuto (“Questi granchi maledetti da Dio avevano addirittura messo in dubbio il potere di Bandini il Superuomo!”).
Ma anche il Fante-Bandini che aveva ben capito il sistema capitalistico americano che si basa sullo sfruttamento del povero, dell’immigrato per ottenere profitti (“Vittime dell’ignavia bottegaia e del sistema americano, schiavi bastardi degli squali della finanza. Schiavi, parola mia!”) e che aveva già anticipato e denunciato lo scontro di classe tra americani ed immigrati (nulla di nuovo a quanto pare, siamo ancora fermi a questo punto) .
Per tutto questo ed altro ancora, “La strada per Los Angeles”, raccontato in prima persona così come avviene per tre dei quattro romanzi dell’ideale tetralogia, è stato rifiutato, temuto e non pubblicato per lungo tempo. Eppure lo stesso Fante, senza scoraggiarsi, ha solamente smussato le caratteristiche del suo personaggio, rimasto fedele alla sua genesi (in fin dei conti non poteva essere diversamente, l’autore parla di se stesso) e che per fortuna ha poi trovato la luce con gli altri romanzi della serie.
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Non ho mai letto il famoso autore.
Dalla tua interessante recensione, deduco che c'è molto autobiografismo in questo libro : la cosa mi incuriosisce perché i romanzi di pura invenzione spesso non sono 'necessari' per l'autore, e queste costruzioni narrative sovente mi risultano artefatte e noiose.