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Una storia, una vita.
Ritorna Daniel Pennac, uno dei miei autori preferiti, con uno strano romanzo, "Il mio assassino", diviso in 64 brevi capitoli, in cui narra alternativamente la storia dei personaggi del libro e quella dei protagonisti dei suoi romanzi, in particolare quelli del celebre Ciclo Malaussène, Benjamin in primis, capro espiatorio di professione, con la sua chiassosa famiglia multietnica allargata. Il principale personaggio del libro è un ragazzino, Lassalve, di quattordici anni, smaliziato e sicuro di sè : è quello che diventerà poi Nonnino, il ricattatore criminale di Capolinea Malaussène, e che è qui all'inizio della sua lunga carriera di malfattore. Il ragazzino, nel corso dei capitoli, riesce ad assoldare due finti genitori con i quali organizza e pianifica magistralmente il rapimento di sè stesso, inducendo i genitori veri a pagare un riscatto. Riesce anche a sottrarre un grosso anello, con un'affilatissima lama incorporata, con la quale darà trionfalmente inizio alla sua carriera delittuosa. La storia è ben architettata in tutti i suoi particolari, con brio ed eleganza, ed è alternata ad episodi della vita di Pennac, gli incontri, le amicizie, i ricordi di una lunga carriera di scrittore e di docente: una sorta di autobiografia dove amici e conoscenti rivivranno poi nei personaggi che animano i romanzi dello scrittore, iniziando dal lontano 1985, quando fu dato alle stampe "Il paradiso degli orchi", l'inizio della famosa saga. Ed a rivivere non sono solo i ricordi personali, ma è un intero quartiere, quello di Belleville, della periferia parigina: un quartiere dove si mescolano popolazioni e razze diverse, diverse età, un quartiere che rappresenta, nel bene e nel male, uno spaccato della vita stessa.
Pennac descrive il tutto con nostalgia e commozione: è passato tanto tempo, ma lui sembra essere sempre lì, tra i ricordi più struggenti della sua vita: e non dimentica neppure di ammonire, con messaggi che inducono a riflettere sul passato e sui pericoli del presente. E' bene leggere a tal proposito il capitolo 33: vi si accenna alle distruzioni che una guerra comporta, alle ragioni stesse dell'ultima guerra ("il secondo suicidio mondiale nell'arco di vent'anni"), cercando anche di capire altre cause, quelle della "frenesia nazionalista, del cannibalismo nazista, dell'autodivoramento sovietico" e, non ultime, quelle della progressiva "uccisione dello stato di Diritto". Pur non essendo, se si riflette sul capitolo accennato, un romanzo politico, Pennac sembra sottolineare i pericoli che incombono nel momento storico in cui viviamo, momento di guerre locali in corso, momento in cui solo "il Grande Capitale se la caverà benissimo": Pennac va a ruota libera, senza peli sulla lingua. E' accusato, dagli amici che lo ascoltano, di eccedere in "scenate di terrorismo senile". Ma, forse, fa riflettere quella che l'autore chiama la "saggezza dell'antenato", con qualcosa, come afferma, dentro sè stesso che "piangeva lacrime vecchie come l'umanità". Ognuno, poi, leggendo il capitolo in questione è libero di interpretare il pensiero di Pennac come meglio crede. Terrorismo senile o saggezza dell'antenato?
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