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LO SCANDALO DEL VERO
Uno spettacolare pugno alla bocca dello stomaco. A sferrarlo è uno scrittore cui soltanto la realtà dell'uomo, con le sue fragilità, fobie e meschinità interessa davvero. Niente infingimenti, niente edulcorazioni. Solo schietta e violenta realtà. E se deve essere scandalo, che scandalo sia.
"Il lamento di Portnoy" in questo è semplicemente devastante. Attraverso l'espediente di una prolungata seduta psicanalitica, il protagonista Alex Portnoy racconta, con la veemenza dell'urlo di Munch, le sue ossessioni erotiche, le oscure depravazioni e le raccapriccianti pratiche onanistiche. Non c'è spazio per giri di parole o sottintesi accomodanti: la realtà è oscena e soltanto un gergo da bordello può renderne l'idea in modo compiuto.
Alex è malato e sa di esserlo. Un erotomane senza dignità, capace di calpestare spietatamente le occasionali vittime del suo desiderio. Non cerca giustificazioni. Al più rincorre una possibile via di uscita.
Qualche attenuante a ben guardare ci sarebbe. Cresciuto in una famiglia ebrea, Alex è bombardato fin da bambino con continui richiami alla responsabilità e alla stretta osservanza di doveri morali che il suo status di giudeo comporta. Gli ossessivi formalismi cristallizzatesi in millenni di storia ebraica sono come enormi macigni che gli pesano sulle spalle.
Lui si ribella, certo. Appena può sfugge al soffocante abbraccio di una famiglia e società oppressiva e claustrofobica. Si proclama non credente. Rivolge inconsciamente il suo sfrenato desiderio sessuale verso donne non ebree (shikse) alla disperata ricerca di essere accettato da una società "altra".
Eppure la fuga non riesce mai completamente. Inevitabile tributo a quella educazione che lo voleva vincente ed integro, la sua carriera professionale porta Alex a ricoprire prestigiose cariche pubbliche ammantate altresì da un nobile impegno sociale. Agli occhi della società benpensante, egli realizza quell'ideale di uomo di specchiata moralità e primo della classe cui era evidentemente predestinato.
Quale stridente contrasto con quella seconda inconfessabile e sconcia natura! L'universo ebraico, con la sua millenaria tradizione e il suo simbolismo opprimente, alimenta in lui un costante conflitto interiore tra l'uomo che avrebbe dovuto essere e lo sporcaccione che invece è diventato.
Roth si muove su un crinale stretto e difficile. Chi legge è scioccato dal linguaggio sguaiato e scurrile nonché dalla crudezza delle immagini proposte. Il rischio di scadere nella volgarità fine a se stessa disgustando l'incauto lettore è elevato.
Che ciò non avvenga è in parte dovuto al registro grottesco cui l'autore ricorre per smorzare la violenza espressiva ogni qual volta si rischi di superare i limiti della decenza. In altra parte sono la raffinata ironia ed il graffiante sarcasmo (anch'essi tratti imprescindibili della cultura ebraica) ad alleggerire i toni ed evitare che tanta abiezione umana disgusti ed allontani. E così nel tratteggiare la famiglia middle-class ebraica newyorkese Roth sembra quasi riecheggiare il Woody Allen di Radio Days.
Soprattutto però, ciò che rende questo romanzo un capolavoro invece che un libro trash, è l'adesione senza compromessi alla realtà e quindi la percezione di verità che chi legge ne trae. Una verità non mediata che svela una umanità messa ostentatamente a nudo. In questo Roth è un assoluto maestro.
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Commenti
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eppure ..... io ti consiglio di leggerlo. Ho fatto fatica a digerire certi eccessi e credo di capire (e in qualche modo condividere) cosa intendi per tallone d'Achille. Pastorale Americana e' sicuramente su un altro livello. Pero' se entri un po' dentro il mood di questo monologo, ne cogli l'ironia yiddish ed il coraggio di indagare gli abissi psicologici ... beh credo valga comunque la pena leggerlo
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La tua recensione è chiare perciò mi è stata utile. Sapevo qualcosa a grandi linee. Mi convinco di aver fatto bene ad evitarlo : un romanzo tutto incentrato su "un erotomane senza dignità", come hai definito il protagonista, penso che mi annoierebbe anche perché considero che l'erotismo sia il tallone d'Achille per l'autore (in senso della resa letteraria, ovviamente). E' un autore che sa rappresentare bene il dolore, la vecchiaia, come in Pastorale Americana.